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Autore: Lost on Mars    18/05/2015    5 recensioni
SEQUEL DI "INDACO" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2746316&i=1), è consigliabile la lettura.
C’è stato un momento in cui Amelia e Ashton sono rimasti intrappolati in una vecchia istantanea in bianco e in nero: nessun colore a determinare la loro gioia, felicità, paura o tristezza. Nedlands sembra aver congelato la loro esistenza, li ha tagliati fuori dal mondo e non c’è stato niente se non pace e tranquillità. Dall’altra parte dello Stato, però, Luke è a piede libero e va cercando la propria vendetta. Responsabilità e pericoli di duplicano e il mondo li poterà a schierarsi: bianco da una parte e nero dall’altra, in perenne lotta tra di loro. Chi vincerà?
Dalla storia:
«Non ho altra scelta. La mia vita e quella di mio figlio contro la felicità della mia famiglia, so benissimo che li farò soffrire, ma se fossi io a morire sarebbe peggio, non credi?»
«Se non fermiamo Luke passeremo la vita a fuggire da lui. Anche se riuscissimo a cavarcela per i prossimi mesi, spostarsi con un bambino sarebbe impossibile.»
«Fermarlo? Ci abbiamo provato e lui è fuggito dal carcere. Non possiamo fermarlo, è inarrestabile.»
«Ma non è immortale.»
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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9 – SMALL BUMP

 

«Lascia le finestre aperte fino alle undici, se non torniamo prima dell’una, in frigo c’è della carne da riscaldare per te e Nola. Se uscite, chiudi tutte le persiane e gira almeno due volte la serratura. E poi―»
«Amelia, calmati.»
Ashton, seduto sul bracciolo destro del divano, sbuffò per l’ennesima volta. Amelia camminava avanti e indietro per il salotto, andando prima in cucina e poi tornando in indietro, con la borsa sotto braccio e l’ansia alle stelle.
«Come faccio a stare calma?» strillò. «Sto uscendo dopo... settimane! Potrebbero ammazzarmi.»
«Nessuno ti ammazzerà, va bene?» Ashton si alzò in piedi e la raggiunse. «Ci sono io con te.»
Amelia sospirò e abbassò lo sguardo a terra. «Lo so, ma...»
«Ma niente» intervenne Calum. «Stai andando a fare un’ecografia, quello nervoso dovrebbe essere lui, non tu.»
La piccola battuta causò l’ilarità generale per un paio di secondi, spezzò il nervosismo e la tensione che si erano creati.
«Va bene, però promettimi che farai quello che ti ho detto» disse lei. Calum annuì.
«Adesso andiamo, altrimenti arriviamo tardi» disse Ashton.
Amelia gli strinse la mano e poi, insieme, si avviarono giù per l’ingresso e varcarono la porta, chiudendosela alle spalle.
Rimasto solo – o quasi, ma Nola non usciva mai dalla stanza, e ormai era passato quasi un mese da quando l’avevano salvata – Calum si ritrovò ad accendere il computer e si mise a fare quello che di solito faceva quando era nervoso o particolarmente annoiato: si mise a lavorare.
Aveva due articoli da scrivere per il settimanale in cui lavorava, e negli ultimi tempo era stato sempre più difficile, tant’è che per portare a termine tutti gli incarichi aveva spesso fatto le ore piccole.
Dopo mezz’ora, però, la pagina di fronte a  lui era ancora quasi completamente bianca. Aveva scritto sì e no quattro righe e non lo convincevano nemmeno poi così tanto: cancellò tutto e sospirò.
Un momento dopo, la sua attenzione fu attirata da un rumore proveniente dalla sua stanza: la porta si era leggermente aperta, con uno scricchiolio, e presto Calum aveva scorto l’esile figura di Nola. Tempo prima, Ashton era andato a comprarle del vestiti, sotto consiglio di Amelia, e adesso, la magliettina nera che indossava si era appena sollevata e le lasciava scoperto un lembo di pelle candida all’altezza del fianchi; aveva i capelli biondi spettinati e gli occhi grandi e sempre spalancati, come se dopo tutto quel tempo, avesse ancora paura.
«Hey» mormorò Calum. «Hai bisogno di qualcosa?»
«Parlare» disse piano Nola. Calum assunse un’espressione confusa.
«Parlare?» le chiese di rimando.
«Sì, volevo dirti grazie.» disse ancora la bionda, passandosi delicatamente la mano sul braccio. Teneva lo sguardo fisso a terra
«E per cosa?»
«Volevo ringraziarti per avermi permesso di restare. Non avrei mai potuto tornare a... casa. Quindi grazie.»
Calum sorrise e avanzò piano verso di lei, in modo cauto. Nola sembrava completamente indifesa e Cal aveva quasi paura di farla scappare via, di lasciarla sfuggire un’altra volta. Eppure, nonostante tutto questo, Nola gli sembrava una persona infinitamente forte, con tanti misteri da custodire e nessun mezzo per lasciarli andare e liberarsi, anche solo per un attimo, di quel peso che le gravava sulle spalle.
«Non c’è di che. Non devi ringraziarmi per questo» disse Calum. «L’avrebbe fatto chiunque.»
«Non chiunque» disse piano Nola. «Lì fuori ci sono molte persone menefreghiste... Calum, vero? – il ragazzo annuì – ecco, sono davvero pochi quelli come te e i tuoi amici.»
«Io ho... sempre conosciuto persone buone» disse Calum.
«Allora sei una persona fortunata» ribatté Nola.
«Ti va... di parlarne?»
«Se hai del tempo da perdere, sì.»
«Non credo che parlare con te sarà mai tempo perso.»
Nola sorrise, spostandosi una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
 
2004, Sydney, Australia.
Il pavimento non veniva lavato da giorni, nell’appartamento c’era odore di chiuso e puzza di fumo. Era la mattina di un qualunque giovedì, Nola si era alzata e aveva riempito lo zainetto colorato di penne e quaderni, poi era andata in cucina e vi aveva trovato la madre, che un momento dopo le mise la colazione in tavola. Nola aveva sempre pensato che la sua fosse la mamma migliore di tutte: era la più giovane, la più carina e sorrideva tanto, anche se da giorni di comportava in modo strano. A volte non tornava a casa, soprattutto di sera, ma Nola sapeva che stava lavorando e non gliene aveva mai fatto una colpa.
Quel giovedì, però, fu diverso da tutti gli altri. Dopo la scuola, l’autobus l’aveva lasciata vicino casa e lei già immaginava di trovare la sua mamma pronta a chiederle come fosse andata quella giornata, ma quando suonò il campanello, nessuno venne ad aprirle, aspettò un’ora, poi decise di chiedere ai vicini se poteva stare un po’ da loro, almeno finché sua madre non fosse tornata. Le aprì il vecchio signor Peel, che aveva sempre avuto Nola in simpatia. Dopo un po’, il figlio del signor Peel, un certo Stefan, che aveva circa trent’anni, le disse di provare a chiamare sua madre e le diede il suo telefono. Dopo aver composto il numero, Nola sentì chiaramente il telefono di usa madre squillare dall’altra parte del muro.
Alla fine, uscirono tutti sul pianerottolo e Stefan provò a forzare la serratura, che non era mai stata chiusa davvero, ed aprì la porta con molta facilità.
«Mamma! Mamma!» esclamò Nola. La chiamava e lei non rispondeva. Andò a cercarla e la trovò sdraiata sul letto, come se fosse addormentata. Le si avvicinò e la scosse per svegliarla. Si accorse del giovane signor Peel un secondo dopo essersi resa conto della siringa attaccata al braccio di sua madre.
«Tieni, Nola» Le diede di nuovo il telefono. «Chiama il pronto soccorso.»
«Cos’ha la mamma?» domandò, sull’orlo delle lacrime.
Lui deglutì. «Nulla, ma ci vuole un dottore. Vai di là e chiama l’ambulanza.»
La bambina fece come le era stato detto, mentre Stefan toglieva con cautela la siringa e prendeva la donna tra le braccia. Mentre comunicava ad uno sconosciuto l’indirizzo a cui si trovava, Nola non sapeva che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe visto sua madre.
                                      
2012, Sydney, Australia.
Era la terza famiglia che Nola cambiava in sette anni. La prima era quella con cui era stata più a lungo, ve l’avevano affidata a otto anni e c’era rimasta fino ai tredici, poi l’avevano di nuovo trasferita in una seconda famiglia in cui era rimasta per sette mesi: lei non sopportava loro e loro avevano troppi figli per sopportare lei. Così aveva nuovamente cambiato e credeva d’aver finalmente trovato la famiglia perfetta. Stava con loro ormai da due anni e si trovava benissimo: nessuno le faceva mai mancare nulla, si interessavano di quello che le piaceva fare e la trattavano come fosse veramente figlia loro. Per la prima volta dopo tanto tempo, si sentiva amava, sentiva che qualcuno le voleva bene. C’erano alcune volte in cui credeva di essere un peso, ma Patrick e Jonathan le ripetevano sempre di non pensarlo. Erano i genitori migliori che Nola potesse desiderare ed erano decisamente molto meglio della prima famiglia in cui era stata, dove nessuno si prendeva cura di lei; sicuramente migliori della seconda, dove tutti si maltrattavano a vicenda e non c’era mai spazio per nessuno.
Dopotutto, due padri erano meglio che nessuno da tornare dopo la scuola, a cui raccontare ogni singola sciocchezza. Nola li amava e loro amavano lei.
 
«A diciotto anni me ne sono andata. Wilson è il cognome di mia madre e ho deciso di prenderlo quando mi hanno detto che era morta... avevo quattordici anni e mi stavano trasferendo di nuovo, in quell’occasione ho veramente capito chi fosse mia madre, una drogata. Ho scoperto di essere la figlia di Andrew Hemmings a diciassette anni: a scuola ci avevano dato un compito, dovevamo ricostruire l’albero genealogico della nostra famiglia, e tutti sapevano che ero stata data in affido svariate volte. Allora, una volta, andando a trovare mia madre, ho scoperto che un tizio veniva regolarmente a portare fiori alla sua tomba. Una volta l’ho fermato ed è andato via, la seconda volte mi ha detto il suo nome, la terza volte che aveva una figlia della mia età, più o meno, ma che non l’aveva mai conosciuta, la quarta volta mi ha detto che sapeva una sola cosa su di lei, il suo nome. Nola.»
«E poi?»
«E poi ha scoperto chi ero.»
 
***
 
Amelia tamburellava le dita sulla plastica della sedia da cinque minuti buoni. Nella sala d’attesa della ginecologa c’era uno strano profumo, l’aria era calda, le pareti erano dipinte di un verde chiaro rilassante e c’erano diverse riviste a portata di mano. Nonostante tutto, Amelia non riusciva a calmarsi: sapeva di non essere stata esattamente a riposo, ma non poteva farci nulla, sperava solo di non avere problemi.
«Amy» iniziò Ashton, seduto sulla sedia accanto a le. «C’è qualcosa che non va?»
Amelia scosse la testa, tenendo lo sguardo ben fermo sul pavimento di fronte a lei, con la mente persa in una risposta che non riusciva a dare pienamente.
«No, è solo che... ho paura Nelle ultime settimi mane siamo fuggiti da Nedlands e ci siamo sistemati alla bell’e meglio a casa di Calum, tu uscivi con Michael e io avevo ansia e... non sta andando serenamente come deve andare» gli spiegò lei.
Ashton non fece in tempo a replicare che la giovane segretaria li chiamò e li invitò ad accomodarsi nell’ufficio della dottoressa con un sorriso che avrebbe dovuto essere, almeno in origine, rassicurante, ma che di rassicurante aveva poco e niente. Amelia non smise si stringergli la mano nemmeno per un secondo.
«Signorina Hogan?» esordì la dottoressa, da dietro la scrivania.
«Sì, buongiorno.» Amelia le tese la mano e lei gliela strinse, sorridendole affabilmente.
«Io sono la dottoressa Bell, piacere» disse, poi si rivolse ad Ashton. «Lei deve essere il futuro padre del bambino.»
«Sì, Ashton Irwin, piacere» disse piano lui, mantenendosi piuttosto distaccato nei suoi confronti: odiava dare alle persone il suo nome e il suo cognome, ma in quell’occasione di permise di farlo, dicendosi che non avrebbe potuto nuocergli in nessun modo.
«Benissimo, Amelia, puoi accomodarti sul lettino.»
La ragazza annuì e si sistemò, sdraiandosi. Cominciò a respirare lentamente e giocherellò con i lembi del maglioncino rosso che indossava. La visita non fu molto diversa da quella che aveva fatto a Nedlands, solo che durò molto di più e dopo un po’ non avvertì nemmeno il gel freddo sulla pelle.
Tutti i suoi pensieri erano rivolti di nuovo allo schermo e a quello che vi era riprodotto sopra. Adesso quella macchiolina che un mese prima l’aveva quasi fatta piangere dall’emozione era diventata più grande. Si doveva allenare l’occhio per capirlo, ma la dottoressa l’aiutò, indicandole gli occhi, il cuore, i piccoli arti in formazione del bambino. Era passato così poco tempo... aveva solo due mesi ed era già così grande.
L’unico momento in cui distolse gli occhi dallo schermo, fu per incrociare quelli di Ashton. Indescrivibili. Amelia non riuscì a capire la metà delle cose che quegli occhi ambrati riflettevano, ma le andava bene così, perché in quel momento Ashton provava così tante cose diverse che sarebbe stata un’impresa titanica provare ad estrapolarle e scinderle, così da poterle studiare singolarmente.
Ashton stesso non riusciva a capire niente. La stanza era sparita, lo spazio girava, l’unico punto fisso era quell’immagine impressa sullo schermo e lo sguardo luminoso di Amelia, i suoi occhi sull’orlo della felicità. Non sapeva se lasciarsi sopraffare dal miscuglio di emozioni che al momento scalpitavano per uscirgli dal cuore o se limitarsi a guardare, guardare e a non capire niente.
Era prima volta in assoluto che sentiva qualcosa del genere, che vedeva qualcosa di buono nascere da lui. Faticò a rendersene conto, quasi non credeva di essere stato in grado di contribuire a produrre qualcosa che, pur così piccolo e fragile, era meraviglioso.
«Ehi, vieni qui» mormorò Amelia, tendendogli la mano. Non appena si toccarono, lei tornò con gli occhi sullo schermo e lui fece lo stesso. Non riusciva a parlare, non riusciva a pensare, persino respirare stava passando in secondo piano.
In quel momento c’erano solo due cose importanti, che lo legavano al mondo e lo facevano sentire vivo: la donna che amava, che gli stringeva forte la mano, che rideva ed era bella, felice, radiosa, e poi suo figlio. Non più grande di tre o quattro centimetri, ma che già occupava un larghissimo spazio nel suo cuore.
E non poteva chiedere di meglio.
 

 
Marianne's corner:
SONO VIVA.
Strano ma vero, filosofia è andata e adesso rimangono solo greco, latino, matematica ed arte e poi.. e poi finirà la scuola, credo, perché l'ultimo compito in classe ce l'ho tipo il 4 Giugno, LOL.
Ma non parliamo di ciò. So che dovevo aggiornare  venerdì, ma è stato un week-end all'insegna di Kant ed Hegel (per non parlare di tutti i filosofi meno "difficili" che sono venuti prima), ma sono stranamente sopravvissuta ed eccomi ad aggiornare. Duunque, ve l'avevo detto che il capitolo sarebbe stato incentrato su Nola e il suo passato è davvero molto turbolento, poverina. Riuscirà ad uscirne? E vi avevo anche detto che ci sarebbero stati i nostri Asheliaa ** Allora, come al solito, mi scuso se ci sono cose strano o incongruenze (?) ogni volta che si parlerà di gravidanza, visite mediche e così via: non sono un dottore, non ho intenzione di diventarlo e la mia unica fonte di informazione è internet LOL.
E niente, io spero che vi sia piaciuto e vi ringrazio per aver recensito lo scorso capitolo! :3
Indizio per il prossimo capitolo: Valerie e Michael + mente diabolica di Luke. Ce la faranno i nostri eroi?
Giuro che sarò puntualissima stavolta! AHAHAHA
A lunedì (cambio giorno di aggiornamento ogni due per te, lo so).
Bacioni,
Marianne
   
 
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