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Autore: Kary91    18/05/2015    2 recensioni
[Pre-saga| Mr. Everdeen!centric | Mr. Everdeen&child!Katniss| Mr. Hawthorne/child!Gale e Mr. Everdeen ]
“Quanto vuole per quell’arancia?”
L’uomo l’osservò con un cinismo per nulla mascherato.
“Nulla che lei possa procurarmi.”
Caleb Everdeen non perse la pazienza.
“Mi dica una cifra” insistette, attirando l’attenzione di alcuni presenti. Un giovane con addosso abiti da minatore sorrise sghembo in direzione del venditore.
“Fossi in lei non sottovaluterei il buon vecchio Vagabondo , sa?” esordì. “Questo qui sa il fatto suo!”
Caleb gli strinse la mano, sorridendo riconoscente.
“E quest’altro qui ne sa anche di più” scherzò, riferendosi al collega. “Nessuno sa trattare meglio di Quattro Hawthorne .”
L’uomo di nome Hawthorne si strinse nelle spalle.
“Conosco quattro cosette, tutto qui” minimizzò, dando di gomito al venditore. "Faccia affari con questo ragazzone, si fidi di me!"
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gale Hawthorne, Katniss Everdeen, Mr. Everdeen, Mr. Hawthorne, Mrs. Everdeen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Questa storia è stata scritta per il Drabble SunDay indetto dal gruppo Facebook “We are out of prompt”.  Il prompt, proposto da Macy McLaughlin, era: Mr Everdeen & Katniss, Il Signor Everdeen ha fatto molta, molta fatica a procurarsi quell'arancia, ma è Capodanno e vedere l'espressione di Katniss lo convince che varrà sempre la pena faticare per lei.”

 

Tutto per unarancia (e per lei)

2


 

31 Dicembre: la vigilia di un giorno importante.

Il primo dell’anno nuovo, quello in cui – l’ha promesso a Katniss – Caleb Everdeen porterà finalmente sua figlia nei boschi. Il nuovo anno sarà fonte di ulteriore complicità per loro, grazie alle domeniche mattina trascorse assieme ad allenarsi con l’arco. E ancora gli avvistamenti delle ghiandaie imitatrice, i consigli sul come trattare con i commercianti, le decine di canzoni che Caleb potrà finalmente insegnare alla figlia, alla larga da orecchie indiscrete.

Per questo, per l’importanza che aveva il giorno successivo per lui, quando la notò in bella esposizione su una bancarella non poté fare a meno di fermarsi: era la più grande fra quelle che aveva visto in giro per il mercato. Era lievemente ammaccata, ma sembrava gustosa e matura al punto giusto.

Caleb si passò una mano fra i capelli pieni di neve, prima di indicarla al venditore.

“Quanto vuole per quell’arancia?”

L’uomo l’osservò con un cinismo per nulla mascherato. Scoccò una rapida occhiata ai suoi vestiti – ai pantaloni troppo leggeri per quel periodo dell’anno, al suo aspetto terribilmente da Giacimento – e scosse la testa.

“Nulla che lei possa procurarmi” rispose spiccio, prima di voltarsi verso un secondo cliente.

Caleb non perse la pazienza. 

“Mi dica una cifra” insistette, attirando l’attenzione di alcuni presenti. Un giovane con addosso abiti da minatore sorrise sghembo in direzione del venditore.

“Fossi in lei non sottovaluterei il buon vecchio Vagabondo[1], sa?” esordì,  prima di ammiccare in direzione di Caleb.   “Questo qui sa il fatto suo!”

Caleb gli strinse la mano, sorridendo riconoscente.

“E quest’altro qui ne sa anche di più” scherzò, riferendosi al collega. “Nessuno sa trattare meglio di Quattro Hawthorne[2].”


L’uomo di nome Hawthorne si strinse nelle spalle.

“Conosco quattro cosette, tutto qui” minimizzò, dando di gomito al venditore, che gli rivolse un’occhiata a metà fra il sorpreso e l’infastidito.

“Faccia affari con questo ragazzone, si fidi di me” suggerì ancora il minatore, prima di salutare Caleb con un cenno del capo e allontanarsi in direzione di un ragazzino – suo figlio -  che lo aspettava poco distante.

“Ci vediamo, Joel!” salutò di rimando Caleb, sorridendo fra sé.  Gli scambi di conversazione con quel furfante del suo amico e collega, anche quando erano brevi, riuscivano sempre a fargli guadagnare qualche punta di ottimismo in più. Era come se la vitalità di Joel “Quattro” Hawthorne evaporasse verso gli altri, ogni volta che l’uomo apriva bocca.

Caleb tornò a voltarsi verso il negoziante, che a quel punto aveva fretta di tornare ai clienti che lo interessavano di più – quelli con le tasche un po’ più piene.

“Dunque?” domandò, sfregandosi le mani intirizzite dal freddo.

“Dieci monete” propose l’altro, mettendosi a braccia conserte. “Non una di più, non una di meno.”

Il minatore esitò, tornando a fissare l’arancia. Dieci monete era un prezzo elevato anche per una tale prelibatezza; il commerciante lo stava chiaramente prendendo in giro, ma Caleb Everdeen non era il genere d’uomo che si rassegnava facilmente. In quello, lui e Joel Hawthorne erano piuttosto simili.

“Va bene” accettò in tono di voce pacato.  “Entro il tramonto avrà le sue dieci monete.”

Detto questo chiuse la conversazione, facendosi strada attraverso un piccolo capannello di curiosi. Sapeva bene di essersi messo nei guai; in tasca aveva solo cinque monete e doveva ancora compare qualcosa per il pranzo dell’indomani. Spendere tutto quel denaro per un’arancia era una follia e, di norma, Caleb era molto attento alle spese che faceva.

Tuttavia, era deciso a regalare qualcosa a Katniss per il primo dell’anno e a costo di dover saccheggiare il bosco in cerca di prede, le avrebbe comprato quell’arancia. Non un’altra a un prezzo più ragionevole, ma proprio quella che il venditore pensava non potesse essere roba adatta a lui.

Avrebbe vinto quella scommessa cn se stesso. Avrebbe dimostrato a sua figlia che il valore di una persona non si può misurare in base allo stato dei suoi vestiti e la quantità di denaro che tiene in tasca.

E per farlo, gli serviva quell’arancia.

 

*

Otto monete.

Le contò più volte, nella speranza che proprio all’ultimo ne sarebbe spuntata fuori una di cui non si era accorto in precedenza.

Dopo aver venduto la maggior parte delle erbe che si era procurato nei boschi, barattato due scoiattoli per un arnese che il vecchio Tico cercava da tempo e aver venduto allo stesso Tico lo strumento – oltre a un fagiano – aveva guadagnato  solo quattro monete. Una doveva tenerla da parte per i viveri del giorno dopo, perciò ne restavano solo otto per l’arancia.
Poteva cercare di trattare con il venditore, ma Caleb non era sicuro che l’uomo avrebbe accettato. E anche se l’avesse fatto, la soddisfazione che avrebbe tratto dal portare l’arancia – e un insegnamento – a casa Katniss non sarebbe stata la stessa.

Tornò al Forno per cercare di fare qualche altro scambio; avrebbe potuto vendere la bisaccia, pensò, valutandone la fattura con attenzione. Forse sarebbe riuscito a ricomprarla allo stesso prezzo quando avrebbe ricevuto lo stipendio. Per un istante valutò anche l’idea di dare via la sua giacca da caccia, ma rinunciò quasi subito. Teneva molto a quel giubbotto; lo indossava già da ragazzo, quando la gente del Distretto aveva incominciato a soprannominarlo ‘Vagabondo’ proprio per via del modo in cui gironzolava un po’ ovunque, sentendosi sempre a casa.

Appoggiò la schiena a un muretto, mentre rifletteva sul da farsi. Dopo nemmeno un paio di minuti, qualcuno gli bussò sulla spalla, distraendolo da quei pensieri.

“Come è andata?” gli chiese Joel, sedendosi a cavalcioni sul muretto. Il ragazzino che era con lui si arrampicò al suo fianco.

Caleb mostrò a entrambi le otto monete messe da parte per l’arancia.

“Stavo pensando di trattare con il commerciante per convincerlo a farmi uno sconto” ammise infine. “Penso di potercela fare; anch’io, in fondo, conosco quattro trucchetti” aggiunse, prima di sorridere al bambino. “Che ne pensi, Gale?”

Il ragazzetto si strinse nelle spalle.

“Per chi è l’arancia?” domandò poi, indirizzando un’occhiata incerta a suo padre.

Il sorriso di Caleb si fece più vistoso.

“Per mia figlia Katniss” spiegò, giocherellando con le monete. “Il prossimo anno sarà importante per lei, perché incomincerà a venire nei boschi con me e volevo regalarle qualcosa di speciale.”

Gale annuì; aveva assunto un’espressione distante, quasi adulta. Infine, guardò di nuovo il padre, come se stesse cercando conferma. L’uomo annuì.

A quel punto, il bambino si frugò nelle tasche.

“Io e papà ne abbiamo parlato” spiegò a quel punto, porgendo a Caleb due monete. “Vorremmo aiutarti a comprare l’arancia.”

Il minatore fissò sorpreso la mano esile del ragazzino tesa verso di lui.

“Tu e tuo padre siete due galantuomini, ma non posso accettarli” dichiarò con decisione, spostando lo sguardo verso Joel. “Non ho niente da darvi in cambio e poi tu hai bisogno di quei soldi più di me, Joel, con Vick malato e tutto il resto.”

“Le medicine per Vick le abbiamo già” ribatté l’amico, ricambiando il suo sguardo con altrettanta determinazione. “Quelle due monete sono i soldi che si è procurato Gale vendendo i suoi conigli e il mio ragazzo ha deciso che vuole lasciarle a te. Perciò, insistiamo.”

Caleb scosse lentamente la testa, prima di arrendersi alla rassegnazione; sapeva che era difficile far cambiare idea a Quattro Hawthorne. E suo figlio, per quanto così piccolo, sembrava essere fatto della stessa pasta.

Chiuse la mano a pugno attorno alle due monete e se le mise in tasca, prima di tenderla di nuovo per stringere quella di Joel.

“Grazie” mormorò, con voce lievemente incrinata dalla commozione. La gratitudine premeva sul suo stomaco con insistenza, ma la pressione che avvertiva era qualcosa di piacevole.

“Grazie, davvero.”

Strinse la mano anche al bambino, che ricambiò con energia; sembrava proprio un piccolo uomo, vigile e determinato come il padre.

“Dirò a mia figlia che un cacciatore gentiluomo si è dato da fare perché potessi comprarle un regalo” aggiunse, sorridendo a Gale.

Il ragazzino scosse la testa.

 “No, le dica che ha fatto tutto da solo. Sarà più contenta” osservò con decisione.

“Sia mai che si venga a sapere in giro che fa dei regali alle ragazzine!” lo prese in giro il padre, ammiccando in direzione di Joel. “Lui è un uomo fatto e finito, mica le fa queste cose.”

Il bambino arrossì.

“Smettila, papà!” si lamentò poi, saltando giù dal muretto.

Caleb lo osservò allontanarsi a mani in tasca.

Orgogliosetto il ragazzo, eh?” osservò, abbozzando un sorrisetto divertito. “C’è qualcosa che non ha preso da te?”

“Mi sa di no…” replicò con orgoglio il padre, inseguendo Gale con lo sguardo. “… Anche se, per fortuna, non ha la mia lingua lunga. È piuttosto silenzioso, come hai potuto notare.”

L’amico annuì, prima di tendere ancora una volta la mano all’altro minatore.

“Grazie, Joel” ripeté, ricambiando la stretta ben salda dell’omo.  “Davvero. Troverò il modo di sdebitarmi.”

“Se lo fai ci offendi” ribatté Joel, con decisione.  “A me e a Gale. Pensa solo a far felice la tua bambina. E ad allenarla bene: i boschi hanno bisogno di cacciatori in gamba. E una Everdeen non potrà che esserlo.”



*

31 Dicembre: la vigilia di un giorno importante.

Caleb lo stava trascorrendo nella maniera migliore che riusciva a immaginare: in famiglia, con la sua primogenita che sorrideva ammirata, tenendo l’arancia nelle mani chiuse a coppa.

“Davvero l’hai pagata 10 monete?” chiese, fissando incredula il padre. L’uomo annuì compiaciuto, posandosi la piccola Prim sulle ginocchia. “Sono tantissime!”

“Qualcuno mi ha dato una mano” rivelò, sorridendo quando la sua secondogenita si mise a giocare con la sua barba. “Ricordatelo sempre, Katniss: prima o poi, se ci comportiamo in maniera leale e onesta con gli altri, arriva sempre qualcuno –un amico o più semplicemente un membro della  famiglia – disposto a tenderci la mano. Quando capiterà, tu accettala. Non ignorarla, perché una persona amica, specialmente in tempi come questi, vale molto di più che qualche moneta e della selvaggina. Va bene, futura cacciatrice?”

La bambina annuì. Si girò tra le mani l’arancia per qualche minuto, come se si trattasse di un giocattolo nuovo di zecca, e infine si rivolse alla madre.

“Ce la dividiamo” propose, appoggiando il frutto sul tavolo. “La tagli tu, mamma?”

La donna acconsentì, prima di raggiungere il marito. Caleb si aspettava un’occhiataccia o una sfuriata di qualche tipo, ma la donna si limitò a baciarlo e a sussurrargli in un orecchio un rapido “Poi mi spieghi.”

Il minatore le fece l’occhiolino, imitando le maniere scherzose del suo collega Joel. Più tardi avrebbe sicuramente spiegato tutto a sua moglie: le avrebbe raccontato della fatica che aveva fatto per procurare a sua figlia qualcosa di semplice come un frutto, e della calda sensazione di gratitudine che aveva pervaso il suo corpo quando il piccolo Hawthorne gli aveva offerto le due monete mancanti. Le avrebbe detto che quel 31 Dicembre, come  i giorni precedenti e probabilmente anche quelli che dovevano ancora arrivare,  era stato frustante e impegnativo. Ma avrebbe anche aggiunto che avrebbe rifatto volentieri la stessa cosa anche la vigilia dell’anno successivo e quello dopo ancora: perché il sorriso che gli aveva rivolto la sua primogenita quando lui le aveva dato l’arancia aveva minimizzato le sue fatiche fino a fargliele quasi dimenticare.

Le avrebbe detto che ne era valsa la pena  e che sapeva che lei sarebbe stata d’accordo.

E in effetti lo fu.

 

Note Finali.

Ringrazio molto Macy per il prompt che mi ha lasciato, perché sono stata davvero felicissima di avere un’occasione per scrivere sul signor Everdeen. Caleb aveva già fatto comparsa in “The Miner Saw a Comet”, “Il Ribelle” e “Il Vagabondo” ed era tanto che sognavo di farlo interagire un po’ con Mr. Everdeen (Joel) visto che nel mio head-canon sono davvero molto amici. Così, tanto per cambiare, ho buttato nel racconto qualche Hawthorne. Baby Gale e Mr. Everdeen avevano già interagito nel Ribelle e ci tenevo un sacco a farli incontrare di nuovo, così è spuntato fuori anche lui come un fungo! I piccoli accenni Everthorne spuntano anche loro come funghi, (e anche qui ci starebbe bene un ‘tanto per cambiare’!). Grazie infinite alle persone che sono arrivata a leggere fino a qui!



Un abbraccio e a presto!

Laura



[1] Riferimento alla one-shot “Il Vagabondo”, dove viene appunto spiegato che il signor Everdeen da ragazzo veniva soprannominato ‘Vagabondo’.

[2] Riferimento alla prima one-shot della raccolta “Tutto ciò che ho”; Joel veniva soprannominato Quattro dal padre, perché era talmente impulsivo che non riusciva a contare fino a cinque prima di fare o dire qualcosa di avventato. Per questo, quando era piccolo, il padre gli aveva suggerito di contare almeno fino a quattro. Inoltre, Joel è super ossessionato dal numero quattro (ha dato ai suoi quattro figli tutti nomi da quattro lettere).

   
 
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