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Autore: Wellknower    18/05/2015    0 recensioni
Un incidente. La paura. La corsa. Il dolore. L'amore. La verità
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Pronto, Valerio?".
 
Ricordo perfettamente quel giorno. Ero uscito in moto, vestito di tutto punto ed ero andato a rimorchiare qualche ragazza, in giro per locali, con la mia nuova giacca che mi faceva un fisico niente male. Non avevo avuto voglia di sentire nessuno dei miei amici quella sera, semplicemente ero saltato in un paio di jeans e negli stivaletti, un maglietta con sopra uno di quei disegni assurdi, giacca, chiavi e via.
 
Scendo in garage e l'ammiro, nuova, fiammante, tutta pulita e lucida, la mia Triumph Scrambler verde inglese e panna... Il mio sogno da quando ero bambino.
 
"Pronto? Sì?! Chi è?".
 
Davanti a me una castana alta un metro e settantacinque, degnissima di una rivista di moda che non aveva che occhi per me da quando mi ero messo a fare il sornione. Una valanga delle mie solite storie, funzionano sempre, con l'aggiunta di qualche particolare che avesse potuto farle crescere un po', ma nessuna idiozia mostruosa. Bellissima, un poco alticcia e decisamente interessata a me, ce l'avevo chiaramente fatta. Dovetti scusarmi perché il telefono squillava con insistenza, ero riuscito già ad ignorare le prime due telefonate ma, alla terza di fila, decisi di accontentare il rompi scatole di turno.
 
"Valerio, sono Claudia...".
 
Claudia era una vecchissima amica, grazie a lei avevo passato un liceo meraviglioso e conosciuto il mio primo amore; non so perché ma avevo già capito che la telefonata non sarebbe stata così tanto piacevole...
 
"Ehi Claudia, guarda, scusami tanto ma sono un poco indaffarato al momento, cosa posso fare per te?".
 
"Vale...".
 
"Claudia??? Non si sente molto bene, sono in un locale e c'è la musica alta, aspetta che esco... Eccomi ripeti, che hai detto?".
 
"Nulla, ancora nulla... Ti chiama perché è successa una dis... Una cosa...".
 
"Non mi piace il tuo tono Claudia, che è successo? Ancora Mirko? Ti importuna di nuovo?"
 
"No no no, Mirko non c'entra nulla, ascoltami cazzo! Mi ha chiamata la polizia e mi hanno detto che Rossana ha fatto un incidente, la stanno portando al Santo Spirito, io sono a Cagliari e..."
 
"Tu tu tu tu tu..."
 
Neanche il tempo di rimettere il telefono in tasca che già avevo le chiavi nel quadro ed ero salito in sella alla mia moto senza minimamente preoccuparmi di salutare quella tipa mozzafiato; casco, guanti, accendo il quadro, levo il cavalletto, metto in moto e parto.
 
Quel tragitto fu lunghissimo, ero a Testaccio ed il Lungotevere era diventato infinito, lunghissimo, e più acceleravo e più questo di dilatava. Sempre più veloce, sempre più pericoloso, ma non m'importava affatto. Rossana. Rossana è in ospedale. Io amavo Rossana. L'avevo sempre amata. Era finita malissimo fra noi due... Io avevo fatto degli errori e lei mi aveva aspettato tanto ma non abbastanza, quando mi ripresentai era troppo tardi. Mi diede un'altra possibilità ma non si fidava più. Mi lasciò. Non passò molto prima che lei si trovasse un altro per togliersi il mio ricordo dalla testa e il mio amore dagli occhi e dal cuore. Nemmeno lei credeva in questa nuova relazione, ma, alla fine, non aveva saputo fare altro e andò avanti. Si trovò sempre meglio fino a quando decise che era innamorata di quest'altro, un certo Saverio, ma non innamorata come lo era di me, era innamorata di lui di un amore "diverso".
 
Le luci dei lampioni erano ormai una linea gialla continua, sfrecciavo fra le macchine in fila, il traffico del sabato sera faceva da contorno alla mia più grande corsa della vita. La Bocca della Verità, la Sinagoga, l'incrocio con Vittorio Emanuele, una dopo l'altra bruciavo tutte le tappe che mi separavano da quel maledetto ospedale.
 
Non parcheggiai neanche la moto, arrivai davanti all'ingresso in derapata, dopo aver attraversato il ponte e aver tagliato la strada ad almeno due corsie di macchine. Lanciai la mia moto nuova sui sanpietrini davanti all'ospedale, mi tolsi il casco e lo lasciai cadere, mi rimasero solo i guanti ed entrai. Correndo verso l'infermiera di turno, sulla mia destra, c'era uno specchio e mi accorsi di star piangendo, ma senza volerlo, e di avere una faccia che sconvolse anche me stesso.
 
Riuscì solo a farmi uscire il suo nome dalla bocca e non risposi a nessuna delle domande che l'infermiera mi fece, Dio solo sa come, ma riuscì comunque a capirmi...
 
Mi disse che era in condizioni gravissime e che i chirurghi l'avevano già messa sotto i ferri. Potevo solo aspettare. Mi sedetti su una di quelle orrende sedie color turchese di plastiche che formano lunghe file perché sono attaccate tutte insieme, a mo' di panca... Aspettavo. Aspettavo. E l'orologio era sempre fermo là, alle 22:47 di quel maledetto sabato sera.
 
Uscì e fumai una sigaretta. Non aveva sapore, non avevo pensieri, la mia moto era ancora là, sul ciglio della strada, con la freccia destra distrutta e penzolante ed il motore ancora acceso, nessuno l'aveva spostata o alzata. Non lo feci neanche io e dopo l'ennesima sigaretta di fila rientrai.
 
Le ore continuavano a passare e molto tempo dopo giunsero le 06:00 del mattino e con loro l'alba...
 
Ancora nulla. Ogni tanto passava l'infermiera e mi guardava severa scuotendo la testa come a dirmi che ancora non si sapeva nulla. Ogni medico che vedevo passare mi spaventava terribilmente ma, dopo un primo sguardo attonito, voltavano di nuovo lo sguardo e tiravano dritto senza mai ripassare per il mio stesso corridoio.
 
Le 07:00 del mattino... Nulla...
 
Mi consigliarono di dormire in molti e io li liquidai tutti con la affermazione del fatto che ci avrei provato. 
 
Una mezz'oretta dopo mi chiamarono e mi dissero che era possibile vederla ma solo per pochi minuti, che era sveglia ma decisamente intontita dagli anestetici. L'operazione era riuscita ed era fuori pericolo. Di colpo riuscì a rilassarmi e tirai un sospiro di sollievo e felicità che mi privò di tutto il peso che avevo portato per tutta quell'orribile notte.
 
In quello stesso momento arrivò il suo fidanzato, con la faccia assonnata, il ché peggiorava di gran lunga la sua solita espressione da idiota. Mi vide, mi riconobbe ed ebbe un fremito, come se si fosse reso conto che non era proprio il massimo ch'io fossi arrivato prima di lui; non oso pensare se avesse saputo che in realtà ero lì da tutta la notte...
 
"Complimenti per il parcheggio... Dottore, posso vederla?".
 
Il medico ci fece segno di seguirlo e così facemmo, non senza che io potetti sentire lo sguardo di Saverio su di me...
 
Arrivammo davanti alla stanza, stavamo per entrare insieme quando il medico chiese: "chi di voi due è parente?".
 
Saverio, volle ribadire il concetto e urlò, non affinché il medico capisse, ma affinché sentissi io: "io sono il ragazzo!".
 
"Perfetto allora, lei entri pure e lei, visto che è assimilabile al parente prossimo, mi segua, deve firmare delle carte, ci vorrà una manciata di minuti non si preoccupi, e poi è sconsigliabile stancare la paziente con due visite simultanee...".
 
Non vi nascondo che un impercettibile sorriso prese fuoco sul mio viso, ma mi resi conto che non era né il caso né tanto meno al situazione adatta per fare il ragazzino.
 
Entrai nella camera e provai a sussurrarle qualcosa, non senza singhiozzare dalla felicità e con qualche lacrima.
Era tutta bendata e ingessata, con lividi e ferite medicate, ma non per questo era stata capace di perdere la sua bellezza. Mi avvicinai e le disse: "Rossana, sono qua, non aver paura, va tutto bene..."
 
"Saverio..."
 
Non ce la feci... M'inondai di rabbia, di delusione, di tristezza, di rammarico e di rimpianto. Aveva sussurrato il suo nome, solo il suo nome, dopo quella mia corsa contro il tempo, la mia attesa su una stupidissima sedia di plastica, la moto lanciata, distrutta e probabilmente, a questo punto, o rubata o rimossa, e lei? Fa il suo nome...
Sentii di morire dentro. Sfilai la mano delicatamente ma con decisione dalla sua debole presa che per anni aveva tenuto le nostre mani strette fra loro, mi alzai, la guardai un'ultima volta e uscii... 
 
Sulla porta della camera mi ritrova l'invocazione di Rossana fatta carne, mi scansai e prosegui oltre... Piangendo, stavolta, di dolore e maledicendomi di amarla ancora.
 
Saverio, entrò nella camera, si sedette sul lato del letto di Rossana e lei disse:
 
"Saverio, perdonami, io lo amo ancora... Io amo ancora Valerio...".
 
  
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