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Autore: Synapsis    20/05/2015    4 recensioni
Questa storiella è una What-if, ispirata da un passo del romanzo "Another Note" in cui Ryuzaki, finita l'ennesima giornata di indagini al caso BB, invita Naomi a mangiare qualcosa insieme, ma lei ovviamente rifiuta. E se non lo avesse fatto?
Accenno lievissimo a una BBxNaomi, per chi vuole vederla.
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La libertà.
Che grande illusione che è, la libertà.
Nessuno è libero in questo fottuto mondo, tutti sono bloccati nelle loro effimere vite, tutti credono di vivere come degli spiriti liberi senza capire, che in realtà, la libertà di ciascuno appartiene alla morte.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Beyond Birthday, Naomi Misora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Trappola








Stava morendo di fame.


Naomi non riusciva a pensare a nient'altro che questo.

Si trovava dentro quel locale quasi deserto da un'ora se non oltre, e il suo stomaco aveva deciso di non collaborare più iniziando a brontolare senza sosta. Mentre i suoi denti iniziarono a mordicchiare nervosamente il labbro inferiore, si guardò attorno nel vano tentativo di richiamare qualche cameriere. Vano, sì, perché lì di camerieri non c'era neanche l'ombra, il che era davvero assurdo.

Che razza di ristorante poteva essere uno senza camerieri?

Sicuramente non uno dei migliori.

Quel tipo che si era avvicinato per l'ordinazione – quando non ricordava più, ma di tempo ne era passato parecchio – sembrava essersi volatizzato, scomparso come le goccioline di umidità che venivano risucchiate dal ronzante deumidificatore sul soffitto.

Che non fosse mai esistito nessun cameriere? Che non fosse mai stata fatta nessuna ordinazione?


Magari, almeno potrei andarmene di qui”, pensò sorridendo amaramente al pensiero alquanto improbabile.


Con malinconia si voltò verso l'uscita, e dal vetro della porta osservò il via vai di gente che allegramente passeggiava con i volti sudati, ma felici. Era Agosto e l'estate era nel pieno del suo splendore lì a Los Angeles e anche se era sera, il caldo insopportabile non dava tregua. L'unico modo per sopportarlo era tuffarsi tra le onde fresche dell'oceano o posizionarsi oziosamente davanti a un ventilatore; già, peccato che a lei non era possibile fare né l'uno né l'altro perché impegnata con un caso, affidatole da L per giunta. Non poteva di certo tirare la fiacca, anche se comunque non era mai stato nel suo stile farlo. Una volta terminato il suo compito, si ripromise di regalarsi una bella vacanza rilassante insieme al suo Raye, magari in montagna, lontani dal caldo asfissiante proprio delle regioni costiere. Per ora comunque doveva concentrarsi su quel dannato caso, uno dei più difficili che avesse mai dovuto risolvere. C'era in gioco la sua riannessione all'FBI dopotutto ed era sicura che se l'esito delle indagini fosse stato positivo, L avrebbe interceduto mettendo la sua buona parola.

Sì, certo questo era fantastico, non poteva chiedere di meglio, ma...


Ma perché gli assassini ammazzano pure con questo caldo!? Merda, dovrebbero dare una pena più pesante ai serial killer che agiscono durante il periodo estivo!”.


Agitò la mano destra per farsi aria, ma non servì a molto. Con molta probabilità le temperature si sarebbero mantenute tali fino ai prossimi sei giorni, o almeno così stava gracchiando la radio posta dentro il locale.

Al solo pensiero impallidì, era davvero un incubo.

Aguzzò le orecchie e seguì il suono metallico dell'aggeggio elettronico, fino a quando il suo sguardo si posò sulla scatolina nera che stava in mezzo al bancone come fosse un trofeo, con l'antenna alzata verso l'alto per captare una frequenza che ogni tanto veniva meno. Proprio in quel momento una mano femminile la spostò verso sinistra e il movimento fece perdere del tutto il segnale radiofonico.

La mano apparteneva alla cassiera che dopo aver spento la sua fedele ma ora inutile radiolina, tornò imperturbabile a limarsi le lunghe unghia laccate con uno smalto color rosa shocking. Naomi continuava a guardare come ipnotizzata i movimenti esperti e veloci della ragazza mentre quel rosa così appariscente si imprimeva nella sua retina. Sentitasi osservata, la cassiera alzò gli occhi e incontrò quelli di Misora e forse per gentilezza o forse per la buffa espressione che aveva assunto il suo viso, un sorriso le increspò le labbra – anch'esse ricoperte da un abbondante strato di rossetto dello stesso colore dello smalto – ma durò solo un istante. Anche esso scomparve come i camerieri, come il suono della radio.

Naomi più volte si era soffermata su di lei nell'attesa del suo piatto (che non era ancora arrivato), e poteva affermare con certezza che non si era spostata un istante dalla sua postazione e che non aveva stampato nessuno scontrino. Non c'era da meravigliarsi visto che i tavoli erano per la maggior parte vuoti, fatta eccezione per il suo e un altro più lontano occupato da un signore sulla sessantina che si era addormentato con la testa appoggiata sul gomito.

Sbuffò sonoramente e si voltò di nuovo verso la porta d'uscita.


Chissà se uscirò mai da questo postaccio”.


Era veramente tentata di alzarsi e andarsene, ma non poteva farlo. Se fosse stata da sola non ci avrebbe pensato una seconda volta a lasciare la sua postazione e a cercare un altro posto per andare a cenare o, meglio ancora, di tornare a casa.


Brrrrooowww


«...»


All'ennesimo gorgoglio, incrociò le braccia sulla pancia nel tentativo di attutire così i rumori molesti.

Dov'era finita la sua dignità?

Ma soprattutto, dov'era finita la sua insalata primavera?

Mentre iniziò a prendere seriamente in considerazione la possibilità che le carote della sua insalata le stessero coltivando invece di cucinarle, lo strambo individuo che le sedeva di fronte guardava con uno sguardo catatonico la targhetta con su scritto il numero del loro tavolo da... da quando avevano ordinato.

Decisamente inquietante.

Si chiedeva ancora perché mai avesse deciso di accettare il suo invito, avrebbe potuto gentilmente declinare inventandosi una qualsiasi scusa, tanto ormai era diventata brava a farlo.

Soprattutto con lui.

Chissà, forse era stato proprio quello il motivo per cui aveva detto di sì, come se con quella cena avesse potuto pulirsi la coscienza per tutte le volte che gli aveva mentito. Eppure, se non avesse accettato non si sarebbe trovata in quella situazione. Era un pensiero stupido, ne era consapevole visto che in fin dei conti non era colpa sua, ma non riusciva a evitare di pensarlo.

Si massaggiò le tempie e stiracchiò un po' le gambe allungandole sotto il tavolo.

Quella sedia stava diventando davvero scomoda.

Guardò oltre la sua frangetta nera la figura sfocata della persona che le stava seduta di fronte, cercando di non farsi vedere.

Si sentiva davvero in colpa per aver sempre usato un atteggiamento freddo e distaccato nei suoi confronti?

Diede un'altra occhiata fugace pregando che spiccicasse parola, anche una delle sue stramberie, qualunque cosa tranne quel silenzio imbarazzante riempito solo dai lamenti del suo stomaco. Era evidente che quell'individuo un po'- tanto - svampito non avesse la più pallida idea di cosa fossero le buone maniere: insomma era stato lui a proporle di andare a mangiare qualcosa insieme e l'unica cosa che riusciva a fare era restarsene impalato come una statua di sale!

Non c'era verso, quell'uomo aveva la capacità di farla innervosire anche standosene fermo.

No, non si pentiva affatto di essersi comportata sempre con circospezione con lui.

Assolutamente.

Distolse lo sguardo, continuare a fissare quel viso cadaverico la metteva solo in suggestione e poi era ancora più noioso che guardare la cassiera: almeno quella si muoveva.

Un altro incredibile potere che riusciva ad esercitare su di lei era proprio quello: nessuno la inquietava come faceva lui, ogni singola cellula del suo corpo provava un'indomabile repulsione nei suoi confronti.

Accarezzò la forchetta pensierosa, mentre altri dieci minuti volavano inesorabili.

No, così non andava affatto, se non interveniva la sua sanità mentale se ne sarebbe andata a farsi benedire.

E stavolta, sarebbe stata lei a commettere un omicidio.

Si schiarì la gola.


«Ryuzaki?»



«Mhm?»



«Lo trovi interessante?»



«Cosa?»



«Quel numero che stai fissando da sessanta minuti».



Solo allora l'uomo alzò lo sguardo verso la donna che lo osservava con un cipiglio che le creava un'ombra sugli occhi affusolati.

Era chiaramente irritata.


«...Numero? Quale numero?»


Oh, andiamo... cerca almeno di collaborare, Dio santo!” pensò la donna.


«Questo», disse indicando il cubo ligneo con su intagliato un 24.


Ryuzaki guardò quella forma geometrica come se l' avesse vista per la prima volta.


«Stavo pensando, Misora».


«Deve essere qualcosa che ti turba parecchio allora, Ryuzaki. Vuoi parlarne?»


Non capiva perché mai gli avesse detto una cosa del genere, non le importava proprio niente di ciò che poteva passargli per la testa e neanche voleva saperlo, ma era arrivata a un grado di intolleranza tale che avrebbe ascoltato la qualunque cosa. Poi pensò che forse ciò che turbava Ryuzaki era qualcosa inerente al caso, magari stava elaborando i dati raccolti durante il pomeriggio ed era arrivato a una discrepanza con la loro attuale visione dei fatti, o un indizio involontariamente sottovalutato lo stava sconvolgendo così tanto da ammutolirlo in quel modo. Forse valeva la pena ascoltarlo.


«Sì, effettivamente è una cosa che mi turba parecchio. Vuoi davvero sapere di che si tratta, Misora?»


«Se vuoi».


Ryuzaki assunse un'espressione accigliata mentre posò un pollice sulle labbra. Non lo aveva mai visto così riflessivo e la cosa la fece preoccupare perché senza quell'espressione da spiritato che aveva usualmente sembrava quasi una persona normale - ovviamente ignorando la strana postura che aveva assunto per sedersi, le occhiaie e i capelli spettinati.

Beh, forse l'aggettivo normale non era adatto per descrivere una persona come lui, ma non le ne sovvenne nessun altro.


«Vede Misora», iniziò con un tono affranto, «il fatto è che ho ordinato una crepès al cioccolato, ma forse avrei dovuto prendere una fetta di crostata alla marmellata».


Si fermò un attimo per poggiare sul tavolo le mani prime poste sulle ginocchia. Iniziò a muovere le dita come se stesse suonando un pianoforte invisibile, partendo dal mignolo della mano sinistra per finire con il pollice della mano destra e viceversa.


«Ma forse anche no. È da stamattina che avevo voglia di crepès, però qui la fanno solo al cioccolato, e non mi va il cioccolato... La crostata invece la fanno solo alla marmellata, ma voglio la crepès non la crostata. E così ritorno al problema iniziale. Capisci Misora, sono avvilito. Proprio proprio avvilito, Misora».


Naomi ascoltò il discorso di Ryuzaki annuendo lentamente con un sorrisino tirato.

Come faceva un tipo del genere ad avere certi lampi di genio durante le indagini quando di fatto era un perfetto idiota? Sembrava un bambino che si lamentava perché non sapeva decidere quale caramella mangiare.


« Ad ogni modo ormai hai ordinato. È inutile continuare a pensarci».


Detto questo, Misora prese il bicchiere d'acqua ormai quasi vuoto e lo portò alle labbra.


«Oh, certo, su questo hai ragione. Ma mi sento comunque... insoddisfatto».


«Io insoddisfatta lo sono già».


«L'ha lasciata il suo fidanzato?»


Che c'entrava questo?


«... No. Sono insoddisfatta perché stiamo attendendo che ci portino la nostra cena da un'ora , non so se te ne sei reso conto».


«Ah, in quel senso. Beh sì, stanno ritardando un po' in effetti».


Perché quale dovrebbe essere l'altro senso? Si disse che era meglio non saperlo, anche se una strana sensazione le piombò addosso. Disagio, forse?

Meglio cambiare discorso.

Aveva qualcosa da chiedergli effettivamente, una domanda che da un po' di tempo le girava in testa.


«Comunque, Ryuzaki, posso chiederti una cosa?»


«Dimmi pure, Misora».


Gli puntò gli occhi addosso, inchiodandoli nei suoi così innaturalmente opachi e scuri.


«Perché mi hai invitata a cena?»


«Non c'è un perché, Misora. Ho semplicemente pensato che, essendo colleghi, sarebbe stato un gesto gradito. Non è così?»


Colleghi? Gesto gradito? Sì, certo, come no”.


«Beh... io non credo che io e te potremmo definirci colleghi, Ryuzaki».


«Giusto, forse hai ragione Misora. Dimenticavo che tu sei un detective privato e non puoi certo riconoscermi come collega se non hai ottenuto la prescritta autorizzazione rilasciata dalla Prefettura di competenza o da colui per cui stai lavorando. Ma è anche vero che io e te, per via del tutto eccezionale per quanto ti riguarda, stiamo collaborando. No?»


Stai attenta a come rispondi Naomi, meglio non metterselo contro. Malgrado tutto, il suo aiuto ti è stato molto utile, non puoi negarlo. È una spina nel fianco, ma il caso ha la priorità. E poi non deve scoprire che sto lavorando per L”.


«Sì, certo».


«Allora potremmo definirci colleghi, Misora. Per via del tutto eccezionale, chiaro».


«Sì, ma anche tu sei un detective privato, quindi la via del tutto eccezionale», ricalcò quest'ultima frase «non vale solo per me».


Si rese conto di ciò che aveva detto solo dopo averlo pronunciato, ma non si pentì. Era una provocazione bella e buona, ma voleva proprio vedere come avrebbe risposto. Prima che Ryuzaki aprisse bocca, le sembrò di aver visto un luccichio malizioso illuminargli gli occhi, ma forse se lo era solo immaginato.


«Ma come Misora, lo hai dimenticato? Come ti ho già detto la prima volta che ci siamo incontrati, non mi piace particolarmente la parola privato, trovo che sia un aggettivo con una forte valenza nevrotica ed egocentrica. Piuttosto, io mi definisco un detective non privato e non egocentrico, molto aperto a collaborare con lei. Per me non c'é nulla di eccezionale in questo».


"Ma per la legge sì", pensò la donna donandogli un falso sorriso.


Immaginava che le avrebbe risposto in quel modo, non si meravigliò più di tanto. Come successe la prima volta, non potè evitare di pensare che la sua risposta fosse un egocentrico e stupido modo per dire che non aveva nessuna licenza; ma anche stavolta era meglio sorvolare il discorso, tanto non avrebbe portato da nessuna parte e non avrebbe fruttato nulla di buono.


«Ryuzaki, che ne dici se ce ne andiamo? Ho la brutta sensazione che rimarremo a digiuno stasera».


«Tu dici?» disse reclinando la testa.


«Già, non mi sembrano molto competenti qui».


«È quel che penso anch'io. Un ristorante che non fa le crepès alla marmellata non è da prendere sul serio in effetti. È un vero affronto!»


È davvero quello il problema per lui? Non ribattè, la cosa più importante era che stessero uscendo di lì finalmente. Senza dire altro, si alzarono con uno stridio di sedie che ruppe il silenzio. Naomi si avviò verso l'uscita, mentre Ryuzaki si offrì di andare a parlare alla cassiera. La donna lo guardò allontanarsi con la sua camminata ingobbita verso il bancone e si godette la faccia scandalizzata della ragazza non appena lo vide.

Dovette reprimere una risata e distogliere lo sguardo: era la persona più strana che avesse mai incontrato e forse non ne avrebbe conosciute di più strane.


"Per fortuna".


Si posizionò di fronte alla porta, come fanno i carcerati di fronte all'unica grata della loro cella. Certo che doveva essere terribile perdere la propria libertà, non poter più correre all'aria aperta sotto il sole, anche se cocente come quello di Los Angeles, non poter più andare dove pare, neanche in vacanza come voleva fare lei al più presto.

Si rese conto all'improvviso di tenere troppo alla sua libertà per poterla perdere; in quell'ora dentro quell'angustiante locale si era sentita così demoralizzata e intrappolata da non poter neanche minimamente immaginare che cosa significasse vivere per sempre segregati dentro le mura strette di un carcere. Possibile che i criminali non ci pensassero a una cosa del genere prima di commettere i loro reati? Possibile che non riuscissero a prendere in considerazione le conseguenze delle loro azioni?

Al lato destro della porta, vi era una vasca rettangolare che conteneva un solo pesce che solitario nuotava scuotendo la grande pinna. Delle luci multicolor cambiavano continuamente a intervalli di tempo ben precisi, facendo apparire quel contenitore di vetro simile a una discoteca, solo che al posto della musica vi era il rumore monotono del filtro.

Quel pesce aveva un'aria abbattuta, sembrava stordito e si muoveva senza brio.

Non seppe bene il perché, ma provò una tale tristezza per quel pesciolino che una piega di dissenso le si formò sulla fronte.


Perché?”


«Misora?»


Naomi balzò sul posto colta di sorpresa.


«Emh...sì? Fatto?»


«Sì, ho disdetto l'ordinazione».


«Perfetto, andiamo».


Una volta usciti, si inoltrarono nella grande via, inalando gli umori della sera. Si muovevano per inerzia, mossi dal flusso della folla come dei manichini, ognuno intrappolato nella gabbia dei loro pensieri. Misora pensava alla sua bella casetta che la attendeva a braccia aperte, al suo comodissimo divano e ai suoi cibi precotti che aveva in frigo, comprati proprio per le emergenze come quelle o per quando finiva tardi a lavoro. Pensò che era il momento di congedarsi, era davvero distrutta e l'indomani l'attendeva un altro giorno di indagini.


«Ryuzaki».


«Misora, ti piace il mare?»


«Huh?


"Il... mare?"


«Penso di sì, anche se preferisco la montagna»


«A me piace molto, anche se non ho nessun ricordo d'infanzia legato ad esso. Ho imparato ad aprezzarlo solo di recente».


«Capisco. Ha il suo fascino di sicuro, il mare».


Altri passi, altri minuti che scorrevano, altri volti che si mescolavano tra di loro in una massa informe. Ma tra questa materia incolore, due volti stavano emergendo, una donna e un uomo che non si conoscevano e che un giorno si erano casualmente incontrati e che adesso stavano passeggiando fianco a fianco, ammutoliti dall'imbarazzo che si prova nello stare con uno sconosciuto.


«Non pensavo che questa serata sarebbe finita così, mi dispiace Misora. È stata una perdita di tempo, avrà avuto sicuramente meglio da fare».


Cos'era quel tono? Sembrava davvero abbattuto, forse ci era rimasto male che non aveva potuto mangiare la sua crepès.


«Se scendiamo un altro po', arriviamo al lungomare. Che ne dici di fare una passeggiata lì, così vediamo anche il mare. È da tanto che non scendo in spiaggia, con tutti gli impegni che ho. Eh, vivere a Los Angeles e non poter neanche godersi il suo mare... chi mi sente non mi crede».


Si avviarono verso il lungomare, sotto le alte palme si fecero spazio sorpassando ragazzi, ragazze, vecchi e bambini che sedevano all'aperto ai tavolini dei bar. Scesero alcuni gradini e arrivarono su una pedana che li separava dalla sabbia bianca della spiaggia. La sabbia rifletteva la luce delle stelle e della luna, risaltando sotto il manto nero del cielo terso. L'oceano sembrava un'enorme chiazza d'inchiostro da cui ogni tanto spuntavano le creste spumeggianti delle onde, e si estendeva fino all'orizzonte confondendosi con il cielo notturno, di cui aveva assunto lo stesso colore. Era troppo buio per distinguere chiaramente quale fosse il confine tra cielo e terra, tutto era indistinto e vago, come l'aria gonfia di sale e di altri odori che riportavano ad altri luoghi, ad altri tempi, ad altri ricordi. Entrambi stavano provando le stesse sensazioni - anche se i luoghi e le memorie in cui si trovavano erano differenti - ma non lo diedero a vedere. Naomi senza fiatare si sfilò le scarpe e immerse i piedi tra quei granelli freddi. Iniziò a camminare su quella seta argentata fino a raggiungere la sponda.

Ryuzaki restò fermo a scrustare quella figura scura diventare sempre più piccola fino a sembrare un punto nero sul bianco della sabbia. Dopo un po', tolse anche lui le scarpe logore e una volta che i suoi piedi sprofondarono nella sabbia, una sensazione di pace assoluta lo inglobò.

La sua mente, dopo tanto tempo, tacque.

Non c'era più niente, solo il vento che gli accarezzava la nuca e la schiena.

Una forza oscura lo richiamò a sè, al mare e a quella donna sotto le cui vesti si nascondeva il suo più grande nemico.

Avanzò mettendo un piede davanti l'altro con deliberata lentezza, assaporando quella sensazione di liberazione dal mondo che da sempre lo aveva tenuto in trappola e che ora si stava lasciando alle spalle senza remore.

Raggiunse Naomi e le si mise di fianco, a una distanza non troppo ravvicinata. La donna guardava davanti a sè, i capelli si muovevano alimentati dalla brezza marina e le accarezzavano le braccia scoperte. Le labbra erano strette in una linea severa, la fronte era distesa e le sue lunghe ciglia nere si abbassavano ritmicamente al calar sereno delle palpebre.

In quel momento era davvero bella, pensò.


«Io non ci rinuncerei mai».


Ryuzaki la guardò, e ancora una volta la sua sorpresa fu rinnovata: sembrava così diversa. Lei era ancora rivolta al mare.


«A cosa?»


Con lentezza ruotò la testa, facendo scivolare la chioma sul petto e finalmente gli rivolse il suo sguardo.


«Alla libertà».


La libertà.

Tsz.

Che grande illusione che è, la libertà.

Nessuno è libero in questo fottuto mondo, tutti sono bloccati nelle loro effimere vite, tutti credono di vivere come degli spiriti liberi senza capire, che in realtà, la libertà di ciascuno appartiene alla morte. Gli altri lo dimenticavano facilmente, ma lui non poteva farlo, non lui che era costretto a vederla sempre, la morte, sotto forma di quei numerini che danzavano sopra le teste delle persone, anche di quelle che non conosceva e che incontrava casualmente per strada. Di riflesso, guardò sopra la testa della donna e vide anche la sua combinazione numerica, il linguaggio della morte che aveva imparato a codificare a spese del suo intelletto.

Avrebbe voluto esprimere la sua amarezza, avrebbe voluto svuotarsi di tutto l'orrore che lo riempiva, ma non poteva dirle tutto questo, non poteva esprimere ciò che provava.

Ciò che era.

Un assassino, l'assassino a cui lei stava dando la caccia.

Era proprio bastardo il destino, a volte, soprattutto con lui perché lo aveva sempre lasciato solo e incompreso.


«Neanche io, Misora».


La serata per Ryuzaki e per Misora giunse alla sua conclusione. Terminò così, davanti all'oceano che con muta compassione raccolse le loro domande interiori, i loro turbamenti e tutto ciò che non avevano il coraggio di dire, aspettando ancora con pazienza il momento in cui i suoi pesciolini solitari si sarebbero ricongiunti al suo abisso.





[Note Autrice]


Non so cosa dire.

Lo dicevo io che avrei scritto ancora su 'sti due: io li amo che ci posso fare.

Sinceramente non so neanche che cosa ho scritto, e se vale la pena di pubblicarlo, ma vabbé, pazienza, sopporterò senza protestare la pioggia di pomodori :/

È una shot ricca di spunti di riflessione (credo) che possono avere tante interpretazioni, per cui lascio a voi il giudizio, che sia positivo o negativo non ha importanza, mi farebbe comunque piacere che lo condivideste ^^

Spero di non essere sfociata nell'OOC e di essere riuscita ad intrattenervi.


Un Grazie per aver letto. ♥




Synapsis



  
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