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Autore: Fuffy91    04/01/2009    6 recensioni
“ Ma non è equo. Dovrei imboccarti anch’io.” “ E chi ha detto che non puoi farlo?” Mi sussurrò seducente, vedendolo avvicinarsi sempre di più al mio collo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alice Cullen, Edward Cullen, Isabella Swan, Jasper Hale
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Edward&Bella! ^///^'
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Twilight- Un Futuro Insieme a Te

Non capivo per quale ragione, ma quella sera mi sentii stranamente a disagio.

Quella giornata era iniziata all’insegna del mistero: Edward non si era presentato né sotto casa e né a scuola, quella mattina. La sua Volvo argentata era stata sostituita dalla Porsche giallo canarino e appariscente di Alice, la cui proprietaria, a sua volta, aveva preso il posto di suo fratello nel farmi compagnia in mensa e durante le lezioni interminabili di quella stravagante giornata.

Il mio nervosismo iniziale crebbe ancora di più al silenzio che susseguiva puntualmente ad ogni mia domanda di quella sfrontata e sadica vampira con il viso da elfo, accompagnato da un sorriso luminoso, intervallato ad una veloce linguaccia o smorfia divertita.

Sospirai sull’orlo di una crisi di nervi all’ennesima risatina di Alice alla vista della mia espressione contratta per la rabbia e delusione, che inoltrandosi nella stradina angusta ed accidentata che conduceva a casa Cullen ,con una manovra da pazza guidatrice, inchiodò con energia, facendomi quasi sobbalzare fuori dal paraurti, davanti al proprio cortile deserto.

Voltandosi verso di me con un sospiro sereno, mi districò facilmente dalle cinture che mi fasciavano interamente il busto, mentre io la guardavo accigliata, seguendo ogni suo minimo movimento, quasi soddisfatta da qualcosa che non riuscivo a capire. Senza parlare, uscì dall’auto, apparendo un secondo dopo davanti al mio sportello, aprendolo leggiadra e, mettendosi di lato, improvvisando un inchino che avrebbe fatto impallidire anche la più brava ballerina de “Il Lago dei Cigni”e un sorriso, se possibile, ancora più sgargiante ad incresparle le labbra sottili, mi invitò a scendere dal suo adorato mezzo dai sedili in pelle lucida e nera che, una volta a diretto contatto con l’atmosfera serale fredda e buia, tanto da costringermi a stringermi nel cappotto grigio con bottoni neri regalatomi da Edward, cominciai a rimpiangere vivamente per il calore che emanavano.

Con un sonoro tonfo, Alice chiuse lo sportello, la cui vernice gialla brillò di una striscia bianca a contatto con la luce lunare, e raggiungendomi con un solo passo, si posizionò al mio lato sinistro, sospirando e affondando le mani nelle tasche del suo cappotto verde militare ,con mille fantasie e un cappuccio enorme. Mi voltai interrogativa e scettica verso di lei, quando la sentii nuovamente sospirare, se è possibile, ancora più soddisfatta, guardando per un paio di volte me e la sua casa, come se la vedesse per la prima volta o stesse facendo un paragone assurdo.

Notando il mio stato di immobilità, mi pose, per la prima volta in tutto l’arco del giorno, una domanda, per lei evidentemente, significativa:

“ Cosa c’è?”

Avrei voluto strozzarla con le mie mani. Peccato che la sua pelle d’acciaio e marmorea avrebbe sicuramente spezzato le mie articolazioni se solo avessi cercato di stringerle il collo con tutta la mia energia ( ben poca cosa, se confrontata con la sua).

La mia espressione doveva essere più eloquente di ogni gesto e parola, perché la vidi deglutire impercettibilmente, portarsi una ciocca di ciuffetti corti e corvini dietro l’orecchio, aggiustarsi il cappellino in lana bianca con fili coordinati al giubbotto, supplicarmi un perdono con lo sguardo da cerbiatta e un abbraccio caloroso, nonostante il gelo che emanava il suo corpo sottile.

“ Allora ci vediamo domani, Bella.”

Mi disse con la sua voce da soprano, una volta staccatasi con grazia dal mio corpo ancora immobile e scosso da brividi di freddo.

“ Cosa? Ma…dove vai? Non vorrai lasciarmi qui, da sola, spero.”

Le chiesi mentre la guardavo, impotente, aprire lo sportello della Porsche e salirci quasi con urgenza.

La sua risata cristallina colpì le mie orecchie come una scarica di campanelle tintinnanti e trafiggendomi con il suo sorriso disarmante, da bambina soddisfatta, mi strizzò l’occhio e disse abbassando il finestrino del passeggero e sporgendosi verso di me:

“ Tranquilla…non sarai sola. Entra in casa, prima che ti congeli e, mi raccomando, divertiti.”

La guardai sfrecciare lungo la stradina angusta, mentre i rami spinosi degli abeti non riuscivano nemmeno a sfiorare la carrozzeria giallastra e lucente , visibile anche con il sopraggiungere della notte, di quella Porsche mozzafiato.

Era rimasta talmente stordita dal suo ingiustificabile comportamento e dalle sue parole, che non mi ero accorta nemmeno dei fiocchi di neve candida che cominciava a ricoprirmi interamente, inzuppandomi i capelli e innevandomi le spalle, fino a che uno non si sciolse sulla punta del naso arrossato dal freddo, riscuotendomi da quello stato vegetativo in cui ero caduta.

Mi voltai verso il castello moderno dei Culllen, e sospirando e scuotendo il capo in segno di rassegnazione, mi recai a grandi passi verso la porta maestosa di quella splendida villa popolata da vampiri.

Stranamente, mentre appoggiavo una mano inguantata di blu sulla maniglia della porta principale, una sola frase ronzava insistentemente nella mia mente, facendomi irrazionalmente accelerare i battiti del mio cuore.

Tranquilla…non sarai sola.

Aprii delicatamente l’uscio, non sorprendendomi affatto di trovarla aperta e cercando di fare il meno rumore possibile, la richiusi, come se non volessi turbare il clima di pace e silenzio che mi circondava. Per la prima volta, da quando avevo varcato tante volte quella soglia, in quella immensa casa, cominciai ad avvertire un certo timore.

Da tranquilla, l’atmosfera divenne suggestiva e da suggestiva si tramutò in inquietante. Sentii il mio respiro regolare diventare affannoso e cominciai a sussultare ad ogni scricchiolio reale o immaginario.

Tutto era silenzio e tensione. Non osavo muovermi di un altro passo, una volta arrivata al centro del corridoio che conduceva al salotto.

Mi sentivo osservata e controllata e quando avvertii una mano sfiorarmi leggermente una spalla, mi voltai di scatto e per poco non urlai sul viso preoccupato di…Edward?

Si, era lui. Edward. Il solo pensare il suo nome sortì l’effetto di una colata di miele sul mio cuore martellante.

Lo vidi corrugare la fronte e scrutarmi da vicino premuroso. Era buio intorno a noi e non riuscivo a distinguerlo bene nella penombra della stanza adiacente.

“ Bella…tutto bene? Ti vedo scossa.”

Le dita della sua mano scivolarono dalla mia spalla al mio viso, accarezzando la mia pelle fredda con quella delle sue dita ghiacciate, che sembravano marchiarmi come fuoco al solo sfiorarmi.

Gli racchiusi quella stessa mano con le mie inguantate, dandomi l’impressione di stringere la neve, che ancora continuava a cadere, a mani nude, ma il mio cuore non ci badò.

“ No, sto bene, non preoccuparti.”

Notando la sua espressione impenetrabile ,che solcava i suoi tratti d’angelo come una maschera d’indecisione e perplessità al chiaroscuro di quella sera, mi avvicinai e portai le mie braccia a circondargli la vita dura, forte e sottile, schiacciando la mia guancia destra arrossata per il freddo e per l’emozione sul suo petto scolpito, al fine di attenuare, almeno in parte, la sua tensione.

Funzionò, visto che ricambiò l’abbraccio con dolce forza, portando entrambe le mani grandi e affusolate nella massa informe dei miei capelli, avvicinando il suo viso alla mia testa e annusando il profumo che emanavano, per lui indescrivibile mentre per me solo alla fragola.

Sorrisi con gli occhi chiusi e distaccandomi leggermente, rabbrividii all’ondata di calore ed elettricità che gli occhi intensi e d’oro caramellato di Edward mi trasmisero al solo incrociare i miei.

Ricambiò il sorriso che, evidentemente, non aveva ancora smesso di solcarmi le labbra e abbassandosi lentamente verso di esse, le baciò con grande delicatezza, ancora sorridente.

In quel momento, non mi era mai apparso più bello di quanto già non fosse quotidianamente.

Avrei tanto voluto che il tempo si fermasse in quel preciso istante, immortalandolo come la stampa di una fotografia; ma purtroppo, troppo presto, Edward si distaccò da me, continuando a sorridermi ammaliante ed ,ora, sereno, lasciandomi solo la possibilità di assaporare il dolce nettare della sua pelle, lasciato sulla mia bocca come la marmellata dopo aver addentato una fetta biscottata a colazione.

“ Allora…che cosa succede?”

Gli chiesi, facendogli arcuare un sopracciglio:

“ Dovrebbe succedere qualcosa?”

Sbuffai affranta:

“ Sono stufa degli enigmi alla Cullen. È da questa mattina che cerco di storcere dalla bocca di Alice una risposta adeguata alle mie domande, ma nulla…muta peggio di un pesce. Pensavo che almeno tu mi avresti dato una spiegazione. A proposito, dove sei stato? Perché non sei venuto a scuola? Sei forse andato a caccia? E se è così, perché non me lo hai detto, ieri sera? E come mai Alice non è entrata in casa vostra? E dove sono gli altri?”

“ Finito?”

Mi disse lui sorridendo sornione o come uno che la sa lunga, incrociando le braccia in una posa da fotomodello.

“ Si.”

Dissi, ancora leggermente irritata.

“ Bene.”

Mi sussurrò a pochi centimetri dal mio viso, consentendomi di ispirare a pieni polmoni il suo respiro fresco, delizioso e dissetante, con l’effetto immediato di stordirmi, tanto che non mi accorsi nemmeno che aveva intrecciato le sue dita con le mie e mi stava letteralmente trascinando verso una sala illuminata. Non era giusto, riusciva sempre ad imbrogliarmi.

Mi ripresi immediatamente quando il mio sguardo entrò nell’orbita di quella meraviglia da favola.

Spalancai la bocca e sgranai gli occhi confusa e stupita, girandomi intorno senza credere a quello che vedevo.

Il salotto era tutto illuminato di candele colorate e profumate. La tavola rettangolare, che predominava al centro della stanza, era ricoperta di una candida tovaglia di seta, con ogni sorta di prelibatezze che, alla sola vista, facevano venire l’acquolina in bocca, e al suo centro esatto c’era un grandissimo vaso di vetro fino, da cui traboccavano sfavillanti rose rosso-sangue.

E per finire, il camino era acceso e le fiamme del fuoco scoppiettante diffondevano ovunque il loro calore. Mi voltai verso Edward, ancora scossa da quel cambiamento così repentino d’atmosfera diffusa in quell’immenso salone, e i miei occhi vennero tramortiti nuovamente da un’immagine ancora più idilliaca.

In quel momento, alla luce diffusa delle candele tremolanti e delle lingue di fuoco scoppiettanti, potevo scrutare Edward in tutto il suo massimo splendore. Indossava un vestito da sera color panna, con mocassini abbinati e una camicia nera sbottonata alla base del petto, con una cravatta annodata quasi svogliatamente, che gli conferiva un tocco da ribelle che aderiva pienamente alla sua personalità. La penombra di poco prima non gli aveva conferito nessuna giustizia.

Mi sentivo inadeguata in quel luogo così elegante e ricercato nei particolari. Mi strinsi nel cappotto, nonostante il mio corpo cominciasse ad abituarsi al tepore largamente diffuso nella stanza, puntando il mio sguardo ,inspiegabilmente imbarazzato, sulla punta delle mie sneakers a strisce bianche e nere. Lo sentii sghignazzare sommessamente e avvicinarsi a passo umano verso di me, impegnata a torturare la stoffa dei guanti, indecisa se toglierli o meno. Ci pensò Edward a decidere per me, sfilandomeli con molta facilità e riponendoli nella tasca del cappotto, di cui sbottonò i bottoni uno ad uno, facendomelo scivolare dalle spalle e gettandolo con cura sul bracciolo del divano accanto.

Avvertii un brivido di freddo che mi fece tremare i denti, forse a causa della nuova temperatura, che non sfuggì ad Edward, che alzandomi il mento con due dita, puntando il suo bellissimo sguardo indagatore verso il mio volto, mi sussurrò:

“ Hai freddo?”

Scossi la testa in segno di diniego ma lui, scettico, mi invitò ad accomodarmi su una delle poltrone vicino al camino, il cui calore mi investì all’instante.

“ Va meglio?”

Mi chiese ora sorridente, intuendo la risposta.

“ Si, grazie.”

Mi guardai di nuovo intorno, ammirando stranita e meravigliata l’intera stanza, dal soffitto al pavimento.

“ Edward…”

“ Uhm?”

“ Hai…hai preparato tu tutto questo?”

Dissi, indicando con una mano il tavolo, le candele e il camino.

“ Si, ma per il pranzo ha voluto pensarci Esme. Sai, ci teneva tanto.”

“ Vuoi dire che è per me tutta quella roba?”

Edward rise piacevolmente annuendo, riso a cui mi aggiunsi anch’io, subito dopo. E di chi altri, se no?

“ Beh, fortuna che ho mangiato poco a pranzo.”

Aggiunsi ironica, picchiettandomi la pancia con le dita della mano, facendolo ridere di gusto, scuotendo la testa in segno di rassegnazione.

Istintivamente, dopo alcuni minuti di silenzio, passati ad osservarlo nei minimi dettagli del suo viso perfetto, mi alzai dalla poltrona purpurea per accomodarmi impacciata sulle sue ginocchia dure, circondando il suo collo con entrambe le braccia e, sospirando di una felicità improvvisa, strofinai la mia guancia contro il cotone della camicia nera, aspirando il suo profumo deliziosamente inebriante a pieni polmoni, come se la mia vita dipendesse da uno solo dei suoi respiri non necessari.

Colpito da quel mio gesto improvviso, dopo un iniziale irrigidimento, lo sentii sciogliersi a poco a poco sotto il mio abbraccio, ricambiandolo con ancora più calore, accarezzandomi delicato, come se le sue carezze fossero opera di un mio sogno ad occhi aperti, con l’intero palmo della fredda mano destra, i capelli e percorrendo con il dorso delle dita la tempia e la fronte, posandovi ogni tanto un bacio quasi immaginario.

Non so per quanto tempo rimanemmo in quella posizione di completo benessere, ma ciò che so di sicuro è che avrei preferito che quel momento non finisse mai. Ma come è tipico nella mia vita, il fatto stesso di non accontentarmi delle situazioni incantevoli che mi venivano offerte così generosamente, uno spiritello maligno e ghignante puntualmente irrompeva per turbare il mio idillio, come? Beh, con una chiamata improvvisa di Charlie, il passaggio naturale del tramonto con la notte, oppure, come in quel particolare caso, un sonoro starnuto.

“ Ecciù!”

Cavolo! Ero rimasta troppo sotto la neve e quella era la conseguenza spaventosa…un bel raffreddore in piena regola.

“ Bella.”

Disse Edward, scostandosi da me con un gesto troppo repentino, che minacciò il mio già scarso equilibro. Fortuna che con una mano il mio premuroso vampiro mi sosteneva la fronte leggermente accaldata.

Lo guardai rassicurante:

“ Tranquillo, non ho la febbre. Ho solo preso freddo, tutto…”

Un’interruzione dovuta ad un altro starnuto che mi fece arrossare la punta del naso e accaldare le guancie.

“ …qui.”

Trattenendo un sorriso, Edward mi tenne in braccio e in un lampo ci ritrovammo al piano di sopra, precisamente in camera sua.

“ Perché siamo qui? Non era meglio rimanere accanto al fuoco?”

Chiesi confusa, mentre lo osservavo premere il bottone della luce, che in dieci secondi illuminò l’intera stanza, evidenziando lo scompartimento con gli appositi CD, il divano in pelle nera, su cui Edward mi fece accomodare, il grande letto a due piazze al centro, che consideravo ancora un grande spreco di denaro, il grande tappeto dorato e i veli scuri posti ai lati delle pareti, che miglioravano l’amplificazione acustica dello stereo moderno e pericoloso per la mia mente rompi - tutto.

Aprì una porta mai notata prima sbucata all’angolo della stanza e mentre ero impegnata in un nuovo starnuto, lo vidi a pochi centimetri dal mio viso, con le labbra premute sulla mia tempia destra e poi sulla fronte.

“ Uhm…”

Mugugnò soprappensiero, scoccando la lingua pensoso.

“ No, non hai la febbre, ma hai comunque bisogno di scaldarti.”

Aggiunse sorridente e rassicurante. Mentre lo guardavo entrare in quella ignota stanza, mi sorpresi a costatare che era davvero efficiente come Carlisle, in quei casi di malessere. Scrollai le spalle sorridente. Dopotutto, aveva comunque due laure in medicina.

  A cosa pensi?”

Trasalii di fronte alla sua immagine seduta vicino a me, in una posa tipicamente maschile, con un gomito appoggiato sul bracciolo del divano e una mano a sostenersi il viso leggermente reclinato, lo sguardo dorato ed intenso a fissarmi sfacciato.

“ A nulla d’importante.”

Mi strofinai le braccia con le mani in un moto sia d’imbarazzo che di freddo insieme. Che stessi covando davvero l’influenza?

“ Vieni.”

Mi intimò offrendomi la mano. Una volta afferrata e in preda alla confusione ,dovuta al raffreddamento, mi guidò lentamente verso l’ingresso di quella stanzetta sconosciuta, e quando la varcai notai con meraviglia che si trattava solo di un bagno, con lavandino marmoreo, una doccia ultimo modello e pavimento in piastrelle nere e bianche.

Toccai disorientata il set di asciugamani in cotone spugnoso, saggiandone la morbidezza con le dita, e quando mi voltai verso Edward, che intanto si era staccato dalla mia mano, lasciandomi il tempo di esplorare indisturbato, appoggiato allo stipite della porta in vernice bianca, ripose con un sorriso sghembo, che mi fece involontariamente mancare un battito, alla mia espressione di eloquente stupore.

“ Hai un bagno privato?!”

Lui scrollò le spalle sghignazzando.

“ Non lo uso quasi mai. Solo in caso di estrema necessità.”

Si avvicinò per spalancare le ante delle vetrate della doccia, aprendone i rubinetti da cui fuoriuscì acqua calda, i cui vapori cominciarono ad offuscare i vetri fini e trasparenti.

Prese da una mensola un accappatoio leggermente inumidito, appendendolo ad un attaccapanni appeso alla parete frontale e di colore beige.

“ è mio. Usalo pure senza problemi.”

“ Usarlo per cosa?”

Lui rise per il mio ritardo, attendendo che comprendessi la soluzione al mio piccolo problema corporeo.

Mi portai le mani alla bocca, in un “oh” di piena comprensione.

“ Vuoi che mi faccia una doccia.”

Non era una domanda, ma lui annuì sospirando e sorridente.

“ Esattamente.”

“ Non so…io…non ho i vestiti di ricambio e…”

Mi vergognavo di fare una doccia in casa di Edward e nel suo bagno, usando per coprirmi il suo accappatoio.

“ A quelli non preoccuparti.”

Mi sussurrò accarezzandomi dolcemente una guancia, aumentando ancora di più il mio grado di confusione.

“ Fai con comodo. Io ti aspetto giù.”

E detto questo, si congedò baciandomi l’angolo della bocca, facendomi inevitabilmente perdere nella sua dolcezza e nel suo profumo indescrivibile, socchiudendo gli occhi adorante.

Incontrai i suoi occhi di topazio e carpendo i miei pensieri prima che venissero formulati dalla mia mente, mi disse sorridendo ammaliante:

“ Fidati, ti sentirai subito meglio.”

Mi regalò un altro sorriso e scomparve dietro la porta lattea, che si chiuse senza il minimo rumore.

Sospirai, cominciando a togliermi i vestiti, dopo l’ennesimo starnuto, al quale mi sembrò di avvertire la risposta di una risatina divertita e melodiosa.

Ma bene, rideva anche delle mie sventure. Sorrisi, non riuscendo ad irritarmi seriamente con il mio vampiro protettore.

Dovevo ammettere che aveva pienamente ragione. Dopo essermi insaponata e rinfrescata per bene da cima a fondo, mi scollai i capelli bagnati dalle spalle e uscii, con mia grande sorpresa, senza rabbrividire dalla doccia ricolma di vapore. Avvolta nell’accappatoio morbido e spugnoso di Edward, aspirandone l’odore indescrivibile ed inebriante da un suo lembo, mi sentii finalmente calda e rilassata. Arrotolandomi le maniche fin troppo lunghe dell’accappatoio candido, mi strinsi sorridendo senza un reale motivo. Avvertivo un euforia da bambina in piena cotta, dovuta al fatto di indossare un indumento di Edward, come quando non volevo più staccarmi dal suo cappotto, prestatomelo quella prima sera, nel ristorante di Port Angels, però questa volta era molto diverso. Il solo fatto di avere addosso il suo accappatoio, un gesto apparentemente normale, lo interpretavo come un segno di intimità talmente dolce ed intensa da portarmi ad arrossire come un peperone.

Guardandomi allo specchio, appannato dal vapore acqueo che si stava diffondendo in una piacevole coltre di calore nell’intero abitacolo, cercai di ricompormi e mentre mi asciugavo i capelli con il suo phon, apparentemente inutilizzato, visto che aveva ancora l’etichetta attaccata ai fili elettrici attorcigliati fra di loro, inoltrando i miei pensieri in ambiti ancora mai sfiorati. Perché Edward aveva abbellito il soggiorno in quel modo così accurato? Qual’era l’occasione da festeggiare o mi aveva solo invitato a cena a casa sua? Ma se era davvero così, perché tante cerimonie? Beh, dopotutto era Edward. Avrei dovuto immaginare una cosa organizzata in grande stile. Sorrisi a quel pensiero, ridendo sotto voce.

Spensi il phon, ravviandomi i capelli ora asciutti ma comunque indomabili. Dopo aver riposto ogni cosa al suo posto, uscii con il corpo e la mente sgombra, rilassata e in pieno benessere.

Ma quello che vidi mi scioccò ancora di più del salone abbellito a reggia regale o del bagno privato di Edward: sul grande letto a due piazze c’era un grande pacco bianco con firme dorate, che riconobbi come una marca femminile. Esitante lo aprii, sciogliendo il fiocco rosso che lo adornava e alzandone il coperchio rettangolare. Spalancai la bocca per la sorpresa: all’interno del pacco c’era una rosa blu con tanto di fiocco e senza spine, appoggiata elegantemente su di un vestito meraviglioso da sera, con lo scollo leggermente a cuore e mille brillantini a forma di rosa ai lati e sul fondo della gonna svolazzante a palloncino e che a giudicare dalla lunghezza, doveva lasciare scoperte le gambe un po’ al di sopra del ginocchio.

Ma cosa ancora più sconvolgente erano le scarpe: un paio di stivali lunghi fino alla caviglia, dello stesso colore blu elettrico del vestito, con un tacco non troppo esagerato, circa sei, sette centimetri. Potevo farcela a camminare in posizione eretta e senza inciampare, ma deglutii lo stesso alla prospettiva della rampa di  scale che mi attendeva.

C’era un biglietto sul fondo del pacco, che aprii entusiasta e frettolosa. Un largo sorriso si disegnò sulle mie labbra alla vista della grafia elegante del mio Edward. Erano poche parole che rilessi per almeno tre volte, ma che comunque lasciarono il segno nel mio cuore palpitante ed emozionato, solo per lui.

Per favore, indossali. Io ti aspetterò, principessa.

Principessa…già, in effetti, guardando il vestito appena regalatomi, mi sembrò davvero il vestito di una novella dama reale. Peccato che non ne avessi le fattezze!

Scrollando le spalle come per sottolineare l’evidenza, non riuscii comunque a placare il potente batticuore susseguito dopo quella terza e forse più bella sorpresa che mi avesse fatto in tutto l’arco della serata;  ma non per i regali ricevuti, bensì per il gesto in sé e quella rosa…la presi fra le mani tremanti, delicatamente, chiudendo gli occhi mentre ne assaporavo la fragranza attraverso l’olfatto. Dopo aver posato un lieve bacio su quei petali blu notte e morbidi più della panna montata, mi asciugai in fretta e furia, riponendo a malincuore l’accappatoio, accuratamente ripiegato, sulla mensola del bagno, mi allacciai la lampo del vestito, stranamente, senza intoppi, così come quella degli stivali, che infilai con cautela, e dopo alcuni giri intorno allo specchio a curva, una risistemata ai capelli dai boccoli ribelli e un filo di matita che avevo nella tasca del jeans scuri, e infine con un sospiro di incoraggiamento, uscii dalla camera di Edward, con il cuore che già sul primo gradino della rampa di scale perse un battito, riprendendo un ritmo a singhiozzo alla vista del mio principe dannato appoggiato al muro della parete adiacente. Sembrava un dio greco appena sceso dall’olimpo e il suo sorriso mi sembrò più luminoso del sole, che non fece altro che abbagliarmi più di quanto già non facesse la sua figura perfetta.

Ricambiai meccanicamente, cominciando a scendere lentamente, a piccoli tonfi, non distogliendo per un minuto lo sguardo dal suo. Pessima mossa, visto che non appena giunta al quinto scalino, a pochi passi da lui, i suoi occhi sembrarono bruciarmi la pelle e disintegrare il vestito che doveva essergli costato un capitale, tanto era la loro intensità e il loro calore. E mentre li seguivo percorrere ogni centimetro del mio corpo, in completa ammirazione, da capo a piedi, per poi annegare in quelle iridi dorate, ora con una sfumatura scura che le rendeva davvero due pietre di topazio autentico, come inevitabile mi sentii girare la testa, dovuto al mio debole equilibro emotivo, e inciampai sui miei stessi piedi e mi sarei sicuramente rotta il naso sul pavimento in parchè se Edward non mi avesse presa al volo, tenendomi saldamente per le braccia, mentre io mi ancoravo al suo petto scolpito.

“ Tutto bene?”

“ Si, grazie.”

Sussurrai in preda ad un nuovo capogiro, dovuto questa volta al suono melodioso della sua voce.

“ Sei bellissima.”

Mi bisbigliò con tono caldissimo prima di scostarmi delicatamente da sé, con ancora le sue mani

appoggiate sulle mie spalle e le mie sul suo petto, ma aperte, seguendo il movimento del suo respiro regolare.

“ Anche tu, ma questo è evidente.”

Dissi sorridendo, abbassando lo sguardo sulle mie mani inerti.

Edward, alzandomi il mento e incatenando il suo sguardo al mio mi disse, forse per ipnotizzarmi:

“ Anche per quanto riguarda te è evidente.”

Sbuffai e portai gli occhi al cielo, scettica.

“ Non mi credi?”

Annuii convinta.

“ Grazie, comunque, per averlo detto. È bello sentirselo dire.”

Aggiunsi autoironica. Lui aprì bocca per replicare, ma colto da un ripensamento, scosse la testa e prendendomi nuovamente per mano, fece cadere l’argomento e sorridendo a fior di labbra mi invitò:

“ Venga, principessa. È l’ora di cena.”

Sciogliendomi dalla sua presa sorridendo emozionata, sentendogli pronunciare nuovamente quella parola così dolce alle mie orecchie se detta da lui, accennai ad un inchino e gli dissi, imitando il suo tono formale, scherzosamente:

“ Con molto piacere, mio principe.”

Edward rise e tendendomi il braccio, che io prontamente afferrai, mi condusse nuovamente nel suo caldo ed accogliente salone.

Mi fece accomodare al primo capo della sedia, sedendosi all’altro e dopo averci augurato a vicenda una buona cena, ancora ridendo sotto i baffi addentai un succulento pezzo di vitello arrosto, condito di spezie. Ero così affamata che non badai nemmeno allo sguardo di Edward puntato su ogni mio movimento e cambiamento di espressione, tanto che mi sorpresi al suono della sua risata gongolante alla vista dei miei occhi chiusi per assaporare al meglio la pietanza che stavo letteralmente divorando.

“ Ti piace?”

Annui con energia e lui rise ancora di più, contagiandomi, nonostante gli lanciassi il fazzoletto in lino bianco cercando di colpirlo. Peccato che lui avesse dei riflessi così pronti!

“ Devi fare assolutamente i complimenti ad Esme. È tutto buonissimo.”

“ Ne sarà entusiasta.”

“ Immagino.”

Sorridemmo entrambi al pensiero della faccia adorante e contenta di Esme, una volta saputo la mia opinione.

“ A proposito, dove sono finiti tutti?”

“ Esme e Carlisle hanno colto l’occasione per passare un po’ di tempo insieme, magari facendo un pic-nic all’aperto, sotto le stelle. Emmett e Rosalie staranno passeggiando in qualche viale romantico abbracciati e per quanto riguarda Alice, a quest’ora starà sicuramente riempiendo di chiacchiere Jasper, impegnata in uno sfrenato shopping notturno.”

“ Quella ragazza è incredibile. È capace di fare shopping anche di notte!”

“ Povero Jazz. Non lo invidio proprio, anche se per lui è un piacere passare così le sue serate.”

“ Prova d’amore.”

“ Già.”

Ridemmo di nuovo, deliziandoci entrambi della risata dell’altro.

“ E così hai rimediato la casa tutta per noi.”

“ Il mio potere di persuasione è grande, lo sai dopotutto.”

“ Eh si, lo so bene.”

Gli detti atto portandomi il calice di vetro alle labbra e bevendo un bel sorso d’acqua.

Lo guardai, mentre si sosteneva il viso con il palmo della mano e costatai una cosa che mi fece diventare improvvisamente taciturna. Questo non sfuggì ad Edward che con apprensione, ma con tono calmo, mi chiese:

“ Cosa c’è? Non ti piace la bistecca?”

“ No, è buonissima, ma…”

“ Ma?”

Mi incitò vedendomi esitare.

“ è che…sei così lontano.”

Non riuscii a guardarlo negli occhi e cominciai a giocherellare con il manico del calice.

“ Mi piacerebbe averti più…vicino. Tutto qui.”

“ Potevi dirlo prima.”

Mi disse, a pochi centimetri da me, seduto al mio lato destro, con tovagliolo, piatti, posate e calice posti elegantemente sul tavolo, dove prima c’era un assortimento di dolci di vario tipo, come se fossero stati sempre lì.

“ Ora, forza, mangia prima che si raffreddi tutto.”

Mi incitò con un esplicito gesto della mano destra. Tutto sembrò tornare all’atmosfera dolce scherzosa che si era venuta a creare prima, parlando e ridendo del più e del meno. Gli chiesi come aveva passato la giornata, a quanto ci aveva messo ad organizzare tutto, alle espressioni di Alice al suo ritorno dal negozio d’abbigliamento con quel vestito stratosferico, e lui ricambiò con altrettante domande alla mia giornata, senza colore perché priva di lui, ma questo non glielo rivelai, soffermandomi per di più sull’irritante silenzio alle mie domande da parte di Alice, all’imbarazzo di Charlie nel vederla scorrazzare per il salone di casa nostra di prima mattina, ai rimproveri della professoressa di spagnolo per la mia pronuncia pessima ed altre tante cose.

“ Aspetta.”

Mi disse ad un certo punto della mia brillante imitazione della voce stridula di Jessica alla rispostaccia di Mike ad un suo commento verso di me.

Edward mi prese la forchetta tra le mani e disse, mentre trafiggeva una patatina fritta:

“ Voglio provare una cosa.”

E me la portò alle labbra invitandomi ad aprirle per ingoiarla dalla sue mani con un sorriso da stordimento e uno sguardo intenso.

Non potevo crederci: Edward voleva imboccarmi. Lo trovai un gesto ancora più intimo di quello di indossare il suo accappatoio, tanto che le mie guancie si tinsero di un rossore rivelatore.

Aprii la bocca e ingoiai la patatina tutta di un colpo, ridendo come una matta emozionata.

“ Non ridere. Potresti affogarti.”

Mi disse lui, sorridendo ancora di più.

“ Ma non è equo. Dovrei imboccarti anch’io.”

“ E chi ha detto che non puoi farlo?”

Mi sussurrò seducente, vedendolo avvicinarsi sempre di più al mio collo. Non riuscivo a pensare, se non ad una cosa: che si fosse ricreduto? Che tutta quella cena fosse servita come plenilunio a quel momento fatidico? Avrei dovuto arretrare, o per lo meno terrorizzarmi, ma non feci né l’una né l’altra cosa, anzi reclinai ancora di più il collo, offrendolo alla sua completa mercé. Chiusi gli occhi leggermente irrigidita, preparandomi all’affondo dei suoi denti nella mia carne, ma stranamente sentii solo un paio di labbra lisce e fredde stamparmi due o tre baci sulla linea lattea del mio collo, per poi accarezzarmi i capelli e annusarne il profumo.

Poi lo avvertii allontanarsi, lentamente, e quando riaprii gli occhi incontrai i suoi dorati e sereni.

“ Visto? Scambio equo.”

Per un po’ lo guardai assente e confusa, ma poi scuotendo il capo, fui preda di un risolino imbarazzato, a cui si unì anche lui subito dopo, con maggiore energia.

Come al solito, mi ero illusa, ma stranamente, quando questo pensiero mi sfiorò la mente, non ne fui terribilmente affranta. Ne sarei dovuta rimanere stupita ed incredula, e invece mi sorpresi solamente della mia totale leggerezza…ma, dopotutto, quella sera era magica, solo per noi due e non volevo deturparla con la mia testardaggine.

Così, superato senza sforzo quel momento, mi concentrai sul dolce, leccandomi le dita di cioccolata e godendo nel trovare la scusa di poter toccare di tanto in tanto il suo viso, magari riempiendolo della panna montata dei bignè preparati, incredibilmente, da Rosalie.

Ridevamo di un riso contagioso, divertendosi ad imbrattarci a vicenda e il mio cuore esplose alla risata continua e gioiosa di Edward, che dopo essersi pulito il viso di panna e cannella, prese l’ultimo residuo di crema sulla mia guancia tra le sue dita e, come poco prima, me le portò alle labbra e ancora ridendo, la leccai via ingorda, assaporando anche la dolcezza della sua pelle, più buona di qualsiasi dolce che avessi mai assaggiato.

E dopo risate, chiacchiere, scherzi e giochi, mi ritrovai di nuovo sulla poltrona, seduta sulle sue ginocchia, appallottolata sul suo petto, ad intrecciare le nostre dita in un tenero intrattenimento, mentre osservavo le fiamme del camino danzare come lingue sulla sua pelle pallida.

Con una mano tratteneva la mia, mentre con l’altra mi regalava languide carezze lungo la schiena e fra i capelli, intrecciandone i boccoli tra le dita lunghe ed affusolate, posandomi di tanto in tanto un bacio sulle tempie, la fronte o la cima della testa, strappandomi sospiri di piacere e beatitudine.

Il paradiso non doveva essere tanto diverso da un abbraccio, come quello, di Edward.

Riaprii gli occhi, fin ad ora chiusi, indirizzandoli verso un bottone della sua camicia, con cui cominciai a giocherellare con l’indice della mano libera, pensierosa.

“ Edward.”

“ Uhm?”

Mugugnò lui in risposta, continuando a coccolarmi.

“ Ora mi dici perché hai fatto tutto questo?”

“ Fatto cosa?”

Mi chiese lui calmo, torturando i miei capelli come io facevo, ora, con la sua cravatta.

“ Tutto questo. La cena, il vestito…”

Non volevo essere polemica, ma non potevo certo reprimere la curiosità, perché io sapevo, ero convinta che quella sera Edward avesse organizzato quella serata per un occasione particolare che ora mi sfuggiva.

Lo sentii sospirare e sorridere mestamente, ma per quanto potesse mascherarlo, sapevo che era turbato da quella domanda che gli stavo rivolgendo fin dall’inizio.

Con mia sorpresa, mi fece gentilmente alzare per poi farmi accomodare al posto suo su quella stessa poltrona, per poi vederlo dirigersi verso il mobile a cassettoni, dove erano posti libri, CD, fotografie e al centro c’era un piccolo stereo che lui azionò, e una musica dolce cominciò a diffondersi nella stanza, placando di poco la sua tensione e la mia ansia.

Claire de lune. Adorava quel pezzo, come del resto anch’io.

Si avvicinò a passo umano e protese un braccio verso di me, irresistibile. Deglutii intendendo le sue intenzioni a pieno: voleva ballare.

Esitai per alcuni istanti, purtroppo il trauma era ancora presente; ma se era quello l’unico modo che potesse indurlo a rilassarsi del tutto e finalmente spiegarsi, fui ben lieta di afferrare la sua mano destra e farmi condurre docilmente verso il centro del salone, lontano da ogni possibile tappeto, in cui sarei potuta inciampare.

Circondata dalle sue braccia e dondolando in un lento dolcissimo come le note di Debussy, attesi che parlasse, senza costringerlo in alcun modo con altri discorsi, limitandomi ad osservarlo attenta.

“ Davvero non ricordi che giorno è oggi, Bella?”

Mi chiese infine, con tono strano ma calmo, all’improvviso, mentre inchiodava il suo sguardo dorato con il mio color del cioccolato fuso.

Cercai di analizzare i vari eventi che avrebbero potuto coincidere con quel giorno. Il nostro anniversario era già passato, il mio compleanno anche, per il suo era troppo presto e preferivo, onestamente, non pensarci…ma allora cos’era che mi sfuggiva?

Alla fine fui costretta a scuotere la testa in segno i diniego, maledicendo la mia poca intuizione.

“ Beh, è comprensibile. Dopotutto, non è certo uno degli eventi più lieti che dovresti tenere a mente.”

Continuai ad osservarlo confusa, mentre lo vedevo scoccare le labbra e voltarsi verso di me, dopo aver dato una velocissima occhiata assente al fuoco scoppiettante del caminetto.

“ Oggi è esattamente il giorno in cui ci siamo visti per la prima volta.”

Mi illuminò, finalmente, e mi accorsi solamente in un secondo momento che avevamo cessato di ballare. Ora capivo il suo turbamento. Ma come ero potuta essere così sbadata. Il giorno in cui vidi Edward per la prima volta, il secondo giorno della mia nuova vita a Forks, il giorno in cui varcai per la prima volta le porte del liceo di Forks, con tutti gli sguardi degli studenti su di me, la nuova arrivata di Phoenix, di tutti tranne cinque…i fratelli Cullen, di cui uno soltanto sembrava interessarmi: Edward Cullen. Lo stesso enigmatico e scostante Edward Cullen che divenne il mio compagno di banco in biologia, che mi incenerì con il suo sguardo scuro più della pece e che corse via da me al primo rintocco della campanella di fine lezione.

Per un momento, il ricordo dei suoi occhi affamati e bramosi del mio sangue, gli occhi del predatore, mi fecero rabbrividire ed irrigidire le braccia.

Alzai lo sguardo verso l’Edward del presente, mio premuroso ed ora preoccupato ragazzo vampiro, che cercava di evitare un mio prossimo svenimento.

“ Bella, ora capisci il motivo perché non volevo che tu ti ricordassi quel giorno, almeno non in quel modo.”

Continuai ad osservarlo, ora più tranquilla. Capivo le sue motivazioni e cercai di tranquillizzarlo accarezzandogli i capelli rossicci e ribelli.

“ Io…volevo solo che tu…dimenticassi quei brutti istanti. Non ero in me, in quel momento…e poi…era il nostro primo incontro. Avrei voluto fosse speciale, come tutte le coppie normali, che ricordano con lo ricordano con un sorriso o una risata. Con il nostro invece è stato tutto un completo disastro. Per questo ho voluto renderlo più piacevole, più dolce, più bello, speciale ecco.”

Parlava velocemente e tentennava, come quando era impacciato o preoccupato di qualcosa. Era così umano in quei momenti e così tenero che lo abbracciai istintivamente.

“ Oh, Edward. Sei così dolce.”

Mi strofinai la guancia sulla sua giacca, sorridendo contenta. Per me, aveva fatto tutto questo per me. Oh, Edward!

“ Ti amo.”

Lui, all’inizio confuso, ricambiò il mio abbraccio, portando il suo viso fra i miei capelli, annusandone il profumo.

“ Mi dispiace, Bella. Non avrei dovuto dire nulla. Ho rovinato tutto.”

“ No, hai fatto bene, invece. E poi sono stata io ad insistere nel sapere.”

Edward sorrise fra i miei capelli, sfiorando la mia fronte con la sua guancia fredda.

“ Ma devi capire che non possiamo rinnegare o cancellare cosa è successo in passato. Vedi, se io quel giorno non avessi avuto l’ora di biologia, se non avessi scorto il tuo sguardo tormentato, non mi sarei mai interessata a te e forse non saremmo a questo punto…ci hai mai pensato?”

Ci pensò un po’ su e poi mi sorrise come per rincuorarsi e rincuorarmi.

“ Comunque, tutti i momenti che ho vissuto con te sono e saranno sempre indimenticabili. Tutti, nessun escluso.”

“ Si, forse hai ragione. Non ha senso cambiare il passato.”

Annuii sul suo petto convinta.

“ Ciò che conta è il presente.”

“ E il futuro.”

Aggiunsi pronta, sentendolo ridere e baciarmi la cima dei capelli.

“ E il futuro.”

Ripeté sussurrando. Si, un futuro con Edward. Cosa potevo desiderare di più?

Claire de Lune si spense nelle sue ultime note malinconiche e dolci, proprio nel momento in cui Edward posò un bacio amorevole sulle mie labbra dischiuse in un sorriso.

 

 

 

“ Oh!”

Esclamò deliziata Alice, mano nella mano con Jasper, ricolmo di pacchetti, sotto la neve e le luci dei lampioni.

“ Cosa c’è? Cosa hai visto?”

Le chiese preoccupato e stringendole di più le dita.

Alice gli sorrise e ridendo allegra lo abbracciò emozionata scoccandogli un bacio sulle labbra socchiuse per la sorpresa.

“ è andato tutto come previsto. Edward e Bella verranno a scuola mano nella mano sorridenti e ridendo, domani.”

“ Avevi forse dei dubbi?”

Le chiese scettico Jasper, cingendole le spalle con un braccio e continuando a camminare.

“ No, ma sono contenta lo stesso.”

E detto questo gli regalò un altro bacio mozza fiato, che ‘sta volta Jasper fu ben felice di ricambiare.

“ Oh, guarda Jaz! Non è bellissimo quel vestito? Che dici lo compro?”

 

 Vi è piaciuta??? Questa è la quarta one-shot che scrivo per Twilight con protagonisti indiscussi Edward e Bella!!! Se volete, leggete anche le altre!!! Colgo l'occasione di ringraziare tutte coloro che hanno letto così appassionatamente le altre tre e anche voi che state leggendo e che, se vorrete, commenterete!!!

Bacioni la vostra Fuffy91!!! ^__________________________________________^

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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