"Se non si è mai stati attratti dal male, allora è il caso di dubitare della propria intelligenza."
Non troverete questa frase in alcun libro; nessuno vi insegnerà che il lato oscuro delle cose spesso non solo appare ma è la strada più intelligente e sensata da percorrere. Una via razionale per la felicità.
La verità è che bene e male non esistono, esiste il potere e le persone troppo deboli per averlo.
Era stato un attimo, il primo momento in cui si erano visti, o meglio in cui lei lo aveva visto, durante il suo primo viaggio verso Hogwarts; l'aveva intravisto mentre entrava in uno scompartimento: un ragazzo alto, slanciato, pallido, dall'espressione annoiata.
Le era sembrato che tutto scorresse più lentamente, la mano che si staccava dal baule, agguantava elegantemente la maniglia, una gamba, poi l'altra e quell'essere ultraterreno, scomparso senza il minimo rumore.
Negli anni seguenti l'aura di potere che quel ragazzo emanava, la sensazione che non ci sarebbe mai stato nessuno al mondo più potente ed affascinante l'avrebbero portata quasi istintivamente sulla via dell'oscurità, nel disperato tentativo di restargli accanto, per la paura di non brillare più di luce riflessa.
Il treno fischiava, a poche ore da Londra e Margaret aveva trascorso suo malgrado irrequieta la prima parte del tragitto.
La sua migliore amica le si avvicinò per chiederle qualcosa.
Si conoscevano da quando erano bambine.
Le loro rispettabili famiglie le avevano avvicinate da piccole e da allora non si erano più volute separare.
Ma in quell'istante che importava? Nulla ormai. Nessuna delle due era preparata a quello che accadde dopo.
"Taci befana e non stancarmi con le tue chiacchiere, non mi interessano" disse sprezzante Margaret.
Non si parlarono ne guardarono mai più in faccia, lei e quell'amica di cui aveva quasi istantaneamente scordato il nome.
Dalia, Dana chissà qual era.
Ed intorno al suo cuore si era aperto un vuoto, una scura voragine che, col tempo, avrebbe inghiottito chiunque le si fosse avvicinato troppo.
Il momento delle presentazioni fu singolarmente breve.
Tom, questo era il suo nome, leggeva un testo mentre i suoi compagni discutevano su quale fosse la squadra di Quidditch più forte.
Margaret prese coraggio. Si era maledetta ogni secondo per non essere capitata nella sua stessa casa, Serpeverde.
Ma come faceva a sapere? Era toccato prima a lei sostare sotto il Cappello.
Chi la osservava da lontano, i suoi compagni di gioco durante l'infanzia, non si capacitava del cambiamento repentino di Margaret e lei certamente non aveva nessun sentore di essere divenuta una persona diversa. Lei doveva avvicinarsi a Tom. Punto.
Il perchè della fatale attrazione che provava le sarebbe stato chiaro, molti inverni più tardi .
"Ciao, cosa leggi?" chiese Margaret sorridendo.
"Non ti riguarda" rispose freddo Tom.
"Mi chiamo Margaret" disse la mora, fingendo di non averlo sentito.
Il ragazzo sembrò sforzarsi enormemente per sollevare la testa dal libro. Osservò attenteamente il volto della ragazza.
Era pallido ma rosato sulla guance, i capelli erano corvini, leggermente mossi.
Non si poteva dire che avesse un viso dai canoni perfetti. Aveva gli occhi piccoli anche se di una marrone caldo, il naso era sottile ma un pò aquilino. La bocca, però, conferiva armonia all'insieme: ben disegnata, non carnosa, ma neppure sottile, con denti grandi, dritti e bianchi.
Il giudice emise la sentenza: non era bella ma era elegante, dal portamento aristocratico, il suo sguardo era vispo, intelligente; quella ragazza gli sarebbe tornata utile.
"Il mio nome è Tom, Tom Riddle" e allungò la mano perchè Margaret la stringesse.
Lui avrebbe cambiato lei, lei avrebbe cambiato lui. Insieme sarebbero stati felici se... se....