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Autore: kate98    22/05/2015    0 recensioni
Due ragazzini, due migliori amici.
La loro amicizia dovrà vincere difficoltà più grandi di loro.
Riusciranno a ritrovarsi, o sono destinati a combattersi per sempre?
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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«Signorina Katheryne, è ora di alzarsi.»
Era la domestica di casa, cercava di prendersi cura di me come una mamma. Ma io non volevo, perciò spesso la respingevo.
Non pensavo di certo che fosse cattiva o altro, ma nessuno avrebbe potuto mai prendere il posto della mia mamma. Lei non si spazientiva nei momenti in cui la allontanavo, era sempre umile e si toglieva di mezzo quando le si faceva capire che non era ben accetta. Ma dopotutto era pagata per fare tutto quello che le chiedevo, ed era brava in ciò, quindi a me stava bene.
Io probabilmente non sarei mai riuscita a fare un lavoro del genere. Abbassare la testa e ascoltare ogni capriccio di una persona. Non era nel mio modo di essere. E non credo fosse a causa della famiglia nella quale ero nata. Sostenevo che, anche se fossi cresciuta in una famiglia di domestici e maggiordomi, sarei stata sempre così, testarda e cocciuta.
Mi piaceva avere ragione e, quando avevo ragione, discutevo finché era necessario. Discutevo con tutti, non mi importava se era mio padre, le mie maestre o l'imperatore in persona.
E comunque ero già sveglia, ultimamente dormivo sempre male e mi svegliavo prestissimo.
Scesi al piano di sotto e mi diressi nella sala da pranzo. C'era solo Edith, la domestica.
«Signorina, suo padre mi ha pregato di informarla che lui è dovuto andare a svolgere importanti mansioni. Si scusa per non aver avuto occasione di consumare la colazione insieme a lei.» esordì la donna guardandomi con aria dispiaciuta.
Ma io non volevo la pietà di nessuno. Era vero, mio padre lavorava molto e mi mancava tanto, ma di certo c'era gente che stava peggio.
«Non è una novità, Edith. È inutile che mi guardi così, non è la prima e di certo non sarà neanche l'ultima volta che capita.» mi sedetti al grosso tavolo, nel posto centrale che occupavo sempre. «Ho fame e fretta, non voglio arrivare tardi a scuola, portami la colazione.» mi sentii un po' in colpa per come la stavo trattando «Per...favore.» di sicuro non bastava un per favore per rimediare, ma era tutto quello che riuscivo a fare, nervosa come ero in quel momento.
Mangiai velocemente tutto ciò che c'era nel piatto e mi preparai di fretta.
Non molte ragazze avevano il privilegio di poter ricevere un'istruzione, ma la mia famiglia se lo poteva permettere.
Io ero contenta di avere questa opportunità, non sarei stata una di quelle donne che davano per buono tutto ciò che veniva loro raccontato. Io volevo sapere come stavano le cose. Non volevo dare a nessuno la possibilità di prendersi gioco di me, la possibilità di prendermi in giro.
Forse era per questo che apprendere non mi risultava per nulla complicato, mentre alcuni miei coetanei facevano fatica. Io ci tenevo davvero a farlo mentre, alcuni, cercavano di imparare solo per obbligo, per non dare dispiacere ai genitori.
Quel giorno c'era qualcosa di diverso nell'edificio scolastico. Tutti avevano un'aria un po' scossa e agitata, come se ci fosse qualcosa di elettrizzante tutt'attorno.
Tutti erano ansiosi di condividere la novità, e non mi ci volle molto per venire a sapere che c'era un nuovo ragazzo che, da quel giorno, avrebbe studiato nella nostra scuola. Non un ragazzo qualunque, il figlio dei Whitlock.
I Whitlock erano la famiglia più importante del villaggio, erano loro che comandavano l'esercito e si occupavano dei commerci.
I Whitlock erano miss Evelyn e mister Augustus, e loro figlio era Edward.
«Che cosa viene a farci qui non lo capisco proprio. Fin'ora ha sempre studiato in casa, non può continuare così?» sbottai scocciata.
«Non so come mai i suoi abbiano deciso di mandarlo qui, ma una cosa è certa...a me non dispiace per nulla! Cioè insomma l'hai visto?» rispose tutta euforica Adelaine.
«Si si, l'ho visto anche fin troppo.» continuai sempre più scocciata. Sapevo come sarebbe andata avanti la cosa: lei si sarebbe messa a farmi una descrizione dettagliata di come era fatto il marmocchio. Come se non mi disgustasse già abbastanza l'idea di vedermelo ogni giorno a scuola.
«Cioè ha questi occhioni favolosi e hai visto che capelli lucenti e...» continuava a gesticolare mente parlava e stava iniziando a darmi seriamente sui nervi. Smisi di ascoltarla e iniziai a ripassare mentalmente ciò che ci avevano insegnato negli ultimi giorni. Notai con grande piacere che ricordavo tutto perfettamente.
Era ormai ora di iniziare le lezioni. Mi sedetti al solito posto, vicino ad Adelaine, sperando vivamente che la smettesse di parlare.
Madama Terlay entrò con il suo solito passo calmo, dietro di lei c'era un ragazzino dall'aspetto esile, la testa abbassata. Edward.
La seguì in silenzio e si fermò accanto a lei, per poi alzare gli occhi e iniziare a guardarsi in giro. Il suo sguardo vagò un po' in giro e poi, non appena mi vide, si fermò su di me.
Quegli occhi neri stavano cercando di scavare fin dentro me. Che cosa gli dava il diritto di guardarmi così intensamente? Presi a guardarlo fisso anche io, con espressione di sfida. Lui però non distolse lo sguardo.
Mi stava facendo innervosire più di quanto la sua presenza non aveva già fatto.
Chi si credeva di essere?
Madama Terlay gli disse di sedersi vicino ad Antonia e lui raggiunse il posto a passo calmo e controllato e si sedette vicino alla biondina.
Gli occhi della ragazza si riempirono di entusiasmo, era quasi incredula. Si vedeva che era contenta di stare vicino a lui. Era cotta, come tutte le altre ragazze della classe, d'altronde. Lo guardavano tutte con aria sognante. Avevano bisogno di darsi un po' di ritegno, era solo un ragazzo. Un ragazzo alquanto fastidioso, tra l'altro. Ma loro non sembravano condividere il mio pensiero.
"Sarà una giornata lunga", dissi tra me e me, alzando gli occhi al cielo.
Madama Terlay si schiarì la gola e io cercai di concentrare tutta la mia attenzione su di lei. Ero probabilmente l'unica a prestare veramente attenzione a ciò che diceva. C'era solo un'altra mano che si muoveva, prendendo appunti veloci come la mia. Era Edward. Gli lanciai uno sguardo e vidi che era così concentrato su quello che stava scrivendo che non si rendeva conto di tutti gli occhi che aveva puntati addosso.
La giornata scolastica procedette più monotona delle altre, stavo iniziando a stancarmi di sentire tutta quella gente che non faceva altro che parlare di Edward. E quando non ne parlavano lo fissavano come se lui fosse un dio sceso in terra.
Finite le lezioni, salutai distrattamente Adelaine e mi diressi subito verso casa.
Se avessi voluto, papà avrebbe predisposto una carrozza che mi avrebbe accompagnato da casa a scuola e viceversa. Ma io avevo rifiutato. Mi piaceva camminare, soprattutto quando le giornate non erano troppo calorose.
Osservai il cielo, grossi nuvoloni ricoprivano la città. Era il clima che più mi piaceva.
Non faceva esageratemente freddo, ma neanche troppo caldo.
C'era un po' di vento che mi accarezzava le guance, era una sensazione così rilassante.
Camminavo senza pensare a nulla e pensando a tutto nello stesso momento.
Quando arrivai a casa notai che papà ancora non c'era, me l'aspettavo.
Quando Edith mi venne a chiamare per il pranzo, non avevo tanta fame. Decisi, però, di non fare storie e mangiare, altrimenti lei lo avrebbe detto a mio padre che avrebbe cominciato a fare un sacco di domande.
Si preoccupava che non smettessi di mangiare di nuovo, come era successo dopo la morte di mamma.
Per poco non avevo rischiato di morire pure io. Piano piano mi ero poi ripresa, però. Non avrei mai potuto causare tanta sofferenza a mio padre, ciò che provava per la perdita della mamma era già abbastanza.
Gli sarei sempre stata vicino, ormai non gli era rimasto altro che me.
  
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