Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: Madam Morgana    22/05/2015    5 recensioni
C'è che adesso è felice, del traguardo raggiunto, c'è che, adesso, lei è la dottoressa Penelope James, quello che desiderava di essere da sempre, sin da quando ne ha memoria.
-
«Penny, è meraviglioso, sono davvero felice. Però non voglio scoraggiarti, ho sentito dire che i ragazzi del Social Detoxification Center non sono tipi da sottovalutare» e stringe i pugni nel manubrio con fare di chi, sul serio, un po' ha timore.
Lui, personalmente, non si recherebbe mai in quel postaccio caratterizzato da un edificio decaduto, aiuole sottoposte ad atti vandalici, muri scritti, e quant'altro.
-
Fallowey sospira, nasconde le mani grasse dentro le tasche del giubbino smanicato e scuote il capo, «L'ala nord è la peggiore, dottoressa, non credo possa fare qualcosa per loro» anche il tono di voce del direttore cambia, oltre all'espressione corrucciata. «Chi, ormai, di speranza non ne ha più. Chi è giunto al capolinea, dottoressa James.»
Penelope si volta dietro per dare una rapida occhiata alle porte nere.
E giura di averne sentita una socchiudersi piano, con un cigolio raccapricciante che le ha gelato il sangue.
Qualcuno li aveva ascoltati.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
3.


 
Penny è in ritardo, oggi. Non vorrebbe dirlo, né pensarlo, ma lo è. E' in ritardo di ben tredici minuti. Intrappolata in una metro piena, si ritrova a pensare che persino le sardine all'interno di una scatoletta abbiano più spazio di lei, in quel momento.
Riesce a sentire il tanfo di sudore, il fetore di qualcuno che ha spento da poco una sigaretta ed anche qualche sgradevole parola che vola alle nove del mattino.
A lei, personalmente, non piace proprio prendere la metro per il semplice fatto ch'è sempre troppo piena, soprattutto quella delle nove, poi, forse più propensa ad essere presa per recarsi a lavoro oppure andare a scuola.
Poco importa, pensa Penelope.
La prossima volta sarà costretta a prendere la metro delle sette, 'ché proprio non le va di arrivare tardi. Sono le nove e tredici minuti, ed è in ritardo.
Stretta tra un corpo e l'altro, spera vivamente che la sua fermata non sia poi così lontana, e maledice di non avere ancora la patente.
Del resto, però, come biasimarla? Proprio non le andava di dimezzare lo stipendio di sua madre per prendersi uno straccio di quattro ruote, è meglio camminare a piedi, pensa. Forse per convincersi e rassegnarsi all'idea che, l'auto, potrà prenderla solo quando avrà il suo primo stipendio da dottoressa.
Sbuffa, sistema i capelli biondi dietro le orecchie e cerca di mantenere l'equilibrio, sorreggendosi agli anelli agganciati su di un tubo di ferro, mentre con l'altra mano stringe la carpetta viola in cui ha annotato diversi appunti. Probabilmente dovrà ancora consultare qualcosa, ha paura di sbagliare.
Del resto rimane pur sempre una novellina.
Dottoressa, certo, ma sempre novellina.
Si guarda intorno, visionando i volti della gente. Uomini in giacca e cravatta, mamme con bambini, qualche accattone lurido che ha approfittato della metro senza comprare il biglietto, pensa.
E dire che lei queste cose un po' non le sopporta, i mezzi pubblici dovrebbero essere accessibili a tutti, sprovvisti di biglietti perché non è giusto pensare che, un accattone non può permettersi quel privilegio di salire.
E' rammaricata, Penelope, che alla fine sa bene di non poter fare tutto per tutti. Ritorna in se e distoglie lo sguardo altrove quando, il viso inzaccherato di un barbone si volta verso lei, sorridendole perversamente.
Poco dopo, e finalmente, la porta della metro si spalanca. Penny scende di fretta e furia, stando attenta a non inciampare tra la folla. Stringe al petto la carpetta e si guarda intorno.
Melbourne è davvero caotica, ma non c'è da stupirsi. D'altro canto è la seconda città più popolata dell'Australia, dopo Sydney.
Avanza tra la gente, continuando la sua marcia.
Attende poi il bus, ed infine si ritrova nuovamente davanti all'imponente edificio più isolato della zona, una volta scesa dal secondo mezzo pubblico preso in quel giorno.
Ed è strano, secondo lei. In centro tutte quelle persone accalcate tra loro, come se i servizi offerti dalla città fossero gratis mentre, invece, quella zona è così abbandonata, desolata. Una zona morta in cui nessuno sembra venire da tanto, troppo tempo.
Penelope cammina tra l'erba alta, mentre alcuni germogli le solleticano le caviglie nude.
Una manciata di metri la stanziano dal fabbricato lugubre, oltre una rampa di scale. Sospira, lei, che ormai è rassegnata all'idea di lavorare lì.
Non si è soffermata a guardare le aiuole non curate, né gli alberi sgangherati dai rami troppo sporgenti. Semplicemente non ha guardato nulla.
A capofitto sta salendo le scale, contandole.
Sono sette scalini corrosi dal tempo, sporchi e pieni di polvere. Ancora l'ennesima porta piena di scritte ed il legno rovinato, poi i soliti anelli.
Ne prende uno tra le mani, sbattendolo, attendendo che qualcuno le vada ad aprire.
E non sa perché, ma si sente nuovamente agitata. Forse perché si è resa conto che, oggi, comincerà effettivamente a lavorare con i ragazzi.
Ad aprirle è stata lei. La vecchia dalle grinze orrende, dalla pelle cerea e dallo chignon ancora disordinato. Penelope comincia a chiedersi se quella donna si sia cambiata, perché, davvero, ha sempre gli stessi abiti.
La donna in questione, sistema gli occhiali dapprima scivolati sul suo lungo naso aquilino, poi schiude le labbra imbrattate di un viola prugna, «Sì?» gracchia.
Penelope strabuzza gli occhi. Com'è possibile? Non si ricorda?
«Sono la dottoressa James,» continua, visto che l'altra ha assunto un'espressione stralunata. Probabilmente manca di memoria e non è una novità, del resto anche il suo viso sembra caratterizzato dal segno dell'età.
Penelope, poi, è molto paziente e di certo non sarà la mancanza di memoria della donna a farle saltare i nervi.
Dal canto della signora, solo un sorriso storto, mostra i denti giallognoli e poi si sposta verso destra, «Si accomodi, dottoressa» dice infine.
Ed accade di nuovo.
Penelope e la donna stanno percorrendo lo stesso corridoio, la stessa marcia funebre del giorno prima. L'edificio sembra avvolgerli in una cappa nera che fa gelare il sangue della ragazza.
Al petto continua a stringere la carpetta, lo scoccare dei tacchi sul pavimento la distoglie dal pensare. Poi si fermano davanti alla porta nera traslucida del direttore, ormai quella Penny la riconosce bene.
La donna poi scompare, come avvolta dall'oscurità.
Ed allora lei tira un sospiro, sistema meglio i capelli e stringe un pugno, picchiando poi le nocche della mano destra sul legno intatto della porta.
Probabilmente è l'unica lucidata e tirata su a dovere.
Fallowey non tarda ad aprire, con quel sorriso ch'è così inappropriato per un luogo simile, ma a lei va più che bene. Serve qualcuno pieno di positività.
«Buongiorno dottoressa James, non mi aspettavo venisse più, oramai» e Penelope è mortificata. Chissà cos'ha pensato il direttore di quel ritardo.
Senza contare che potrebbe presupporre l'idea di lei spaventata, tanto da non volerci più lavorare in un luogo simile. Ancor prima di aver cominciato, poi!
«La metro è passata con tredici minuti di ritardo, sono mortificata. Le prometto che non accadrà più» ma all'uomo poco importa della metro, del ritardo e dello sguardo mortificato della dottoressa. L'unica cosa che sembra importargli è la tenacia con cui la ragazza vuole continuare a venire, in quel posto.
Che poi ritardi di dieci minuti o giù di lì non è un problema, «Si figuri, dottoressa. Allora, è pronta?» continua, con quel velo di entusiasmo che, sì, anche quello è inappropriato.
Penelope annuisce, poggiando poi la carpetta sulla scrivania del direttore. Sfila il cappottino e lo ripone nell'attaccapanni.
«Prontissima!» e la grinta non manca. Anche quella è inappropriata, certo, ma Penelope è davvero motivata. C'è che la vita non è sempre agiata per tutti, ed allora lei ha scelto di migliorare – o almeno provarci – quella di chi, purtroppo, è stato poco fortunato.
«Mi segua» Fallowey esce dalla stanza, mentre cammina lungo tutto il corridoio. Lei lo segue, così come l'è stato detto. Percorrono una lunga rampa di scale che, la fissazione di Penelope, la induce a contare.
Venticinque scalini.
«Comincerà dall'ala ovest» Dispotico, il direttore incrocia le braccia grasse al petto. Fissa le porte azzurre ancora chiuse, mentre lei avverte il vociferare dei ragazzi, «Come le avevo già detto, l'ala ovest è quella che mi da meno problemi» continua. Ed un po' la cosa infastidisce Penelope perché, nonostante Fallowey voglia-si dimostrare gentile, sembra prenderla per stupida.
Lo sguardo, però, la tradisce ed il direttore sembra aver capito i suoi pensieri «Deve cominciare dalle basi, dottoressa James. Mi creda meglio così» poi le fa cenno di seguirlo, fino ad arrivare in una stanza spaziosa, caratterizzata da due finestre che permettono il passaggio di una leggera brezza. E' ventilata e piacevole.
«Qui è dove si svolgono le sedute, metterete le sedie a cerchio e discuterete un po'. Giusto per conoscervi. L'avverto che i ragazzi non sono cattivi né indomabili, ma comunque hanno passati devastanti che li hanno costretti a vedere la vita storpiata. Non so se rendo» ma Penny annuisce perché, sebbene contorto il discorso del direttore, un po' ha capito.
Poi questo la liquida. «Avviso i ragazzi che la nuova dottoressa è arrivata, così verranno da lei»
«Va bene, grazie» sorride, Penelope, mentre sente il cuore martellarle in petto. Ha paura, perché nonostante ormai sia dotta è comunque una ragazza in un covo di spossati.
Decide di cominciare a sistemare le sedie pieghevoli di legno, ne dispone qualcuna a cerchio, mentre è avvolta da un silenzio inquietante. L'unico rumore è il fruscio del vento che sposta alcune tende bianche strappate che, in teoria, dovrebbero coprire le finestre.
«Tu sei la nuova dottoressa?» la sedia, dapprima, tenuta in mano, cade per terra con un sonoro tonfo. Il rimbombo di questa che si schianta al pavimento echeggia dentro i suoi timpani, facendoglieli vibrare.
Si volta, spaventata, mentre nota un ragazzino che, all'incirca, non può avere più di vent'anni. Appoggiato allo stipite della porta, tiene le braccia incrociate al petto. Lo sguardo di chi, non gli importa poi granché di qualcosa. Lascia scivolare la lingua sul labbro inferiore, mentre giocherella con un anellino in metallo nero che l'accentua.
«Sì», gracchia Penelope mentre si china per raccogliere la sedia caduta, «Sono la dottoressa James e lavorerò con voi» continua.
Il ragazzo si avvicina, mentre prende alcune sedie accatastate al muro. Ne apre una, poi due, mentre segue la traiettoria di Penelope, ed alla fine cercano di formare un cerchio.
Lei, allora, si concede qualche istante per osservare quel ragazzo, caratterizzato da un accenno di barba bionda, incolta, su tutto il mento, pelle pallida, capelli biondi ed occhi azzurri più del mare. Si chiede cosa abbia fatto per ritrovarsi in quel postaccio.
«Come ti chiami?» prova lei. Il ragazzo alza lo sguardo, torna a fissarla con fare assente e poi sbuffa, sedendosi su di una sedia che prima aveva sistemato.
«Pensavo che attendesse la venuta di tutti, per cominciare con le domande, dottoressa» beffardo, lui, accenna un sorriso sghembo che mostra la dentatura bianca, smagliante.
Penelope si sente presa in giro perché, sul serio, un ragazzino che la rimbecca in quel modo proprio non se lo aspettava. Del resto, però, deve ricredersi. Alla fine non è un centro di divertimento quello, è normale ci siano anche i maleducati. Soprattutto quelli.
«Sono Luke, comunque» scrolla le spalle, Luke, alzandosi dal posto. Sembra già stanco della presenza di Penelope e dall'unica domanda che gli ha fatto, «Vado a chiamare i ragazzi?» continua, ed allora la dottoressa torna in se.
Sta davvero per cominciare la sua prima seduta con i ragazzi, «Sì» e basta. Si siede composta, stringendo la carpetta al petto mentre fissa l'andatura zoppa di Luke che si allontana, oltrepassando la porta per richiamare i suoi compagni.
Penelope fissa la stanza, è davvero vuota, un po' come il cuore di quei ragazzi costretti a vivere lì. Si domanda se siano agiate, le stanze, e se abbiano la TV. Magari nemmeno sanno cosa sia, la televisione, pensa.
Rammaricata e delusa, non si rende conto che, dalla grande porta, stanno facendo capolino i primi ragazzi con cui parlerà oggi.
Capitanati da Luke, sembrano seguirlo con ammirazione.
Questi incrocia le braccia al petto, poi si ferma dietro le sedie mentre viene schierato da quattro ragazzi sia da destra che sinistra.
«Sedetevi pure, prego» comincia lei.
Luke sbuffa, zoppicando arriva alla sedia di centro, poi si siede.
Un ragazzino dai capelli rossi e lentigginoso, si siede al suo fianco, un altro dai capelli verdi e dagli occhiali caratterizzati da una montatura spessa e nera, fa altrettanto, poi altri tre per lato. Qualcuno più grasso, qualche altro più magro e basso. Tutti diversi ma tutti lì per un unico motivo, probabilmente.
Penelope apre la carpetta, sfila un foglio ed una penna e poi la ripone sopra il cartone della cartellina, «Sono la dottoressa Penelope James, e da oggi lavoreremo insieme» ne sussegue un risolino di qualche ragazzo che Penelope ancora non riesce a riconoscere.
Luke fulmina il ragazzino con lo sguardo, e questi sembra tornare serio, tacendo.
«Mi piacerebbe conoscervi, sapere i vostri nomi, instaurare un rapporto prima di parlare del perché siete qui.»
Ed allora i ragazzi si guardano tra loro, come a volersi contendere, chiedersi a vicenda che fare.
Poi cominciano, decisi che, sì, devono fare quanto richiesto.
Il ragazzo rossiccio lentigginoso si presenta come Oliver Smith, quello dai capelli verdi come Harry Low, poi ci sono Aron, Cedric, Daniel, Eliah, Ronald e Ross, due gemelli.
Luke, invece, se ne sta in silenzio. Con aria di sfida guarda la dottoressa, mentre questa, dapprima intenta ad appuntare i nomi dei ragazzi, ha alzato lo sguardo per fissarlo.
«E tu?» chiede, anche se, alla fine, il suo nome lo conosce. Comunque vuole segnarlo, perché è giusto così.
«Luke Hemmings» e lui non sembra intimorito dagli occhi chiari di lei che, nota, somiglino tantissimo ai suoi. Così come i capelli, biondi quanto quelli della dottoressa James.
E Penelope scrive il suo nome sul foglio bianco, poi lo cerchia, senza saperne l'effettivo motivo.
«Ha delle splendide gambe, dottoressa» Harry Low, il ragazzino dai capelli verdi ed un'assurda montatura di occhiali, sorride nuovamente e ciò provoca le risate di tutti, nell'ala.
Penelope avvampa, e si sente così stupida. Davvero, avrebbe dovuto indossare qualcosa di più coprente, ma non si sarebbe immaginata quella constatazione, non da ragazzini poi.
«Harry, parla di nuovo e ti giuro che la tua faccia sarà spappolata contro il suolo dopo che io ti avrò lanciato dalla finestra» Luke lo mette a tacere, incrocia le braccia al petto, accavalla le gambe e poi fissa la dottoressa. Harry Low ha smesso di parlare, torna nel più assiduo silenzio con sguardo di chi, un po' è spaventato sul serio.
Penny capisce appieno che, in quel gruppo, a comandare è proprio il biondo. Poi tutti smettono di fare gli stupidi e cominciano a raccontare le storie, abbandonando la stanza non appena finiscono i loro racconti.
Si scopre così che, Harry Low è senza genitori, cresciuto con la zia che l'ha violentato tante di quelle volte che nemmeno ricorda più quando sia stata la prima.
I gemelli Ronald e Ross, invece, hanno rubato al supermercato, ed i suoi genitori hanno deciso di mandarli in quel posto, così da mettersi nuovamente in riga.
Cedric era un accattone, Fallowey l'ha preso con se ma, non potendolo crescere come figlio l'ha collocato tra quelli delle porte azzurre.
Aron, Daniel ed Eliah erano amici, prima, poi qualcosa è andato storto ed hanno cominciato a rubare, anche se poi si sono pentiti di tutto, ma comunque starsene un po' insieme a quelli delle porte azzurre, di certo male non gli fa.
Penelope alza lo sguardo, la mano stanca e sporca d'inchiostro. Si guarda intorno mentre nota le sedie quasi tutte vuote.
Lui è ancora lì, seduto, quelle gambe accavallate malamente, giocherella ancora con il piercing e mantiene sempre le braccia conserte. Con cipiglio severo la scruta.
«Parlami di te, Luke» ed è pronta a scrivere, Penelope, quando Luke le afferra la penna dalle mani.
«Non scriverà di me, su quel pezzo di carta» la rimbrotta, quasi come se non volesse mischiarsi insieme ai suoi compagni.
Penelope sussulta, non sa che fare. Che a lui piaccia o no lei rimane comunque una dottoressa e deve rapportare tutto, anche perché poi Fallowey vuole avere il resoconto della situazione. Si morde le labbra, e Luke afferra la cartellina posandola su di una sedia. Poi il silenzio.
Si guardano per minuti interminabili mentre Penny sente il cuore in gola, lo sguardo di lui che scava in profondità, «In principio nemmeno dovevo trovarmi qui – comincia, con voce roca. Per qualche strana ragione il suo sguardo rimane ancorato a quello di Penelope, che ancora non ha trovato la forza di sbatter ciglia – i miei genitori erano normali. Mia madre lavorava come promoter per dei centri commerciali. Mio padre, invece, aveva una fabbrica di scarpe. Sembravamo una famiglia felice, dottoressa, una di quelle invidiabili. Poi qualcosa è cambiata – e non sa perché, ma a Penelope bruciano gli occhi. Anche quelli di Luke bruciano, fanno male, si schiarisce la gola e continua – mia madre ha perso il lavoro, e la fabbrica di papà è andata in rovina. Non avevamo un cazzo di soldo da poterci ficcare in culo. Era diventato tutto così difficile in così poco tempo. Mamma e papà litigavano spesso, non eravamo più l'invidia di qualcuno. Eravamo più la compassione della gente. Fatto sta che papà un giorno è tornato a casa ubriaco, tra le mani stringeva una pistola e l'ha puntata alla tempia di mamma, quando ha premuto il grilletto ho avuto il tempo di cadere su mia madre. La pallottola mi ha perforato la tibia, ma comunque l'importante è stato sopravvivere, no? Liz frequenta uno psicologo, papà ora è in carcere ed i miei nonni mi hanno sbattuto qui perché per pagare le sedute di mamma ho cominciato a rubare» la vista di Penelope si annebbia, è tanto doloroso ascoltare il racconto di Luke che, sul serio, non sa che fare.
Probabilmente lei nemmeno doveva lavorarci, lì, troppi ragazzi con troppi passati tristi.
Stringe i denti, caccia indietro le lacrime. Lei non può piangere.
E' il suo lavoro, quello, doveva immaginarselo.
«Ecco perché zoppichi» è l'unica cosa che lei può dire. Luke annuisce, poi si alza dalla sedia e la richiude mentre, a passo zoppo si avvia per riporla insieme alle altre.
Penelope ha scritto di tutti i ragazzi, tranne di Luke. Quasi certamente non lo farà.
«Dottoressa?» la voce di Luke è ferma, decisa. Non si volta per guardarla, rimane vicino alla porta, pronto ad andar via.
«Sì?» Penelope scatta in piedi, si sistema la gonna e cerca di non piangere, davvero non può farlo.
«Lei non può aiutarci» sussurra infine Luke, a capo chino. Ancora una volta rimane impassibile, con le spalle rivolte verso Penelope.
«Perché dici così?» lo rimbecca. Luke pare pensarci su, ma poi, deciso, sa cosa rispondere.
«Perché lei è felice, noi no» la frase cruda di lui, si fa spazio dentro le viscere di lei. E' come una lama a doppio taglio che le perfora il ventre.
«La felicità si può sempre trovare, Luke, credimi» dice infine, forse per convincere se stessa più che l'altro. Il suo racconto l'ha devastata tanto.
«Non può aiutare la gente che non ha nulla per cui vale la pena essere felice.»
E poi nulla più. Luke abbandona la stanza, a passo zoppo, mentre Penelope fissa la sua figura trasandata farsi sempre più lontana.
Rimane da sola, in quella stanza, con la voce di Luke che le rimbomba in testa.
Ed ora lo sa. Sa che, sul serio, c'è gente che non ha mai conosciuto la felicità. Quella vera, quella che lei ha avuto.
E si rende conto ch'è sempre stata fortunata, lei. Lo è sempre stata.
 

BUUUUUH

Come state bimbi miei? A Morgana mancate tantissimo, e dunque eccola qui!
Pronta ad aggiornare! Cosa ve ne pare del capitolo? Finalmente incontriamo i
ragazzi delle porte azzurre, tra cui spiccano personaggi un po' strambi ma
comunque teneri, almeno secondo me. ç__ç Li vedo come dei ragazzi così
combattuti, che della vita hanno assaggiato solo cose amare. ç__ç
C'è Harry Low, poi, che fa una battuta squallida, e Luke lo riprende. Sembra
così taciturno, Hemmings, ma alla fine si scopre la ragione della sua sofferenza
e, sì, anche della sua gamba zoppa. La dottoressa sembra così turbata, eppure
doveva immaginarselo, del resto non si è mica addentrata in un parco giochi!
Spero nelle vostre più fidate recensioni, a Morgana piace parlare con voi, davvero
tanto, tantissimo.
Un bacione grande, amori miei, alla prossima!


Madam Morgana.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: Madam Morgana