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Autore: Dew_Drop    22/05/2015    0 recensioni
Giappone, 2015.
Koriyama è una fiorente città della prefettura di Fukushima. "Una capitale finanziaria", la definiscono, un caleidoscopio di uffici, società, giovani e entusiaste aziende. Un baule colmo di affari d'oro. È qui che approdano e vengono seminate le promesse degli uomini migliori, quelli che vogliono crescere, quelli che desiderano il successo. È qui, in breve, che pianta la sua bandiera un uomo sbucato dal nulla. Cos'ha con sé oltre alla sua idea di rivoluzione del mondo del lavoro? Un po' di valigie, di quelle nere, professionali. Ventiquattrore, esatto. Ammesso e non concesso che lui sia un uomo e che quelle siano ventiquattrore come tante altre. Dettagli.
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«Sono sincero. Sono molto distratto, lo sai. Lo sono sempre stato, eppure ho dato il meglio di me sin dal primo giorno di lavoro. E adesso so perché; perché là divento un ingranaggio incapace di pensare. Lo siamo tutti. Incastrati e costretti a girare in eterno.»
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[ I classificata in parimerito per il Contest "The Melancholy Spirit", indetto da Yuko Chan ]
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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2. Essere nel Ventidue





ESSERE NEL VENTIDUE

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«Ho i biglietti per Osaka», si annunciò Daisuke, infilandosi a sedere di fronte a lui. Per la fretta con cui si tuffò sulla seggiola, picchiò il piede contro una gamba del tavolo e rischiò di causare un catastrofico terremoto tra quel che Masa stava mangiando. In Giappone c’erano già troppe scosse sismiche, e Daisuke Ido era fra quelle. «Tra due settimane si levano le tende. Prenotare con anticipo è stata la scelta migliore. Tanto tu finisci tra quindici giorni, qui, no? Mi stai ascoltando?»

Masa non stava mangiando nel vero senso della parola. In risposta a quella domanda, sventagliò distrattamente le bacchette e non scollò lo sguardo da una direzione non ben definita, neanche stesse spiando i movimenti di un pugno di possibili furfanti all’opera. Messo a quel modo, i gomiti puntellati sul tavolo e le pupille a far capolino da sotto i sottili ciuffi neri dei capelli, sembrava un soldato vietnamita immerso in una palude e intento a farsi passare per un coccodrillo. «Lo stanno facendo ancora», mormorò. «Le stanno portando via.»

Daisuke, che ascoltava quella storia praticamente dal giorno in cui avevano entrambi cominciato a lavorare per l’azienda di Matsumoto, ruotò gli occhi verso il soffitto e si sistemò il proprio vassoio sotto al naso. «Sei paranoico, Ikeshima.»

Ad onor del vero si chiamavano per nome la gran parte delle volte. Il cognome, per loro che erano cresciuti praticamente assieme, era solo un modo per esprimere un profondo quanto ironico sarcasmo. Per una serie di coincidenze si erano ritrovati a firmare un piccolo contratto per lo stesso uomo, che aveva assunto giovani con lo stesso atteggiamento del Papa che chiama a raccolta le pecorelle smarrite. Masa non aveva ancora realizzato come fosse stato possibile, soprattutto perché aveva impietosamente abbandonato il biglietto da visita di Okawa sul seggiolino di quella supposta su rotaie. Pochi giorni prima del termine dell’anno scolastico, quando era stato sul punto di scordarsi del tutto di quello scambio di parole, sua madre aveva però scovato lo stesso annuncio sul giornale e lo aveva convinto – o costretto, dipendeva dai punti di vista – a provare quella piccola esperienza di lavoro che gli avrebbe portato via solo tre delle sei settimane di vacanza.

La vera sorpresa era stato scoprire che Matsumoto, il dirigente di cui non conosceva nemmeno il volto, aveva assunto un numero spropositato di altri studenti e persino qualche disoccupato oltre la trentina; il dettaglio inusuale, quello di cui solo Masa sembrava essersi reso conto, era il modo in cui erano organizzate le giornate di lavoro. Ognuno, al momento dell’assunzione, aveva avuto in regalo una ventiquattrore. La sua era bella, lucida e professionale, con il problema che non la usava. Era forse paradossale, ma era così; non poteva aprirla, dal momento che serviva una chiave che solo il capo del settore possedeva. Ed era così per tutte le altre. Sul contratto, in uno specchietto a parte, stava scritto che “Ai dipendenti più meritevoli verrà consegnata la propria chiave! All’interno, premio per lo sforzo del buon lavoratore!”; era una bella iniziativa, eppure restava un mistero il perché dovessero portarsele sempre dietro. A voler essere sinceri, quelle valigette sembravano più dei decori che strumenti di lavoro veri e propri.

Alcuni operai le raccoglievano durante la pausa pranzo e prima delle diciassette, orario di chiusura, salvo poi riconsegnarle ai rispettivi proprietari. Se l’immaginazione gliel’avesse permesso, e lui non ne aveva a sufficienza per concedersi questo lusso, Daisuke avrebbe detto che la sensazione era quella di assistere alla raccolta della biancheria da lavare e da rimettere poi a posto. Tra i due, l’unico in grado di partorire un pensiero tanto surreale era Masa.

«Avranno le loro ragioni», disse Daisuke, stringendosi nelle spalle. Aveva gettato uno sguardo verso le due porte socchiuse della mensa, oltre le quali l’amico aveva visto passare in fretta i carrelli colmi di valigette. «Forse è per evitare che qualcuno le rubi mentre tutti sono assenti.»

L’altro fece silenzio per qualche istante. Poi, nel tono meditabondo di chi si ritrova ai piedi del pero quando prima ci era sopra: «Non ci avevo mai pensato.»

«È perché ti complichi sempre la vita. Lascia perdere i meccanismi; in fondo l’importante è che l’oggetto funzioni.»

L’oggetto, ovvero l’azienda, funzionava bene. Non che avessero pienamente idea di che cosa si occupasse – qualcuno optava per la finanza, altri per la produzione di parti meccaniche -, ma gli orari erano buoni, la paga anche, l’ambiente organizzato. Il loro unico compito era fare qualche calcolo, ricopiare qualche dato al computer, controllare che le fotocopie colme di numeri fossero impeccabili. Andava tutto alla grande.

«C’è un’altra cosa che mi sorprende.» Masa tornò a rovistare nel vassoio con le bacchette, ma questa volta stava sorridendo.

«Cosa?»

«Il fatto che non ti abbiano detto niente per i capelli.»

Daisuke, che aveva atteso la risposta con tanto d’occhi, buttò uno sbuffo e allungò un pugno sopra al tavolo, beccando con entusiasmo la spalla dell’altro. «Sei un cretino. È tutta invidia.»

«No, sul serio

«Mi hanno detto che mi darò una regolata io, con il tempo. E ciò vuol dire che è invidia anche la loro.»

Masa non trovava nulla di eccezionale in quel suo orgoglioso senso di appartenenza alla moda hosuto1. Sancì la chiusura del sipario con una scrollata di capo e un sorrisetto che gli disegnò due fossette nelle guance. Erano anni che Daisuke viveva a quel modo, esibendo un costoso vestiario che poteva permettersi solo perché suo padre era un banchiere di quelli con la B maiuscola. Non frequentava l’università e si accontentava di girare in branco con altri suoi amici, facendo attenzione che i polsini delle giacche fossero a posto e le etichette ben in vista. I suoi capelli erano uno spruzzo nucleare in un parco acquatico. Letteralmente. Uno come lui sarebbe forse stato meglio a Ginza, dove girare con capi alla moda non era un optional.

«L’unica cosa che ti invidio è il senso dell’umorismo», confidò Masa, riguardando la sua prima intenzione di non aggiungere più nulla. «Per il resto, non ci terrei ad andarmene in giro con un riccio sciolto in testa.»

Daisuke strinse le labbra per costringersi a non ridere. Alcuni dipendenti accomodati lì vicino avevano origliato abbastanza da girare su di loro sguardi tra ammonizione e perplessità. «Mangia, Ikeshima, altrimenti un riccio te lo infilo nelle mutande stanotte.»

 

* * *

 

La nonna di Masa sfornava i migliori dorayaki 2 del mondo. Almeno era quello che dicevano tutti, e almeno era quel che lei faceva quando ancora era in vita. Dal momento che erano tre anni che riposava in pace, era naturale dubitare che continuasse a impastare e infarcire. Forse, e l’idea non era niente male, metteva insieme qualche nuvola e li preparava lo stesso.

La vera fortuna era che questa brava donna spirata a ottantadue anni suonati aveva lasciato questo suo passatempo in eredità alla figlia. Midori, che da lei si era presa anche il piccolo neo sul collo e le dita un po’ corte, aveva imparato a preparare quei dolci proprio seguendo la sua stessa ricetta. Di contro, Masa aveva sì il neo e le dita poco eleganti, ma non si era scoperto ugualmente portato nell’arte della pasticceria. Così lasciava che a prepararli fosse lei, salvo poi mangiarli quasi tutti lui. Un buon ragionamento.

Aveva trascorso l’infanzia e la prima adolescenza coi dorayaki della nonna, per poi imboccare la strada verso la maturità con quelli della madre. Si sentiva quasi un eroe antico, uno di quelli consapevoli di essere l’ultimo a poter gioire di un gran vanto di famiglia. Aveva ottime ragioni di credere che i suoi nipoti non avrebbero avuto l’opportunità di assaporare quella prelibatezza fatta in casa, per cui si godeva il momento con l’orgoglio di un titano prossimo alla caduta. Era una bella sensazione e lo faceva sentire importante, sempre che ci si potesse considerare tale quando l’eredità di cui si va tanto fieri è un simpatico dolcetto di forma circolare.

Ricordava con morbosa chiarezza la passione con cui li mangiava da bambino, il gesto quasi rispettoso con cui prendeva il primo pezzo e la serenità con cui pensava che era un po’ come scaricare la vescica dopo ore di silenzioso supplizio. La dolcezza di quei bocconi gli dava un sollievo quasi fisico, e le cose non erano cambiate nemmeno ora che aveva superato di poco i vent’anni. In passato era stato più corto, non avvertiva il fastidioso prurito della barba che minacciava di ricrescere, ma per il resto non era cambiato quasi nulla; sul futon, in un giaciglio di coperte, rivista o libro aperto sulle gambe, piatto di dorayaki lì accanto, per terra.

Stava per portesene uno alla bocca, concentrato come solo lui sapeva fare quando si trattava di mangiare e leggere in contemporanea, quando il cellulare si mosse. L’apparecchio fece un salto e, colpa della vibrazione, prese a girare su se stesso come una trottola. Chiamata. Masa, che a causa del silenzio accolse quel rumore un po’ come si accoglierebbe un bombardamento aereo, ebbe un sobbalzo più simile ad una scarica di elettroshock. Solo in un secondo momento fu in grado di allungare la mano libera per acciuffare quell’aggeggio infernale e dare un occhio al nome di chi gli aveva fatto rischiare l’infarto.

«Nao, quando saremo a Osaka, ricordami di svegliarti facendoti scoppiare un palloncino in faccia», rispose quando si portò il telefono all’orecchio.

«Non dirmi che stavi dormendo. Sono le otto di sera.»

«No, me ne sto seduto sul letto. Che è la stessa cosa.» Non scherzava. Era uno studente brillante, ma abbastanza distratto da confondere le due cose. «Daisuke ti ha dato il biglietto? Li ha comprati lui per tutti.»

«Sì, ma non è di questo che voglio parlarti. Accendi la tv. Hai la tv in camera, no?»

Masa si era già tuffato di lato per acciuffare il telecomando. Si era sistemato il cellulare fra spalla e orecchio e stava sorridendo senza sconti. In qualche modo, destreggiandosi in un comico gioco di equilibrismo per non far cadere il libro che reggeva sulle gambe o restare imbrigliato nelle coperte, recuperò quel che cercava. «Ho tutto quello che vuoi, Fuyutsuki. È che in camera di norma faccio altro.»

«Non fare lo spiritoso.» Dalla voce era facile capire che cercava di non ridere. Sapeva della tv e sapeva che in camera si poteva fare di meglio che accenderla. Non per nulla era la sua ragazza da ormai due anni. «Prendi il telecomando e metti sul Ventidue.»

Il televisore era un piccolo gioiellino firmato Samsung. Se ne stava in un angolino della stanza, per di più ignorato e ricoperto da un perenne strato di polvere. Se era in funzione, il comando audio muto lo zittiva. Masa non poté biasimarlo quando si accese con un ronzio indispettito.

«Guarda che non scherzo», diceva nel frattempo, gli occhi abbassati a digitare il numero. C’era qualcosa di innaturale nella postura in cui si trovava, seduto tra le coperte con un dorayaki nella sinistra, il telecomando nella destra e il cellulare schiacciato in un bacio tra spalla e orecchio. Wow, degno di un supereroe, o di un contorsionista thailandese. «Questa storia del divorzio dei tuoi è un bell’impaccio. Quand’è che passi a trovarmi?»

«Appena posso. Lo sai, voglio stare vicina a mamma e papà. Sei sul Ventidue?»

«Sì, ma non vorrei essere nel Ventidue, se capisci cosa intendo. Cos’è quel gregge di gente? Soffocherei.»

«Vorrai dire chi è. È il tuo capo, testa di cocco. Matsumoto, quello dell’azienda.»

L’immagine imbottigliava in un unico spazio un gran numero di persone. Era un interno, probabilmente un grattacielo, a giudicare dalla finestra che si intravedeva e che testimoniava una certa altezza da terra. Tutti quanti erano disposti davanti ad un corridoio grigio, che filava in lontananza e suggeriva la presenza di parecchie porte, quasi per certo uffici nuovi di zecca. Uomini e donne in giacca e cravatta osservavano l’inviato, al centro, che sorrideva con la bocca forse troppo vicina al microfono. È alle prime armi, pensò Masa. E poi, senza un nesso logico: è un’emittente piccola, di quelle di classe C. C come Cicca. Ovvio che non conosco chi ci lavora. Un sacco di mosche indistinte. Accanto a Senza Esperienza c’era un uomo un po’ più alto degli altri, dai radi capelli scuri e dalle sopracciglia folte. Teneva le mani dietro la schiena e i suoi occhi erano tanto neri da sembrare senza pupille, luminosi come la promessa di Mosè. 

«È lui?» domandò Masa. «Il tizio impagliato?»

«Hai davvero un gran rispetto per il tuo capo.»

«L’era del Bushido 3 è passata da un pezzo. Stanno davvero inventando altri posti qui in città?»

«A quanto pare sta dando lavoro a un sacco di gente. Gente come lui serve, di questi tempi.»

Senza Esperienza presentava l’iniziativa con molto entusiasmo. Matsumoto aveva acquistato tre piani di quel grattacielo e voleva riaprirli come uffici. Quanto a lui, non era intenzionato ad interrompere il gran discorso dell’inviato e si limitava ad annuire e a scambiare qualche sorriso con qualcuno dei colleghi. Davanti a loro ma distante un bel po’ di chilometri, Masa prese un morso dal dorayaki e cominciò a masticare lentamente, seguendo il filo del discorso. Era chinato in avanti in un modo un poco inquietante, ma non c’era nessuno a farglielo notare.

«Nao, ma tu sai da dov’è balzato fuori?»

«Chi? Cosa?»

«Matsumoto.»

«Da un uomo e da una donna che si vogliono tanto bene. Che razza di domanda è?»

«Non intendevo quello.» Masa mandò giù il boccone senza perdersi il momento in cui Senza Esperienza consegnò un paio di forbici al grande capo. Poco più indietro, un nastro giallo chiudeva il corridoio. «Deve averne, di soldi, per assumere e comprare.»

«Proverrà da una qualche famiglia facoltosa. Non tutti i ricchi del mondo hanno il loro nome e cognome nella Hall of Fame. Ci sono molti imprenditori che si fanno strada dal nulla; magari i suoi nonni erano contadini.»

«Forse», convenne lui. Si concesse l’ultimo pezzo di dolce e si pulì la mano sulle coperte.

«Ti trovi bene?»

«Non mi lamento. È bello avere qualche risparmio per me. Non dovrò chiedere denaro ai miei quando partiremo per Osaka.»

«Pensavo la stessa cosa. Avevo una mezza idea di fare domanda; manca ancora un po’ prima della partenza.»

Da suo collega alla Ohu, Masa non trovò nulla da dirle in contrario. Si strinse nelle spalle e riacciuffò il cellulare, sgranchendosi il collo. «Sarebbe bello. C’è un sacco di gente che conosco che lavora per Matsumoto.»

«È vero che regalano a ciascuno una borsa?»

«Una valigetta. Ventiquattrore. Niente di troppo lussuoso o femminile.»

«Ma è una bella cosa. Mi dà l’idea di un’azienda responsabile e affettuosa. Penso proverò a farmi assumere.»

Amorevole come fresco dopobarba, rifletté lui, ma non lo disse. Quello che invece fece fu sorridere, un sorriso decisamente da idiota, e uscirsene in un tono da lapidario giornalista con un: «Koriyama: la città-dipendente.»

Lei rise. Fu un suono fragrante, anche se velato dal fruscio della linea telefonica. Rise su una battuta su cui solo qualche giorno più tardi non avrebbe riso più.

 

* * *

 

Il quartiere più a nord dipese per primo. La minoranza che ancora non era stata assunta o non aveva scelto di lasciare il proprio lavoro per abbracciare il solo un giorno, ogni giorno lo fece in un secondo momento. Alcuni firmarono contratti di poche settimane, altri di un intero anno. Era persino possibile lavorare per sole ventiquattr’ore, salvo poi lasciare la scrivania ad un nuovo collega.

Leggevano gli annunci sui giornali, su Internet, sui cartelloni, e proseguivano per un periodo con le loro vite di sempre. Poi, chi presto e chi tardi, si svegliavano la mattina e decidevano di fare domanda. Negli esercizi commerciali esistenti da tempo rimase solo un minimo numero di dipendenti; il resto ebbe in regalo la bella e lucente valigetta scura.

Più a est, dove molti spazi erano in vendita, vennero aperti altri uffici. Un buon numero di palazzi finirono con l’essere interamente acquistati dalla società di Matsumoto. In una città già presa d’assalto dal vorticoso giro di affari della prefettura, uomini e donne con anonimi completi neri cominciarono ad affollare la stazione, la metropolitana, le strade. Divennero sciami.

Prese a lavorare anche Nao. Sei giorni dopo l’assunzione, un mercoledì, quando Masa si fece consegnare la propria ventiquattrore come ogni mattina, la trovò più pesante del solito. Pensò che fosse stanchezza. Il giovedì sembrava che qualcuno ci avesse sistemato dentro un piccolo peso di piombo.

Daisuke mi ha dato del paranoico, pensò. Comincio a credere che abbia ragione.

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Note.

1 La moda hosuto prevede abiti di marca e capelli voluminosi dai tagli fantasiosi e appariscenti.

2 I dorayaki sono dei tipici dolci giapponesi: due pancake riempiti, di norma, con una salsa di fagioli. Ne esistono innumerevoli varianti, tra cui quelli farciti con marmellata o varie creme.

3 Può essere identificato come il corrispettivo della nostra cavalleria europea. Seguita dai samurai, è una condotta morale e di vita improntata sul rispetto per gli altri, per i superiori e anche per il nemico.

B T W _ Su questo sito ho un sacco di gente che mi vuole bene. Nel senso, è che vorrei finire di pubblicare prima della scadenza del Contest, aka 2 giugno, sia per una fissa mia (?), sia per, come dire, correttezza. Non so spiegarmi, non sono mai capace di farlo, quindi prestate pazienza anche per questo x'

Sostanzialmente, spero mi vogliate bene anche se corro con gli aggiornamenti. Chu (?) <3

Dew_ <3


   
 
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