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Autore: aturiel    23/05/2015    2 recensioni
"«Dobbiamo smetterla, non possiamo più farlo. È peccato, lo sai» disse Arunte, non guardando negli occhi il suo amante.
«Non mi sembra ti interessasse fino a cinque minuti fa».
Arunte quindi lo fissò con aria truce e gli sibilò: «Andremo all'Inferno, tu e io, per questo, se non ci fermiamo e pentiamo in tempo. E io vorrei almeno avere la possibilità di non patire pene per l'eternità» e, detto questo, fece per andarsene. Ma Rinaldo lo afferrò e lo costrinse a girarsi verso di lui e lo baciò. Forse era per quello che gli era successo, per il suo passato, che ormai era sicuro che sarebbe andato all'Inferno comunque, con o senza Aru. E pensare che, però, avrebbe avuto forse la possibilità di andarci con il ricordo di quegli occhi celesti nella mente, gli faceva bramare ancora di più il contatto con l'altro."
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Terza classificata al contest "Tempo di... Tag! Third Edion" indetto sul forum di EFP da Ili91
Partecipa al contest "I only write free!" indetto sul forum di EFP da MissChiara
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Haruka Nanase, Nagisa Hazuki, Rin Matsuoka
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mille anni, poi altri cento'
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Notte tra 12 e 13 luglio 1293 – Perugia

Non c'era luce, nemmeno quella della Luna, eppure la lama che minacciava la vita del ragazzino dai capelli vermigli riluceva sinistra, come animata dalla magia. Le dita che stringevano quel coltello erano sottili e allungate, ma piene di calli e con le unghie spezzate. Il bambino conosceva quelle dita: erano quelle che sempre lo avevano accarezzato quando aveva gli incubi, quelle che gli avevano preparato il pranzo, quelle che lo avevano avvolto in un caldo abbraccio. Erano dita così conosciute che non avrebbe potuto confonderle con quelle di nessun altro: erano le dita di sua madre.

Tutto era pronto: doveva solo riuscire ad uscire di sera senza essere visto da Giuliana. Le strade erano pericolose di notte, lo sapeva bene, e sicuramente la donna che lo aveva salvato ormai quattordici anni prima, di certo non sarebbe stata felice di vederlo rischiare la vita per un garzone qualunque con cui non aveva nemmeno mai parlato. Per non parlare di Aru... probabilmente lo avrebbe inchiodato da qualche parte piuttosto che farlo uscire, quella notte.
Per fortuna dormiva nella stanza più vicina alla porta d'ingresso: se fosse stato relegato, come Arunte, in sartoria o nel piano superiore, dove invece aveva passato la sua infanzia, non sarebbe mai riuscito a sgattaiolare fuori. Una volta in strada, si tirò su il mantello e calò il cappuccio fino a coprirgli gli occhi e, passando per i vicoli, si diresse velocemente verso la taverna della vecchia Angela. Normalmente non si sarebbe mai sognato di passare per quelle viuzze, per di più di notte, ma aveva assoluta necessità che nessuno lo vedesse, o il suo piano sarebbe andato in fumo in breve tempo.
Dopo una mezz'ora si trovò nel retro del luogo che aveva come meta: ora doveva solo capire come entrare, e doveva farlo in fretta, o qualcuno lo avrebbe scoperto. Sapeva che il garzone Lucio dormiva sempre nel retrobottega, mentre la padrona nel piano di sopra, perché non voleva essere disturbata durante il sonno. Inoltre lì in paese, più o meno ogni persona pensava che più in alto si dormisse, più si avessero possibilità di sopravvivere in caso l'abitazione fosse stata attaccata, ma mai cosa era più falsa, e Rinaldo lo sapeva bene: l'ultimo piano forse era anche l'ultimo ad essere controllato, ma si trasformava in una trappola mortale se non si era abbastanza forti da gettarsi giù dalla finestra e riuscire ad alzarsi e correre via come il vento. In quel caso, però, che si trattasse di una falsa credenza o meno, a lui non interessava: avrebbe salvato la vita a quel ragazzo proprio per quel fattore fortuito.
Quindi individuò la porta sul retro, tentò di sforzarla: cercò di riportare alla memoria gli insegnamenti di Sveno, il figlio dell'armaiolo che era stato per anni il suo compagno di giochi quando viveva ancora con i suoi genitori; era stato lui, con quei suoi occhi verdi come la foresta, a spiegargli come fare per aprire la dispensa del panettiere e rubare, di tanto in tanto, qualche dolciume. Gli ricordava molto Aru, quel ragazzino, eppure non potevano essere più diversi: pareva sempre freddo e distante, ma se Sveno aveva un cuore bollente e istintivo, anche più di Rin, che a malapena riusciva a controllare, Arunte aveva impresso nella sua anima una tale gabbia alle sue emozioni che era ormai difficilissimo per lui o per quelli che gli stavano intorno rompere i confini che si era auto-imposto. Comunque, solo dopo alcuni tentativi riuscì ad aprire la porta che, con un cigolo, si spalancò. Un ragazzo dai ricci capelli biondi dormiva tranquillo sul suo giaciglio; il suo respiro leggero e tranquillo ricordò a Rinaldo quello del suo fratellino, tanto che dovette cacciare con violenza i suoi ricordi, prima che questi lo turbassero troppo e gli impedissero di agire. Quindi iniziò a preparare il suo teatrino: attorcigliò il filo semi-trasparente che aveva sottratto dal magazzino in quanti più oggetti della stanza riusciva, dai soprammobili in semplice legno al bauletto che si trovava proprio a due passi dall'ingresso; poi salì l'unica rampa di scale che conduceva alla stanza di Angela e si assicurò che non potesse essere aperta, bloccandola con una sedia. Fatto questo, dopo aver cosparso di tintura rossa le mani e le gambe sottili di Lucio, uscì nuovamente dalla stanza e socchiuse la porta davanti a sé, cosicché il garzone non riuscisse a vederlo mentre agiva.
Tirò il primo filo. Il rumore di un boccale che si infrangeva per terra risuonò per tutta la casa. Lucio si svegliò di soprassalto, spalancando i suoi graziosi occhi di una tonalità che pareva simile al viola.
Capisco perché lo hanno preso di mira: sembra una femmina, ancora più di Aru. È molto grazioso...
Non riuscì a impedire che la sua mente formulasse tali pensieri quando tirò anche il secondo filo che, invece, fece rovesciare un vaso di terracotta. Il ragazzo ora era assolutamente terrorizzato, ma non abbastanza da impedirgli di accendere, con mani tremanti, una candela. La luce soffusa si sparse per la stanza, illuminando calda e rassicurante l'ambiente, ma un soffio di vento la spense, così provvidenzialmente che Rin, in quel momento, fu quasi sicuro che Dio volesse aiutarlo a salvare quel povero garzone. Il ragazzino cacciò un grido quando questa si spense, e un altro quando, dopo averla accesa di nuovo, si vide le mani e le gambe semi-scoperte dal camicione che portava sporche di rosso. Quindi anche la vecchia Angela si svegliò, imprecando rumorosamente: «Per Dio, Lucio, che combini in quella stanza?»
«N.. niente, mia signora» rispose lui, balbettando.
«E perché cacci quegli urli da ragazzetta, allora?»
«Mia signora, qui dentro è passato il Diavolo! Ho le mani... ho le mani tutte rosse, e cadono oggetti...»
«Taci, bambino! Adesso scendo e ti do una bella lezione: così impari a dire certe cose...» ma poi, andando alla porta e trovandola bloccata, la donna iniziò a strepitare e a chiedere all'altro di venire a liberarla.
Quindi Rinaldo, prima che lui seguisse il suo consiglio, tirò in contemporanea tutti gli altri fili, creando un rumore assordante, coperto quasi dagli strilli di Lucio che, in lacrime, fuggì dalla casa.
Ce l'ho fatta.
****
Entrò dalla porta anteriore, la stessa da cui era uscito, ma questa volta le luci delle candele erano accese. Giuliana era seduta sulla sua sedia e, accanto a lei, c'era Arunte. Appena lo videro entrare, si girarono nella sua direzione e lo fissarono con aria a metà tra il preoccupato e l'adirato; in breve tempo, però, la prima emozione scomparve dalle loro facce, e in particolare da quella di Aru.
Non aveva mai visto quei due con i volti così tesi e gli occhi così stretti: Giuliana lo guardava con una tale rabbia che iniziò a pensare che avrebbe fatto in modo che la terra si affossasse sotto di lui e lo inghiottisse, portandolo direttamente all'Inferno, mentre Arunte... Arunte era bianco come un cadavere e lo fissava in modo freddo, gelido come non lo era stato nemmeno il primo giorno in cui si erano conosciuti. Fu proprio lui ad alzarsi in piedi e ad andargli incontro: «Dove sei stato?» chiese, quasi sottovoce. Non poteva certo rispondergli con la verità, ma voleva che lui capisse; d'altronde non comprendeva come mai fossero così arrabbiati con lui: aveva visto più di venti primavere ormai, in teoria avrebbe potuto benissimo scomparire per una settimana senza dire niente. Questo non voleva dire, anche se lo ammetteva malvolentieri, che l'avrebbe fatto – non si sarebbe mai allontanato per tanto tempo da Giuliana e, soprattutto, da Aru, anche perché entrambi avevano bisogno di lui -, ma non avrebbero dovuto avere niente in contrario; e invece eccoli lì, a guardarlo come fosse un'anima fuggita dall'Inferno senza il consenso di Dio: «Sono andato... ehm, a fare un giro».
«Di notte? Tu hai paura del buio, Rinaldo» rispose Aru. Era tantissimo tempo che non lo chiamava con il suo nome completo, e questo lo fece ancora più insospettire.
«Avevo voglia di fare una passeggiata notturna proprio per questo: dovevo sconfiggere le mie paure. Non mi dite sempre così?» rispose.
«Senti, non scherzare, ragazzo. Noi qui siamo seri» si intromise quindi Giuliana, con la sua aria minacciosa.
«Sentite, ma perché tutte queste domande?»
«Ma come perché? Non mi dire che nella tua “passeggiata notturna” non ti sei reso conto di che cosa è successo!»
Rin, in quel momento, cadde letteralmente dalle nuvole: che cosa poteva essere accaduto nel giro di un'ora - un'ora e mezza al massimo?
«Veramente io...» balbettò Rin, confuso.
Giuliana guardò Arunte con aria rassegnata: «Te l'avevo detto che era andato in un bordello. Rin, ma lo sai che è peccato darsi ai peccati carnali in questo modo? E poi mentire! Che modi... non mi sembra di averti insegnato questo in tutti questi anni».
Ci mancò poco che scoppiasse a ridere: lui, in un bordello? Sul serio? E gli venne ancora di più da ridere quando vide il volto di Aru: era leggermente arrossato, voltato di lato – come tutte le volte in cui era in collera con lui – e guardava altrove, come se la questione non lo riguardasse. Era davvero un ragazzo freddo, Aru, ma a chi sapeva conoscerlo tutto era più che evidente: le sue – poche – espressioni erano facilmente comprensibili e, in quel caso, aveva mostrato una certa dose di gelosia. Comunque fosse, ciò non spiegava ancora la situazione, quindi chiese di nuovo:
«Non sono andato in un bordello, Giuliana, ma a fare una passeggiata. Ora, però, mi potreste con grande cortesia dire che è accaduto durante questa notte?»
La donna ridiventò immediatamente seria e Aru perse quella nota di porpora sulle guance che aveva prima: «Perugia ha degli ospiti, ora».
«Chi, per Dio?»
«Carlo II d'Angiò e suo figlio, Carlo Martello».
****
Conosceva quel nome di fama, e le notizie certe erano discordanti. Si sapeva che, insieme a suo padre, si era opposto agli Aragona, si sapeva che aveva condannato tantissimi funzionari invocando il giudizio divino e tante altre cose, come che era chiamato lo Zoppo, aveva un appuntito naso aquilino e che da piccolo aveva contratto una malattia da cui s'era salvato per miracolo.
Di per sé non ci sarebbe stato alcun problema, a dire il vero, se non fosse che era giunto a Perugia con il suo seguito di soldati che, pur non essendo tanti, avevano le loro necessità: Rin aveva sentito cosa succedeva quando un esercito attraversava una città o un villaggio: c'erano stupri, razzie e violenze di ogni genere; la domanda era, però, se, anche quando si trattava di una cinquantina di uomini, accadessero le medesime cose. I cittadini erano piuttosto preoccupati: la motivazione ufficiale era che Carlo lo Zoppo si stava dirigendo verso Roma, e che quindi gli era necessario fermarsi per qualche giorno – forse una settimana – a Perugia, ma quale fosse il motivo ufficioso – sempre che ce ne fosse uno -, nessuno lo sapeva con certezza.
D'altronde nessuno guardava con favore i potenti stranieri che giungevano nella loro terra, in quanto potevano benissimo decidere di creare scompiglio per le strade e, se il loro Comune non li avesse protetti, probabilmente sarebbero stati completamente in balia dei soldati e delle loro volontà.
Giuliana e Arunte erano così preoccupati perché avevano pensato che fosse stato catturato o coinvolto in una rissa e, solitamente, le risse con i soldati non andavano mai a buon fine per il popolano qualsiasi. Per fortuna, però, non era accaduto niente del genere al ragazzo, anche se, da quanto si diceva, qualcun altro era caduto nelle grinfie dello Zoppo. Non si conosceva il suo nome, ma si era certi che si trattasse di una condanna a morte che, ovviamente, sarebbe stata vista dalla maggior parte della città: nessuno si tirava indietro quando c'era da vedere qualcuno perdere la testa.
Aveva un brutto presentimento, perciò quella notte, mentre tentava di prendere sonno, cercò e trovò sotto le lenzuola sfatte le dita fresche di Aru che, come fosse un riflesso incondizionato, si strinsero attorno alle sue.










 

Note:

Sveno → Sousuke
   
 
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