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Autore: Nami93_Calypso    23/05/2015    3 recensioni
(Sfogo dell'autrice)
Dal testo:
"Lui era l’uomo di cui aveva bisogno: premuroso, attento, affettuoso, un po’ infantile.
Aveva bisogno di lui ma non lo voleva.
E lei si malediceva per questo. Se i suoi bisogni e desideri fossero combaciati sarebbe stato tutto molto più semplice. Avrebbe condotto una vita felice e soddisfacente con lui.
Ma non poteva obbligarsi ad amarlo."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Angolo dell’autrice:
Questa non è Nami: questa sono io, al 100%. Io e i miei problemi. Io e il mio sfogo attraverso la scrittura.
Da tempo non scrivevo a causa di impegni vari e non avrei voluto tornare in questo modo, con una cosa tanto triste. Ma oggi ho messo giù queste poche righe di getto, in una sorta di catarsi.
Non so nemmeno se abbia avuto un senso pubblicarla; è probabile che da un momento all’altra la cancelli.
Se ancora avete il coraggio di leggere vi lascio a questo insieme sconnesso di pensieri.

 
 




 
Bisogni e desideri
 
Rufy era tutto ciò di cui aveva bisogno. Le dava tutto.
La ricopriva di attenzioni, affetto, pazienza, comprensione, ascolto, sostegno.
Quando lei aveva uno dei suoi imprevedibili cambiamenti di umore lui la sopportava, non la lasciava sola, non la mandava a quel paese come chiunque sano di mente avrebbe fatto.
Quando era presa dai suoi studi e dai suoi mille impegni e non aveva il tempo per vederlo lui non si lamentava, non l’assillava, non la opprimeva e, anzi, per quanto riuscisse andava a trovarla a casa sua, trovandola sommersa dai libri e con i capelli spettinati come un nido di corvo, e le portava un dolcetto nella speranza che potesse farla sentire meglio.
Quando lei usciva con gli amici lui non si mostrava geloso o infastidito dal suo silenzio, lui le diceva che l’amava, l’amava da impazzire, era l’unica che era riuscita a donare un senso alla sua vita.
A quelle considerazioni Nami si rigirò nel letto stringendo ancor più forte il peluche a forma di scimmia che lui stesso le aveva regalato anni prima. Se ne stava lì, nel buio della sua stanza, a rimuginare sulla decisione presa.
L’aveva lasciato.
E perché?
Perché quando era in sua compagnia si annoiava. Dopo quattro anni passati insieme ora si annoiava. E quando non si potevano vedere a causa dei vari impegni lei non ne soffriva e non sentiva il bisogno di vederlo o sentirlo.
Quando lui la copriva delle più premurose delle cure lei non si sentiva il cuore gonfiarsi di gioia. No. Lei si sentiva in colpa.
Si sentiva in colpa perché lui le dava molto, tutto, e lei in cambio non gli stava dando nulla. Lei che era solita dare tutta se stessa agli altri, lei che sacrificava il suo poco tempo libero per gli altri non riusciva a trovare un momento per vedere lui, il ragazzo con cui aveva condiviso così tanto in quegli anni.
Lui credeva che quel suo distacco, quella sua freddezza fossero dovuti allo stress legato al terzo anno di università, il più difficile e il più impegnativo. Anche lei avrebbe voluto crederci… Ma quello schema si ripresentava ormai da troppo tempo, era impossibile che quella fosse l’unica causa.
Probabilmente non provava più quello che provava un tempo…
Lui sarebbe stato disposto a tutto per lei, anche a mettersi da parte se era questo che lei voleva. Tutto questo in cambio di una sola cosa: del suo amore.
E lei si sentiva una cretina.
Davanti a sé aveva un uomo disposto ad ogni cosa, perfino ad umiliarsi; doveva fare solo una cosa ma non ci riusciva. Una cosa che aveva fatto per anni e che ora non le riusciva più.
Perché?
Non sapeva spiegarselo… e non era riuscita a spiegarlo nemmeno a lui che se ne era andato tremante dalla rabbia dovuta alla delusione, col viso contrito dal dolore, lasciandola da sola su quella panchina.
Lui era l’uomo di cui aveva bisogno: premuroso, attento, affettuoso, un po’ infantile.
Aveva bisogno di lui ma non lo voleva.
E lei si malediceva per questo. Se i suoi bisogni e desideri fossero combaciati sarebbe stato tutto molto più semplice. Avrebbe condotto una vita felice e soddisfacente con lui.
Ma non poteva obbligarsi ad amarlo.
E non poteva nemmeno rimanere con lui per un tornaconto se ciò che provava non era sincero: non era giusto ne per lei ne per lui.
La sua era stata una decisione sofferta.
E ora, a due settimane da quella scelta, le mancava. Ma cosa le mancava? Lui e solamente lui o la relazione e la sicurezza e stabilità che comportava?
Nami non lo sapeva.
Sapeva solo che non poteva scrivergli, dirgli che forse aveva sbagliato, perché sarebbe stato come dargli una falsa speranza e tenerlo all’amo, cosa che lei assolutamente non voleva.
Se mai fosse tornata da lui avrebbe voluto farlo definitivamente e perché sentiva che lui era la persona giusto con cui trascorrere il resto della vita, e non per il timore di non trovare un altro che le desse tutto quello che lui era in grado di darle.
Ma era difficile non cedere a quel timore, quel timore che l’attanagliava in ogni momento di solitudine e che ogni notte la faceva fremere di paura. Aveva anche il terrore che se mai avesse deciso di tornare da lui lui non ci sarebbe più stato, che non sarebbe più stato lì disposto ad accoglierla.
E quindi cosa faceva? Cercava di tirare avanti con la sua quotidianità, razionalizzando ogni minimo attimo di debolezza per comprenderne la causa e capire cosa davvero le mancava, di cosa davvero aveva bisogno e cosa davvero voleva.
Nami, stremata da quel vortice di pensieri, chiuse gli occhi e si lasciò andare alla stanchezza nella speranza di non sognare ancora una volta il volto di Rufy.
 
   
 
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