Tredici ore dopo...
«Ehi,
Semir! Come stai?» esclamò Tom entrando nella
piccola stanza sforzandosi di
sorridere.
L’uomo seduto sul letto, con due cuscini dietro alla testa,
non rispose
nemmeno.
Era pallido, due marcate occhiaie gli decoravano il volto e gli occhi
erano
rossi e piccoli.
«Come sta Ben?» domandò qualche attimo
dopo in un sussurro.
Tom abbassò lo sguardo «Non bene. Vengo adesso
dalla sua stanza, ci sono
tornato per salutarlo, ha la febbre alta, dolori alle gambe e ha
già avuto la
prima crisi respiratoria.».
Il turco provò a impedire alle lacrime di presentarsi e
scosse appena il capo
«Voglio vederlo... perché non mi ci lasciano
andare?».
«Ma Semir, guardati! È normale che i medici non ti
vogliano far alzare e di
sicuro non vogliono provocarti altri shock dopo quello che è
successo ieri.».
«Ma non lo capisce nessuno che io sto peggio così?
Eh? Nemmeno tu lo capisci?».
«Semir, calmati, o dovrò di nuovo chiamare il
medico.».
«Va bene.» fece allora il poliziotto provando a
controllarsi «Dimmi almeno che
Gehlen si è fatto vivo...».
Tom scosse il capo «No, ma so che ha un antidoto. In
realtà mi ha telefonato
l’altra notte ma non mi ha detto altro, solo che ci
darà una possibilità e che
si farà vivo lui.».
Semir spalancò gli occhi «Ha un
antidoto?».
«Sì ma...».
«Perché non me lo hai detto subito? Andiamo a
cercarlo, Tom!».
L’uomo sospirò girando nervosamente per la stanza
«Uno, non abbiamo idea di
dove possa trovarsi; due, tu non vai proprio da nessuna
parte.».
Semir sbuffò, incenerendo l’ex collega con
un’occhiata «Io posso uscire di qui,
sto bene. Aiutami, dobbiamo trovarlo, dobbiamo fare
qualcosa.».
«Non ti daranno mai il consenso, lo sai. Sei troppo
debilitato, hai subito
un’importante operazione e...».
«Allora aiutami a fuggire.» ordinò il
turco con tono deciso.
«Fuggire? Ma Semir, cosa dici? Non posso aiutarti a fuggire!
E tu non puoi
muoverti da qua.».
«Sai una cosa, Tom? So benissimo quello che posso o non posso
fare, e tu sei
l’ultima persona che può decidere al posto mio.
Fai come vuoi, se non mi aiuti
proverò per conto mio... ma io
non
lascio da solo il mio collega.».
Le ultime parole dell’ispettore tagliarono l’aria
con la stessa potenza di una
lama affilata.
Tom abbassò lo sguardo con un sospiro «Credi che
farmi sentire in colpa perché
me ne sono andato possa convincermi a farti fuggire?».
«Tom... ti prego. Una volta avremmo fatto qualsiasi cosa
l’uno per l’altro, ti
ricordi? O hai già dimenticato? Ci saremmo fatti ammazzare
volentieri pur di
aiutarci, non è così? Ora io ti sto chiedendo
aiuto. Voglio solo salvare la
vita al mio collega, al mio migliore amico, e tu sei l’unica
persona che mi
possa davvero aiutare.».
L’uomo scosse appena il capo «È una
follia.».
Semir lanciò un’occhiata all’orologio
«Abbiamo ancora quasi trentasei ore di
tempo, Gehlen si farà vivo se vuole darci una
possibilità, no? Fuggiamo
stanotte.».
«Non sei nemmeno in grado di reggerti in piedi. Semir, ti
ricordo che un giorno
e mezzo fa tu eri sul punto di morire dissanguato.»
obiettò ancora Tom,
guardando negli occhi il suo ex collega.
«Sto bene... mi aiuterai tu e starò
attento.».
L’ex ispettore sospirò ancora e si diresse verso
l’uscita della stanza.
«Spero davvero di non pentirmene.».
Tre
ore dopo, 22.43.
«Shhh! Mapporca! Fai piano con quella sedia!»
sbottò Semir maledicendo l’uomo
che stava cercando di uscire dalla stanza trasportandolo sopra ad una
sedia a
rotelle.
«Questa cosa ha le ruote
mezze
andate, Semir!» replicò Tom, guardandosi intorno
circospetto e cominciando a
muoversi silenziosamente lungo il corridoio deserto.
«Si vede che non sei più sulle autostrade da otto
anni, non sei nemmeno in
grado di guidare una sedia a rotelle.».
Tom alzò gli occhi al cielo, ma il cuore gli si
riempì di gioia nel constatare
che forse l’amico aveva diminuito almeno un po’
l’ostilità iniziale nei suoi
confronti.
Lentamente, entrambi si diressero al buio verso l’ascensore,
pregando di non
incontrare nessun medico di turno. E furono fortunati, almeno per
quanto
riguardò la discesa al piano terra.
Una volta giunti in prossimità dell’uscita, la
faccenda si rivelò più
complicata del previsto. Alcuni medici giravano per il reparto, chi con
aria
professionale, chi con espressione assonnata, ma l’uscita
distava da loro una
decina di metri da percorrere interamente allo scoperto.
«Dimmi che hai un piano.» supplicò Semir
in un sussurro, benedicendo l’idea
dell’ex collega di trasportarlo sulla sedia a rotelle, dato
che già aveva
ripreso a girargli la testa.
«Ce la fai con la sedia ad arrivare fino all’uscita
senza dare troppo
nell’occhio?» domandò Tom in risposta.
Il turco annuì.
«Bene, allora io distraggo quei due medici nel
salone.».
«E come?».
L’uomo alzò le spalle
«Improvvisazione.».
Così dicendo, Tom si allontanò e
cominciò a parlare con i due medici, facendo
in modo che questi si voltassero dalla parte opposta rispetto
all’uscita.
Semir, non appena i due si furono girati, cominciò a girare
le ruote della
sedia in direzione dell’uscita e si nascose come meglio
poteva dietro ad una
colonna accanto alla porta scorrevole.
Sentì l’ex collega salutare e ringraziare i
medici, fingendo di aver sbagliato
reparto e scusandosi per l’orario inconsueto dicendo di
essere sconvolto, e
poco dopo avvertì la sua presenza accanto a sé.
«Okay.» fece Tom «La mia macchina
è parcheggiata qui fuori, lasciamo la sedia
qua, ce la fai ad alzarti?».
L’ispettore annuì e si alzo a fatica, trattenendo
a stento un grido di dolore.
Entrambi, lenti e silenziosi come felini, raggiunsero l’auto
di Tom e una colta
raggiunta vi salirono il più velocemente possibile.
Quindi partirono a tutto gas, lasciando un attonito medico che si era
accorto
di loro, immobile sul marciapiede, a guardare.
«Perfetto,
adesso cosa hai intenzione di fare?» domandò Tom
entrando in autostrada.
Semir guardò fuori dal finestrino tenendosi la spalla
dolorante «Non ho mai
detto di avere un piano.».
«Oh, fantastico.».
«Non l’ho nemmeno salutato...»
mormorò il turco con un sospiro.
«Sarebbe stato rischioso girare per l’ospedale
prima di scappare.» fece l’uomo
al volante tenendo lo sguardo fisso davanti a sé
«E comunque lo rivedrai,
tranquillo.».
«Vivo, spero.».
Tom aprì bocca per replicare, ma lo squillo del suo
cellulare posato sul sedile
posteriore dell’auto gli tolse il respiro.
Scusate,
ho saltato una settimana, ma eccomi qui!
Grazie
a chi continua a seguire e a
recensire, un bacione.
Sophie
:D