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Autore: Chambertin    25/05/2015    3 recensioni
● || What if? | Post!ACIII | Post!ACBlackFlag | Desmond Miles X Nuovo Personaggio | REVISIONE IN CORSO || ●
«Desmond, per piacere, almeno ascolta quello che abbiamo da dirti!»
«Ho detto no.» il ragazzo stava già per chiudere la porta anche se gli altri due cercavano ancora di parlare.
«Ti capiamo, ma-»
«Ecco, allora se mi capite giratevi e tornatevene da dove siete venuti!»
Il ragazzo inglese prese fuori dalla tasca una chiavetta USB bianca, Desmond aggrottò la fronte non capendo – o non volendo capire – cosa fosse, poi con un movimento di dita, l’altro, fece girare l’oggetto sul quale spiccava un simbolo triangolare interamente nero e il nome di quella società che sarebbe dovuta sparire dalla faccia della terra, per il bene di tutti.

[Questa fic fa parte della serie Assassin's Creed Genderswap © No al PLAGIO]
Genere: Avventura, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Desmond Miles, Nuovo personaggio, Rebecca Crane, Shaun Hastings
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: Genderswap'
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Attenzione¡
Il capitolo è decisamente molto lungo e benso di informazioni.
Non ho potuto dividerlo in due capitoli differenti!
Buona lettura 

 


 

ricordo 0.8 rivelazioni.

I.
 
Nel momento in cui qualcuno lo urtò, le valige che stava trascinando gli scivolarono dalle mani: «Ehi! Sta un po’ attenta!» gli aveva urlato, insieme a qualche imprecazione, ma lei era già lontana per sentirlo.
Stava raccogliendo quello che gli era caduto quando, nuovamente, due o tre persone lo spinsero, facendogli perdere l’equilibrio e così ritrovarsi con il naso attaccato alle mattonelle di marmo lucido dell’aeroporto.
«¡Maldición! Lo dirò a chi di dovere!»
La ragazza correva veloce, riusciva a schivare la maggior parte delle persone, ma a volte le si paravano davanti gruppi estremamente numerosi e l’unico modo per oltrepassarli era farsi strada spingendo i passanti, in questo modo avrebbe potuto rallentare anche i suoi inseguitori.
Si chiedeva cosa fosse andato storto, aveva seguito tutte le procedure alla lettera come gli era stato riferito, eppure si ritrovava a scappare ancora una volta da quelle persone.
Faceva il possibile perché il panico non le oscurasse la mente e si guardava intorno per cercare una via di fuga, ma quello che vedeva non erano altro che persone e valigie.
“persone e valigie…”. D’improvviso le si illuminarono gli occhi, perché non ci aveva pensato prima?
Girò bruscamente a sinistra verso i nastri trasportatori delle valigie, rallentando la sua corsa fino a camminare fra la gente. Prese un paio di occhiali dalla borsa e un cappellino nero dimenticato da chissà chi su un seggiolino in metallo e aspettò che la sua mimetizzazione avesse effetto.
Alcuni Agenti continuavano la loro folle corsa, mentre altri due si staccarono dal gruppo per controllare meglio la zona dove si era nascosta, ma loro non la vedevano. Era invisibile. Un sorriso le si disegnò sul volto quando questi persero le speranze e cominciarono ad allontanarsi, e automaticamente si portò la mano nella tasca dei pantaloni dove teneva quell’oggetto così importante da farle rischiare la vita, sospirando di sollievo, sentendolo ancora lì dove l’aveva lasciato.


 
 
«Desmond, per piacere, almeno ascolta quello che abbiamo da dirti!»
«Ho detto no.» il ragazzo stava già per chiudere la porta, anche se gli altri due cercavano ancora di parlare.
«Ti capiamo, ma-»
«Ecco, allora se mi capite giratevi e tornatevene da dove siete venuti!»
Il ragazzo inglese prese fuori dalla tasca una chiavetta USB bianca, Desmond aggrottò la fronte non capendo – o non volendo capire – cosa fosse, poi con un movimento di dita, l’altro, fece girare l’oggetto sul quale spiccava un simbolo triangolare interamente nero e il nome di quella società che sarebbe dovuta sparire dalla faccia della terra, per il bene di tutti.
«Chi ci ha dato questa ha bisogno del tuo aiuto, per favore, non fare l’egoista» Shaun con l’anulare si sistemò gli occhiali, aspettando la risposta.
Quella parola fece andare su tutte le furie Desmond, che senza preavviso chiuse la porta con tanta rabbia quanta frustrazione.
Rebecca rimase scioccata, non per la reazione di Desmond, ma quanto per l’uscita di Shaun. Ci fu qualche istante di silenzio, per cercare di capire quanto appena successo.
«Ma tu, sei cretino o cosa?» gli aveva chiesto spingendolo – in realtà aveva anche l’intenzione di fargli del male fisico, ma non ci sarebbe riuscita molto.
«L’ho solo provocato, vedrai, verrà da noi» Shaun era decisamente sicuro di sé, ma il rumore che proveniva da dentro casa sembrava non essere compatibile col suo pensiero.
 
Il tavolino vicino al divano ora era riverso a terra, così come quello che ci era appoggiato sopra.
Elena cercava di avvicinarsi al compagno, per farlo calmare, quantomeno, ma lui la allontanava ogni volta. “Forse – pensava – ha paura di farmi del male
«Des… ti prego…» diceva, ma poi scuoteva la testa, mesta, perché tutti i suoi tentativi non andavano a buon fine.
Rimase lì, ferma a guardarlo mentre si struggeva di rabbia, faceva avanti e indietro per il salotto, sembrava addirittura che ringhiasse e si portava le mani fra i capelli, come a voler contenere un dolore troppo grande; finalmente si sedette sul divano, coprendosi il viso. Solo a quel punto Elena gli si poté avvicinare, per sederglisi accanto. Desmond si lasciò coccolare da quelle braccia esili, e quasi gli venne da piangere per quello che era successo.
«Non avrei mai voluto coinvolgerti… ti prego, perdonami!» aveva la voce spezzata, ma non piangeva; Elena continuava a carezzargli i capelli, a stringerlo al suo petto, e quel profumo di fiori di ciliegio che emanava, riusciva a calmarlo un po’.
«Des… non so cosa sia successo in passato con quelle persone, e non so il perché tu abbia cambiato cognome, ma sicuramente l’hai fatto per una buona ragione, e se dici che quelle persone ti hanno fatto del male… beh, io ti credo.» Desmond alzò il volto per guardarla, lei posò le sue mani delicate sotto il suo mento e gli sorrise «Sei il mio compagno, io mi fido di te»
Adorava quella ragazza, come poteva non farlo? Dopo quelle parole poi! Le si avvicinò per baciarla, ma lei lo scostò. «Riposati…» gli aveva detto, alzandosi, camminando sinuosamente verso la cucina.
Là dentro, una volta chiusa la porta, Elena cominciò a piangere silenziosamente. Le parole che aveva detto a Desmond erano più che sincere, ma il dolore che le spezzava il cuore nel vederlo così sofferente era eccessivo. Avesse avuto un carattere più aggressivo, avrebbe cacciato quei due “presunti amici” a calci nel sedere – e l’immagine che gli venne in mente, la fece quasi sorridere – fino a farli scomparire dietro la collina oltre la strada.
Si era alzata per mettere a bollire un po’ d’acqua per farsi una tisana, sicuramente si sarebbe calmata: non poteva passare a Desmond anche la sua inquietudine, lui aveva già troppo a cui pensare.
Poi le vennero in mente tutti i litigi avvenuti a causa della sua insistenza per conoscere genitori e amici, e capiva perché avesse reagito sempre così male, e si sentiva ancora più in colpa.
Nascose il viso fra le braccia, e cominciò a singhiozzare in silenzio. Le sue spalle si alzavano e abbassavano in maniera irregolare, come irregolare era anche il suo respiro, trattenendosi, per paura che Desmond la potesse sentire, e questo non voleva assolutamente che accadesse.
La luce che entrava dalla finestra si era affievolita di colpo: delle nubi non troppo simpatiche avevano deciso che il sole dovesse sparire, ingrigendo la città, e gli animi dei due compagni.
Una volta scaricata l’intera frustrazione, Elena, preparò una seconda tazza per Desmond. Si asciugò i segni delle lacrime e preparò il suo sorriso più dolce, per uscire dalla cucina.
Desmond stava sdraiato sul divano, lo sguardo fisso verso la tv spenta, che guardava il proprio riflesso sullo schermo nero.
«Ti… ho portato questa, ti farà dormire» lui annuì, seguendola con lo sguardo «Vai a dormire, Elena, arrivo presto.»
 
 
La stanza dell’hotel era stata ripulita la mattina e appariva come se non ci fosse stato nessuno prima di quel momento.
Rebecca si lasciò cadere sul suo letto a peso morto, rimbalzando leggermente sul materasso. Il viaggio le aveva dato la possibilità di pensare a tutti gli insulti possibili e immaginabili da riferire a Shaun, ma nessuno di questi era minimamente all’altezza della situazione.
Si mordeva l’interno delle guance dal nervoso e lo sguardo passava da un punto all’altro del soffitto senza una ragione apparente.
«Dai, Rebecca… sappiamo entrambi com’è fatto Desmond!» le aveva detto Shaun dal microfono nel casco nero «ha bisogno di una motivazione per fare qualcosa!»
«Quindi offenderlo in quel modo ti è sembrato giusto?» gli aveva risposto, freddamente. Era estremamente arrabbiata, e ripensare a quella conversazione le fece rivoltare lo stomaco. Si girò verso la finestra, prendendo il cuscino per abbracciarlo. «Se non fosse stato per lui, nessuno di noi esisterebbe più. La Terra stessa non esisterebbe più!» aveva urlato troppo forte e nelle sue orecchie sentì ancora il riverbero del microfono «Rebecca, più piano! Ti ricordo che comunichiamo tramite microfono e cuffie, non c’è bisogno che urli in questo modo!» A quel punto Rebecca rimase in silenzio fino all’hotel.
Dal bagno si sentì il rumore dello sciacquone e subito dopo quello della chiave che scattava, ne uscì uno Shaun evidentemente soddisfatto, col giornale sotto braccio.
«Hai intenzione di rimanere offesa per il resto della tua vita?» chiese sedendosi sul suo letto, accendendo il tablet.
Rebecca si girò di scatto, alzandosi a sedere «Se la tua “strategia” non funziona e va tutto a rotoli, giuro che ti ammazzo» gli disse puntandogli il dito contro.
«Stai tranquilla, vedrai che funzionerà…»
La ragazza si alzò dal letto e si avvicinò alla grande finestra: aveva cominciato a piovere particolarmente forte, e le nuvole erano talmente scure e compatte da far sembrare il cielo notturno vuoto e senza stelle, come se non esistesse.
«Come farà a trovarci?» chiese Rebecca tornando a sedersi sul bordo del letto.
Proprio in quel momento una figura incappucciata e fradicia di pioggia entrò nella hall dell’albergo. Nonostante fosse una figura alquanto imponente, nessuno sembrò notarlo. Mosse qualche passo lento verso il centro della sala, spostandosi cautamente, ogni tanto sedendosi fra due persone che chiacchieravano allegramente su un divanetto; quando la receptionist si girò verso la parete delle chiavi, la figura si alzò e si diresse verso le scale, completamente inosservato.
Sul biglietto che aveva nella tasca della felpa, c’era scritto con una grafia elegante – che conosceva assai bene – l’indirizzo dell’hotel, il piano e la stanza verso la quale si stava dirigendo.
Camminava silenziosamente – qualcosa che credeva non saper più fare – sperando di non incontrare qualche signora addetta alle pulizie.
Si fermò davanti alla porta con inciso sopra lo stesso numero che c’era sul pezzo di carta. Stritolò quel bigliettino nel palmo fino a farlo diventare una pallina accartocciata, che lasciò cadere a terra quando portò in alto il pugno per bussare alla porta. Quando questa si aprì, il ragazzo dall’altra parte sorrideva compiaciuto.
«Che cosa sapete? Che cosa volete
Shaun si scostò dalla porta per farlo entrare, e appena la porta si richiuse automaticamente, il ragazzo si calò il cappuccio blu e prese per il colletto l’altro, sbattendolo contro l’anta dell’armadio.
«Puoi chiamarmi in qualunque modo, ma non egoista!» il fiato freddo di Desmond andava ad appannare le lenti rettangolari di Shaun, che però non sembrava sorpreso dalla reazione, a differenza di Rebecca che si avventò contro il ragazzo per fargli allentare la presa «Desmond, smettila!»
«Non hai il diritto di chiamarmi in quel modo! Ho sacrificato me stesso per salvare il mondo!»
«Hai fatto la tua scelta, dopotutto-» il pugno che lo colpì lo fece cadere verso sinistra, Rebecca quasi non urlò, ma ebbe la lucidità mentale di frapporsi tra i due per evitare qualcosa di peggio.
Rebecca aiutò Shaun a rialzarsi da terra, raccogliendo anche i suoi occhiali. Aveva il naso sanguinante e un labbro rotto.
Quando uscirono dal bagno, Shaun disse pacatamente «direi che ho afferrato il concetto».
Desmond si sedette sulla poltroncina all’angolo della stanza, vicino alla finestra, dopo essersi tolto la felpa bagnata.
Shaun aveva cominciato a raccattare, con l’aiuto di Rebecca, tutti i fogli pieni di codici e traduzioni, mettendoli vicino al computer portatile e il tablet sulla scrivania.
«Sapete qual è la cosa che non vi perdonerò mai?» cominciò a parlare Desmond dopo un periodo infinito di silenzio «non è tanto il fatto che per qualche ragione che conoscete solo voi, mi abbiate rimesso in mezzo a questa merda, no. È che lo avete fatto in presenza di Elena, e lei non sapeva nulla di tutto questo, e doveva continuare a non saperne nulla.» aveva tanta rabbia nella voce, che riusciva a soffocare a malapena.
«Certo, Desmond, lo sappiamo…» rispose Rebecca dispiaciuta «ma non avevamo altra scelta…»
«Spiegatemi, allora.»
Rebecca si sedette sul bordo del letto, mentre Shaun restava in silenzio aspettando il momento giusto per cominciare a parlare come un fiume in piena.
«Non avevamo la minima intenzione di ritirarti in mezzo a questa merda. Ma qualcuno ci ha costretti a farlo» porse a Desmond il tablet con aperta sullo schermo la mail di spam da dove era partito tutto «vedi, Desmond, quella non è una semplice mail, ha un allegato, un file .ABT, che io ho scoperto essere un file abstergo. E al suo interno? Codici, codici e ancora codici. E ancora una volta, siamo riusciti a decifrare il suo contenuto: è un Soggetto, come te, Desmond, ma molto più importante per il suo ruolo all’interno della società, e sai perché? Questo Soggetto Ignoto – non ci viene detto il suo nome, né tanto meno il suo numero – ti ha trovato
Desmond aggrottò le sopracciglia sorpreso «Aspetta… in che senso?»
«Oh, Desmond, il senso è molto semplice: quando sei stato preso dagli Agenti dell’Abstergo nel 2012, è stato grazie a questo Soggetto.»
«Quindi, mi stai dicendo che sono stato controllato da questa persona e che al momento giusto ha dato l’ordine per farmi rapire?»
«Immagino di sì, o comunque qualcosa di simile… in ogni caso, questo Soggetto Ignoto ha anche aggiunto la parola “AIUTO” nel file, di conseguenza ci viene da pensare che non l’abbia fatto di sua spontanea volontà…»
«Okay, ma continuo a chiedermi cosa c’entro io con questa storia? Anche se questa persona mi ha rintracciato, cosa c’entro con lei?»
A quel punto Shaun avvicinò la chiavetta USB bianca a Desmond «Perché probabilmente si sente vicina a te in qualche modo… Questa chiavetta ce l’ha fatta avere lei. È venuta qui a Granada, solo per noi, solo per te. E le risposte stanno tutte qui dentro.»
Desmond prese la chiavetta fra le mani, se la rigirò fra le dita, contemplando il bianco candore di quell’oggetto. Troppi ricordi gli annebbiarono la mente, quando quello stesso colore lo circondava interamente, insieme a sprazzi di rosso sangue sulle pareti.
«E perché non lo avete aperto?» chiese infine tornando a guardare Shaun.
«Devi farlo tu, Desmond, e se vuoi scoprire il perché dovrai venire con noi.»
Il ragazzo sospirò, lasciandosi cadere sullo schienale della poltroncina damascata «Io non lascio Elena per tornare ad avere quella vita…» non guardava negli occhi nessuno dei due, forse era più un pensiero detto ad alta voce più che un’affermazione rivolta ai due.
«Desmond, torna a casa, pensaci, dormici su, poi appena prenderai una decisione, ci farai sapere, va bene?» disse Rebecca che fino a quel momento aveva preferito restare in silenzio, senza interromperli. Posò una mano sulla spalla di Desmond.
Il ragazzo annuì, alzandosi e si diresse verso la porta, ancora frastornato da tutte quelle informazioni.

 
II.
 
Elena aprì gli occhi lentamente, indecisa se lasciarsi cullare dal suono della pioggia e tornare fra i suoi sogni, o restare nel mondo reale e caricarsi sulle spalle le responsabilità della giornata.
Il braccio di Desmond sui suoi fianchi la fece girare verso di lui: dormiva. E sembrava essere anche abbastanza tranquillo. Pensò a quando potesse essere salito in camera da letto, ma non le venne in mente nulla; probabilmente era così stanca e spossata da non essersene neanche accorta.
Richiuse gli occhi, rilassando le spalle, stringendosi nelle braccia di Desmond che mugugnò qualcosa nel dormiveglia.
Elena lo guardava. Ama perdersi in lui, ad osservare le sue ciglia nere e folte, contare ogni neo sulla sua pelle e sorridere quando ne trovava uno nuovo, sentire il suo cuore battere tranquillo nel suo petto, toccare la pelle delle sue mani, così ruvide ma così delicate, quando intrecciavano le dita.
Il bagliore nel cielo durò pochi istanti, ma Elena lo notò come se fosse durato minuti. Chiuse gli occhi e cominciò a contare a bassa voce. “Uno, due, tre, quattro, cinque…” Desmond sentendo quel bisbiglio, aprì gli occhi, e quando vide la compagna rannicchiata quasi sotto le coperte, d’istinto, la cinse in un abbraccio sicuro. “undici, dodi-” il tuono rimbombò cupo nella stanza, con un’eco sorda e grave.
«È lontano, Elena… non può farti del male» una volta che il riverbero scomparve del tutto, lo scroscio della pioggia riprese ad essere il rumore dominante… cick.
Un tintinnio però non familiare fece scattare Desmond, tirando su la testa, rizzando le orecchie.
Cick.
«Amore, che c’è?» cercò di chiedere Elena, ma Desmond le fece cenno di stare in silenzio, aggrottando la fronte per concentrarsi ancora di più. Cick.
Desmond si alzò dal letto in fretta, dirigendosi verso le scale, in silenzio e gradino dopo gradino si ritrovò nel salotto. Vuoto.
Cick cick.
Si voltò di scatto, verso la finestra dietro il divano: Fatkin giocava con la cordicella della zanzariera rimasta incastrata fra le imposte chiuse, e ogni volta che il gatto le toccava con le zampette ciccione sbatteva contro il muro.
Elena – che intanto non si sa come – era scesa senza fare nessun tipo di rumore, ridendo soavemente prese in braccio l’animale che protestò sonoramente.
Si erano rilassati entrambi, quando qualcuno rovesciò la porta di casa. Il rumore del legno massiccio contro il pavimento sovrastò per un momento l’urlo di Elena, Desmond contrasse ogni muscolo del proprio corpo mentre la nube di polvere si abbassava.
«Nasconditi!» urlò alla compagna, facendogli segno di andare dietro uno dei divani; lui invece si preparava a combattere.
Almeno cinque persone, vestite di nero, erano entrate in casa sua sfondando la porta e spaventando a morte la sua fidanzata: «Avanti, fatevi sotto!»
Gli sconosciuti si pararono di fronte al ragazzo e provarono a colpirlo. Uno caricò un pugno che lo colpì su un fianco, ma Desmond ebbe comunque la prontezza di parare i due colpi successivi che non andarono a buon fine, a differenza dei tre pugni ben assestati uno dopo l’altro che fecero barcollare lo sconosciuto indietro fino a farlo inciampare nei suoi stessi passi; il secondo e il terzo tentarono una serie di colpi combinati, ma ancora una volta Desmond si scostò lateralmente per evitare che lo colpissero, infine essendo i due molto vicini, mise le mani dietro la loro nuca e li spinse uno contro l’altro: entrambi si accasciarono a terra inermi.
Stava riprendendo fiato, pensando a cosa diavolo stesse succedendo, a chi fossero quelle persone, quando la voce strozzata di Elena lo riportò alla realtà: gli altri due sconosciuti – un uomo e una donna – stavano tentando di immobilizzarla, ma Desmond con uno scatto arrivò dietro la donna prendendola da dietro al colletto e sbattendole la fronte contro il muro, poi si abbassò e con un calcio fece cadere a terra l’ultimo uomo.
Desmond abbracciò forte Elena che piangeva a dirotto, più spaventata che mai; le prese il volto fra le mani e le baciò le tempie, cercava di dire qualcosa ma il terrore le annodava la gola impedendole di parlare.
L’uomo a terra rantolò qualcosa, Desmond gli si avvicinò, pestandogli il torace per evitare che trovasse la forza di rialzarsi.
«Chi diav-» stava per chiedergli chi fossero e cosa volessero, ma prima di finire la frase intravide tatuato sul polso il logo dell’Abstergo Industries.
Desmond arretrò convulsamente, cercando il braccio di Elena per poterla prendere e scappare via di lì, il più in fretta possibile.
«Demsond! Desmond!» la voce di Rebecca si fece sempre più vicina fino a quando non si fermò sul ciglio della porta scardinata. Rimase immobile, incredula a quello che vedeva: cinque Agenti agonizzanti riversi sul pavimento fra sangue e urina.
«Oh mio Dio, Desmond… state bene?!» chiese decidendosi ad entrare per aiutare Desmond a sorreggere Elena.
«Io sì, ma…»
«Non ti preoccupare, venite e andremo via!» Desmond non sapeva se dargli retta, troppe coincidenze da quando erano spuntati fuori di nuovo nella sua vita; Elena strinse la mano del compagno e fece un leggero cenno di assenso. A quel gesto, non ci pensò due volte: prese Elena in braccio di peso e la portò fuori in giardino, mentre Rebecca raccattava qualche vestito dal salotto rovesciato completamente sotto sopra; aveva preso un cappotto e un paio di pantaloni per Desmond quando vide il gatto dentro il suo trasportino, con gli occhi colmi di paura, come la sua padrona.
«Oh, signore…» Rebecca roteò gli occhi e prese anche quel gatto ciccione che non sarebbe sopravvissuto due giorni senza di loro.
Dall’alta parte della strada c’erano Shaun e le due moto che li aspettavano.
«Siamo arrivati tardi, ma Desmond li ha fatti fuori!» cominciò Rebecca, agganciando il trasportino al retro della sua moto «Tu prendi la ragazza, Desmond viene con me» parlava in fretta, e sembrava sapesse il fatto suo, e ancora più in fretta aiutò Elena a salire al posto del passeggero dietro Shaun e Desmond dietro di lei.
«Perfetto, tenetevi forte!» avvertì infine mettendosi il casco e porgendone altri ai due passeggeri.
 
Il viaggio durò qualche ora, inizialmente fu una corsa sfrenata fra curve e gallerie, poi man mano che si allontanavano dalla grande città di Granada, avevano rallentato fino a tenere una velocità moderata.
Desmond aveva lo stomaco contorto dalla frustrazione, dall’impotenza nel vedere Elena in quella tale condizione di shock… strinse i denti per evitare di stringere ancora più forte la giacca di pelle nera di Rebecca davanti a sé.
Quando svoltarono in direzione di un casello autostradale non fece neanche caso verso quale città stessero andando.
Erano in una cittadina rurale, piena di grano ai lati della strada e piccoli canaletti che scivolavano lungo le banchine dei sentieri. Rebecca faceva strada in un sentiero particolarmente stretto, fino a quando in lontananza, alla fine della strada, non si cominciò ad intravedere un capannone, che sembrava proprio la meta degli Assassini.
Una volta arrivati, Desmond scese in fretta incurante dei formicolii alle gambe, per fiondarsi da Elena, che però era già tata aiutata da Shaun.
Desmond l’abbracciò senza dire nulla, e lei ricambiò inspirando il suo odore, quel buon profumo che però adesso era macchiato dall’odore acre del sudore del viaggio.
«Perché siamo qui?» chiese infine, seguendo gli altri due verso la porta in lamiera dell’edificio.
«Perché qui è sicuro.» aveva risposto in tutta franchezza Shaun, che cercava di aprire un grosso lucchetto.
Una volta riuscito nel suo intento, la prima ad entrare fu Rebecca, la quale nel buio riuscì però a trovare il generatore che si accese con un rumore di ingranaggi poco rassicurante; le luci artificiali pendevano dal soffitto come campane e i fili lasciati esposti erano scuri di polvere. Desmond ed Elena si guardavano intorno come bambini in una casa nuova; si stringevano forte l’un l’altra, per sostenersi a vicenda, per sentire che erano lì, insieme, ed era la cosa più confortante del momento.
«Benvenuti, ragazzi, nel nostro nuovo Covo.»
Quel posto da fuori sembrava essere un edificio pericolante, un fienile – o una stalla - quasi da tirare giù a terra, ma dentro era sistemato in modo da usare i soppalchi come camere da letto e il piano terra come…
«Ehi, un momento, quello è…?» Desmond arretrò inquieto, indicando un visore in plastica rossa.
«Sì, Desmond: è l’Animus Pro 5, test Gamma.» rispose Rebecca compiaciuta della sensazione che quel suono le lasciava in bocca, posando la gabbietta del gatto su un tavolino di legno grezzo vicino a un paio di divanetti sgualciti.
«Nessuno qui mi aveva parlato di rientrare là dentro!» il ragazzo aveva cominciato ad alterarsi, il battito cardiaco accelerato.
Shaun gli si piazzò davanti a pochi centimetri dal viso, con aria minacciosa: «Sei qui, e avevamo detto che saresti stato tu a scoprire cosa vuole il Soggetto Ignoto, ricordi?»
Desmond non si lasciò intimidire dagli occhi gelidi dell’altro, ma anzi gli si avvicinò ancora di più, gonfiando il petto, senza dire niente però, perché in fondo non sapeva con cosa ribattere.
Elena era andata vicino al gatto che miagolava irrequieto, “povera bestia…” pensava Rebecca, vicino a lei, sorridendole amichevolmente.
Per l’ennesima volta Shaun indicò la chiavetta USB attaccata ad uno dei tre server. «Devi farlo, Desmond…» il tono del ragazzo si era ammorbidito, quasi rassegnato al fatto che Desmond avrebbe opposto resistenza fino allo strenuo.
Rebecca posò una mano sulla spalla di Elena, spronandola ad alzarsi, facendole cenno di allontanarsi, e lei – seppur a malincuore – accettò la silenziosa richiesta.
Desmond aveva tutto il corpo contratto, pronto a difendersi da qualunque cosa sarebbe successa di lì a poco.
Shaun gli si avventò contro, stringendolo, immobilizzandogli le braccia contro il corpo, spingendolo verso il divanetto e facendolo cadere all’indietro sul morbido. Desmond si divincolava, cercava di liberarsi dalla stretta, ma in un qualche modo strano non riusciva a farlo, e vedeva Elena di sottecchi con le braccia al petto, le mani davanti alla bocca per evitare di urlare. Non voleva farsi vedere in quelle condizioni, non l’aveva mai voluto…
Rebecca tentava di infilargli un ago nel braccio, ma la vena era difficile da trovare, e ogni volta sentiva una fitta di dolore, fino a quando – forse per fortuna – cominciò a sentire il liquido anestetizzante scorrergli lungo il braccio fino alle tempie.
«Vi prego… non… fatelo» aveva già gli occhi pesanti e i rumori gli arrivavano ovattati.
«Tranquilla Elena, vedrai, sembrerà addormentato»
Elena… no, Elena…
 
 
Quando ci vide di nuovo, era tutto bianco, o forse nero? Perché non entrambi? Distorsioni gli apparivano davanti allo sguardo e per istanti sembrava potesse zoomare la sua vista come un obiettivo di una macchina fotografica. Non sentiva più il suo corpo, perché non aveva più un corpo, era solo essenza in quel momento. La sua anima rinchiusa di nuovo dentro quella macchina infernale. Eppure c’era qualcosa che ancora sentiva del mondo esterno, parole forse? Voci? O magari il suo corpo che tremava in preda a convulsioni violente? Immaginava fosse esattamente tutto quello messo insieme. Le onde si macchiavano di blu e verde, e rosso, tutto cominciò a tremare, e in qualche modo sentiva una voce che urlava, un corpo che si contorceva. Il suo.
 
 
Rebecca cercava di capire come poter stabilizzare la macchina, ma quello che stava succedendo a Desmond non l’avevano messo in conto: l’Animus lo stava rigettando.
Il ragazzo urlava in preda agli spasmi, Shaun gli teneva due dita sotto al mento in modo tale da evitare che involontariamente si mordesse la lingua, mentre Elena cercava di tenerlo fermo, con una mano sulla spalla, l’altra sulla tempia.
Quando Desmond aprì gli occhi improvvisamente, stringeva i denti talmente forte da sentire dolore, e i muscoli erano così duri da non riuscire a muoversi, eppure tremava incontrollabilmente. Elena lo guardava, pronunciava piano il suo nome perché non sapeva che cosa poteva fare per aiutarlo a tornare da lei.
Il ragazzo teneva gli occhi fissi in quelli di Elena sopra di lui, ma non riusciva a parlare e la frustrazione saliva secondo dopo secondo.
Ti prego, perdonami…
Desmond sembrò sbloccarsi, ma fu solo la reazione del proprio corpo per evitare di morire soffocato dal proprio vomito; si sporse dal divanetto in preda ai conati, tossendo nel sentire il gusto acido che gli bruciava la gola e il palato.
Shaun e Rebecca restavano in silenzio, sentendosi in colpa per quanto accaduto; Elena invece aveva nascosto il viso fra le mani, poggiata sul bracciolo del divanetto, in ginocchio, per piangere.
Desmond sembrava riprendere fiato, respirando a bocca aperta cercando quanta più aria possibile. Se ne avesse avuto la forza avrebbe spaccato il mondo in quella stanza, comprese le teste dei due Assassini, ma la forza gli sarebbe servita a poco se non riusciva a vedere niente. Lì per lì non se ne era reso conto, preso com’era dall’evitare di morire, e aveva creduto di tenere ancora gli occhi chiusi, ma una volta fermato il tutto aveva capito che gli occhi ce li aveva ben aperti, ma l’unico colore che vedeva intorno a sé era il nero, e gli oggetti, le persone gli apparivano come ombre altrettante scure.
Si guardava intorno e cercava il perché di quella reazione, perché l’Occhio dell’Aquila si sarebbe dovuto attivare senza esserne consapevole e specialmente perché nessuno dei presenti fosse evidenziato in un qualche modo. Gli prese nuovamente il panico, alzandosi a sedere sul divano.
«Desmond? Ti senti bene?» chiese piano Rebecca, preoccupata.
«Per un cazzo che sto bene!» aveva risposto l'altro a denti stretti, fissando dritto avanti a sé, facendo il possibile per comandare al proprio cervello di disattivare l’abilità. Sentiva la testa scoppiare, sembrava che una marea di voci gli sussurrassero all’orecchio contemporaneamente, non capendo cosa gli dicevano; aveva ripreso a tremare, e l’unica cosa a cui riusciva a pensare era Elena, tanto da allungare la mano alla cieca per poter trovare la sua.
Quando Elena sentì il tocco del compagno sul suo polso alzò di scatto la testa, con gli occhi gonfi di lacrime e si spostò di fronte a lui, fiondandosi per abbracciarlo in preda ai singhiozzi.
Desmond notò che ogni volta che Elena lo richiamava, sembrava cambiare qualcosa in quel buio assoluto che aveva intorno; la prese per le spalle e immaginò di guardarla negli occhi: la sentiva piangere, le spalle che si muovevano irregolarmente, voleva poterla calmare, ma non sarebbero bastate tutte le parole confortanti di quel mondo per riuscire nell’intento.
La avvicinò a sé e la baciò con dolcezza, anche se dentro di lui il cuore gli scoppiava per la paura.
A quel punto capì cosa cambiava. L’unica persona che veramente poteva definirsi alleata in quella stanza era Elena, e lei acquisiva un colore con l’abilità: era blu.

 
Fine Sequenza Genetica >
 

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Ragzzuoli, ci siamo. Ho aspettato un mese prima di pubblicare questo capitolo ed è forse il capitolo che preferisco fra tutti quelli che ho scritto ora! La Sequenza Genetica Introduttiva è finita! Un po' lunghina lo so, ma non volevo separarla in due capitoli differenti, doveva stare tutto insieme, altrimenti non si sarebbe capito nulla, così ho deciso piuttosto di fare la divisione all'interno del capitolo stesso.
Finalmente si sono scoperte tutte le cose fondamentali per poter andare avanti nella lettura. 
So che la maga del computer è Rebecca, ma sono passati cinque anni da quando Demsond si è separato da loro, quindi Shaun può aver imparato da Rebecca come sfruttare internet e i suoi circuiti - e se ci pensate è Shaun che lascia il messaggio agli Iniziati sul loro sito, non Rebecca.
A proposito di Iniziati, molto probabilmente ci infilerò dentro anche loro, quindi se non conoscete gli eventi successi in Assassin's Creed Initiates, vi consiglio di andare sulla loro pagina wikipedia e leggere il database: "Sorveglianza". Lì ci sono tutte le informazioni necessarie per capire gli eventi delle pressime sequenze gentiche ambientate nel presente! 

Alla fine, riflettendoci, mi sono resa conto che solitamente le scene nel presente vengono classificate con le date dell'evento, ma pazienza... ormai ho cominciato così, non starò a cambiare tutti i titoli, magari dalle prossime sequenze per differenziare il presente dal passato, userò il metodo del videogioco, ma qui, amen, teniamocelo così :)
Vi aspetto a breve alla prissima sequenza genetica! 


Per eventuali domande o dubbi, non esitate a chiedere! Sotto ci sono i link al mio profilo ask o e alla mia pagina su facebook! 

Alla prossima, salute e pace!

 

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