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Autore: LeoValdez00    26/05/2015    4 recensioni
Post BoO (probabili spoiler anche dell' ultimo libro)
Nico è rimasto al Campo mezzosangue, la sua vita sta migliorando giorno dopo giorno anche con l' aiuto di quelli che ormai considera amici.
Ma il Tartaro è impossibile da ignorare, ricordi e incubi possono farlo piombare nuovamente nell' oscurità.
***
"Non c'è nulla di sicuro nel Tartaro... Tu sei già morto..." sussurrò una voce, le parole gelide che si insinuavano lentamente quasi sotto la pallida pelle, ormai scorticata, del figlio degli Inferi"
***
"Non volevo dire questo" rispose Annabeth sostenendo il suo sguardo.
"E allora cosa volevi dire?" continuò lui guardandola freddo.
"Che sei molto più forte di quanto gli altri pensino"
***
“Io devo capire. Non è un’opzione, io devo capire per sapere perché stai male. Sono il tuo medico, Di Angelo, e mi vanto anche di essere tuo amico, perciò impegnati a spiegarmi”
***
(Annabeth/Nico Friendship!) (Solangelo *-*) (4332 parole)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Will Solace
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nico aveva mantenuto la promessa fatta al figlio di Apollo.
Era rimasto.
Il Campo Mezzosangue stava iniziando a rappresentare per lui il vero concetto di casa, una sensazione che non osava più nemmeno sperare di provare.
Il figlio di Ade non era certo diventato allegro e solare, ma iniziava a parlare con sempre più semidei e questi non gli parlavano con disprezzo o paura, come invece lui temeva, ma con solo quieta curiosità.
Parlava con dei ragazzi che lo trattavano come proprio pari.
Ora quasi non riusciva più a stare solo, tra Jason che lo incitava a partecipare a più iniziative possibili, Piper che cercava di capire se avesse la giusta fisionomia per poter sorridere e Will che se lo trascinava dietro per tutta la giornata.
Nico accennò un minimo sorriso (quasi pensando alla povera Pip che se lo era perso), guardando la luna riflessa sull'acqua del lago.
In alcuni momenti, però, il figlio di Ade doveva rimanere solo.
Gli serviva pensare, capire, concentrarsi.
Ma più di ogni cosa, gli serviva cercare di dimenticare.
Il ragazzo infine chiuse gli occhi, appoggiando la schiena all'albero dietro di sé, sperando che la driade non se la prendesse.
Inspirò profondamente, una due tre volte.
Gli serviva calma per rievocare quei ricordi senza cedere ad un attacco di panico.
Gli serviva calma per non impazzire nel riviverli.
***
Nico credeva di essere preparato a cosa si sarebbe trovato davanti.
Credeva di sapere cosa fosse il Tartaro.
Ma tutte le sue certezze svanirono di fronte all'immensitá e alla malvagità di quel luogo.
Si sentiva debole, inutile, sacrificabile, molto più di quanto già non si sentisse al di fuori di quell'inferno.
Ma questa volta non poteva arrendersi.
Doveva trovare le porte della Morte, ad ogni costo.

***
Bere dal Flegetonte era una tortura, la gola che ardeva in cerca di cibo e in cerca di acqua veniva ricompensata con del vero fuoco liquido, che non alleviava la fame o la sete, solo permetteva di sopravvivere ancora un altra ora all'interno del Tartaro.
Costeggiava il fiume infuocato, guidato dal proprio spirito da figlio degli Inferi verso le Porte, unica arma su cui potesse contare davvero.
Voci.
Non dovevano esserci voci in quel luogo, voci che non fossero di mostri o Titani.
Nico era debole, faticava a camminare, ma doveva capire da dove provenissero, qualcosa all'interno della sua anima lo spingeva a capire chi fossero.
Bevve un ultimo lungo sorso di fuoco, che gli costò quel briciolo di forza che gli era rimasta, ma che gli permise di allontanarsi, fino all'altro fiume, causa di quelle voci.
Il figlio di Ade non sapeva che fiume potesse essere, non sembrava che avesse qualcosa di particolare, era come tanti altri fiumi neri degli Inferi.
La sete lo stava uccidendo, anche se non letteralmente parlando, e Nico avrebbe fatto qualunque cosa per dell'acqua, in quel momento anche lo strano fiume aveva un aspetto invitante.
Il ragazzo si abbassò di scatto sulle ginocchia, forzando i propri pochi muscoli, giá molto provati, preso da qualche sorta di pazzia scaturita da quella lunga tortura alla quale si era volontariamente posto, e allungò una mano tremante verso quelle acque scure che ora lo attiravano più che intimorirlo.
Fermò la mano appena sopra la superficie dell'acqua, cercando di pensare, di capire se fosse davvero sicuro.
"Non c'è nulla di sicuro nel Tartaro... Tu sei già morto..." sussurrò una voce, le parole gelide che si insinuavano lentamente quasi sotto la pallida pelle, ormai scorticata, del figlio degli Inferi.
Il cuore del ragazzo batteva forte nella cassa toracica, sentiva ogni battito arrivargli fino alla punta delle dita.
Aveva paura. E Nico non doveva cedere alla paura. Non lì dentro.
Ma cosa aveva fatto credere al figlio di Ade di poter attraversare quel luogo?
Come aveva solo potuto pensare nella riuscita di quella impossibile impresa?
E quello sarebbe stato solo l'inizio, perché nemmeno era arrivato alla parte peggiore.
Presto i suoi pensieri si mescolarono alle voci del fiume, che ripetevano incessantemente l'assurdità del compito cui era stato sottoposto.
Nico di Angelo non sarebbe mai riuscito ad attraversare il Tartaro.
La mano del ragazzo si abbassò quasi priva di volontà, e la pelle andò a contatto con quell'acqua scura che tanto lo intrigava e lo tentava.
Le voci, se prima sussurrate, penetrarono a forza nella sua testa, in un coro di urla raccapriccianti.
"Morirai! Questo non è luogo per semidei, il Tartaro è dimora di ogni mostro, gigante o Titano, tu non puoi sopravvivere!"
Nico si ritirò di scatto dall'acqua e rimase inginocchiato a terra prendendosi la testa fra le mani.
Voleva urlare il suo dolore, ma la parte razionale del suo cervello ancora glielo impediva, non poteva farsi individuare da qualcuno.
Le voci continuarono, anche se non toccava più quel fiume.
Urlavano, lo insultavano, lo disprezzavano.
Perché Nico di Angelo non sarebbe mai riuscito ad attraversare il Tartaro, ripetevano.
E il ragazzo ci credeva.
Iniziava a pensare che non ci fosse più speranza, che la sua impresa fosse solo una condanna a morte, che tutto ciò che aveva sacrificato, come se avesse avuto qualcosa da sacrificare, fosse stato vano.
"Smettila di lottare! Non otterrai nulla, morirai! E per cosa? Per delle persone per le quali non conti nulla!" sbraitava una voce, fastidiosamente simile a quella del padre.
Nico premeva forte le mani sulla propria testa, come se questo potesse far cessare le voci.
"Basta... basta..." singhiozzava, rannicchiato, quasi iniziando a prendere coscienza di tutte le ferite che aveva già subito da quando era arrivato.
Ma le voci continuavano incessantemente e il ragazzo si contorse dal dolore fisico che queste gli facevano provare, mentre la sua anima e la sua volontà venivano fatte a pezzi da quelle che Nico iniziava a pensare come assolute verità.

***
Cocito.
Nico odiava quando la propria memoria riportava in ritardo di qualche ora la risposta alle proprie domande.
Quel fiume si chiamava Cocito.
Il figlio di Ade non sapeva come fosse riuscito ad allontanarsi, quando la voglia di tuffarsi e annegare fra quei flutti scuri era diventata inarrestabile.
Ma lo aveva fatto, aveva lottato, non aveva rinunciato.
A carponi, con ancora quelle voci che gli risuonavano nella testa, ogni muscolo dolorante, aveva raggiungo il Flegetonte che aveva spazzato via quella che Nico considerava la peggior maledizione che gli avessero mai inflitto.
Il fuoco forse aveva alleviato il suo dolore fisico, ma non poteva fare nulla per la sua anima spezzata.
Allora rimaneva lì, sul bordo del fiume infuocato, lo sguardo perso nel vuoto, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse ricostituire il proprio spirito.

***
Nico non si aspettava di trovare alberi, all'interno del Tartaro.
Si fece strada fra i tronchi, tenendo la propria spada di ferro dello Stige già in posizione difensiva.
Sentiva di tanto in tanto qualche battito d'ali, ma troppo lontano per poterne individuare la causa.
Il ragazzo iniziava a vedere la fine di quella strana foresta, quando un fruscio alle sue spalle lo fece voltare di scatto.
Un demone, dalla pelle raggrinzita di un grigio polvere e l'espressione arcigna, con due grandi ali che sfumavano in un viola intenso, gli occhi rosso sangue.
"Arai"
Forse la sua memoria non era da buttar via.
Altri due demoni atterrarono affianco alla prima arae e lo fissarono.
"Noi siamo le maledizioni"
"Chiunque ti abbia maledetto in vita"
"Noi faremo avverare il suo desiderio" dissero a canone.
"E tu perirai, semidio" finirono insieme, la voce gracchiante e gelida.
Ma Nico non aveva paura.
Il Cocito era stata la sua tortura più grande, credeva che avesse consumato tutto ciò di umano che c'era ancora in lui.
Lo aveva distrutto, rendendolo più forte.
Il ragazzo impugnò con forza la spada e si lanciò sul primo demone tranciandole di scatto la testa, i resti che si disfacevano in polvere dorata.
Per qualche secondo, rimase in attesa della maledizione che gli sarebbe valsa quel gesto.
Si stava quasi ricredendo, non sentiva nulla di diverso, ma il ghigno delle altre due demoni non prometteva una vittoria indolore al figlio di Ade.
Tenne la spada alzata, vedendo qualcosa che attraversava la foresta, ma non sembrava un demone.
Prima di ogni altra cosa, nella penombra, vide quegli occhi verde mare, che potevano essere solo di una persona.
Percy stava camminando tranquillo, come se non si accorgesse delle altre due demoni, che sembravano non voler attaccare per godersi la scena.
Aveva quel solito sorrisetto stupido sulle labbra e quella camminata tranquilla, tenendo le mani in tasca.
"Hey Nico" disse il ragazzo più grande sorridendo al figlio di Ade, rimasto paralizzato una volta abbassata la spada.
"Percy" sussurrò con un filo di voce, il cuore che batteva all'impazzata.
Il sorriso del figlio di Poseidone raggiunse anche i suoi occhi e si avvicinò di più.
"Nico ti fidi di me?" continuò come se nulla fosse.
La parte razionale del cervello del ragazzo stava lottando per mantenere la concentrazione, per continuare a pensare a quanto fosse irreale quella situazione.
"Percy cosa ci fai qui?" mormorò e strinse con maggior forza la spada, tenendola comunque a riposo.
"Qui dove? Siamo al Campo, Nico, dove altro dovrei essere?" rispose il maggiore con un sorriso divertito.
"Ma cosa..." il figlio degli Inferi si guardò attorno e vide la Casa Grande davanti a sé.
Poco più in là le capanne, anche la cabina 13, e ancora oltre le stalle dei pegasi e il bosco.
La spada cadde sull'erba con un tonfo attutito.
Nico non riusciva a pensare.
Cosa stava succedendo poco prima?
Lui... lui non era al campo... lui era...
Non ricordava.
Non ricordava più nulla dopo aver visto Percy.
Il figlio di Poseidone gli mise amichevolmente una mano sulla spalla e gli sorrise.
"Allora Nico... Ti fidi di me?" chiese, come se la risposta fosse la più ovvia del mondo.
"I-Io... Certo che mi fido di te..." rispose senza capire, con solo un brutto presentimento, senza riuscire a ricordare.
Percy continuava a sorridere, ma il suo sorriso era troppo largo, gli occhi brillavano, ma non come al solito, scintillavano di cattiveria.
La sua bocca si aprì in un ghigno, i denti diventarono appuntiti e gli occhi cambiarono colore fino ad un rosso sangue.
Nico trattenne a stento un urlo allontanandosi di scatto e cercando la spada.
"Ti fidi di me" continuò con voce gracchiante, gli occhi sanguigni fissi su di lui e il ghigno sempre più ampio.
"P-Percy..." mormorò Nico tenendo in mano l'arma.
"Ma io ho tradito la tua fiducia, piccolo figlio di Ade, come tu hai tradito la mia!"
Nico sentì come una coltellata dritta al petto, esattamente all'altezza del cuore.
La maledizione... quella era la maledizione di Percy...
Quando, durante la guerra contro Crono, lo aveva ingannato e imprigionato portandolo davanti ad Ade, il figlio di Poseidone doveva averlo maledetto.
Poco importava se alla fine lo avesse aiutato...
Il figlio degli Inferi tornò improvvisamente alla realtà, intorno a sé ancora la foresta del Tartaro.
Il nuovo Percy si avvicinava e tirò fuori vortice per attaccarlo.
Nico riuscì a rispondere al primo colpo solo perché l’ altro ragazzo era trasformato, altrimenti non ne avrebbe mai avuto il coraggio.
Puntò allo stomaco con tutta la propria forza, ripetendosi che lui non era davvero il figlio di Poseidone, e un secondo prima che la lama trafiggesse la carne, Percy lo guardò.
Gli occhi verde mare feriti, delusi, il solito viso che negli anni lo aveva fatto impazzire, ma a cui teneva quasi più della sua stessa vita.
E il sangue prese a sgorgare dalla ferita, mentre il corpo esanime del figlio di Poseidone cadeva a terra con un tonfo.
Nico si inginocchiò, quasi altrettanto privo di forze, grandi lacrime che senza il suo permesso gli solcavano il viso.
"Percy!" urlò con tutto il fiato che aveva, appoggiando le mani sulle sue spalle e scuotendolo piano.
Ma i suoi occhi erano vitrei.
Il figlio degli Inferi non riuscì nemmeno a realizzare prima che un'altra arae lo attaccasse alle spalle.
Si salvò solo per istinto, roteando la spada e infilzando il demone dritto al cuore.
Non gli importava di altre maledizioni, non gli importava nulla.
Niente che non fosse il corpo riverso a terra di Percy.
Voltò nuovamente il viso verso di lui, ma era sparito, al suo posto solo polvere dorata.
Nico riprese a piangere, prendendosi la testa fra le mani rimanendo in ginocchio.
No, Percy non poteva essere morto. Lui non poteva averlo ucciso. Lui era con Annabeth in quel momento, lui era vivo, lui non era lì.
Cercava disperatamente di riuscire a pensare, a calmarsi, quando una lama gelida lo trafisse da parte a parte.
Rimase immobile boccheggiando, appoggiando solo un braccio a terra cercando di non cadere.
Il dolore era straziante, ma familiare.
Era il dolore che infliggeva la sua stessa spada, questa doveva essere la maledizione di tutti i mostri che aveva affrontato.
Appoggiò lentamente la mano dove doveva esserci la lama ma sentì solo il proprio sangue caldo e viscoso, mentre la coscienza lo stava abbandonando.
Gli rimase solo un brandello di lucidità per prendere dalla tasca l'ultimo pezzo di ambrosia, che forse lo avrebbe fatto sopravvivere.
Si sentì meglio non appena ingoiò quell'ultimo quadretto, ma era debole, troppo debole sia fisicamente che mentalmente.
La terza arae si godeva lo spettacolo, avvicinandosi lentamente, gli artigli sguainati e un ghigno decisamente troppo simile a quello di Percy poco prima.
Fu solo la disperazione a muovere Nico, fu solo quella a permettergli di alzare la spada per proteggersi, fu solo quella che lo spinse ad uccidere l'ultima delle Arai.
L'ultima maledizione.
Il demone non si dissolse come gli altri, si limitò a cambiare forma, trasformandosi nell'ultima persona che il figlio degli Inferi avrebbe voluto vedere in quel momento.
Ade si stagliava di fronte a lui, in tutta la sua imponenza, lo sguardo freddo e calcolatore, la pelle diafana e gli occhi di tenebra.
Nico arretrò di qualche passo, con fare malfermo, il dolore ancora impresso nel suo corpo e nella sua mente.
Ma il dio sembrava non vederlo, era come se stesse cercando qualcuno, il suo sguardo vagava oltre il ragazzo, che rimaneva immobile aspettando.
"Bianca" disse infine Ade sorridendo, avanzando di qualche passo.
Di fianco a Nico apparve una ragazzina.
Il figlio degli Inferi voltò la testa di scatto e la vide.
Bianca era esattamente come la ricordava quell'ultimo giorno in cui l'aveva vista in vita, tanto simile a lui quanto profondamente diversa.
A Nico sembrò di morire.
Perché Bianca non era lì, lei aveva deciso di reincarnarsi, ormai non c'era più, era diventata solo un ricordo.
Ma la ragazzina sembrava viva, molto più viva di lui.
Lei però non lo stava guardando, guardava il padre dritto davanti a sé con un gran sorriso, ignorando il fratello che stava cercando le forze per parlare, per fare qualunque cosa.
"Ciao Papà"
La sua voce... Nico credeva che non avrebbe mai più potuto sentirla, ma era la sua, ne era certo.
Papà? Da quando Bianca chiamava Ade così? Da quando Ade sorrideva? Perché lei non lo stava nemmeno guardando?
La ragazzina si avvicinò al Dio che la coinvolse in un abbraccio.
"N-Non è possibile" mormorò Nico, ma si avvicinò lentamente, quasi come se muovendosi bruscamente sarebbero scomparsi tutti e due.
Il figlio degli Inferi allungò una mano per toccare la spalla di Bianca, per farsi notare, perché lei non doveva abbracciare così Ade, doveva farlo con suo fratello.
La mano scivolò attraverso l'immagine della ragazzina, come un ologramma, mentre Nico sentiva dolorosamente ogni battito del proprio cuore.
"Bianca..." mormorò, gli occhi che tornavano a farsi lucidi, ma la ragazza non lo sentiva, o forse non voleva sentirlo.
Voltò allora lo sguardo sul Dio, mentre sembrava quasi che l'ambrosia non facesse più effetto.
Sentiva di nuovo il sangue sgorgare lentamente all'altezza della ferita e, prima che se ne potesse accorgere, era accasciato al suolo, quasi privo di forze.
"Tua sorella avrebbe fatto un lavoro migliore" gli aveva detto Ade anni prima "Vorrei che fossi morto tu al posto suo"
Nico sentiva la testa girare, tenere gli occhi aperti sembrava un impresa impossibile e sentiva quel familiare freddo che preannunciava una morte.
Ma questa era la sua morte.
E l'ultima immagine che avrebbe avuto della propria breve vita sarebbe stata la persona che amava di più al mondo mentre abbracciava il proprio assassino.

***
Nico aveva scoperto che i viaggi ombra funzionavano meglio nel Tartaro.
Ed era solo grazie a questo che riuscì a salvarsi e ad arrivare al Flegetonte.
Quasi non riusciva a muoversi, ma lui doveva sopravvivere.
Per una volta, la sua riuscita era fondamentale per qualcosa.
Allungò una mano tremante verso il fuoco e bevve avidamente, sentì le proprie forze prosciugarsi, non riusciva a gridare il proprio dolore, ma la ferita al petto si stava rimarginando e la vista sembrava meno appannata.
Dopo quella che gli parve un'eternità, alzò lentamente lo sguardo e vide la grande pianura.
E le Porte della Morte.

***
"N-Nico?"
Una voce familiare, ma stranamente tremante, lo riportò alla realtà.
Spalancò gli occhi di scatto, le pupille dilatate dalla paura come se non fosse ancora riuscito ad uscire dai propri ricordi.
"Annabeth?" mormorò il ragazzo asciugandosi frettolosamente una lacrima, quando riconobbe la figura della figlia di Atena poco distante da lui.
La ragazza finse di non notarlo e si avvicinò sedendosi accanto a lui.
Rimase in silenzio appoggiandosi anche lei all'albero e strinse le ginocchia al petto, cercando di respirare regolarmente.
"Cosa ci fai qui?" chiese Nico, guardandola con la coda dell'occhio.
"Ti cercavo" mormorò lei in risposta, lo sguardo dritto davanti a sé.
"E non potevi aspettare domattina?" riprese il figlio di Ade quasi seccato.
"Ho fatto un incubo" sussurrò la ragazza, talmente piano che Nico credette di non aver capito.
Ma lo sguardo vuoto di Annabeth era una risposta ben più che eloquente.
"Perché non hai svegliato Percy?" chiese allora lui, con il tono di voce meno duro.
"Perché volevo parlare con te"
Il ragazzo sospirò appoggiando la testa all'albero.
"Come hai fatto? Nico come hai fatto a sopravvivere da solo?" sussurrò Annabeth stringendo piano i pugni.
"Non lo so. Ma un figlio di Ade ha più possibilità. E dovevo per forza trovare le Porte" rispose atono.
"Io e Percy dovevamo darci sostegno l'un l'altra ogni singolo istante... abbiamo rischiato di abbandonare ed eravamo in due, cercando sempre di aiutarci a vicenda... non riesco a capire come tu possa essere sopravvissuto" mormoró la ragazza, evidentemente a disagio nel parlare del Tartaro.
"Anche se sei una figlia di Atena non puoi capire sempre tutto. Nemmeno io lo capisco, e ci sono passato" continuò cercando di mantenere la voce ferma.
"Hai gli incubi?" mormorò Annabeth dopo qualche secondo di cupo silenzio.
"Ogni notte" rispose immediatamente, quasi come se la sua voce avesse volontà propria.
La ragazza si voltò piano verso di lui con espressione stupita.
"Che c'è? Credevi che visto che l'ho superato da solo, non mi avesse fatto del male? Credevi che, non avendo nulla da perdere, non ne sarei rimasto segnato come voi?" chiese abbozzando quello che doveva essere un sorriso di scherno, che somigliava però di più ad una smorfia di dolore.
"Non volevo dire questo" rispose Annabeth sostenendo il suo sguardo.
"E allora cosa volevi dire?" continuò lui guardandola freddo.
"Che sei molto più forte di quanto gli altri pensino"
Nico distolse lo sguardo, facendo calare un silenzio irreale.
"Qual'è stata la parte peggiore?" mormorò il figlio di Ade dopo quella che ad entrambi parve un'eternità.
"Arai" sussurrò lei, quasi intimorita fin dal loro nome.
Il ragazzo annuì appena.
"Nico?" continuò la figlia di Atena, con voce quasi esitante.
"Si?" chiese guardandola aggrottando le sopracciglia.
"Se... se vuoi parlarne... anche quando hai gli incubi... beh io ci sono" rispose senza guardarlo in viso, per poi alzarsi.
Il ragazzo la seguì con lo sguardo.
"Vado da Percy, vuoi che ti accompagni in cabina?"
"No, rimango qui ancora un po'... Grazie Annabeth”
***
Nico si muoveva a scatti, i muscoli contratti, il viso in una smorfia.
Era rannicchiato a terra, ancora vicino all’ albero, gli occhi costantemente chiusi nel sonno e nella testa una voce.
Perirai semidio… noi siamo le maledizioni
Percy, il suo sorriso tramutato in ghigno, il suo corpo senza vita.
E poi il dolore, freddo, acuto, insopportabile.
E Bianca.
“Nico!”
Il ragazzo spalancò gli occhi di scatto al suono di quella voce al di fuori del sogno e si mise seduto in fretta, una mano sull’ elsa della spada in posizione difensiva.
Will era inginocchiato davanti a lui con espressione preoccupata e lo guardava negli occhi, che il ragazzo sapeva avere rossi di pianto.
“Sto bene” mormorò Nico cercando di regolarizzare il respiro, senza incrociare il suo sguardo.
“No non è vero, vieni che ti porto in infermeria” replicò il figlio di Apollo in un tono che non ammetteva obiezioni.
“Scordatelo Solace… sto bene” ripeté Nico senza accennare ad alzarsi.
Will sospirò scuotendo la testa e si sedette affianco a lui.
“Un incubo?” chiese il ragazzo, ormai trasformato in medico data la situazione.
“Che altro se no?” rispose il figlio di Ade con un sorriso ironico, il cuore che non voleva accennare a diminuire i battiti.
“Nico, perché non mi vuoi dire cosa sogni?” continuò il figlio di Apollo voltando il viso per guardarlo.
“Lo sai perfettamente”
“So che sogni il Tartaro, ma non so cosa del Tartaro. Visto che non sono mai stato nel Tartaro”
Il figlio degli Inferi strinse piano i pugni per quel nome.
Will gli aveva detto che avrebbe continuato a ripetere quella dannata parola finché Nico non fosse riuscito a superarla.
Quindi per sempre.
“Già, non ci sei mai stato, perciò non provare a voler capire” sibilò freddamente.
“Io devo capire. Non è un’opzione, io devo capire per sapere perché stai male. Sono il tuo medico, Di Angelo, e mi vanto anche di essere tuo amico, perciò impegnati a spiegarmi” replicò nuovamente il figlio di Apollo con tono deciso.
Il figlio di Ade sospirò nervoso.
“Arai. Ora sei contento Solace?” mormorò dopo qualche istante di silenzio.
“Decisamente”
***
Ancora ancora ancora…
Il fuoco, le voci, le maledizioni.
Nico si agitava nel letto, spostando malamente le coperte nel sonno.
Percy, Bianca, dolore.
Il figlio di Ade gridò contorcendosi, senza nemmeno riuscire a svegliarsi, come se fosse imprigionato nel proprio incubo.
Dopo poco, la porta della cabina tredici fu aperta dall’ esterno e un ragazzo entrò velocemente richiudendosela in silenzioalle spalle, avvicinandosi al letto e sedendosi sul bordo.
“Nico…” mormorò appoggiandogli una mano sulla spalla “Nico svegliati, è solo un sogno”
Il figlio degli Inferi però non lo sentiva e si raggomitolò su se stesso, mentre alcune lacrime iniziavano a bagnargli il viso.
“Shh Nico non è niente…  sei al campo, ora sei al sicuro” continuò il ragazzo, stendendosi affianco a lui e prendendogli il viso fra le mani.
“Nico svegliati ti prego”
Il figlio di Ade all’ improvviso si fermò, senza smettere di piangere, senza aprire gli occhi, cercando inutilmente di calmare il respiro.
“Ora va tutto bene…” mormorò il ragazzo “Guardami”
Allora aprì piano gli occhi neri lucidi, il respiro ancora pesante, e fissò il suo sguardo in quello preoccupato di Will.
“Sei al sicuro, ora niente potrà farti del male” sussurrò il figlio di Apollo accarezzandogli distrattamente la guancia.
Nico non rispose, si limitò ad annuire appena, nascondendo poi il viso nel petto del ragazzo, che lo strinse forte a sé in un abbraccio protettivo.
Il figlio degli Inferi strinse in un pugno l’ orlo della maglia di Will e si avvicinò maggiormente a lui, chiudendo di nuovo gli occhi, approfittando del calore dato da quella vicinanza.
Il figlio di Apollo accennò un sorriso e lo strinse fra le braccia.
“Va tutto bene” ripeté in un sussurro, lasciandogli un bacio leggero sui capelli corvini.
***
Nico si era addormentato nuovamente, abbracciato a Will che lo stringeva a sé con aria protettiva.
Non aveva fatto incubi, per la prima volta dopo il Tartaro.
Aveva sognato, aveva sognato il figlio di Apollo, ma delle Arai nessuna traccia.
Quando finalmente aprì gli occhi, Will era già sveglio e gli accarezzava distrattamente la schiena, convinto che l’ altro stesse ancora dormendo.
Il figlio di Ade si irrigidì istintivamente nella sua stretta, ma non si spostò.
“Solace” mormorò con la voce impastata dal lungo sonno.
L’ altro ragazzo si fermò imbarazzato e spostò la mano.
“Buongiorno Death Boy” sussurrò accennando un sorriso.
Nico mormorò qualcosa e si tolse le coperte di dosso, liberandosi anche dalla stretta del più grande che lo seguì con lo sguardo.
Il figlio degli Inferi sbadigliò per poi voltarsi verso Will.
“Grazie” disse a bassa voce stropicciandosi gli occhi.
Il figlio di Apollo sorrise intenerito e si alzò con calma.
“Di nulla, Nico… Hai dormito bene?” chiese stiracchiandosi.
Il ragazzo annuì abbassando lo sguardo e si alzò riprendendo a sbadigliare.
“Perché sei rimasto?” mormorò dopo qualche secondo dopo, prendendo del succo di melograno dal minifrigo.
“Perché non mi sembrava stessi avendo incubi. Magari ti serve che ci sia qualcuno insieme a te, per non farti sentire solo” rispose guardandolo, tornandosi a sedere sul letto.
“Si certo… e chi obbligo a dormire qua? Mortisia Addams?” riprese Nico ironico accennando alle pareti scure e all’ ambiente tetro della cabina.
“Ci sto io se vuoi”
***
Annabeth non riusciva a dormire, gli incubi la tormentavano e non trovava nessun modo per affrontarli.
Uscì dalla propria cabina, diretta a quella del figlio di Ade, con il quale magari avrebbe potuto parlare finché la notte non fosse finita.
Stava per bussare, ma notò la porta semi aperta ed entrò in silenzio.
“Buonanotte Nico”
“Mhf… notte Solace… sappi di essere in subaffitto abusivo…”
La figlia di Atena sentì solo quello che il suo cervello riuscì ad attribuire al suono di un bacio.
“Rimani in subaffitto abusivo”
Sentì Solace scoppiare a ridere, una risata che venne zittita da un altro bacio.
Annabeth iniziava a sentirsi decisamente di troppo, uscì lentamente dalla cabina 13 senza farsi notare e continuò a camminare.
Ma invece di fermarsi alla cabina di Atena, proseguì fino alla casa 3.
“Grazie Di Angelo” mormorò fra sé e sé prima di bussare.



#AngoloDiLeo
Quei meravigliosi semidei che mi conoscono, staranno dicendo "Ma la Long quando intendi aggiornarla?!"
E avrebbero tutte le ragione del mondo.
La aggiornerò entro venerdì, a meno che non accadano catastrofi naturali o simili.
Passando invece a questa (ommieideimaquantoèlunga?) One-Shot...
Ci ho messo l' anima ragazzi, lo Zio Rick non dice nulla sulla traversata di Nico nel Tartaro e mi sembrava giusto scrivere quello che ho sempre immaginato avesse affrontato il piccolo di Angelo da solo là sotto.
Spero tanto che vi sia piaciuta e che lasciate una piccola recensione.
   
 
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