I'll crawl home to him*
Jean ascoltò il proprio respiro per attimi che gli parvero infiniti. Non accese la lampada, semplicemente si lasciò accogliere dal buio vuoto della stanza. Mosse pochi passi, odorando il leggero odore da chiuso che già impregnava la stanza. I letti erano già stati portati via, pronti per essere smantellati dalla rassegnazione crudele alle mani della sorte. Altre mura erano cadute e L’Uomo Più Forte dell’Umanità era morto.
“Oh, lasciatemi qui...” mormorò appena, la voce erosa dal troppo tabacco e dalle lacrime secche. “Lasciatemi qui, per favore.”
“Non dire scemenze. Gira i tacchi e vieni fuori.” lo azzannò Eren, dalla porta, le chiavi in mano e la stanchezza a tracciare occhiaie sul viso scarno. Erano invecchiati tutti quanti pericolosamente.
Jean non replicò. Stette lì ancora, in piedi, quasi ricordando sulle labbra quel loro primo bacio, scambiato ancora imberbi tra le lenzuola, in attesa della sveglia, in attesa dell’alba. Come in quell’istante misero, Jean si sentì fremere. “Lasciami qui, Eren... Lasciami qui...” pregò ancora, passandosi le mani sul volto e raccogliendo le lacrime. “Non lo saprà nessuno Eren...”
Si sentì tirare per una manica, e volle solo essere inghiottito nello stesso buio in cui si era perso, anni prima, cercando gli occhi di una persona che non avrebbe più avuto la possibilità di amare.
Era appena diventato Comandante.
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*(riadattamento del verso del ritornello di “Work Song”, di Hozier)