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Autore: Sophie_moore    28/05/2015    2 recensioni
Partecipa al contest The melancholy spirit, spero che questo mio piccolo esperimento malinconico vi piaccia!
Il fatto che fosse riuscita a dormire quella notte non l'aveva fatta sentire meglio. Riposare, chiudere gli occhi e non pensare a nulla non aveva cancellato quella opprimente sensazione di solitudine che le contorceva lo stomaco, la faceva stare rannicchiata tra le coperte ispide, abbracciandosi le ginocchia alla disperata ricerca di calore, o tepore, per lo meno. Tutto ciò non cancellavano il ricordo della settimana prima, che ancora sembrava bruciarle davanti agli occhi.
Un abbraccio, Sophie
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipa al contest The melancholy spirit (dark horror story) indetto sul forum di EFP da YUKO CHAN

L'ombra della Luce

Dove c'è molta luce, l'ombra è più nera. (Johann Wolfgang von Goethe)
 
Prologo: Fuoco.


Il fatto che fosse riuscita a dormire quella notte non l'aveva fatta sentire meglio. Riposare, chiudere gli occhi e non pensare a nulla non aveva cancellato quella opprimente sensazione di solitudine che le contorceva lo stomaco, la faceva stare rannicchiata tra le coperte ispide, abbracciandosi le ginocchia alla disperata ricerca di calore, o tepore, per lo meno. Tutto ciò non cancellavano il ricordo della settimana prima, che ancora sembrava bruciarle davanti agli occhi.
Il fatto che fosse riuscita a dormire non significava certo che si fosse riposata, che stesse meglio, che avesse riacquistato le forze. Nulla poteva farla pensare ad altro, nulla riusciva a distoglierle la mente da quell'immagine che era stata costretta ad imprimersi nella memoria contro la sua volontà.
Nel silenzio di quella casa sentiva il crepitio delle fiamme, le urla di dolore, lo strepitare delle persone che assistevano al rogo. Già, quel maledetto rogo.

« Piety Sandra Hexe, è accusata di stregoneria. Se confesserà i suoi peccati, le sarà risparmiata la vita. » due uomini incappucciati avevano bussato forte alla porta, Honour li aveva visti dalla finestra.
« Mamma... » aveva mormorato, gli occhi chiari spalancati per il terrore.
Piety Sandra Hexe, una donna dal viso tondo e il fisico morbido, aveva rizzato la schiena e aveva fatto un sorriso a sua figlia, che la osservava dal letto. « Va tutto bene. » l'aveva rassicurata, e Honour ci aveva creduto, perché quando sua madre parlava con quella voce autorevole gentile, non poteva essere altrimenti.
Si era presentata alla porta, era uscita, aveva lanciato uno sguardo mentre la tenevano per le braccia in modo che non fuggisse, aveva sillabato a fior di labbra un "ti voglio bene" ed era andata.
Non era tornata che tre giorni dopo, provata, smagrita e ferita, tanto che Honour l'aveva riconosciuta a stento.
« Devi andare a Londra. Cerca Karim Cailleach, parlagli di me. »
« Ma io non- »
La madre le aveva posto l'indice sulle labbra, zittendola dolcemente. « Devi fidarti di me. Domani appena sorge il sole vai. » Honour aveva scosso la testa, terrorizzata alla sola idea di doversi muovere da sola. « Passa per il bosco, non fidarti di nessuno, solo di Karim quando arrivi a Londra. »
« Ma cosa sta succedendo? » la voce era poco più di un sussurro, un miagolio soffocato.
« La mamma ha qualche problema. E, cosa più importante, devi essere un perfetto ometto. »
« Io non sono un maschio... »
Piety aveva sorriso, mentre gli occhi le si arrossavano velocemente. « Sei la mia principessa, lo so. » l'aveva abbracciata stretta, più forte che poteva, le aveva baciato la fronte con labbra tremanti. « Ma finché non arriverai a Londra, sarai un maschietto. » aveva preso dei profondi respiri, più lenti e cadenzati per non far preoccupare troppo la figlia. « Ripeti le istruzioni. »
« Io non voglio andare.. » aveva piagnucolato, scuotendo la testa con violenza e convinzione.
« Ripeti, per favore. Dove devi andare e da chi? »
« Karim Cailleach, Londra. »
« Ancora. »
« Karim Cailleach, Londra. »
« Brava bambina. » l'aveva stretta ancora, forte, le aveva accarezzato i capelli già corti di loro, l'aveva riempita di baci.
Avevano avuto poche ore, nelle quali Piety aveva continuato a ripetere che sarebbe andato tutto bene e che avrebbe dovuto seguire le sue istruzioni, che avrebbe dovuto partire subito e non stare lì in paese. Poi erano tornati, l'avevano portata via. Gli uomini incappucciati l'avevano presa, strappata alle sue braccia. Honour l'aveva guardata allontanarsi debolmente, senza fare resistenza e a testa bassa. Qualcosa le sussurrava all'orecchio che non l'avrebbe più rivista.
Il mattino dopo, Honour non era potuta partire alle prime luci dell'alba. Non aveva potuto in quanto era stata svegliata prima dalle urla dei suoi paesani, urla di disprezzo e di odio, urla che non aveva mai sentito da quando aveva memoria. Era corsa in strada inciampando nei sassi e nei ciottoli, accolta da un fragore indescrivibile. I rumori, le grida, le pietre che si schiantavano a terra. Spintonava, si sbracciava per cercare di capire cosa stesse succedendo, sgomitava tra uomini e donne rancorosi per motivi a lei oscuri, finché non fu in piazza. Aveva visto sua madre, in piedi, vestita di bianco, legata ad un palo.
« Mi dispiace... » le aveva detto, ed Honour sapeva che si rivolgeva a lei perché la guardava dritta negli occhi, poi aveva serrato le palpebre. I due uomini incappucciati si erano avvicinati a lei, avevano appoggiato le torce sulla catasta di legno ai piedi di Piety.
Tutto aveva smesso di esistere, nessuno parlava più, o almeno ad Honour così pareva. I momenti in cui il fuoco era divampato attorno a sua madre, quando le fiamme lambivano il suo corpo facendola gridare, erano silenziosi e surreali, come fossero stati un incubo.
Piety Sandra Hexe bruciava e nell'aria si sentiva odore di carne alla brace.


Solo a ripensarci le veniva da vomitare.
Sentiva freddo, nonostante fosse immobile da giorni e le coperte avessero ormai assorbito tutto il suo calore corporeo. I brividi le percorrevano la pelle, facendola stringere di più in se stessa, come se fosse stata un piccolo riccio.
Erano passati quattro giorni e l'unico rumore che si percepiva era quello del suo stomaco che reclamava il pranzo. Non aveva avuto il coraggio di uscire di casa, chissà cosa avrebbero potuto pensare della figlia della strega, magari l'avrebbero bruciata seguendo la linea della madre... no, era meglio stare in casa. Si muoveva dal letto solo per mangiare un pezzo di pane o formaggio, giusto il minimo indispensabile per non morire di fame, poi tornava nel letto e si copriva fin sopra alla testa.
Con un sospiro svogliato si tirò su, rabbrividì e poggiò le piante dei piedi sul pavimento gelido. Si mosse piano, cercando di evitare accuratamente i pochi spiragli di luce che si intrufolavano tra le inferriate, chiuse e sigillate. Si passò una mano tra i capelli corti e scuri, rimanendo impigliata in svariati nodi nonostante il poco spazio, poi si diresse alla credenza e con suo totale disappunto si rese conto che era totalmente vuota. Che l'universo le stesse mandando dei segnali?
Honour decise che l'universo poteva andare al Diavolo, per quel che la riguardava. Dopo averle fatto assistere alla morte di sua madre, dopo averla lasciata sola in un paese ora ostile, dopo non averle neanche fatto la grazia di conoscere suo padre.. sì, poteva andare al Diavolo e mandarle i saluti.
Tornò a letto, nella stessa posizione in cui era quando aveva aperto gli occhi, le ginocchia abbracciate al petto esile e piatto. Ma appena si fu messa sotto le coperte ed ebbe chiuso gli occhi, fu di nuovo giorno, o meglio, ci fu di nuovo luce, una luce traballante, tremula, una luce rossa e gialla, ombre che ondeggiavano a terra.
Spalancò le palpebre di scatto, con il fiato corto e il batticuore. Di dormire non se ne parlava, evidentemente, perciò doveva trovare qualcos'altro da fare che non fosse piangere e disperarsi. Forse doveva davvero partire, doveva lasciarsi quel paese alle spalle ed esaudire l'ultimo desiderio di sua madre.
No, no. Nonostante tutto, quella era la sua casa. C'erano i suoi disegni, c'erano i suoi giocattoli, la bambola di pezza che avevano costruito insieme, c'era tutto quello che faceva di lei e Piety una famiglia, non solo madre e figlia. Non sarebbe scappata, avrebbe trovato qualcosa da fare, avrebbe vinto la solitudine e sconfitto i pregiudizi nei suoi confronti...


Senza accorgersene, si era appisolata. Nonostante il batticuore e il fuoco, perché aveva di nuovo sognato il rogo, era riuscita a chiudere gli occhi e non pensare. Ora, che si era svegliata col sole che calava, le pareva ancora di annusare nell'aria l'odore di cenere, di percepire il calore che permeava le pareti in legno. Sentiva che i polmoni si gonfiavano, mentre le narici pungevano con aria calda. Le veniva da tossire, anche se era ovviamente nella sua testa, le pareva fosse reale. Scattò seduta su letto, la bambola di pezza stretta tra le braccia sudaticce, ed aprì gli occhi.
Era reale.
I suoi incubi, il fuoco, l'aria densa e pesante, il fumo, era reale e stavano dando fuoco a casa sua, dopo aver dato fuoco a sua madre.
Perché? Perché non potevano semplicemente lasciarla morire di stenti in solitudine, per quale diabolica ragione dovevano -per forza- infierire, e distruggere quello che Piety aveva?
Erano domande pesanti e opprimenti, domande a cui sapeva di non poter trovare nessuna risposta.
Con dei movimenti istintivi, il suo corpo si lanciò giù dal letto, cadendo sul pavimento in legno e facendola guaire per il dolore alle ginocchia. Si rimise in piedi, arraffò quel che poteva e si diresse di corsa verso l'uscita sul retro, inciampando e scivolando. Si allontanò di qualche metro, quel tanto che bastava per non inspirare a pieni polmoni la fuliggine e tutta la sua esistenza che andava dritta verso il cielo. Avrebbe potuto restare dentro, anzi, avrebbe dovuto farlo, seguire tutto il mobilio ed i vestiti che prendevano fuoco e lasciavano quel mondo terreno, avrebbe potuto raggiungere sua madre, ovunque si trovasse, e magari anche suo padre. Ma per quanto il cervello formulasse quei pensieri, le sue gambe non si volevano muovere. L'avevano portata in salvo dall'incendio, l'avevano anche fatta correre, ma non volevano assolutamente saperne di rientrare in quel posto, neanche con le minacce mentali che Honour si stava inventando per costringersi a fare qualche passo. L'unico movimento che sembravano fare era tremare. Tremare in modo indecente e violento, come se non riuscissero a sostenere il peso del suo corpo.


Sophie's space_______
Questa storia è stata difficile da scrivere per me. Dico davvero, traumatico, quasi. 
L'idea è venuta al mio fidanzato e io ho sviluppato, ma non sono stata sola perchè ho avuto di fianco tante persone che mi hanno sostenuta e spinta in avanti quando pensavo non ce l'avrei fatta. Quindi è per loro, e per voi, che sto pubblicando, soddisfatta di me stessa =)
http://freeforumzone.leonardo.it/d/11028606/THE-MELANCHOLY-SPIRIT-Dark-Horror-Story/discussione.aspx/1  questo è il link alla discussione =)
  
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