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Autore: Ser Balzo    28/05/2015    4 recensioni
Ti hanno detto che la guerra è arte, e che Clove e Dan non potrebbero essere più diversi.
Ti hanno fatto vedere che occorre esercizio, pazienza e una certa dose di estro poetico, e che quella sadica assassina e quello stupido mandriano non sono altro che due patetiche pedine, due profili su una parete scalcinata, miserabili vittime di un gioco ben più grande di loro.
Ti hanno insegnato tutto questo e tu hai imparato. E hai fatto bene.
Fino ad oggi.
Perché i Settantaquattresimi Hunger Games hanno spazzato via tutto, e ora niente ha più importanza. E chiunque tu sia, se un umile pedone, un coraggioso cavallo, un disciplinato alfiere o un'implacabile regina… sai già cosa accadrà, quando ti ritroverai tra il fango e le bombe, a pregare qualunque cosa perché ti rimetta gli intestini nella pancia e ti conceda finalmente l'oblio.
Ora guarda quei due ragazzi, quelle due anime inseguite da eserciti di ombre, braccate da legioni di demoni, e chiediti: qual è la prima regola dell’arte della guerra, la più importante?
Vincere?
Quasi.
Vincere è fondamentale, ma non essenziale.
Dovresti saperlo: prima della regola uno viene la regola zero.
Resta vivo.
Genere: Avventura, Azione, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clove, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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13.

La Ghiandaia è dei nostri

 

 

“ Esiste un unico Dio: il suo nome è Morte. 
E c'è soltanto una cosa che puoi dire alla Morte... 'Non oggi'. "

-Syrio Forel, Il Trono di  Spade

 

 

 

Non funzionerà.
Fu l’unica cosa che Ayla Wilkins riuscì a pensare, quando si alzò in piedi e sollevò il fucile contro le sagome scure davanti a lei.
«Fuoco!»
Il calciò dell'arma le sbatté sulla spalla, mentre la raffica le assordava i timpani e il bossolo fumante veniva espulso dalla camera di scoppio. Alla sua sinistra, la voce secca e potente del fucile di Boggs si innalzò sopra il canto dei suoi fratelli.
Prima che potesse anche solo rendersi conto degli effetti della scarica di proiettili dei suoi uomini, la ragazza con l’ascia scavalcò il muretto sbrindellato dietro il quale si erano riparati e si lanciò urlando contro il nemico, l’arma che ondeggiava tra le braccia asciutte e muscolose.
Dove accidenti sta andando?
Non era questo il piano. Caricare a testa bassa una squadra di soldati addestrati specificatamente per il combattimento  corpo a corpo, seppur in superiorità numerica, era un vero e proprio suicidio. Boggs doveva eliminare il cecchino nemico; poi, una volta fatto, avrebbero respinto quei ragazzi in armatura nera sparando a più non posso, ben nascosti e al riparo.
La ragazza continuava a correre, nonostante la vistosa fasciatura sul polpaccio. Ayla vide con orrore  la giovane soldatessa con le due spade rimettersi in piedi, apparentemente illesa, mentre il gigante con l’enorme scudo roteava la sua lunga lama.
Non ce la farà.
Prima che potesse rendersene conto, stava correndo anche lei.

Artemisia strinse l’impugnatura delle sue fidate spade con un ringhio di sfida. La raffica di spari l’aveva colta impreparata, e un paio di pallottole avevano colpito il pettorale della sua armatura con la forza di una scarica di pugni.
Quell’idiota di Cicero… meno male che li teneva sotto tiro!
Quando vide uno dei nemici abbandonare la copertura per lanciarsi contro di loro, non poté fare a meno di rimanere stupita.
Che…?
Poi la ragazza gridò, e qualcosa scattò nella sua testa. 
Io ti conosco.
Quando si rese conto di che cosa il suo prossimo avversario stringeva fra le mani, la perplessità venne rapidamente travolta da una scarica di adrenalina.
Non ci credo.
Dovette trattenersi dal mettersi a ridere. C’era una possibilità su un milione di ritrovarsi proprio contro di lei.
Uccidere il proprio idolo di un tempo non è cosa che capiti tutti i giorni.
«Lei è mia» ringhiò rivolta al resto della squadra. Roteò le spade, mentre avanzava di qualche passo. «Se le sparate, vi uccido.»
«Tranquilla, Arte.» La voce di Plato, filtrata dall’auricolare, le si insinuò nell'orecchio. «A quanto pare, ce n’è per tutti.»

La mente di Dan era un foglio bianco.
Correva, e non sapeva perché. Aveva semplicemente seguito Dana e Lee, senza un fucile, senza alcuna arma che non fossero le sue mani luride ed escoriate. Tutto si muoveva, ondeggiava, gridava; sentiva il suo cervello rimbalzare nella scatola cranica e le orecchie fischiare per il troppo rumore.
Qualcuno sparò; si gettò a terra, senza sapere dove o a chi fossero diretti i colpi. Un uomo anziano con i folti baffi grigi crollò davanti a lui; il fucile scivolò via dalle mani ormai fredde e si fermò a qualche centimetro dal suo naso. 
Raffiche precise di proiettili ronzarono sopra di lui. Dan afferrò il fucile dell’uomo morto e appoggiò la canna sul suo petto inzuppato di sangue.
Non vedeva nulla, a parte le schiene dei Fanti di Linea e la polvere che essi avevano alzato. A destra, su un mucchio di macerie, qualcosa brillò. Quattro colpi, e quattro Fanti rovinarono a terra fulminati.
Dan spostò il fucile verso il cumulo di detriti e premette il grilletto una, due, tre volte, fin quando il caricatore vuoto venne eiettato con un tintinnio dalla sommità dell’arma.
Tre proiettili fischiarono vicino all’elmetto, altri tre si piantarono nel cadavere del vecchio con un tonfo disgustoso: il tiratore rispondeva al fuoco.
Dan si appiattì il più possibile, mentre il sangue dell’uomo gli imbrattava la faccia. Cercò a tentoni il tascapane del morto, alla ricerca di nuovi proiettili, ma una nuova raffica lo dissuase dal continuare. Rimase sdraiato a terra, la cinghia dell’elmetto che gli artigliava la gola, il sangue di un altro uomo addosso e il terrore che gli attanagliava le viscere.
Poi qualcosa sibilò dietro di lui. Si girò d’istinto, gli occhi sgranati dalla paura e il fucile scarico davanti a se’.
Una ragazza troneggiava sopra di lui. L’armatura a piastre metalliche era parzialmente nascosta da un vecchia giacca da caccia su sui era appuntata una spilla dorata.
«Tranquillo. Sono io.»
Katniss Everdeen, la Ghiandaia Imitatrice, gli tese una mano.
«Stai con me. Andiamo a salvare il tuo sergente.»

Quando quattro Fanti di Linea davanti a lei crollarono a terra come se qualcuno avesse staccato loro la spina in rapida sequenza, Ayla Wilkins realizzò con sorprendente lucidità che non avrebbe visto l’alba del giorno dopo. Era finita, non c’era nient’altro da fare: i loro avversari erano troppo veloci, troppo bravi, troppo forti.
Non ebbe neanche l’istinto di sollevare il fucile: rimase lì immobile, goffa e stupida, imbambolata di fronte alla fine.
Uccidimi, bastardo, e falla finita.
E ancora una volta, accompagnato da fischi e ronzii, giunse il destino a beffarla. 
Una serie di colpi si piantarono tra i calcinacci, sollevando sbuffi di polvere: qualcuno la stava coprendo. Il tiratore rispose al fuoco, ignorandola completamente.
Probabilmente non mi ritiene una minaccia, patetica come sono.
Quasi non si accorse dell’incendio che divampò feroce nel suo stomaco. Si rese improvvisamente conto di essere preda di una rabbia cieca e inestinguibile, mentre il mondo intorno a lei rallentava al ritmo del suo respiro.
Cominciò a correre, ma questa volta sapeva dove stava andando, e perché. Gettò a terra il fucile, senza rendersi minimamente conto di cosa questo comportasse, e prese ad arrampicarsi sul cumulo di detriti, a quattro zampe come una bestia feroce. La testa le pulsava, il cuore sembrava voler scoppiare da un momento all’altro, ma a lei non importava.
Il tiratore era disteso, e non sembrava essersi accorto di lei: continuava a sparare, premendo il grilletto del suo sofisticato fucile a intervalli regolari.
Ayla non urlò. Si gettò contro di lui con un balzo, strappandogli un grido di sorpresa. Poi cominciarono a rotolare in mezzo ai calcinacci, e lì non fu altro che rabbia, zanne e artigli, come belve ataviche di una terra dimenticata squassata da una furia divina e implacabile.
Ayla colpì, scalciò, tentò di mordere e di graffiare, selvaggiamente desiderosa di non arrecare altro che non fosse dolore. Il suo avversario grugniva, cercando di rispondere a quella tempesta di rancore e impetuosa adrenalina che si era abbattuta su di lui. Ayla lottò al meglio delle sue forze; ma non le ci volle molto prima di rendersi conto che non poteva vincere.
Il ragazzo era giovane, esperto e addestrato. Non fu particolarmente feroce o violento, ma nel giro di qualche istante Ayla si trovò inchiodata a terra, impossibilitata a muoversi o reagire.
«Niente male» sibilò il soldato. Ayla vide le vene gonfiarsi sotto la pelle talmente bianca da sembrare trasparente. «Ma credevi dav…»
Uno sparo, un tonfo sordo. Un proiettile aveva colpito lo spallaccio sinistro del pallido ragazzo, sbilanciandolo. Ayla sentì la presa sul braccio destro allentarsi, e senza pensare chiuse le dita a pugno e colpì lo zigomo del suo aggressore con tutta la forza che era ancora rimasta. Una scossa di dolore le attraversò il braccio mentre la testa del ragazzo si girava di scatto e il suo corpo piombava a peso morto fra i detriti.
Ayla non aveva la forza di alzarsi, perciò strisciò via, graffiandosi sui bordi aguzzi dei calcinacci, cercando di mettere quanta più distanza fra lei e il giovane con la corazza nera.
«Sergente…»
Ayla provò uno strano miscuglio di sollievo e spavento all’udire quella voce. Piccoli passi calpestarono la dissestata superficie di frammenti di edificio, e la sua visuale periferica colse l’immagine di un’esile figura con un vestito a fiori.
«Dana…»
«Sergente!»
La parola era la stessa, ma il tono era completamente diverso. Strozzato, acuto, terrorizzato.
Non ci volle molto a comprendere il perché.
Il soldato pallido era in piedi. In mano stringeva una pistola, e i suoi occhi erano colmi di furia vendicativa.
Lo sparo le assordò i timpani. Dana aveva premuto di nuovo il grilletto, ma il proiettile mancò completamente il bersaglio.
Un ghigno rabbioso si aprì sul volto del giovane soldato. «Quello si chiama rinculo, ragazzina. Se giochi con armi più grosse di te, finisci con il culo per te…»
Ancora una volta, il ragazzo non riuscì a finire la frase. Una freccia nera dall’impennaggio in resina aeroportante viaggiò tra le grida e la polvere da sparo e si piantò con estrema semplicità nella sua piastra pettorale. Il sergente Wilkins fece appena in tempo a vedere gli occhi del giovane dilatarsi dalla sorpresa prima che il suo corpo cadesse all’indietro, scomparendo dietro l’ammasso di detriti su cui si era arrampicato.
Sì girò per vedere chi fosse stato a tirare quella freccia, anche se in cuor suo aveva già la risposta.
Dopotutto, le opzioni non sono molte.
Anche in mezzo a tutto quel caos, Katniss Everdeen avanzava con passo felpato, come se fosse tra i boschi invece che in una città stravolta dalla guerra. Alle sue spalle, vide lo strano ragazzo biondo che aveva sparato alla ragazza con i coltelli guardarsi intorno nervosamente, poi sollevare il braccio, fissarla dritto negli occhi e urlare qualcosa che andò perso nella baraonda. 
Ayla non ebbe bisogno di sapere quale fosse il senso di quelle parole. Afferrò Dana e si gettò a terra, mentre una freccia dall’impennaggio rosso sibilava di frustrazione attraversando lo spazio che fino a qualche secondo prima era occupato dal suo cuore. Lo slancio, però, fu eccessivo: la donna e la giovane ragazzina finirono oltre la sommità del cumulo di detriti e precipitarono di sotto, rotolando senza alcun controllo mentre intorno a loro si alzava una nube di polvere sporca.
Ayla ebbe l’impressione che quella girandola folle non avrebbe mai avuto fine. Quando la sua corsa si fermò, non riuscì ad aprire gli occhi per diversi secondi, tanto le girava la testa.
Non appena il mondo smise finalmente di ondeggiare, si rese conto con sollievo che Dana era accanto a lei; il suo fucile, che la ragazzina aveva usato per fermare il soldato pallido, era qualche metro più in là.
Per qualche istante rimase immobile, la mente piatta come il mare in bonaccia. Anche i suoni giungevano attutiti. Tutto era calmo, tutto era tranquillo.
Riposare. Voglio riposare.
Quasi non si accorse della seconda freccia.
Se fosse stata lei il bersaglio, non avrebbe potuto fare nulla: la punta d’acciaio le avrebbe trapassato la gola e sarebbe morta affogata nel suo stesso sangue. La macchia rosso e argento passò però a qualche metro sopra la sua testa, ignorandola completamente.
Ancora una volta, non è il mio giorno.
Poi qualcuno gridò e lei si rese improvvisamente conto che c’era un motivo ben preciso se la freccia l’aveva mancata.
«Gale!»
Katniss Everdeen si era lanciata verso il suo compare, che era caduto in ginocchio; il cupo piumaggio vermiglio si ergeva dalla spalla del ragazzo del Distretto Dodici come un sinistro vessillo.
«Non badare a me, Katniss! Uccidila!»
Ayla ne aveva viste abbastanza per sapere quando un avvertimento era stato dato troppo tardi. 
L’esile fanciulla dall’armatura nera e dai brillanti capelli rosso fuoco aveva già incoccato un’altra delle sue letali frecce scarlatte. 
La Ghiandaia Imitatrice era allo scoperto, a portata e inoffensiva. Da quello che Ayla aveva visto, per quella ragazza era come colpire un elefante a mezzo metro.
La freccia partì, desiderosa di morte, roteò pigramente sul suo asse mentre fendeva l’aria e si piantò qualche metro oltre il piede di Dana.
La ragazza rossa barcollò stupefatta e frustrata, mentre si voltava per fronteggiare colui che con il calcio del suo fucile aveva impedito la buona riuscita del tiro.
Lee scattò in avanti, brandendo il fucile come una mazza, ma la ragazza aveva di nuovo il controllo della situazione. Evitò il goffo attacco scartando di lato e impugnando l’arco con entrambe le mani lo calò violentemente sulla nuca del Fante di Linea.
«Sergente!»
Dana era sveglia, e teneva in mano il fucile di Ayla. Con un gemito lo lanciò accanto alla soldatessa, che lo afferrò febbrilmente e lo puntò contro l’implacabile saettatrice. La ragazza, però non era più lì.
«Sta scappando.»
Ayla colse un rapido movimento in cima al cumulo di detriti, accompagnato da un lampo scarlatto. La giovane tiratrice aveva deciso che la situazione non era più a suo favore, e aveva optato per la ritirata strategica.
«Buon per lei» mormorò il sergente Ayla Wilkins, senza però riuscire a dare un tono minaccioso a quelle parole.
La ragazza aveva colpito duro, ma Lee sembrava aver retto alla botta. Con sollievo, Ayla lo vide alzarsi in piedi, usando il fucile come un bastone. Il ragazzo guardò le sue due compagne d’armi, fece un cenno d’assenso e sorrise.
Ayla e Dana, però, non risposero al sorriso. I loro volti mostravano ben altro che soddisfatta e cameratesca intesa: gli occhi spalancati, le bocche semiaperte, fissavano con orrore qualcosa di cui lo stremato e soddisfatto ragazzo era completamente ignaro.
Maestoso e terribile come un dio della guerra, Ares era alle sue spalle, la spada levata e pronta a colpire.


L’ascia era lenta, rozza, inefficace. Lei era veloce, agile, mortale.
Artemisia deviò con facilità un’altro fendente dell’arma di Johanna. La veterana del Distretto Sette ringhiò di frustrazione mentre parava con il manico un’altro attacco dell’assassina del Distretto Due.
Sempre più affaticata. Sempre più lenta.
Il volto di Artemisia era contratto in una inquietante smorfia di gioia selvaggia. Qualcuno cercò di colpirla con il calcio del fucile; lei evitò il colpo con un elegante volteggio e con un rapido colpo recise la gola del suo aggressore.
Un altro patetico subumano mandato dove gli compete: sotto terra.
L’ascia calò dall’alto, con l’intenzione di spaccarle la testa esattamente a metà.
Johanna, Johanna… francamente mi aspettavo meglio.
Sollevò le spade tenendole incrociate e intercettò con facilità il colpo della sua avversaria.
«E tu avresti vinto gli Hunger Games?» ringhiò in faccia a Johanna con tutta la feroce derisione di cui era capace.
«Esatto.»
Il calcio arrivò rapido e inaspettato, colpendola a lato della protezione del ginocchio destro. La scarica di dolore le dilaniò la mente, mentre la gamba si piegava innaturalmente di lato.
Assistette impotente al suo corpo che rovinava a terra, l’impatto col terreno che le sbalzava via di mano la spada destra. Alzò quella sinistra, nel vano tentativo di opporre un’ultima resistenza.
«Ho vinto fottendo gli idioti come te.»
Johanna Mason le restituì il suo agghiacciante sorriso mentre calava l’ascia dritta sul suo collo.


La spada di Ares calò con una brutalità agghiacciante. Lee ebbe appena il tempo di alzare il fucile prima che questo venisse tranciato esattamente a metà con la facilità con cui un fulmine attraversa l’aria. 
Lee cadde a terra, completamente disarmato. Ares alzò di nuovo la spada, ma fu costretto a sollevare lo scudo per intercettare le due frecce e il proiettile che erano diretti al suo corpo.
«Lee, scappa!»
Il ragazzo cominciò a trascinarsi all’indietro, spingendo con i gomiti e i piedi: aveva il terrore che il tempo che avrebbe impiegato ad alzarsi avrebbe permesso all’enorme guerriero di tagliarlo esattamente a metà, proprio come aveva fatto con il suo fucile.
«Fermi dove siete!»
Senza sapere perché, Lee obbedì. La voce era risuonata forte e chiara, e quasi immediatamente il silenzio scese sul campo di battaglia.
Ares era immobile, la spada sollevata, e guardava con astio qualcosa alla sua destra. Cercando di fare il meno rumore possibile, Lee continuò ad allontanarsi dal giovane imponente, che però sembrava essersi completamente dimenticato di lui.
Non ci credo. Si può dire di tutto su di te, Lee Harper, ma non che tu abbia un gran cu…
Lo scatto di un percussore che si porta in posizione di tiro lo riportò bruscamente alla realtà.
«Alzati lentamente e mani sulla testa, ragazzo.»
Finalmente qualcuno si era accorto dello scontro. Il tono di voce non sembrava molto amichevole, ma siccome la Fanteria di Linea non aveva una divisa ufficiale quei soldati non avevano idea di chi avessero davanti.
«Va tutto bene, siamo dei vostri. Soldato Lee Harper, diciottesimo Fanteria di Linea…»
Un attimo di silenzio, poi qualcuno dietro di lui parlò. «Ehi ragazzi, tutto bene… è uno dei nostri
Un coro di risate accolse quelle parole. Lee non colse appieno il loro significato fin quando non riuscì ad alzarsi in piedi, combattendo contro il tremore delle gambe.
La piazzola era piena di uomini, intenti a controllare i cadaveri e tenere sotto tiro i sopravvissuti.
Lee vide Johanna gettare pesantemente a terra la sua ascia, imprecando sonoramente, mentre la ragazza che combatteva con le due spade si rialzava in piedi, il viso contratto dall’ira fisso sulla sua avversaria. La spada di Ares si infilò rabbiosamente nel terreno, mentre l’arco di Katniss venne poggiato a terra con una cura che sconfinava nella riverenza.
Probabilmente era per il calo di adrenalina che gli infiacchiva i sensi, ma Lee non riusciva a comprendere tutta quella tensione, gli sguardi carichi di nervosismo se non di paura vera e propria.
È finita, siamo ancora vivi, qual è il problema?
La sua mente era come avvolta in morbidi batuffoli di cotone. Con distacco quasi beato osservò due uomini avvicinarsi a Katniss, squadrarla a lungo e poi confabulare tra loro.
Portate rispetto, ragazzi, è la Ragazza di Fuoco quella che avete davanti.
Forse fu quella frase a riscuotere il suo cervello dall’apatia. Fu come se gli avessero tolto un lenzuolo bagnato dalla faccia: prima era cieco, ora vedeva.
Eppure era proprio davanti ai suoi occhi. Un piccolo, essenziale particolare che rendeva quella situazione completamente diversa.
Uno dei due uomini che avevano squadrato Katniss Everdeen prese la cornetta di un telefono da campo che soldato gli porgeva e la avvicinò all’orecchio.
«Comando, qui è il capitano Aber, ottantaduesima divisione Fanteria. Abbiamo la Ragazza. Ripeto, abbiamo la Ragazza. La Ghiandaia è dei nostri.»
Tutti quegli uomini erano soldati, su questo non c’era dubbio.
Soldati armati e addestrati, con una divisa di un colore inconsueto ma per questo assolutamente riconoscibile.
Bianco come la neve.
L’Esercito Regolare della Federazione di Panem aveva appena catturato Katniss Everdeen.


















L'ANGOLO DELLA CHIACCHIERA: E niente, la mamma dei mainaggioia è sempre in cinta. Welcome to Panem, rigaz.
Irrispettosamente in ritardo giunge un nuovo capitolo della vostra fanfy preferita, dove tutto spara e urla parolacce. Con un nuovo colpo di scena e un altro colpo di sfiga per la 451 (come dite, basta così? Oh, sweet summer children...), l'avventura di Katniss & co. prende un'inaspettata (spero) quanto incasinata nuova direzione. E mo'? Eeeeh... come si dice da queste parti, so' ca... tartici avvenimenti.
Questo capitolo era pronto piuttosto tempo fa, ma non ero sicuro della sua effettiva efficacia: dopotutto, è un capitolo intero di combattimento, e io ho abbastanza ansia dei combattimenti lunghi. Ma dal prossimo capitolo le botte dovrebbero un attimino attenuarsi (un attimino eh, 'che mica stiamo affà la gitarella fuori porta) per riprendere un attimo le fila mentali dei nostri eroi e antieroi. Dopotutto, è anche ora che Clove si svegli... 
...ah, meglio zitta? Ma quindi non la trovate inter... ah... no, certo, capisco... addirittura? Beh, è ovvio che essendo una sociopatica... ah. Ok. Beh, scusate tanto, eh.
(litigo da solo. Bene.)
E niente, care genti: al prossimo capitolo (che prego fortemente arrivi prima dell'anno nuovo), diffidante delle genti vestite di bianco e alla prossima!

 

 
  
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