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Autore: MarySmolder_1308    29/05/2015    1 recensioni
Sequel di "Friendzone?" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2098867)
L'amore non è mai facile.
In amore non sempre tutto è rose e fiori, ci sono i problemi.
L'amore ci rende felici, tristi, fortunati, devastati; ci consuma, ci consola, ci risolleva, ci distrugge, ci pervade, ci fa perdere il senno, ci fa agire d'istinto.
Mary e Ian stanno per riconciliarsi, quand'ecco un'auto giungere.
Ian scansa Mary.
L'auto lo travolge.
Dal mezzo esce una donna, che spara a Mary.
Nina guarda impietrita e terrorizzata.
Abbiamo lasciato i nostri protagonisti a quello che poteva essere il "lieto fine", a quella che poteva essere finalmente una riconciliazione, dopo tanti litigi e fraintendimenti; ma qualcosa è andato storto.
Chi è questa donna?
Perché ha agito in questo modo?
Ian e Mary sopravviveranno?
Continuate a leggere, perché l'amore vi/ti mostrerà ogni cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nina Dobrev, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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POV Alex
Fissavo quel certificato senza osservarlo veramente. La mia mente era completamente da un’altra parte. Nel giorno appena trascorso avevo vissuto fin troppe cose per potermi definire normale. Per poter andare in giro per l’ospedale con l’aria da sbruffone e fingere. Per potermi nascondere dietro la solita maschera. Ma in quel momento ne avevo bisogno. Allora che fare? Come comportarmi? Non lo sapevo. Era tutto così confuso. E privo di senso.
Sospirai.
“Dottor Walker, non deve farlo per forza, s-se – la voce profonda del Capo mi riportò alla realtà – se al momento non se la sente, ecco”
“N-non è questo – scossi la testa, quasi impercettibilmente – me la sento, solo… stavo pensando. Forse non ho il diritto di stare qui. Magari si sarà rifatta una vita, dopo avermi abbandonato. Allora non sarebbe meglio cercare chi ha il diritto di poter firmare il suo certificato di morte? E organizzarle un degno funerale? E”
“Alex, so benissimo che è difficile, ma”
“Capo, con tutto il rispetto, non può saperlo. Mi sono sempre chiesto, da quando se n’è andata, se avessi sbagliato io a fare qualcosa. S-se magari non ero chi volesse e, per questo, ci avesse lasciato. Ho sempre desiderato, quasi con ossessione, che lei un giorno si mostrasse, che mi cercasse e trovasse e mi spiegasse tutto. E adesso è morta. Eravamo nella stessa città, Capo. E non mi ha cercato. E adesso è morta e-e… e io sono così furioso con lei. Mi ha lasciato per la seconda volta, senza nemmeno degnarmi di una spiegazione. Come si può fare così? Come si può mettere al mondo qualcuno e poi lasciarlo così allo sbaraglio?” sgranai gli occhi, respirando più affannosamente.
“Alex, calmati, va tutto bene” il dottor Richardson mi prese una mano e la strinse.
Non era un grande gesto, tutt’altro, ma mi calmò all’istante.
Mi aveva ricordato Mary. La donna più inafferrabile di tutte ieri mi era stata accanto come non mai. Riuscivo ancora a percepire il sapore delle sue labbra, le sue braccia avvolgermi in un abbraccio, la sua voce flebile rivelarmi che quattro anni fa sarebbe stato diverso. Forse sarebbe stato migliore.
Presi un bel respiro e annuii lievemente all’affermazione del Capo.
“Va tutto bene” ripetei.
Strinsi la penna che avevo in pugno e firmai quel foglio.
“Ecco qui” gli porsi il documento.
Riposta la penna in tasca, uscii dall’ufficio del primario. Stavo dirigendomi al mio reparto, quando il cercapersone trillò.
‘Emergenza in pronto soccorso, trauma center 3’ diceva.
Cambiai immediatamente direzione e corsi al piano terra. Quando arrivai, trovai Mary imbambolata davanti alla porta della saletta. Aveva la bocca lievemente aperta e gli occhi sgranati. Era un misto di paura e sconvolgimento.
“Mary” la chiamai, cautamente.
Sobbalzò, rispondendo poco dopo, con aria quasi distratta: “Sì?”
“Tutto bene?” la guardai, cercando di capire cosa avesse potuto turbarla così tanto.
“N-no – scosse la testa – s-scusatemi” uscì da quella stanza correndo.
“Chi è?” mi rivolsi a Ben, lo specializzando di Mary.
“Valerie Evans”.
Sobbalzai all’udire quel nome. Certo che fosse sconvolta!
“La paziente è stabile ortopedicamente parlando?”
“Sì, dottore”
“Bene. Medica le ferite ai polsi, attento a probabili lesioni più profonde. Io arrivo subito” gli dissi con voce distaccata.
Uscii anch’io dal trauma center e andai nell’unico posto, in cui Mary avesse potuto rifugiarsi.
Giunsi sotto le scale. Come la conoscevo bene!
Era seduta sul pavimento, con il volto tra le mani.
“Mary” la chiamai nuovamente dolcemente.
Non mi piaceva vederla in quello stato.
Scoppiò in lacrime.
“V-vai via, Alex, ti prego” singhiozzò, rannicchiandosi su se stessa.
“E perché mai?” domandai, ignorando la sua richiesta.
Mi accomodai al suo fianco e le accarezzai la schiena delicatamente.
“Perché non voglio che tu mi veda in queste condizioni”
“Tu mi hai visto in condizioni peggiori meno di ventiquattro ore fa, eppure sei ancora viva. Quindi credo sopravvivrò anch’io a vederti così triste”.
Mi guardò e le accennai un sorriso.
“Non so cosa fare. Tre mesi fa ha cercato il nostro perdono e Ian è riuscito a darglielo, mentre io… io no. Sono scappata. Non sono riuscita ad andare oltre l’incidente. E, ora, eccola qui, che ha cercato di togliersi la vita. E se in mezzo a questa decisione ci fosse la mia scelta, presa a Novembre? Se lei non fosse riuscita a superare il ‘rifiuto’ del perdono? Alex… se avesse provato a uccidersi per colpa mia?” tirò su col naso, sconvolta da quel pensiero.
“Anche se fosse, Mary, non è riuscita nell’intento”
“Sì, ma ha comunque tentato”
“Ma ha fallito. Questo magari vuol dire che è stata mandata qui per un motivo”
“Quale? Farmi venire un opprimente senso di colpa?”
“No. Permetterti di perdonarla adesso. Niente avviene per caso, Mary. Sei riuscita ad avvicinarti a me, dopo cinque anni. E se questo fosse avvenuto ieri proprio perché io potessi parlarti in questo modo oggi? Pensaci bene” le sorrisi nuovamente, guardando per un attimo in alto.
“Pensi che sia un Suo segno?” toccò il braccialetto con la croce, che indossava sempre sul polso destro.
“Di solito è Lui ad agire in questo modo. Così incomprensibile, ma allo stesso tempo così pieno di significato” tirai fuori una collana che aveva come ciondolo la sua stessa croce.
“La Tau di San Francesco!” disse sorpresa.
“La porto sempre con me, come fai tu! – la strinsi per un attimo, dopodiché la rimisi dentro il camice, mi alzai e le tesi una mano – Andiamo, Valerie è ancora viva. Se si sveglia, le potrai parlare”
“D’accordo” afferrò la mano, permettendomi di tirarla su.
Tornammo in saletta.
Valerie era sveglia e un’infermiera le stava mettendo una flebo.
Non appena uscì, la spinsi dentro.
“Ti aspetto dov’eravamo prima. Per sapere com’è andata” le sussurrai all’orecchio.
Inspirai per un attimo il suo profumo, poi me ne andai.


Vidi Mary camminare verso la mia direzione.
“Allora, com’è andata?” la guardai, smagliante.
“Bene”
“Bravissima! Vieni qui” allargai le braccia.
Mi abbracciò, aggrappandosi al mio camice, come se fosse un’ancora di salvezza.
Sentii il suo respiro come spezzarsi.
“Mary, mi sembri affannata – sciolsi l’abbraccio, angustiato – Tutto ok?”
“Io n-non”.
Mary si lasciò andare tra le mie braccia per qualche secondo.
“Che succede? Ehi, non scherzare” mi inginocchiai, per poter reggere meglio il suo peso.
Cominciai a darle dei buffetti sul viso, di modo che magari potesse riprendersi.
Riaprì gli occhi di scatto, non riuscendo ancora a respirare bene.
“Mary! Ehi!” la chiamai urlando, agitato.
“I-il b-bambino – balbettò – Qua-a-alcosa n-non v-va c-col b-bamb-bin-no” mi strinse con tutta la forza che aveva il braccio, poi perse conoscenza.
Bambino?
Avevo sentito bene?
La guardai priva di sensi per qualche attimo, senza parole, prima di riprendermi. Scattai in piedi e la accolsi tra le mie braccia, dirigendomi di corsa al pronto soccorso.
“Aiutatemi!” urlai, facendomi così notare.
Kate mi si avvicinò allarmata.
“Che le succede?”
“E’ svenuta, ma prima ha detto che qualcosa non va con il suo bambino”
“Bambino? E’ incinta?” spalancò la bocca.
“A quanto pare non l’aveva detto nemmeno a te. Chiama Rose, a lei non l’avrà tenuto nascosto” dissi agitato con tono autoritario e, al tempo stesso, tremante.
“Alex, permettimi di capire cos’ha che non va. Poggiala su un lettino e chiama tu Rose, mentre la visito”
“No! Assolutamente – scossi la testa, era improponibile – Non posso lasciarla sola”
“D’accordo, la faremo chiamare da uno specializzando. Ma adesso portiamola in una saletta” annuì secca e mi fece cenno di seguirla.
Giunti al trauma center 1, poggiai Mary sul lettino.
“Andrà tutto bene” le sussurrai, carezzandole i capelli.
Kate ordinò a una matricola di correre a cercare la dottoressa Davis, dopodiché rientrò e attivò l’ecografo. Scoprì l’addome della Floridia, vi pose sopra un po’ di gel e usò la sonda.
Dopo un po’ sospirò amaramente.
“Che succede?” le chiesi preoccupato, non allontanandomi dal capezzale di Mary.
“Diciamo che non importa di quante settimane sia”
“Perché?”
“Alex, rintraccia Ian”
“Kate, parla, diamine!”
“Devo portare urgentemente Mary in sala operatoria. La gravidanza è ectopica. Si è rotta la tuba. Non so quando, quindi è da tempo che sanguina internamente. Chiama Ian e digli di correre qui”.
Non appena finì la frase, Rose entrò di corsa in saletta.
“Che succede?” chiese col fiatone.
“Te lo spiego mentre andiamo in sala, avvertili che stiamo arrivando”
“Ma che diavolo”
“Rose, sbrigati! E’ urgente! Al momento ti basta sapere questo”
“O-ok” Rose guardò con la coda dell’occhio la sua amica, sdraiata priva di sensi sul lettino, poi afferrò la cornetta del telefono interno e avvertì l’infermiera di turno.
Quando furono pronte per andare, Kate mi passò lo smartphone della donna che amavo.
“Sbrigati” disse duramente.
In meno di un minuto, svanirono, lasciandomi solo. Con le dita che tremavano, cercai in rubrica il numero di Ian. Trovatolo, strisciai il polpastrello sullo schermo. La chiamata si avviò.
“Ehi, amore – disse dolcemente l’attore, dopo due squilli – Nina mi ha detto che non è incinta. Grazie per averla aiutata”.
Riuscivo a percepire il suo sorriso da qui.
Come potevo rovinargli tutto?
Mi tremarono le labbra.
“Mary?” chiese dubbioso Ian dall’altro capo del telefono.
“Sono Alex. Vieni in ospedale. E’ per il bambino” parlai con voce spenta.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=2xUaNrx7TGU
 
POV Ian
“Sono Alex. Vieni in ospedale. E’ per il bambino”.
Alex aveva pronunciato quelle parole con voce meccanica, persa.
Sentii la mia razionalità, il mio controllo annullarsi. Le gambe e le braccia divennero improvvisamente leggere. Il cellulare cadde sopra il tavolo.
“Ian, tutto bene?” chiesero voci confuse.
Non sapevo identificarle.
Tutto era svanito per via di quella frase.
La vista cominciò ad appannarsi, la testa a girare, l’intero corpo, come ravvivato da una scossa pesante, a tremare.
“I-io d-devo a-andare” parlai con voce traballante, mentre mi alzavo e recuperavo l’Iphone.
“Che succede?”.
Mi guardai intorno, comunque non riuscendo a capire chi parlasse.
“Ehm, è l’ospedale. Mary si è s-sentita male, c-credo. Scusatemi” mi allontanai da tutto e tutti.
Recuperata la giacca all’interno della mia roulotte personale, strinsi le chiavi dell’auto, poco prima di mettere in moto il mezzo.  
Guidai quasi come Crudelia Demon, ansioso di giungere al Saint Joseph.
Quando arrivai, entrai di corsa al pronto soccorso. In breve tempo trovai Alex, accomodato in sala d’attesa, con il telefono di Mary in mano, che fissava il vuoto.
“Alex! – la mia voce tuonò in quell’androne – Che le hai fatto, eh? Dopo tutto quello che lei ha fatto per te nelle ultime ventiquattro ore?” lo presi per il colletto del camice bianco.
“Non ho fatto niente, Mary è-è”.
Non fece in tempo a finire la frase, che lo colpii con un destro.
Il dottore indietreggiò un poco per effetto del pugno.
Stavo per picchiarlo nuovamente, quando arrivò qualcuno da dietro a fermarmi.
“Ian, che diamine stai facendo?!”
“Mi ha detto che a mio figlio è successo qualcosa! Che hai fatto a Mary, eh?!” gli urlai di nuovo contro, mentre Steve mi braccava.
“Alex non ha fatto niente! La gravidanza di Mary era scritta per finire”
“Che intendi?” il volume della voce diminuì velocemente.
Mollai la presa su Alex.
Steve mi lasciò andare, poi disse: “Era una gravidanza ectopica, vale a dire che – fece una pausa e sospirò – che l’embrione non si è annidato nell’utero, bensì da un’altra parte. In questo caso, nella tuba. Non dovrebbe crescere lì. Perciò la tuba non ha retto più e… si è rotta”.
Non appena non sentii più la voce del collega di Mary, mi voltai.
“C-cosa? – parlai flebilmente – E-e adesso come sta? Dov’è? C-cosa succederà?”
“Kate ha fermato l’emorragia. Ora sta rimuovendo l’embrione, dopodiché cercherà di fare il possibile per salvarle la tuba”
“Oh” sussurrai.
Rimasi lì inerme, con le labbra lievemente spalancate e gli occhi sgranati, in mezzo a due dottori, senza alcuna idea sul da farsi. Quel bambino, che tanto avevamo acclamato meno di quarantotto ore prima, che aveva riempito le nostre vite, che ci aveva completato, che era stato inaspettato, ma fin da subito amato e coccolato, stava per cessare di esistere. Come era possibile che stesse tutto per finire? Come era possibile che ogni dannata volta ci fosse qualcosa di storto in queste nostre vite? Che non si potesse respirare un minimo di serenità, che subito un vento quasi Shondaniano ci accoglieva con violenza tra le sue braccia? Sentii le mie gambe cedere. Mi guardai intorno disorientato, cercando un appiglio a cui sorreggermi.
“Ian – Steve mi chiamò, dopo l’aver interrotto un ‘beep’ – l’operazione si è appena conclusa”.
 
POV Mary
Essere svegliati da un rumore improvviso di solito non era il massimo, ma quel caso era una perfetta eccezione. Aprii gli occhi deliziata. Sgattaiolai fuori dal letto e, indossate le pantofole, andai nella stanza di fronte. Le tende bianche sventolavano dolcemente verso una grande culla in faggio, posta al centro della camera.
“Cosa ti affligge, eh, tesoro?” sporsi le mie braccia verso il piccolo fagottino nella culla.
Le sue guanciotte rosse, i suoi piccoli occhi chiusi e le sue labbra tremanti mi lasciavano senza fiato. Ok, non era proprio il ritratto della felicità, ma come si poteva non ammirare quella creatura così fragile e meravigliosa?
“L’anestesia sta svanendo. Tra poco si sveglierà” disse una voce lontana, distraendomi da quella stupenda visione.
Aggrottai la fronte, cercando di capire il motivo per cui Kate parlasse di anestesia.
“D’accordo” Ian parlò sommessamente.
Anche lui così distante.
Ma che diamine stava succedendo?
La culla svanì, portando con sé quella piccola creatura.
E a me non restò altro da fare se non… risvegliarmi.
Mi guardai intorno confusa.
Ero abbastanza consapevole di trovarmi in una stanza d’ospedale, quello che mi sfuggiva era il perché mi trovassi al posto del paziente. E non dall’altro lato.
“Ehi” Ian attirò la mia attenzione, compiendo lo sforzo, quasi immane, di sorridermi.
Benché lo facesse, i suoi occhi erano arrossati e sconvolti.
“C-cos’è successo?” parlai con voce impastata, come se mi fossi appena svegliata da una nottata di sonno piena, ma sfibrante.
Cercai di tirarmi su, ma un dolore fastidioso si diramò dal ventre, facendomi fare una smorfia.
“Resta sdraiata. N-non sforzarti” Ian mi carezzò il volto delicatamente.
“Vuoi dirmi cos’è successo o devo chiamare un codice blu per saperlo?”.
Prese un respiro profondo, poi parlò: “Alex mi ha chiamato col tuo numero. Quando sono arrivato qui, Steve mi ha informato che Kate ti stava operando d’urgenza, perché – si arrestò per un attimo, lanciando un’occhiata verso l’alto – Mary, era una gravidanza extrauterina tubarica. Kate h-ha fermato l’emorragia, ma… beh, ha dovuto rimuovere l’embrione e la tuba” concluse quel discorso a fatica.
“La solita fortuna – scoppiai a ridere, mentre i punti tiravano – giusto? Ma chi ha scritto la storia della mia vita, Shonda Rhimes?” continuai, incredula a cosa avevano appena udito le mie orecchie.
“Mary”
“No, sul serio. Chi ha scritto per me tutto questo, eh? – alzai il tono della voce, guardando il soffitto – Perché non è possibile c-che puntualmente – le lacrime cominciarono a sgorgarmi dagli occhi – succeda qualcosa”
“Oh, Mary” Ian si sdraiò accanto a me e mi accolse tra le sue braccia.
Le parole svanirono, lasciando il posto ai singhiozzi.
 
Mi guardai davanti allo specchio. Capelli legati, divisa carta da zucchero, scarpe blu, camice bianco e, soprattutto, volto incerto. Una via di mezzo tra ‘vorrei tornare a casa’ e ‘ok, passiamo questa giornata’. Arricciai le labbra, mi aggiustai gli occhiali, richiusi l’armadietto e uscii dallo spogliatoio, ora vuoto. Mentre camminavo distrattamente, direzione ascensori, un ragazzo biondo mi affiancò.
“Dottoressa Floridia?” domandò.
“Chi lo vuole sapere?” chiesi di rimando.
“Dovrebbe seguirmi in sala conferenze nord”.
Roteai gli occhi. Sapevo chi mi aspettava in quel luogo.
Non appena varcammo la soglia della porta, mentre mi accomodavo su una sedia, dissi: “Allora, Jim, tocca di nuovo a me, eh?”.
Il giornalista mi sorrise smagliante, rispondendo in questo modo alla domanda. Non appena si sedette di fronte a me, l’assistente accese le telecamere.
“Dottoressa Floridia, bentornata”
“Grazie” accennai un sorriso.
“Allora, come ci si sente a essere nuovamente tra queste quattro mura?”
“Beh, è un sollievo”
“Non è stata bene a casa, in pieno relax?”.
 
Probabilmente ero una donna morta. O probabilmente lo avevo ucciso con un infarto. Non riuscivo a stabilire con precisione quale delle due alternative mi aspettasse a casa. Ma, qualunque fosse, l’avrei scoperta presto. Parcheggiai sul mio vialetto e scesi dal mezzo. Subito Ian uscì fuori dalla casa, compiendo grandi passi verso di me.
Ok, decisamente sarei morta!
“Tesoro, ciao! – cercai di addolcire la pillola, sorridendo – Già a casa?”
“Secondo te com’è rientrare e scoprire che la tua convalescente ragazza, che si suppone stia a letto o sul divano, è completamente sparita? Dissolta nel nulla? – agitò le mani, mentre sfuriava – Dove diavolo eri?”
“Ho una spiegazione per tutto”
“Sentiamo” incrociò le braccia al petto.
“Ecco – per un attimo abbassai lo sguardo, calciando via un ciottolo con il piede sinistro – non riuscivo più a stare in casa con le mani in mano. Avevo i miei libri, le mie serie tv, la possibilità di cucinare, di ascoltare musica e di cantare a squarciagola, ma dovevo evadere. Dovevo trovare qualcosa di diverso, perché – sospirai – beh, la settimana scorsa non abbiamo vissuto un bel momento, né tantomeno uno facile. E stiamo ancora cercando di superarlo. Cosa che comunque non accadrà nell’imminente futuro, perché, beh, perdere un bambino non è esattamente come perdere una scarpa o il biglietto della metropolitana, perciò i-io… avevo semplicemente bisogno di superare qualcosa. E, improvvisamente, mentre ero completamente abbandonata sul divano, ho realizzato che esisteva qualcosa che potevo superare. Perciò – sorrisi e, aperto lo sportello anteriore del passeggero, tirai fuori una gabbietta – dai il benvenuto al nuovo membro della famiglia”.
Detto ciò, la posai a terra e ne sganciai il piccolo lucchetto di sicurezza. Poco dopo, molto timidamente, un musino bianco ne fece capolino.
“H-hai – Ian sgranò gli occhi, sorridendo a trentadue denti – hai comprato un cane?”
“Adottato, per la precisione! Dai il benvenuto a Polar, cucciolo bianco di Schnauzer nano”
“Polar? Nome curioso”
“In onore dell’orso polare che non hai potuto portare con te”
“Sei incredibile” mi diede un bacio stampo, poi cominciò a familiarizzare con il nuovo arrivato.
 
Scossi quasi impercettibilmente la testa, tornando alla realtà.
“Si sente bene?”
“Sì, scusami. Comunque, sai, lo stare in convalescenza è molto utile per riprendere le forze, però dopo un po’ al posto di rilassarti ti stressi e basta, semplicemente perché vuoi tornare alla vita di sempre! Per quanto sia bello passare del tempo a recuperare le serie tv e a prendersi cura degli animali domestici, beh, si ha bisogno anche di quella sana adrenalina, che solo una giornata di lavoro ti può dare. Si ha bisogno di uscire, di evadere da quella tranquillità, di tornare in azione. Perciò, sono sollevata e felice di essere qui”
“Ci dica, cosa consiglierebbe adesso alle donne che stanno passando cioè che sta vivendo lei?”

SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=TC3MOn5bQRc

“Beh, direi loro di cercare di non farsi sopraffare dai mille pensieri che affollano la mente. E’ naturale abbandonarsi a questi ultimi, pensare che magari si poteva fare più attenzione, che bisognava sottoporsi a meno stress e tanto altro, perché è semplicemente impensabile che prima si abbia un bambino in grembo e che poi, l’attimo dopo, svanisca. E’ impensabile che l’attimo prima si sia incinta e l’attimo dopo ci si risvegli in una camera d’ospedale, sapendo dal tuo partner che quella piccola creatura non esiste più. E si comincia a pensare che forse si è compiuto un atto di malvagità immane in una vita precedente per meritare tutto questo, ma la verità è che – esitai per un attimo – che tu non hai fatto niente. E non hai niente che non vada. Semplicemente queste cose accadono. Non c’è un motivo, non c’è una colpa. Sono cose imprevedibili. Non puoi prevedere che, mentre vai a lavoro in bicicletta, qualcuno ti investa o che, mentre sei in banca per estinguere il mutuo, tu sia vittima di una rapina a mano armata. Non puoi prevedere che, nonostante tu stia mangiando sano, facendo attività fisica e sia lontano da qualsiasi cosa dannosa, dentro di te stia crescendo un tumore. Così come non puoi prevedere che il tuo bambino non stia crescendo all’interno dell’utero, posto accogliente e sicuro, ma da un’altra parte. A cui non appartiene. In cui non dovrebbe essere. E in cui può fare solo danni. E’ tutto un’incognita e non è affatto colpa nostra. Piuttosto che pensare a cosa si sarebbe potuto evitare, a cosa si avrebbe potuto fare, piuttosto che vivere di rimorsi, cominciamo, invece, a pensare al fatto di essere vive. E di avere, dunque, una seconda possibilità. Sperando che la prossima volta vada semplicemente… meglio. Forse è un discorso contorto, ma questo è quello che direi, perché questo è quello che mi sono ripetuta nelle ultime due settimane”.
Jim restò per qualche attimo con la bocca aperta, cercando di dire qualcosa.
Alla fine, semplicemente, accennò un sorriso e mi strinse una mano.
“Grazie per questa testimonianza, dottoressa. Ancora bentornata. E buon lavoro”
“Grazie a voi” sorrisi, poi uscii da quella stanza.
Era strano camminare nuovamente per quei corridoi. Sembrava tutto uguale e tutto ordinario. Come sempre. Invece, qualcosa di diverso c’era. Io ero diversa. Sembrava fossero passati decenni dall’ultima volta in cui ero stata bene in quella struttura. Dall’ultima volta in cui ero stata davvero felice qui dentro. Mi toccai distrattamente il ventre, vuoto, adornato solo da una cicatrice. L’ennesima in un anno.
Scossi la testa e continuai a camminare, tuttavia a testa alta, come se non stessi affogando nei miei stessi pensieri, nei miei stessi gesti, così impulsivi, così dolorosi.
Il cercapersone trillò, facendomi riacquistare nuovamente padronanza di me stessa. Facendomi sentire nuovamente un medico, non per l’ennesima volta spettatrice o, peggio, protagonista delle vicende in quell’edificio.
Giunsi in pronto soccorso e trovai Hilary ad accogliermi.
“Dottoressa Floridia” sorrise smagliante.
“Hilary – le ricambiai il sorriso – cos’abbiamo?”
“Emma Jones, 17 anni, cardiopatica, è svenuta a scuola durante l’ora di matematica”
“Cosa le è stato somministrato in ambulanza?”
“Niente, ha rifiutato qualsiasi tipo di farmaco. Di fatto, la pressione è instabile e la frequenza cardiaca va e viene. Come il suo stato di coscienza”
“Perché si è rifiutata?”
“Dice di essere incinta. Ma non ne è certa. I genitori sono stati avvisati, ma non sanno di questa presunta gravidanza, quindi”
“Quindi li informeremo, solo dopo aver stabilito se questa notizia sia vera o meno. Allora, fatele immediatamente le analisi del sangue e cercate un farmaco che possa stabilizzarla, senza nuocere all’ipotetico embrione”
“D’accordo”.
 
Emma aprì pian piano gli occhi, azzurri come il mare, un po’ come quelli di Ian, e si guardò intorno confusa.
“Cos’è successo?” chiese con voce flebile.
“Hai avuto un collasso a scuola. Ti trovi al Saint Joseph. Abbiamo stabilizzato la pressione e la frequenza e”
“Il b-bambino?” domandò con voce improvvisamente strozzata, sgranando gli occhi.
Era visibilmente terrorizzata dal fatto che potesse succedere qualcosa a quel piccolo esserino dentro il suo grembo.
Oh, com’era familiare quella sensazione!
Le presi una mano spontaneamente e gliela strinsi.
“Non preoccuparti, il feto non ha risentito dei farmaci”
“E’ già un feto?”
“Sì. Emma, sei di sedici settimane”.
La piccola Jones sorrise a trentadue denti con gli occhi luccicanti. Colmi di gioia e, soprattutto, d’amore.
“I tuoi genitori sono appena arrivati – proseguii con indecisione – ed essendo tu minorenne, dovremo dire loro della gravidanza”
“Cosa? – smise di sorridere – No. Assolutamente. Non mi permetterebbero di tenerlo”
“Mi spiace, ma siamo costretti a riferirlo – le strinsi nuovamente la mano – ma non preoccuparti. Sarò dalla tua parte! Difenderò il tuo pensiero. Sta’ tranquilla”.
Stetti al suo capezzale a rasserenarla un altro po’, dopodiché uscii e mi diressi verso la sala d’attesa, per confrontarmi con i coniugi Jones.
Non appena arrivata, li chiamai ad alta voce.
Subito accorsero due persone. Entrambi vicini ai quarant’anni o poco più. Entrambi preoccupati, ma così composti.
La donna aveva i capelli biondi legati in un elegantissimo chignon; indossava un tailleur di Chanel, a detta della voce di Ilaria Urbinati nella mia testa; niente era fuori posto. Manicure perfetta, trucco impeccabile. Nemmeno io, appena uscita dal camerino la notte dei PCA, ero così curata. E dire che ero stata vittima di donne straordinarie per un intero pomeriggio.
L’uomo aveva i capelli brizzolati, indossava un completo nero e una camicia bianca, con il colletto slacciato.
Ma erano usciti da lavoro o da un ballo regale?
“Signori Jones, buongiorno. Sono la dottoressa Floridia. Sono il medico di vostra fig”
“Cos’ha nostra figlia?” domandò la madre.
“Beh, come credo saprete, lei è cardiopatica”
“Sì, dottoressa, certo che lo sappiamo. Lei non viene pagata per dirci cose che sappiamo già. Perciò… cos’ha nostra figlia?” ripeté lei, incalzante, quasi squittendo.
“Vostra figlia è svenuta a scuola, perché il suo fisico è sottoposto a un grande stress al momento, dato che”
“Emma è nata cardiopatica. Non è un qualcosa che è sorto dall’oggi al domani, improvvisamente. Non capisco cosa lei possa intendere per questo grande stress” la signora Jones roteò gli occhi, visibilmente infastidita dalla mia presenza.
“Magari sarebbe più soddisfatta, se mi facesse finire di parlare, che ne pensa?” risposi stizzita, fulminandola con uno sguardo.
“Scusi il comportamento di mia moglie, dottoressa Floridia. E’ semplicemente preoccupata. Come me d’altronde. Allora, senza ulteriori interruzioni... potrebbe dirci cos’ha la nostra Emma?”
“La signorina Jones è incinta di sedici settimane”.
La donna sgranò gli occhi. Atterrita.
“Come, prego? Potrebbe ripetere?”
“Emma è incinta”
“Ne è sicura?” chiese il marito.
“Sì. Abbiamo rilevato il battito, quando ancora vostra figlia era incosciente. Il feto sta bene e non ha risentito dei farmaci, ma dobbiamo tenerlo meglio sotto controllo, vista la situazione clinica di Emma”.
Per qualche attimo, il silenzio divenne padrone sia di me che dei miei interlocutori. Loro erano abbastanza scossi dalla notizia, mentre io non volevo proseguire. Perlomeno non prima di aver avuto un qualsiasi tipo di risposta da loro.
Improvvisamente, la madre di Emma sbuffò.
“Oh, beh, dottoressa, non c’è proprio nulla da tenere sotto controllo. Mia figlia non terrà questo bambino. L’aborto è consentito fino alle ventidue settimane, giusto? Benissimo, si proceda” cominciò a battere il piede, in attesa che eseguissi i suoi ordini.
“Signora Jones, con tutto il rispetto, sua figlia vuole tenere questo bambino. Ed è sano. Non c’è motivo per cui si debba ricorrere all’aborto” parlai, tentando di mantenere la calma.
“Invece c’è. Lei forse non lo sa, ma la nostra famiglia è molto importante in città. Mio marito è un potentissimo funzionario finanziario. Non possiamo permettere che questo bambino rovini la sua reputazione. Non le pare?”
“E perché dovrebbe rovinarla, mi scusi? Da quando i bambini sono motivo di vergogna e non di fierezza e amore?”
“Mia figlia ha diciassette anni. Non è sposata. Il suo ragazzo l’ha lasciata. Non possiamo permettere che la figura di una ragazza madre, ormai single, si insinui nella nostra famiglia. Assolutamente no. Sicuramente Emma è un po’ accecata da questa nuova situazione per farci un dispetto. Ah, che ragazza! – alzò gli occhi al cielo e batté le mani – Ora vado a parlarle e tutto si sistemerà. James, andiamo”.
Guardai la scena sbigottita. Il marito la seguì a ruota, nemmeno fosse un cagnolino da compagnia. E quello era un importantissimo funzionario?
Seguii i coniugi Jones anch’io, fin dentro la stanza della figlia.
Avevo promesso a Emma che sarei stata al fianco suo e del bambino. Che mi sarei battuta per loro.  E così avrei fatto.
“Cos’è questa storia?!” sbraitò la madre, senza nemmeno chiederle come stesse.
Senza nemmeno salutarla.
“Mamma, per favore” Emma cominciò a parlare, ma sua mamma la interruppe: “No. Non voglio sentire assolutamente alcuna spiegazione. Tu adesso firmerai il consenso per l’IVG. Chiaro?”
“IVG?! Che diavolo è? Che dici?” la ragazzina non capiva.
Guardava la madre spaesata.
“Interruzione Volontaria di Gravidanza” intervenni io, svelando il significato dell’acronimo.
“Interruzio – la piccola Jones sgranò gli occhi sconvolta – Mamma, stai scherzando?! Non esiste che io rinunci a questo bambino! Assolutamente no” cominciò a urlare.
“Come osi alzare la voce? Emma Kristen Jones, io sono tua madre e farai come dico io.  Il discorso è chiuso”
“No, non lo è affatto! Non rinuncerò a questo bambino. Per nulla al mondo”
“Ma a che scopo? Quel ragazzo ti ha pure lasciata. Che senso ha avere il promemoria di quanto sia stato infimo?”
“Perché non lo è stato! – Emma cominciò a piangere – E’ stata la persona più amorevole e meravigliosa che potessi avere al mio fianco, prima che…”
“Che?” mi intromisi, guardando la famiglia Jones al completo.
“Prima che morisse – la madre di Emma roteò gli occhi e si mise al fianco di sua figlia – Mia cara, nessuno voleva succedesse. Ma, che senso ha tutto ciò? Andiamo, non fare i capricci!”
“Tu parli così, solo perché credevi non mi amasse, che mi stesse semplicemente prendendo in giro. Tu hai tirato persino un sospiro di sollievo, quando è morto. Era troppo inferiore per i tuoi gusti. Ma sai una cosa, mamma? Non tutto gira intorno al potere e al denaro. Anzi, niente gira intorno a queste cose. Puoi essere ricco quanto vuoi, ma se non hai al tuo fianco una persona che ama te e non il tuo denaro, allora sei la persona più povera di questo mondo. E io e Killian ci siamo amati follemente, fino a quando non se n’è andato per sempre. E’ stato l’amore della mia vita. Non ucciderò questo bambino. E’ tutto ciò che mi rimane di lui. Di… noi. E starà con me. Non verrà abortito o dato in adozione. Io sono sua madre”
“Ma dimentichi che sei minorenne. Non puoi prendere queste decisioni da sola, mia cara”
“E tu dimentichi che, quando scatterà la mezzanotte oggi, io sarò ufficialmente maggiorenne. E potrò decidere per me e per questo bambino” la ragazzina fulminò la madre con lo sguardo, determinata più che mai.
“Bene, allora… quand’è così – la madre mi guardò – Dottoressa, mi dia i moduli. Procederemo subito”.
Detto questo, se ne andò, portando con sé il rumore dei tacchi, fastidiosamente assordanti.
“Dottoressa, non può farlo! La prego – Emma guardò suo padre, con le guance rosse e gli occhi gonfi – Papà, convincila”
“Tesoro, quando tua madre prende una decisione, è inutile controbattere. Sai com’è fatta. Sai che è così, perché sua madre l’ha sempre trattata in questo modo”.
Il padre aveva continuato a parlare, cercando invano di consolare la figlia, ma mi ero fermata a quella frase. Biascicai delle scuse e uscii di corsa da quella stanza, raggiungendo la madre della mia piccola paziente. Si trovava in sala d’attesa. Sempre impeccabile, certo, ma con lo sguardo incrinato. Perso nel vuoto. Teneva una sigaretta in mano.
“Non può fumare dentro l’edificio, lo sa?” le dissi, accomodandomi al suo fianco.
Non mi rispose, continuando a girare e rigirare quella sigaretta tra le dita.
“Sa, io ho capito. Suo marito ha detto a sua figlia che lei è in questo modo, perché è stata educata così. Perché sua madre l’ha sempre trattata così. Allora mi sono chiesta se questa scenata non fosse solo per una questione di immagine che, diciamocelo, sarebbe migliorata, vista la disgrazia che ha colpito il fidanzato di sua figlia. Questa scenata non ha niente a che vedere con il mantenere alto il nome di famiglia. Le ha ricordato qualcosa che ha passato pure lei. Non è vero? Quando è successo?”
“A quindici anni. Poco prima di conoscere mio marito. E’ stato colpo di fulmine, ma – esitò un attimo – lui non era del mio stesso rango sociale. Sembra stupido dirlo, ma ancora in determinate zone funziona così. Mia madre non voleva permettere una cosa del genere. Perciò fece in modo che se ne andasse. Lo pagò profumatamente per farlo. E quando scoprii di essere incinta, beh – sospirò – era la fine degli anni ottanta, queste cose non erano ben viste. Affatto. Perciò, mi fece abortire di nascosto”
“Signora Jones, ma dato quello che ha passato, perché impedire a sua figlia di tenerlo? Perché fare lo stesso errore?”
“Perché un bambino a quest’età ti frena. Ti impedisce di andare avanti. D-di fare qualcosa della tua vita”
“Signora, non è affatto detto. Conosco persone che hanno avuto bambini durante l’adolescenza e, con sacrificio e pazienza, sono riuscite a trovare la loro strada, a trovare qualcosa che amassero a livello lavorativo. Ed Emma non ha niente in meno rispetto a quelle persone. Ce l’hanno fatta loro. Ce la farà brillantemente anche lei. Mi creda” accennai un sorriso e le presi una mano.
Dopo qualche attimo di silenzio, mi alzai e andai via, lasciandole un po’ di spazio.
 
POV Ian
“Mary?” urlai il suo nome, non appena chiuso il portone di casa mia.
Polar mi venne subito incontro, scodinzolando e saltellando, seguito da Moke, Thursday e Damon, di gran lunga più tranquilli.
“Ma ciao” salutai dolcemente tutti gli animali miei e della dottoressa.
Li accarezzai per un po’, poi andai in cucina. Magari aveva parcheggiato nel piccolo cortile sul retro. Guardai dalla finestra, ma niente. Non era ancora tornata a casa.
Mi lavai le mani e cominciai a cucinare. Qualche verdura grigliata, un po’ di pesce, cose molto salutari. Il primo giorno di Mary sarebbe finito a breve, doveva essere stremata. Questo pasto le avrebbe dato un po’ di forze. Iniziai persino a canticchiare, mentre maneggiavo con le padelle.
Improvvisamente il portone si aprì e chiuse velocemente.
“Freddo!” urlò la mia donna.
Andai ad accoglierla e la trovai già avvolta in una coperta, intenta ad accendere il camino.
“Bentornata” le dissi, sorridente.
“Come fai a essere allegro? Si congela. Insomma, siamo quasi a Marzo, la primavera è praticamente alle porte e invece? Sembra di stare al polo Nord. O ad Arendelle. Siamo tornati in Norvegia, per caso?” parlò di fretta, come suo solito, mentre mi veniva incontro.
In breve tempo mi ritrovai tra le braccia un plaid umano.
“Dimentichi che io sono abituato alla differenza tra Hotlanta e Coldlanta. Anzi, è strano che non lo sia tu. Vivi qui da cinque anni!”
“Una siciliana è geneticamente programmata per provare sulla propria pelle le variazioni di temperatura ma non abituarsi mai a queste ultime. A meno che non riguardino le temperature alte. In quel caso siamo abituati a sopravvivere” alzò il capo, guardandomi.
“Fortuna che esistono le coperte allora. E i camini. Non oso immaginare dove saresti senza”
“Beh, se non avessi queste cose – si arrestò un attimo, posando gli occhi sulle mie labbra – troveresti comunque il modo di riscaldarmi” sorrise maliziosamente.
Stava per baciarmi, quando mi scansai lievemente. Mary mi guardò dubbiosa.
“Andiamo a cenare, su” parlai, quasi meccanicamente e la condussi in cucina.
Mangiammo abbastanza serenamente, a stento parlando. Dopo aver ingurgitato anche una mela ciascuno, le chiesi come fosse andata il primo giorno in ospedale.
“Non è andata male, affatto. Sai, ho avuto a che fare con una paziente incinta”.
All’udire quella parola mi rabbuiai.
Mary proseguì: “Sua madre non voleva lo tenesse, ma alla fine l’ho fatta riflettere e l’ho convinta. E seguirò sua figlia in questo percorso. E’ stata proprio una bella giornata”.
Annuii col capo, quasi assente.
“Ian, si può sapere che ti prende?”
“Come fai a parlarne così tranquillamente? A nominare la parola ‘incinta’? A”
“Ian, due settimane fa abbiamo perso un bambino. E’ un dato di fatto. Non è qualcosa che possiamo cambiare. Ovvio che non sono tranquilla. Ovvio che mi dispiace. Ovvio che – prese un bel respiro – al solo pensiero vorrei piangere. Ma non possiamo restare bloccati in questa cosa negativa che ci è successa. Possiamo e dobbiamo andare avanti. E se adesso non è andata bene, proveremo e riproveremo. Fino a quando non avremo successo. Fino a quando non avremo un pargoletto fra le braccia. D’accordo?” mi carezzò una guancia, non curandosi della barba, che le pizzicava il palmo della mano.
“Provare e riprovare, eh?” mi alzai e andai al suo fianco.
“E’ tutto quello che ci resta” si alzò anche lei e prese ad accarezzarmi le braccia.
La baciai di scatto. Sembravo completamente un altro Ian da quello che poco prima aveva evitato le labbra della sua ragazza.
Mary ricambiò il bacio, schiudendo la bocca e mettendo le braccia attorno al mio collo.
Mi staccai solo per un attimo da lei per ammirarla, permettendole così di prendere il controllo della situazione e, soprattutto, di me. Mi fece accomodare sulla sedia con irruenza, sedendosi sulle mie ginocchia, continuando a baciarmi, famelica, passionale. Mi ricordava molto il periodo che avevamo passato in Norvegia. Sempre insieme. Sempre uniti. Premette il suo bacino contro il mio più e più volte, ma, non appena la sedia cominciò a cigolare, ci arrestammo. E scoppiammo a ridere.
“Forse dovremmo spostarci” le dissi.
Non le diedi nemmeno il tempo di rispondere. La presi in braccio e la portai al piano di sopra, dritta in camera.
“Mmh, questo sa molto di ‘old fashion way’ (NDR: alla vecchia maniera)” parlò con voce elettrica, eccitata.
Toltici i rispettivi vestiti, lasciai che il mio corpo prendesse il sopravvento. La sua mano sinistra era sul mio petto. La presi con decisione e la posi sopra la sua testa, mentre, avanzando col bacino, entravo in lei. I miei gomiti le facevano da barriera, come se in quel momento potesse scappare. Ma non c’era via d’uscita. I nostri corpi erano una cosa sola, ancora. Non era di certo una cosa nuova. Eppure, ogni volta, assumeva un valore differente, una sfumatura diversa. Ogni volta sembrava la prima, ma con più complicità. Più legame. Più amore. Mi avvicinai al suo volto e la baciai, castamente, mentre, con voce affannata e il corpo sempre più pregno di lei, di noi, le sussurrai: “Ti amo”.
 
“Devi proprio farlo?” mi chiese Mary, a braccia conserte, mentre osservava attentamente John porre la mia ventiquattro ore all’interno della sua auto.
“Amore, so benissimo che preferiresti che io restassi qui. Io preferirei di gran lunga restare qui, piuttosto che lasciarti da sola con quegli impiccioni, ma”
“Non dire alcun ‘ma’ e resta. Andiamo!” mi supplicò, facendo il labbruccio.
Poggiò delicatamente le sue mani sul mio petto, battendo persino le ciglia.
Stava cercando di farmi crollare.
“Ma il lavoro chiama e sai benissimo che non posso disdire un impegno preso due mesi fa”.
Mary sbuffò.
“Dai, tornerò prestissimo. Non ti renderai nemmeno conto della mia assenza”
“Impossibile – sospirò – E va bene. Fai buon viaggio. Avvisami appena arrivi a LA”
“Certamente” le diedi un bacio stampo e la strinsi forte, prima di salire sull’auto.
 
Una donna finì di sistemarmi e mi invitò ad andare. Controllai che il microfono fosse a posto, poi sentii chiamare il mio nome e salii sul palco. Mi accomodai vicino a Paul. Subito dopo al mio fianco giunse Nina. Ci sorridemmo tutti e tre e guardammo la giornalista.
Presentati gli altri componenti del cast mancanti, parlò: “Vorrei dare innanzitutto un caloroso benvenuto al cast di ‘The Vampire Diaries’. Ormai avervi al Paley Fest è una tradizione – rise – Allora, stasera è appena andata in onda l’ottava puntata della stagione e non è stata proprio una puntata con lieto fine. Julie, hai riflettuto molto prima di scrivere questo finale?”.
Julie rispose: “Beh, diciamo che anche questa parte della puntata ha richiesto il suo tempo”
“E’ stato un caso che la coppia Delena si sia ritrovata a soffrire nuovamente? O forse dovrei nominare solamente Damon”
“Ci prova gusto a farmi soffrire effettivamente” m’intromisi e la guardai sorridendo.
“No, dai, è capitato” Julie rise.
“Capitato?” dissi sorpreso, scuotendo la testa.
Paul prese la parola: “Non è vero! Appena Damon ed Elena fanno un passo avanti, gliene fai fare subito un centinaio indietro. Povero Damon”
“La prossima volta non seguo il copione e mi metto a improvvisare” guardai Paul.
“E io ti assecondo” mi sorrise.
“I figli si ribellano alla madre” Julie si limitò a dire e ridemmo tutti di gusto.
La giornalista riprese: “Nina, qual è stata la tua reazione quando hai letto il copione di questa puntata?”
“L’ho letto e riletto più volte, non ci credevo, poi ho pensato: ‘No, non è possibile, ma ho sbagliato copione? Magari ho preso quello di Katherine’”
“Perché, cosa ti aspettavi?”
“Tutto, fuorché questo. Insomma, Elena aveva finalmente aperto gli occhi alla fine della serie, perciò mi aspettavo qualche passo avanti. E invece… no! Non solo non è riuscita nel corso delle settimane a dire completamente a Stefan della dichiarazione a Damon, ma neanche a lasciarlo, facendo andare via Damon definitivamente dalla città”
“Non me lo ricordare” le dissi, pieno di sconforto.
“Ian, secondo te cosa mancherà di più a Damon di Mystic Falls?”
“Di certo non Elena, è stata cattiva – guardai Nina ridendo e tutta l’assemblea urlò – Credo comunque che gli mancheranno la sua stanza e il suo adorato bagno”
“Ehi, grazie!” Nina incrociò le braccia.
“Non prendertela con me, dillo a Julie”
“Si torna sempre nello stesso punto, eh?” disse Julie ridendo.
Annuii divertito, poi aggiunsi: “Dai, in fondo ti vogliamo bene” e sorrisi.
“Solo che ora devi scavare un po’ di più” disse Paul e scoppiammo nuovamente a ridere.
La giornalista chiese di mandare in onda il promo delle puntate successive.
Le luci si spensero e il promo cominciò.
“La settimana prossima, doppio appuntamento!” disse una voce fuori campo.
“Com’è possibile che io sia qui dentro?” Caroline, nel corpo di Elena, urlò adirata.
“Quello che vedi non è quello che sembra” continuò la voce.
“Ho provato a praticare la magia nera e… credo che qualcosa sia andata storta” Bonnie abbassò lo sguardo, mentre Stefan la fissava.
“L’amore” proseguì la voce.
“Troveremo una soluzione, vedrai” Stefan baciò Elena, nel corpo di Caroline.
“L’amicizia” disse la voce.
“Dobbiamo tornare nei nostri corpi. Adesso!” Elena alzò la voce.
“Saranno messe a dura prova dal pericolo” la voce si fece più cupa.
“Hanno preso Elena, ignari che ci sia Caroline nel suo corpo. Dobbiamo salvarla” disse Tyler.
“Chi. Salverà. Caroline?” disse chiaramente la voce, mentre Elena, Stefan e Tyler venivano ripresi in primo piano a turno.
“Credo di aver trovato il modo. Ma non vi piacerà” disse Bonnie, guardando Elena.
Subito dopo, si vide Elena in lacrime, abbracciata a Bonnie.
“The vampire diaries, le nuove puntate. Giovedì prossimo, alle venti, nel canale The CW” concluse la voce, ponendo fine al promo.
Le luci si riaccesero. Si sentivano adrenalina e curiosità nell’aria.
“Molto… intenso” sgranai gli occhi e tutti annuirono, d’accordo con me.
 La giornalista si rivolse a Kat, seduta al fianco di Paul: “Abbiamo appena visto un abbraccio doloroso tra Bonnie ed Elena. Cosa succede? Puoi dirci qualcosa?”
Kat cominciò: “Posso solo dire che tra le due ci sarà un momento di forte amicizia. Ho pianto dopo aver girato quella scena”
“Nina, si comincia a sospettare una transizione vicina per Elena, se sai che intendo, e il promo sembra confermarcelo, specie nella brevissima scena tra Elena e Bonnie. Questo nostro sospetto avverrà presto?”
“Non posso dirlo – rise – Sono cose che si devono scoprire guardando le puntate. Julie e tutti i fans mi pianterebbero un paletto nel cuore, se spoilerassi qualcosa”
“A proposito di” risi.
“Il cuore di Elena o di Katherine?” chiese la giornalista.
“Chi lo sa” si limitò a dire.
“Siete fin troppo misteriosi” ribatté con disappunto.
“Il mistero è parte integrante dello show” affermò Julie.
“Sì, e ormai è entrato nel nostro sangue” continuò Paul.
Dopo tantissime domande, la giornalista si rivolse a Candice e disse: “Allora… Caroline, Tyler, Kalus…”
“Non molla, Klaus proprio non molla” Candice sorrise e guardò Joseph.
“Io lo farei mollare, ma spetta a Julie” le fece notare Morgan, sogghignando.
“Ma perché ce l’avete solo con me oggi? Dite qualcosa anche a Kevin” Julie incrociò le braccia.
“E perché tu devi mettere in mezzo me? Io non ho fatto niente di male” Kevin rise.
“Vero! Se vuoi due foste due poliziotti” cominciò Paul.
“Tu, Kevin, saresti quello buono, che sorvola sulle multe” conclusi io.
“Si completano le frasi a vicenda, sono proprio anime gemelle” si intromise Michael.
“Siamo o non siamo il mitico ‘Team Salvatore’, scusa!?” Paul rise e mi diede il cinque.
“A proposito di anime gemelle – la giornalista guardò Torrey – Com’è lavorare con il proprio marito?”
“Non ci sopportiamo più – rise, stringendogli la mano – No, scherzo, è divertente, non dobbiamo nemmeno chiederci come abbiamo passato la giornata, perché siamo stati sullo stesso set”
“Nella terza e nella quarta serie hai avuto una gran bella storia con Alaric e”
“Oh, Alaric! Mi manca Alaric” sussurrai afflitto.
I fans cominciarono a urlare ‘Dalaric’ a gran voce.
La giornalista mi guardò e scosse la testa, poi riprese: “Dicevo, e qualche flirt con Damon. E’ stato imbarazzante girare quelle scene?”
“Dipende dai vari punti di vista. Dal canto mio, ero abbastanza tranquilla a ogni scena, ma solo perché Paul non guardava” rise.
“Ian, i vostri punti di vista?”
“Io e Matt chiedevamo il permesso a testa bassa per ogni singola scena” dissi, abbassando lo sguardo anche in quel momento, come se fossi un cane bastonato.
Tutti risero, poi la giornalista continuò: “Tornando al triangolo di Caroline… avrà mai una fine o è come quello di Elena?”
“Che intendi con ‘come quello di Elena’?” domandò Candice, inclinando il capo.
“Beh, presente fino all’ultimo”
“Ah, no! Io spero proprio abbia una fine. Secondo me è questa la cosa migliore per il mio personaggio, ha bisogno di stabilità sentimentale”
“E quale sarebbe secondo te la fine ideale per il triangolo?”
“Non so, ma una cosa è sicura: non comprende Klaus. Cioè, anche se c’è molta intesa tra loro, non credo sia la cosa ideale. Credo che il Forwood sia la relazione di Caroline, punto. Senza offesa, Joseph” rise.
“Sopravvivrò” rise anche lui.
“Joseph, cosa pensi sarebbe meglio per Klaus? Prima hai detto che lo faresti mollare nei confronti di Caroline”
“Mm, non so. Io lo farei provare con Elena. Sai, gli ricorda Tatia, Katerina…”.
In assemblea si elevò un boato e partirono gli applausi.
Joseph rise, mentre Nina diveniva un po’ rossa.
La Dobreva, poi, rispose: “No, grazie, non sono interessata a un quadrato, mi basta già il benedetto triangolo”
“Ahi” dissi io e scoppiai a ridere, seguito da tutti.
Mentre ridevamo ancora di gusto, la giornalista disse, molto curiosa: “Siamo circondati da coppie in questo cast – mi guardò – A proposito di coppie, Ian, la tua compagna è qui a LA con te?”
“No, è rimasta ad Atlanta, per il suo lavoro” mi accomodai meglio sulla sedia.
“E’ un medico, giusto?”
“Sì, perciò non si poteva allontanare”
“Cosa le diresti in questo preciso momento?”
“Le direi di guardare le prossime puntate prima di inviare lettere minatorie a Julie” risi.
“Addirittura! E’ proprio una Delena agguerrita”
“Già. Anche se lei preciserebbe dicendo che è ‘Team Damon’, specie quando Elena commette cattiverie nei suoi confronti”
“Un po’ di parte”
“No, lo adora dalla sua prima apparizione”
“Non vi conoscevate ancora ai tempi?”
“No, ci siamo conosciuti quando la terza stagione era a metà del suo percorso”
“Capisco. Guardate le puntate insieme il giovedì sera?”
“Spesso no, un po’ perché le vede in ospedale con i colleghi, se non ci sono emergenze ovviamente, un po’ perché si vergogna a commentare, quando sono presente”
“Come mai?”
“Diciamo che è famosa per commentare in modo mooolto animato” scoppiai a ridere, portando alla mente quelle puntate che avevamo visto insieme.
“E, quando le guardate insieme, come si comporta?”
“Mi fa ridere, per alcune scene si dispera proprio”
“Scene come?”
“Se Damon soffre, se Elena lo tratta male, alcune scene Stelena. E’ molto esilarante e coinvolgente. Ci mette proprio passione quando commenta. E’ come se fosse parte integrante della serie tv. Si immedesima molto” scossi la testa divertito.
“Un po’ come quando, tempo fa, parlò apertamente durante il momento delle domande alla con di Parigi?”
“Ehm, diciamo di sì” non appena parlai, mi morsi per un breve attimo il labbro inferiore.
Mary si vergognava da morire di quella scenata. Sperava fosse finita nel dimenticatoio.
“Mi hai incuriosito. Credo che proverò a convincerla a guardare un episodio insieme”
“Non ci riuscirai così facilmente” risi.
“Il suo episodio preferito?”
“Il dodicesimo della seconda serie”
“Gran bell’episodio! Ma, dimmi – la donna drizzò la schiena – se ci sono delle scene in cui Damon bacia Elena o altre donne, come si comporta?”
“Se bacia Elena, urla dalla gioia; se bacia le altre urla disperata, perché non sta baciando Elena. Ovviamente in tutto questo il personaggio di Rose è escluso. O, meglio dire, era”
“E perché?”
“Perché era il suo personaggio preferito femminile. Batteva persino Elena e Katherine”
“Wow! Ma quindi… per quanto riguarda il tuo lavoro è abbastanza tranquilla”
“Sì, sa che nel mio lavoro si devono fare anche scene di questo genere. Questo lato non la preoccupa minimamente. Inizialmente, i primi tempi, non riuscivo ad abituarmi a questo. Perciò, ogni qualvolta baciavo qualcuna sul set, non appena rientravo a casa, glielo dicevo. Mi sembrava la cosa più onesta e giusta da fare. E, invece, lei puntualmente mi sorrideva e mi pregava di smetterla. Non perché le desse fastidio. Semplicemente, secondo lei, non ero proprio io a baciare, ma il personaggio. Sembra un po’ contorta come cosa, ma, beh, fondamentalmente è la verità”
“E fuori dal lavoro?”
“Tutti siamo un po’ gelosi, anch’io” risposi vago e sorridente.
“E’ un difetto questo?”
“No, io credo che sia invece una cosa importante. Ti fa capire quanto tu tenga a quella persona! Certo, ovviamente non deve essere una gelosia esagerata, perché poi sfocerebbe in mancanza di fiducia e quella è una cosa negativa. Quindi, meglio parlare di gelosia moderata”
“Parlando di difetti… lei ne ha qualcuno?”
“Ha la lacrima molto facile. Piange persino con alcuni cartoni animati! Ma, sinceramente, non so se definirlo un difetto o un pregio. Dimostra la sua bellissima umanità in fondo” sorrisi.
“E secondo lei tu ne hai qualcuno?”
“Uno solo”
“E quale sarebbe?” mi guardò accigliata.
“Detesta il fatto che io fumi. Ovviamente, essendo un medico, detesta ciò che può nuocere gravemente alla salute. Anche se a volte si concede un po’ di cibo spazzatura” scossi lievemente la testa.
“Ah, credevo fosse peggio”
“No, no, potete stare tranquilli” risi.
“E’ la prima partner al di fuori del tuo mondo?”
“No, non è la prima, però… beh, ecco… è senz’altro la prima a essere così comprensiva con me. Molte altre non lo erano, mi dicevano di scegliere tra loro e il mio lavoro e io ci stavo male. Invece lei è… diversa! Non avrei mai pensato di poter amare così tanto qualcuno al di fuori del mio mondo. Lei è semplice, bella, dolce, divertente, pazza al punto giusto, sexy – sorrisi istintivamente – Mi completa. Credo non debba aggiungere altro – sentii il mio volto diventare sempre più rosso – Anzi, una cosa ci sarebbe: buon compleanno, piccola,  mi dispiace di non essere lì con te” sorrisi alla telecamera e le mandai un bacio, mentre tutta l’assemblea applaudiva intenerita.
 
POV Mary
Chiusi il portone alle mie spalle, incerta. Presi un respiro profondo, cercando di convincermi che tutto sarebbe andato per il meglio.
“Mary, finalmente sei tornata! Credevo non avrei fatto in tempo a salutarti prima di parti – Ian giunse in soggiorno allegro, ma si arrestò subito, nel momento in cui si rese conto che non eravamo soli – E voi siete?” domandò.
“Una piccola troupe, che, al momento, lavora in ospedale. Siamo qui, perché domani è la giornata vissuta dal punto di vista della dottoressa Floridia. Quindi staremo con lei dall’inizio fino alla fine” parlò un ragazzo rossiccio con gli occhi color ghiaccio.
“Non mi ricordavo questa clausola nel contratto”
“Beh, invece c’è. Gli altri dottori hanno accettato, non vedo perché con la sua compagna dovrebbe essere differente”
“Non lo è. Mi spiace solamente non essere presente a tutto questo – Ian gli lanciò un’occhiataccia, quasi con aria di sfida; la sua attenzione venne distolta da un paio di fari – A tal proposito, il mio autista è appena arrivato”
“Di già?” chiesi con voce flebile, guardandolo tristemente.
“Sì. Mary, tu va’ fuori. Io prendo la ventiquattro ore e ti raggiungo – poi si rivolse alla troupe – quanto a voi, accomodatevi sul divano e godetevi la permanenza”.
Feci quanto aveva detto e andai fuori. John mi venne incontro sorridente.
“Parti anche tu, Mary?”
“Oh, purtroppo no! Sai, come il lavoro di Ian chiama, lo fa anche il mio”
“Capisco perfettamente, non preoccuparti”.
Ian si unì al piccolo gruppo formatosi.
“Quelli lì non mi piacciono. Io te lo dico”
“Ian, lo so, nemmeno a me. Ecco perché vorrei che restassi. Se dovesse sfuggirmi qualcosa su di te o su di noi che loro non possono sapere, che farei? Che faremmo?”
“Non pensiamoci adesso. Potrebbe andare anche tutto bene” accennò un sorriso.
“Devi proprio farlo?” gli chiesi, a braccia conserte, mentre osservavo attentamente l’autista porre la ventiquattro ore all’interno della sua auto.
“Amore, so benissimo che preferiresti che io restassi qui. Io preferirei di gran lunga restare qui, piuttosto che lasciarti da sola con quegli impiccioni, ma”
“Non dire alcun ‘ma’ e resta. Andiamo!” lo supplicai, facendo il labbruccio.
Poggiai delicatamente le mie mani sul suo petto, battendo persino le ciglia.
“Ma il lavoro chiama e sai benissimo che non posso disdire un impegno preso due mesi fa”.
Sbuffai. Tentativo di arruffianamento fallito.
“Dai, tornerò prestissimo. Non ti renderai nemmeno conto della mia assenza”
“Impossibile – sospirai – E va bene. Fai buon viaggio. Avvisami appena arrivi a LA”
“Certamente” mi diede un bacio stampo e mi strinse forte, prima di salire sull’auto.
Non appena il mezzo non fu più visibile dai miei occhi, rientrai.
“Tutto bene, doc?” chiese il rosso di poco prima.
“Certamente – sorrisi forzatamente – Ora vi mostro casa mia. Perlomeno le zone che potete vedere” giunsi le mani e mi incamminai verso la cucina.
In breve tempo mostrai loro quasi tutta casa, eccetto lo studio improvvisato di Ian, la mia, ormai nostra, camera e le stanzette, vuote perché destinate a futuri bambini. Dopo cena, augurata la buona notte ai nostri animali domestici, portai i miei ospiti, assetati di gossip, proprio sulla soglia della stanza da letto.
“Eccoci qua. Allora – mi dondolai lievemente sul posto – buona notte”
“A lei, doc! Tenga questa videocamera. Abbiamo fatto in modo che si attivi alla stessa ora della sua sveglia. Così, poi, i nostri spettatori cominceranno quella giornata con lei”
“D’accordo. A domani” presi quell’aggeggio un po’ esitante, dopodiché entrai e chiusi la porta alle mie spalle.
 
La sveglia suonò, distogliendomi dal mondo dei sogni.
Mi alzai, notando immediatamente il puntino rosso della videocamera. Era accesa.
“Buongiorno – spalancai le tende, permettendo al sole di entrare nella stanza – Sono la dottoressa Maria Chiara Floridia e oggi vivrete una mia giornata tipo” cercai di fare una voce più limpida possibile.
Accennai un sorriso all’obiettivo, poi, presi dei vestiti puliti, andai in bagno.
Lavatami e vestitami, tornai in camera, prendendo in mano quell’affare tecnologico.
“Oggi ho il turno pomeridiano in ospedale. Questo è molto comodo, in quanto puoi svegliarti un po’ più tardi del solito e prepararti con più calma”.
Improvvisamente sentii dei rumori al piano di sotto. Polar cominciò ad abbaiare.
Che stavano combinando quei ficcanaso dei giornalisti?
Mi diressi al piano inferiore della mia casa.
Polar giunse ai miei piedi. Scodinzolava. Continuava ad abbaiare, ma… non era un segno d’allarme. Era più… felicità!
“Ma che diavolo…?” borbottai.
Non ebbi il tempo di completare la frase, che dalla cucina sbucarono fuori Rose, Steve e Alex.
“Buon compleanno, Mary!” urlarono tutti insieme, suonando le trombette giocattolo, lanciando coriandoli e agitando le mani, nemmeno fossero tutti cheerleader.
Vederli tutti lì sorridenti, un gruppo come mai prima d’ora, mi commosse.
“Andiamo, Floridia, è l’ultimo anno in cui appare il numero 2 come prima cifra, il pianto non è giustificato! L’anno prossimo sì” Rose mi fece una linguaccia.
“Scema” risi e corsi ad abbracciarli, dimenticandomi completamente di avere ancora la videocamera in mano.
Dopo esserci stretti tutti e quattro, così forte da soffocarci a vicenda, andammo tutti insieme in cucina.
Lì mi aspettava una grande tavola imbandita. Tovaglia, bicchieri di carta e color carta da zucchero,  due grandi brocche di succo d’arancia e una piccola torta tonda, in cui era riprodotta una foto. Raffigurava noi quattro. Era stata scattata nel mio periodo di convalescenza. Nonostante fossi dilaniata dentro, nonostante trovassi tutti i modi possibili e immaginabili per sentirmi in colpa, in quella foto sorridevo. Perché, sì, avevo perso il mio bambino, ma avevo anche trovato un amico. Uno di quelli che ‘Noi due amici? Tzé, scordatelo!’. Uno di quelli che mai avrei pensato di ritrovare al mio fianco.
“Ragazzi, è-è davvero stupendo. Grazie” li abbracciai nuovamente.
Dopo aver spento le candeline, mangiammo la torta tutti insieme. Giornalisti inclusi.
 
Dopo aver videochiamato i miei familiari e le mie ‘sorelle per scelta’ sparse per il mondo,  diedi da mangiare a Damon, Moke, Thursday e Polar, quella mattina più affettuosi del solito. Portai Polar a fare i bisognini in cortile, dopodiché uscimmo di casa. Era già ora di andare a lavoro.
Mentre ci dirigevamo in ospedale, i miei colleghi in un auto e io e i miei ‘ospiti’ in un’altra, questi ultimi cominciarono a fare domande.
“Come si sente mentre va a lavoro?”
“E’ una bella sensazione. Ogni giorno penso un po’ al motto di Derek Shepherd, di Grey’s Anatomy, che sarebbe: ‘E’ una bella giornata per salvare delle vite’, e mi rallegro. Arrivo in ospedale di buon umore e volenterosa di fare e di aiutare. Non dico che questo sia il comportamento più corretto del mondo, ma aiuta davvero tanto. Un conto è arrivare con il musone, senza alcuna voglia di lavorare, un conto è arrivare con il sorriso. E questo non influenza solo te e il tuo lavoro, ma anche gli altri, non importa che siano colleghi o pazienti. Con un semplice sorriso, con una piccola parola di conforto, hai la possibilità di cambiare la giornata di qualcuno. E questo, nel caso dei pazienti, insieme al tentativo di salvargli la vita, è davvero un grande dono”
“Capitano mai dei giorni in cui lei non abbia voglia di lavorare?”
“Beh, è successo. A volte per, come dire, dei retroscena della mia vita al di fuori dell’ospedale, altre volte per aver passato una notte insonne. Ma, in fondo, è più che normale. Io amo il mio lavoro, ma le ‘giornate no’ fanno parte di ognuno di noi. Nessuno ne è esente. In quei casi, prima di arrivare in ospedale, cerco di rianimarmi ascoltando musica. Non quella del cellulare, che mi accompagna tutti i giorni; bensì quella della radio. A volte mandano in onda delle canzoni che sembrano fatte apposta per me e per quello specifico momento. E mi migliorano la giornata”.
L’uomo coi capelli rossi stava per pormi un’altra domanda, quando notai un po’ di confusione sulla carreggiata sinistra. Che diavolo era successo?
“Dottoressa?” chiesero dubbiosi.
Senza pensarci due volte, accostai. Scesa dall’auto, corsi verso quel gruppo di persone.
“Che succede?” chiesi, rimboccandomi già le maniche.
Sdraiata al suolo, priva di conoscenza, vi era una bambina. Sei anni al massimo. Aveva i capelli biondi acconciati in una treccia, indossava il casco. Al suo fianco, una bicicletta rosa, con ancora una ruota che girava.
“Hanno investito la mia bambina. Lei ha investito la mia bambina!” urlò straziata una donna, coi capelli biondi raccolti in uno chignon, indicandone un’altra.
Mora, con lo sguardo perso, molto incinta.
“Signora, i-io – strizzò gli occhi per un attimo, prima di proseguire il discorso – è sbucata all’improvviso, non sono riuscita a evitarla. M-mi dispiace, i-io” si interruppe, toccandosi il pancione.
Riuscii a intravedere dal suo vestito un po’ di sangue.
“Che succede?” chiesero in coro Rose, Steve e Alex alle mie spalle.
“Alex, questa bambina è stata investita, mentre andava in bicicletta. Tu e Steve controllatele i parametri vitali. Credo si sia fratturata una gamba, comunque. Guarda l’angolazione”
“Sì, quasi sicuramente. Gran bella vista, Quattr’occhi” Alex si complimentò, sorridendomi beffardo, poi si chinò per esaminare la piccola paziente.
“Rose, aiutami con questa donna incinta e chiama un’ambulanza” dissi io, poco prima che la donna in gravidanza si piegasse in due per il dolore.
Ci mobilitammo immediatamente, come dei bravi soldatini su un campo di battaglia. In breve tempo arrivarono le ambulanze e portarono via le nostre pazienti. Subito dopo, risalimmo sulle nostre auto e seguimmo quei mezzi di trasporto, che avevano spiegato le sirene. Giunti al Saint Joseph, non avemmo nemmeno il tempo di cambiarci. Subito indossammo dei camici ed entrammo nei rispettivi trauma center.
“Donna sconosciuta, trent’anni al massimo, incinta di circa – esaminai un attimo l’addome, prima di proseguire – ventisette settimane. Segni vitali alterati, pressione centosessanta su cento. Emorragia antepartum in corso, sospetto distacco di placenta. Hilary – mi rivolsi a una dei miei specializzandi, mentre gli altri continuavano a sbracciarsi per la paziente – avvisa Kate di ginecologia e avverti le sale operatorie. Questa è un’emergenza”.
 
Uscii dalla sala operatoria, con Kate al fianco. Insieme, ci dirigemmo verso la sala d’attesa. Era arrivata una chiamata, durante l’operazione, che ci aveva avvisato dell’avvenuto riconoscimento della paziente. Margaret Dallas, trent’anni, moglie di David Dallas, trentacinque anni. Ci avevano detto che fosse lì ad aspettare. Non appena vi giungemmo, ci togliemmo entrambe la cuffietta e chiamammo il nome del marito della nostra paziente.
“Come sta Maggie? E la bambina?” domandò affannato, alzandosi di fretta dalla sedia e venendoci incontro.
“Sua moglie soffre di ipertensione arteriosa. Oggi ha avuto un incidente improvviso, ha investito una bambina in bicicletta e” dissi.
“Sì, sono stato avvertito di ciò al telefono. Mi hanno detto che era sotto i ferri. Come stanno?”
“Sua moglie sta benissimo. Adesso è in terapia intensiva, in attesa che si svegli”
“E mia figlia?”
“Essendosi distaccata la placenta, fonte di nutrimento, di ossigeno e di ‘scarico’ – Kate fece le virgolette – per la bambina, sono stata costretta a fare un taglio cesareo ed estrarre il feto. Le sue condizioni sono critiche, ma è stata subito intubata e posta in un’incubatrice. Io e i miei colleghi intendiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per portarla fuori pericolo”
“D’accordo – David annuì lievemente, con le sopracciglia aggrottate per la preoccupazione – Quando potrò vedere mia moglie?”
“Può andare anche adesso. La accompagno, se vuole” mi pronunciai, accennandogli un sorriso.
“Grazie, è molto gentile”
“Allora mi segua”.
Camminammo fianco a fianco, in silenzio, fin quando non giungemmo dinanzi la stanza di una Margaret ancora addormentata.
“Ecco qui. Può starla accanto tutto il tempo che vuole. Nessuno la verrà a disturbare, se non per le visite a sua moglie o per informazioni riguardanti la bambina”
“Grazie” mi toccò una spalla.
Dopo di che entrò.
Passate un paio d’ore, la mia paziente si svegliò. Stavo per darle un’occhiata, quando Hilary entrò di corsa dentro la stanza.
“Che succede?” le chiesi un po’ perplessa.
“Dottoressa Floridia, potrebbe uscire un attimo?”
“Ma certo”.
Seguii la mia specializzanda fino al corridoio.
“I Dallas dovrebbero scegliere in fretta un nome per la bambina e farla battezzare, se credono”
“Non mi dire che”
“Sì. Le resta poco da vivere. Ora, le infermiere della terapia intensiva neonatale vorrebbero sapere di che religione sono, così da poter chiamare qualcuno per il rito”
“Dannazione! – imprecai, dispiaciuta – D’accordo – rientrai e, preso un bel respiro, chiesi – Di che religione siete?”
“Siamo cattolici. Come mai?” David mi guardò stranito.
“Le infermiere della terapia intensiva neonatale vorrebbero chiamare un prete per voi p-per – sentii gli occhi inumidirsi, ma dovevo resistere – per battezzare la vostra bambina e salutarla”
“No – Margaret cominciò subito a piangere – Cosa!? No, no, non posso salutarla, n-no!”.
Mentre singhiozzava e continuava a pregare che non venisse presa, David le si sedette accanto, tentando di consolarla e di spingerla a fare quello che fosse più giusto. Uscii ben presto da quella camera, con la scusa di avvertire le infermiere della TIN, ma la verità era che non potevo restarvi dentro più di un altro secondo. Ricordi dolorosi e fin troppo recenti stavano riemergendo, facendosi strada con quante più lame possibili, squartando e dilaniando tutto ciò che capitava loro sotto tiro.
 
“Kate, ti prego” supplicai la mia collega a mani giunte, mentre in quella stanza eravamo ancora sole.
Ian era andato a prendersi un caffè pomeridiano. Aveva detto per mettere qualcosa dentro lo stomaco, ma sapevo benissimo che la verità era un’altra. Doveva semplicemente evadere per un po’ da quella realtà così cruda e malsana. E dalla mia folle idea di vedere il prodotto del nostro amore, prima che venisse buttato via. Era ancora un embrione, non un feto, perciò contava come rifiuto organico.
“Mary, ti rendi conto di quanto sia macabra come cosa?”
“Perché non è macabra a ventiquattro settimane, ma lo è a quasi sette? Andiamo! Poteva essere il mio bambino. Anzi, lo era! Perché non posso vederlo, prima che venga gettato nel dimenticatoio, in tutti i sensi?”
“Ian vuole farlo?” mi domandò, osservandomi profondamente.
“No. Solo io. E non è un modo per confermare la realtà. Ho ben in mente il fatto di non essere più incinta e di aver perso una tuba. Voglio solo… voglio solo dirgli addio. Mi sembra una cosa giusta o sbaglio?”.
Kate non ribatté più. In breve tempo, mi procurò una sedia a rotelle e un albero per la flebo. Facendo molta attenzione ai punti, mi fece sedere, dopodiché mi portò nel blocco operatorio. Sala 8. Non appena aprì la porta, almeno cinque infermieri si voltarono, interrompendo la loro attività di pulizia e sterilizzazione della stanza.
“Stai scherzando? Così dovremo ricominciare tutto da capo!” si lamentò uno di loro, guardandoci in malo modo.
“Sto eseguendo il volere della mia paziente. Tutto qui. Presto torneremo in stanza e voi potrete continuare il vostro lavoro. Dov’è? E’ stato già buttato?”
“Non ancora. Perché?”
“La dottoressa Floridia vorrebbe vederlo”.
Quell’infermiere, di cui non ricordavo minimamente il nome in quel momento, borbottò qualcosa, prima di prendere un contenitore trasparente, quasi come una provetta, non troppo grande.
“Ecco qui. Sbrigatevi”.
 
“E’ permesso?” chiese Ian, sorridendo amaramente.
“Certamente! Sono appena stata visitata e ho cenato – guardai il piatto vuoto dinanzi a me – se così si può chiamare” feci una smorfia.
“Che hai mangiato di mm commestibile?”
“Avendo appena subìto un intervento, mi hanno servito del brodo. Sembrava più acqua sporca, ma, si sa, il cibo dei pazienti da queste parti è un po’ disgustoso”.
Ian rise.
Fattogli cenno di avvicinarsi, si sdraiò accanto a me, cosicché potessi poggiare il capo sul suo petto.
“Non ti ho trovata in stanza dopo il caffè. Sei andata?”
“Sì”

“E – Ian esitò un attimo, sentii il suo respiro divenire pesante – com’era?”
“Era incredibilmente piccolo. Un centimetro al massimo. Sembrava un mirtillo. Ma, nonostante questa piccolezza, era incredibilmente umano. Bellissimo. Aveva due occhi, l’accenno delle orecchie. Aveva le manine e i piedini. Non so dirti se avremmo avuto un maschietto o una femminuccia. So solo che sarebbe stato un bambino bellissimo” lo strinsi forte, mentre gli occhi mi si velavano nuovamente di lacrime.
 
Era difficile riuscire a respirare, dopo esperienze del genere. Era difficile andare avanti, se ogni cosa puntualmente rimandava a quel tuo immenso dolore. Mi appoggiai al muro, cercando di riprendermi. Incapace di muovermi da quella posizione, avvisai il TIN dal cellulare. Dopo non molto, la stanza di Margaret si affollò. Vidi chiaramente tutta la breve celebrazione del battesimo e, successivamente, il dolore di due genitori palesarsi, tra urla maggiori, mentre stringevano a loro l’ormai inerme corpicino della loro bambina.
Ripresi a muovermi. Non potevo restare lì. Non mi era concesso. La loro sofferenza era qualcosa di privato. Camminai velocemente per svariati piani, fin quando non mi rinchiusi in una delle stanze del medico di guardia, sperando che la troupe, assegnata a me quel giorno, non venisse a chiedermi cos’avessi e non mi spingesse a parlare. Chiamai Rose e mi sdraiai in posizione fetale. Come una bambina indifesa e fragile.
La porta si spalancò nuovamente dopo un minuto e mezzo.
“La Floridia chiama e la Davis risponde” disse, cercando di farmi scappare un sorriso.
Lo accennai, mentre si sdraiava accanto a me.
“Che succede?”
“La mia paziente di oggi, quella incinta”
“Sì?”
“Ha avuto un distacco di placenta, suppongo per via dell’incidente e per la sua ipertensione. La bambina non è sopravvissuta e”
“E tu hai pensato a ciò che ti è successo. Non è così?”.
Annuii.
“Mary, lo so che è difficile. E sai benissimo che, forse, non c’è persona al mondo che possa capirti più di me. Insomma, dopo due aborti, credo di essere tristemente diventata un’esperta in materia. L’elaborazione di tutto quanto è assurda e dolorosa. Ma devi superarla. Non puoi vivere nel passato per sempre. Perché, così facendo, ti precludi a tutto ciò che la vita può offrirti nel ‘dopo’. E se, dopo quest’esperienza negativa, arrivasse un altro bambino a riempirvi il cuore? E se addirittura ne arrivassero due in una volta? Non si vive di ‘se’ e di ‘ma’, è vero. Tuttavia, bisogna pensarci. Come puoi scoprire se puoi essere felice, se puoi ricevere altre creature in dono, se ti chiudi in ciò che ti è successo?”
“Sai, ho fatto un discorso simile a Ian la settimana scorsa. Prima che facessimo l’amore” mi morsi il labbro superiore.
“Ma pensa te! E io spreco le mie preziosissime perle di saggezza e amore per te? Va’ al diavolo, Floridia, non te le meriti” mi tirò un cuscino.
“Ehi!” protestai, alzandomi di scatto e controbattendo.
Rose mi tese la mano.
“Torniamo al mondo esterno, ti va?”
“Sì” risposi convinta, afferrandogliela.
“A proposito, i tuoi amici giornalisti ti stanno cercando”
“Ehw” mormorai disgustata.
“Com’è toccato a me, tocca pure a te. Fa’ vedere chi sei, Xena”.
Scossi la testa divertita.
Uscimmo da quella stanza, facendoci riaccogliere dalla realtà.
Separatami dalla mia grande amica americana, mi diressi verso la caffetteria, certa che avrei trovato i miei ‘amichetti per un giorno’ lì.
Difatti, non appena aprii la porta che dava all’esterno, eccoli lì, comodamente seduti vicino al bancone, intenti a mangiare un panino.
Guardai l’orologio. Le sette del pomeriggio. Presa com’ero dal mio lavoro, non avevo nemmeno fatto uno spuntino o cenato. Mi avvicinai anch’io al bancone.
“Ciao Claudine” sorrisi.
“Oh, ciao, Mary! E buon compleanno – ricambiò il sorriso – Cosa posso offrirti?”
“Un panino fesa di tacchino e mozzarella può andare”
“Arriva subito”.
Mi voltai verso i giornalisti.
“Oh, ciao!” salutai ironica.
“Dov’era finita, Doc?”
“I miei pazienti non avevano firmato per avere le telecamere intorno. Sono stata con loro fino a ora”
“Dovremmo continuare le riprese”
“D’accordo, ma – Claudine mi porse il panino contenta – Grazie, cara. Dicevo, posso prima mangiare?”
“Certamente”.
Dopo aver letteralmente ingurgitato quel panino, seguii l’uomo rossiccio fino a una stanza del medico di guardia. Mentre la sua troupe preparava le luci e il resto, io mi accomodai sul lettino inferiore del letto a castello, prendendo un bel respiro.
“Cominciamo?” domandai a bassa voce, improvvisamente agitata.
Sentivo che quel giro di domande non sarebbe stato facile.
“Dottoressa Floridia – chiese il solito intervistatore, dopo che un faro fu acceso – come sta passando il giorno del suo compleanno? Ha avuto casi interessanti? Racconti un po’, dato che non abbiamo potuto assistere”
“Non ne posso parlare molto. La mia paziente non ha firmato per il documentario, perciò il segreto professionale in questo caso non può essere rotto. Posso solo dire che è stato uno di quei casi che ti scuote dentro. Uno di quelli che ti ritrovi a vivere e che non sempre puoi migliorare. Il tipico caso che ti mostra come il medico non sia Dio, non sia onnipotente. Il medico è una persona come tutte le altre. Ha i suoi successi, ma ha anche i suoi fallimenti. Come dissi tempo fa alla crew di ‘The Vampire Diaries’, colui che intraprende il percorso del medico deve mettersi in testa che non tutto è rose e fiori. Che puoi lottare con le unghie e con i denti quanto vuoi, ma, purtroppo, non puoi salvare tutti. E devi accettare anche questo. Soprattutto questo”
“E lei l’ha accettato?”
“Da un po’, sì. Non è semplice. E’, diciamo, un mettersi continuamente in discussione. E’ un accettare il proprio limite”
“Quindi lei non ha cominciato a lavorare già con quest’idea di fondo?”
“Purtroppo no. Sono sempre stata consapevole di non essere Dio o un supereroe, questo sì. Ma solo la scorsa estate ho pienamente accettato il mio ruolo. Sai, ci sono determinati pazienti, determinate storie, che non sono solo di passaggio. A volte capita di beccare qualcuno che fa parte di te, già prima che metta piede in questa struttura. E lì apprendi veramente cosa vuol dire essere umano. Cosa vuol dire fare il possibile e non riuscire. E, francamente, ti distrugge. Ti riduce quasi in cenere. Ma, se davvero vuoi continuare a fare questo mestiere, devi essere pronto a rialzarti. E non devi pretendere di farlo da solo, no. Non c’è niente di più sbagliato. Devi accogliere l’altro nella tua vita e permettergli di aiutarti”
“Lei ha permesso a Ian Somerhalder di aiutarla?”
“Mi chiedevo quando ci sarebbe arrivato” feci un sorrisetto sarcastico.
“Beh, doveva aspettarselo”
“Sarò sincera, all’inizio no. Sfortunatamente, è più che normale. Tutti siamo passati da quella fase in cui si pensa solamente al starsene per conto proprio, al voler lasciarsi andare e all’abbandonarsi alla tristezza. Poi, improvvisamente, mi sono guardata allo specchio e mi sono chiesta che diavolo stessi facendo e – ripensai per un attimo alle continue discussioni fino all’incidente – e poi mi ha salvata. Letteralmente” chiusi per un attimo gli occhi, accennando un sorriso amaro.
“Si riferisce all’incidente?”
“Esattamente”
“Momento tosto quello”
“Oh, non sa quanto!” scossi la testa, passandomi una mano tra i capelli.
Pregai con tutto il cuore che non prendesse quell’argomento e mi chiedesse altro.
“Posso farle una domanda un po’ personale?”
“Dipende. Sentiamo” mi agitai un po’ sul letto, accavallando le gambe.
“Come vi siete conosciuti?”
“Ehmm – feci una risatina nervosa, comunque sollevata – ha presente la scena tra Damon e Jessica nel dodicesimo episodio della seconda stagione? Identico modo, solo che io non sono finita stesa sull’asfalto con la carotide a pezzi”
“Spiritosa – il giornalista rise – cos’ha pensato di lui, non appena l’ha visto?”
“Cosa dovevo pensare? Ero troppo impegnata a sbavare – risi – Ok, no, questo non dovevo dirlo – mi diedi uno schiaffo sulla fronte – A parte gli scherzi, sono rimasta imbambolata per qualche secondo. Nella mia testa pensavo: ‘Oddio, oddio, è davvero lui?’, mentre sicuramente all’esterno avevo una faccia da ebete. Poi mi sono ripresa e l’ho aiutato ad alzarsi”
“Aspetta, quindi era seria sulla dinamica della scena?”
“Io non mento mai”
“Ma che ci faceva Somerhalder sdraiato per strada?”
“Lo chieda a lui?”
“Giusto. E’ stato amore a prima vista?”
“Ma lei è proprio curioso, lo sa?” controbattei sarcastica.
“Andiamo, è una domanda innocente!”
“Innocentissima! – sospirai – Per quanto fosse così bello e perfetto da disarmarmi, no, non è stato amore a prima vista. Inizialmente lo vedevo come l’amichetto figo e popolare, che è presente in tutte le comitive! Con la sola differenza che lui non era un semplice amichetto figo e popolare, ma un attore famoso pluripremiato”
“Allora quando ha capito di essere innamorata di lui?”
“Ho la strana impressione che, se non rispondo, mi porrà tante altre domande, forse peggiori di questa. Sbaglio?”
“Non sbaglia. Proceda” il giornalista era davvero divertito e gli occhi gli brillavano per le informazioni che stavo dando.
Sperai con tutto il cuore che Ian e Barbara non mi uccidessero, poi risposi: “Natale duemiladodici. Quel giorno, Ian mi portò a LA a mia insaputa mentre dormivo, solo per farmi vedere un paesaggio familiare. Quel Natale, infatti, non ero potuta tornare in Sicilia e questo mi aveva rattristato parecchio. E lui mi portò in una spiaggia, molto simile a quelle della mia terra, per farmi sentire a casa. E’ stato molto dolce da parte sua ed è stato un gesto che non mi è rimasto indifferente” sorrisi, ripensando a quel giorno.
“Com’è stare con qualcuno che conoscono tutti?”
“E’ strano. Insomma, non accade tutti i giorni che qualcuno di così importante ti sconvolga la vita. Perché è questo che ha fatto. E, improvvisamente, ti rendi conto di essere dentro un vortice, completamente dentro. E non c’è sensazione più bella. E, ok, magari è un po’ inquietante rientrare dopo una cenetta fuori e trovare foto della cenetta in questione su internet, però, ti dirò, avere a che fare con i fans è bellissimo. Magari in giro non si sa, ma io sono una vera e propria telefilm addicted. Seguo tante serie tv, seguo gli attori nei social network, insomma sono una nerd – risi – perciò essere a contatto con altre persone simili a me, anche se più piccole, è straordinario. E poi li capisco. Incontrare i propri beniamini è esilarante”
“A Ian piace questo suo lato?”
“Ovviamente. Gli ho fatto cominciare tanti telefilm. In primis, Grey’s Anatomy. Insomma, non puoi intraprendere una relazione con me, senza aver visto il mio telefilm preferito”.
Il giornalista scoppiò a ridere. Stava per pormi un’altra domanda, quando Alex spalancò la porta della stanza, tutto di fretta.
“Mary, eccoti qui! Andiamo, su”
“Dove?” mi alzai, tentennante.
“Mi servi nella zona delle ingessature”
“Come mai? Tutto ok?”
“Vieni e basta” mi prese per un braccio.
“D’accordo, non agitarti” mi feci trascinare.
I giornalisti, nel mentre, continuarono a riprendere, sperando forse che ci fosse qualcosa di piccante sotto.
Non appena giungemmo in quella stanza, notai che sul lettino vi era la piccola che Margaret aveva investito.
“Penny ha paura che l’ingessatura della gamba le faccia male, perciò le ho promesso che una mia cara amica le avrebbe cantato la sua canzone preferita di ‘Frozen’. Ci stai, vero?”.
Mi chinai sulla piccola, che, per la paura, aveva serrato gli occhi.
“Penny, tesoro” la chiamai dolcemente.
“Ho paura” piagnucolò.
“Non averne. Andrà tutto bene! – le carezzai la fronte – Qual è la tua canzone preferita, tesoro?”
“La canzone dell’estate” mi rispose, con voce debole.
Mi schiarii la voce, poi, sperando di imitare il più possibile il divertentissimo pupazzo di neve, cominciai a cantare: “Bees'll buzz, kids'll blow dandelion fuzz
And I'll be doing whatever snow does in summer.
A drink in my hand, my snow up against the burning sand
Prob'ly getting gorgeously tanned in summer.
I'll finally see a summer breeze, blow away a winter storm.
And find out what happens to solid water when it gets warm!
And I can't wait to see, what my buddies all think of me.
Just imagine how much cooler I'll be in summer.
Dah dah, da doo, uh bah bah bah bah bah boo
The hot and the cold are both so intense,
Put 'em together it just makes sense!
Rrr Raht da daht dah dah dah dah dah dah dah dah doo
Winter's a good time to stay in and cuddle,
But put me in summer and I'll be a, happy snowman!
When life gets rough, I like to hold on to my dream,
Of relaxing in the summer sun, just lettin' off steam.
Oh the sky would be blue, and you guys will be there too
When I finally do what frozen things do in summer.
In summer!”.
Mentre cantavo, avevo subito notato il rilassamento quasi immediato della piccola. Aveva aperto pian piano gli occhi, canticchiando insieme a me, non curandosi di Alex, intento a ingessarle la gamba.
“Allora, sentito niente?” le sfiorai il naso con l’indice, facendole cenno col capo di guardare giù.
La piccola si sporse, notando il gesso rosa.
“No” ammise.
“Visto?” le diedi un bacio sulla fronte.
“Grazie” mi disse Alex riconoscente.
“Di niente – sorrisi – Con permesso” pizzicai la guancia a Penny, dopodiché uscii dalla stanza e tornai dai giornalisti.
“Complimenti, ha proprio una bella voce” disse l’intervistatore, sorridendo.
“Grazie” ricambiai il sorriso, visibilmente imbarazzata.
“Non pensavo che una persona vicina ai trent’anni potesse essere appassionata dei cartoni Disney”
“Scherza?! Io li adoro. Che posso dire, ho un animo da eterna bambina! E, onestamente, non me ne vergogno. Credo fermamente che serva un lato del genere in una persona. Per quanto riguarda me, credo che se non avessi il mio compagno”
“Può chiamarlo con il suo nome, lo sa?”
“Ok – scoppiai a ridere – Se non avessi Ian, i nostri animali, i miei e nostri amici, le mie serie tv e cartoni, i bei libri, il canto e chi ne ha più ne metta, impazzirei. Essere un medico, avere la vita degli altri nelle proprie mani non è una passeggiata. Spesso e volentieri, ci sono decisioni da prendere così difficili, che è impossibile non portarti quel senso di stravolgimento a casa. E, dato che non puoi parlare per la privacy, ti senti quasi soffocare. Quindi, perché restare in queste condizioni pietose, quando puoi rifocillarti con una bella serata di pizza, coccole e film? Ovviamente non dovete prendere le mie parole come un ‘Ah, ma allora sfrutti tutte queste cose per distrarti’. Semplicemente lascio tutto ciò che riguarda il lavoro all’interno di queste quattro mura e vivo la mia vita al di fuori, cercando di non farmi condizionare dalla giornata appena trascorsa. In fin dei conti è quello che fanno tutti. Ed è meglio così. Perché tornare a casa con quel senso di impotenza e inutilità non giova né a te stesso né a chi ti sta intorno. Non serve a riportare in vita il paziente che hai perso. Non serve a farlo migliorare”
“Beh, ha ragione! Sa, dottoressa, devo proprio dirglielo: mi piace come risponde alle domande. Sembra così a suo agio, parla come se stesse chiacchierando con una persona amica e le stesse dando consigli. E la cosa che lascia senza parole è che non lo fa per mettersi in mostra, tutt’altro!”.
Sentii le guance avvampare. Non sapendo come reagire, risi.
“Credo che sia semplicemente il mio modo di essere. Anche se tutti mi definiscono incredibilmente logorroica. Il che è vero, ma dettagli”
“Secondo lei essere logorroica è un difetto?”
“Sì – continuai a ridere – ma non è il solo. Sono un po’ ipocondriaca, il che è il colmo per un medico; sono un po’ paranoica; piango facilmente con parecchie cose”
“Per ‘Frozen’ ha pianto?”
“Anna si sacrifica per Elsa ed Elsa la abbraccia e – feci il labbruccio, ricordando quel momento toccante – Comunque, tornando seri, quello che volevo dire è semplicemente che nessuno è perfetto. Ognuno ha i suoi difetti, ma non per questo si vuole loro meno bene. Non per questo si devono giudicare. Per esempio, io detesto da morire il fatto che Ian fumi. Soprattutto se, dopo, deve venirmi accanto, pieno della puzza di sigaretta, per baciarmi. A me da’ fastidio, non sopporto l’odore, tossisco – feci una smorfia – quindi non lo deve fare! Ma, nonostante il fumo non sia una fonte di salute, non per questo gli vieto di farlo. O lo amo di meno, perché lo fa. Assolutamente” non appena finii di parlare, mi resi conto di aver detto fin troppo.
Mi morsi il labbro inferiore, grattandomi il campo e pensando a tutti i modi in cui Ian e Barbara avrebbero uccidermi.
Improvvisamente, alle mie spalle, avvertii una presenza. Mi voltai e notai Rose e Alex che tentavano di fare delle facce innocenti.
“Che state combinando?” inarcai un sopracciglio.
“Niente, volevamo farti spaventare, prima di portarti con noi” spiegò Alex.
“Con voi dove?”
“Emergenza” Rose irruppe in quella discussione con voce secca.
“Che emergenza? Il mio cercapersone non ha suonato”
“Sarà rotto, che posso dirti? Vieni con noi e basta”.
Camminammo velocemente fino agli ascensori. Non appena quest’ultimo cominciò a scendere, i miei colleghi mi bendarono.
“Ehi, che state facendo? Ragazzi, non scherzate, sapete che ho paura del buio. E una benda non aiuta. Vi prego” li implorai, andando subito nel panico.
“Com’è che, quando ti ha bendato Ian due anni fa, non hai battuto ciglio?”
“Ma che c’entra, lui mi ha mostrato la benda, ero psicologicamente preparata. Voi mi avete attaccata” feci una linguaccia, chissà dove.
“Ian ti ha bendata?” Alex parlò maliziosamente.
“Beh, non pensare male, cinquanta sfumature di Walker! – esclamai – Era il mio compleanno e lui e Nina mi bendarono per portarmi sul set”
“Se lo dici tu” sghignazzò.
“Se potessi, ti darei un cazzotto. Credimi”
“Certo” mi canzonò.
Grugnii, mentre le porte dell’ascensore si spalancavano, dopo il segnale acustico.
Non riuscivo a capire dove mi stessero portando. Sinistra, destra, di nuovo sinistra.
“Ma stiamo uscendo dall’ospedale, per caso?” domandai, incerta.
“Mary, tu e l’orientamento siete proprio su due pianeti diversi” Rose scoppiò a ridere, seguita da Alex.
“Ehi, non insultatemi! – brontolai – Vi ricordo che voi riuscite a vedere, io no”
“Non ancora per molto, cara”.
In breve tempo, riacquistai la vista.
Subito tante persone cominciarono a cantarmi la canzoncina del compleanno.
“Oddio! Non posso crederci” imbarazzata, ma con un sorriso a trentadue denti, mi avvicinai a tutti i miei amati colleghi.
Eravamo nella sala delle infermiere. Vi era un tavolo imbandito e le tende colorate del reparto di pediatria.
“Sarebbero i festoni?” li indicai, ridendo.
“Accontentati, sorella” Rose mi diede una spintarella.
Ero davvero senza parole. Ovviamente in senso positivo.
C’erano tutti gli specializzandi del mio anno, i miei, il mio mentore, il Capo, tantissime infermiere. Erano tutti lì per me.
Il dottor Richardson si avvicinò con la torta, a forma di stetoscopio.
“Floridia, le candeline”
“Io credo siate tutti impazziti. Qui curiamo le persone solitamente”
“Qualche volta è necessario vivere le cose come le persone normali. E poi – guardò con la coda dell’occhio Rose – non si può di certo dire no a Davis. Specie per qualcosa che riguarda te. Ne hai passate tante, Floridia. Te lo meriti”
“Capo” mi morsi il labbro superiore, visibilmente commossa.
“E poi, non appena finito, toccherà a te pulire, quindi tutto risolto” Rose mi prese per le spalle, parlando ad alta voce.
“Simpatica – le feci una linguaccia – Allora, ora soffio. Uno, due, tre”.
Spensi le candeline, mentre tutti quanti applaudivano.
Dopo aver mangiato quella bellissima torta, ci demmo una mano a vicenda per rimettere tutto a posto.
Tornando nuovamente alle nostre occupazioni, mi fermai un attimo a pensare a quanto fossi fortunata. Certo, mancavano Ian, la mia famiglia e le mie migliori amiche, ma ero circondata da persone che mi amavano. E che io amavo. Facevano parte di quella strana seconda vita, che avevo sempre sognato e che avevo finalmente intrapreso cinque anni e mezzo prima.
Nonostante non fosse tutto rose, fiori, arcobaleni e unicorni, nonostante ci fossero costantemente problemi, in quell’esatto momento ero felice.
 
“Ciao a tutti, siamo qui oggi riuniti in questa saletta buia e contenente un televisore per guardare una serie televisiva chiamata ‘The Vampire Diaries’. Dopo la puntata, ci sarà il Paleyfest, quindi, per stasera, niente ‘Grey’s Anatomy’”
“Ma tanto vediamo la puntata domani” Rose fece spallucce, entrando nella visuale della videocamera.
“La puntata sta per iniziare e la videocamera verrà messa vicino al televisore, così si sente l’audio” spiegai, come se fosse una delle cose più complicate del mondo.
“E così verremo ripresi tutti. Steve è rimasto fuori” la Davis si voltò a guardare suo marito triste.
“Com’è che tenete così tanto a mostrare la vostra idiozia da Delena, mentre guardate una serie tv?”
“Ma lo senti come parla?” lo indicai, guardando Rose.
“Lo so, viene voglia di chiedere la separazione, quando fa così – la dottoressa scosse la testa, mestamente; poi aggiunse – Ovviamente stiamo scherzando, non prendeteci sul serio. Buona visione di TVD”.
Sistemai la videocamera vicino al televisore.
“E della loro follia da fan girl” Steve scosse la testa, facendo una linguaccia.
Durante la puntata e la pubblicità, io e Rose avevamo passato minuti a urlare contro Elena, perché, nonostante si fosse dichiarata a Damon, si ostinava a stare con Stefan.
“La puntata sta per concludersi e credo che non finirà bene. Perlomeno non per noi” disse Rose amareggiata.
“No, sono certa che Elena dirà tutto a Stefan. O almeno la parte che gli ha nascosto, cioè la dichiarazione”
“Nei tuoi sogni, forse! Cara Mary, Elena non lo farà mai per paura che Stefan possa soffrire”
“Hai ragione, dannazione. Che odio, la Gilbert! Cioè, la adoro, però”
“Ragazze, sta ricominciando” ci disse Steve.
Io e Rose ci ricomponemmo. La puntata riprese. Elena uscì dal suo bagno e trovò Damon seduto sul suo letto, come sempre.
“Damon” sussurrò Elena sorpresa.
“Non gliel’hai ancora detto, eh?” lui la guardò amareggiato.
“Ecco, guarda, la faccia di Damon esprime tutto quello che penso” parlò Rose, indicandolo.
“Io non… Damon, sono riuscita a dirgli solo che ti ho baciato. Io vorrei dirgli tutto, ma non ci riesco”
“Capisco, naturalmente” rispose con velato sarcasmo, poi si alzò.
“Damon, non ti arrabbiare, ti prometto che lo farò. Mi serve solo un po’ più di tempo! Io e Stefan stiamo insieme da due anni e mezzo e, per quanto sia innamorata di te, non posso lasciarlo così”
“Elena, mi dispiace, ma non sono disposto ad aspettare oltre. Io ti amo e tu mi ricambi e non ce la faccio più. E’ crudele da parte tua mentire a tutti quanti così spudoratamente, specialmente a lui”
“Damon, cosa stai cercando di dirmi?”
“Mary, cosa sta cercando di dirle?”
“Io ho un brutto presentimento”
“Cioè?”
“Ora la soggioga”
“No, dai”
“Ora lo fa”.
Dopo qualche attimo di assoluto silenzio, Damon la guardò profondamente con i suoi occhi color ghiaccio e fece un bel respiro.
“Sto dicendo che… Elena, lascio la città stasera”
“Eccolo che parte, c’è bisogno di prendere decisioni così avventate?” Rose si diede uno schiaffo sulla fronte.
“Cosa? No, non puoi lasciarmi, non te lo permetterò” Elena rispose determinata.
“Me lo permetterai, invece – il Salvatore la baciò, mentre le toglieva la nuova collana, piena zeppa di verbena, che Stefan le aveva regalato; dopo aggiunse – Non ricorderai niente di questa discussione. Io non sono mai passato da qui stasera. Ti amo, Elena”.
Le diede un altro bacio sulle labbra.
Finito il soggiogamento, Damon sparì.
“Che ti avevo detto?” dissi con voce distrutta, battendo la testa lievemente sul tavolo ripetutamente.
“Sei una veggente, ti odio” mi rispose, triste anche lei per la scena Delena.
Elena chiuse la finestra. Stava per mettersi a letto, quando cadde.
Quando si rialzò, si guardò intorno confusa.
“Che ci faccio nella stanza di Elena?”.
Si guardò allo specchio e, scioccata, sussurrò: “Oh mio Dio. Sono nel corpo di Elena”.
Nello stesso momento, nella stanza di Caroline, quest’ultima si guardò allo specchio allibita.
“Ma che diavolo? Sono nel corpo di Caroline” sussurrò con tono sorpreso.
La scritta ‘The Vampire Diaries’ apparve, ponendo fine alla puntata.
Dopo aver visto il promo delle puntate seguenti, in attesa del Paley Fest, io e Rose cominciammo a commentare animatamente, mentre Steve si faceva due risate.
“No, basta, io non posso farcela. Ma stiamo scherzando?!” disse Rose, gesticolando.
“La prossima volta che vado agli studios, mi presento con una mazza da baseball, deciso. Non si fanno queste cose!” finsi di piangere, mentre la Davis mi consolava.
Steve prese a fischiettare, sogghignando.
“Ora lo uccido. Dammi il permesso, ti prego” Rose mi guardò implorante.
“A me lo chiedi? – scoppiai a ridere – E’ tuo marito, mica il mio”.
Steve e Rose mi seguirono a ruota.
“Ragazzi, siamo da ricovero” scossi la testa, divertita
“Voi lo siete. Io me ne tiro tranquillamente fuori”
“Ti ricordo che, quando hai conosciuto Paul, hai urlato come una ragazzina. ‘Paul, oddio, sono un fan sfegatato di Stefan’” Rose lo imitò, facendo delle facce buffe.
“Sfegatato” ripresi a ridere, immaginandomi la scena.
“Ridete, ridete” Crane si mise a braccia conserte, facendo il labbruccio.
“Ma no, amore, in fondo ti amo” Rose gli parlò con voce affettuosa.
“Davvero?” Steve alzò lo sguardo, rincuorato.
“Ma certo –  lo accarezzò – solo che amo più Damon Salvatore”
“Ecco lo sapevo” tornò a fingersi triste, mentre io e Rose ridevamo fino a lacrimare.
Dopo un po’, riuscimmo stranamente a calmarci e cominciammo a guardare il Paley Fest, sperando che Julie spiegasse tutto.
La rabbia e lo shock per la puntata svanirono presto, lasciando il posto alle risate. Non riuscivamo a smettere, l’intero cast insieme era davvero una bomba.
Mi aspettavo che la giornalista chiudesse la prima parte, mandando la pubblicità; invece, preso l’argomento delle coppie, pose a Ian una domanda.
“A proposito di coppie, Ian, la tua compagna è qui a Los Angeles con te?”.
Aumentai il volume del televisore e ascoltai attentamente quella e tutte le risposte a seguire.
Il mio cuore sembrava scoppiare, batteva troppo forte, non ce la faceva a reggere un’emozione del genere; e nemmeno il mio volto, che era diventato più rosso di un pomodoro.
“Oh mio Dio, ti ha fatto gli auguri in diretta, ti ha fatto gli auguri in diretta!” urlò Rose contenta, ma non la sentivo.
Ero imbambolata per le sue parole. Non mi sarei mai aspettata un discorso del genere in televisione, davanti all’intervistatrice e ai fans e mi aveva davvero commossa. Per la prima volta aveva parlato apertamente, ignorando il fatto che non fosse solo e soprattutto che fosse davanti a una telecamera, come se in quell’esatto istante ci fossimo stati solo noi due, vicini, anche se lontani.
“Almeno non mi ucciderà per aver detto qualcosa di noi ai giornalisti di qua” fu tutto ciò che riuscii a dire ai miei colleghi, ancora preda della commozione per quel momento.
La giornalista mandò la pubblicità e, dopo, cominciò la seconda parte, quella delle domande al cast.
Inizialmente, molti fans posero domande a Julie, Nina e al resto del cast, escludendo Ian. Dopo che furono saturi di risposte, cominciarono a rivolgersi a lui, tuttavia non per sapere del maggiore dei Salvatore.
“Ian, come hai conosciuto la tua attuale ragazza?” chiese timidamente una ragazzina.
“Oh, non mi aspettavo questa domanda! – rise imbarazzato – Anche se, probabilmente, dopo quello che ho detto, avrei dovuto. Beh, diciamo che io e Mary ci siamo conosciuti sul set di TVD. Non che stessi recitando, ma ero sdraiato in mezzo alla strada. Molto Damon da parte mia – rise nuovamente – Lei stava guidando, ha frenato ed è scesa dall’auto. E ci siamo visti”.
Un’altra ragazza prese il microfono e chiese curiosa: “E cos’hai pensato la prima volta che l’hai vista?”
“E’ difficile ricordare, perché quella sera ero ubriaco. Ancora più Damon, eh? – accennò un sorriso – Ok, forse questo non dovevo ammetterlo – fece una smorfia, in disappunto con se stesso – Comunque, la prima cosa che ho pensato di lei da sobrio è stato che doveva essere un angelo, perché non mi aveva investito e mi aveva aiutato, restando accanto a me tutta la notte. Non dovevo essere un bello spettacolo quella volta” concluse con una risatina.
Un’altra persona chiese di porgli una domanda.
Appena ebbe il microfono in mano, disse: “E’ stato amore a prima vista?”
“Accidenti, ragazze, a qualcuno non interessa Damon stasera? – disse scherzosamente, poi bevve un sorso d’acqua e rispose – No, inizialmente eravamo solo amici. Ma, amore a prima vista o no, le riconoscevo già delle doti straordinarie, come ad esempio la sua allegria contagiosa o la sua passione per la medicina e per gli altri. O i suoi capelli. Anche da amico ero innamorato dei suoi capelli. Insomma, li avete visti? Sono praticamente delle molle naturali, fantastici!” terminò estasiato, facendo il gesto di una molla.
Un ragazzo prese la parola: “Quando hai capito di esserti innamorato di lei?”
“Dieci Aprile duemilatredici. Non potrò mai dimenticare questa data. Ero a Mosca per una con e l’ultima sera gli organizzatori avevano ricreato il ballo originals della quattordicesima puntata della terza stagione. Noi attori dovevamo ballare con dei fans che venivano sorteggiati. Destino volle che la mia dama si chiamasse Mary. Quella cosa mi turbò parecchio e, insieme alla canzone di Ed Sheeran, mi fece riflettere e… e mi fece sentire con chiarezza i miei sentimenti”.
Una ragazzina in prima fila chiese il microfono per parlare.
“Ian, posso porti due domande?”
“Sono su Damon?” chiese.
“No” ammise imbarazzata.
“Poni pure” sospirò, continuando comunque a sorridere.
“Quando vi siete messi insieme?”
“Oh, forse proprio questo non dovrei dirlo” scosse la testa.
Tra il pubblico si elevò un boato, per incitarlo a rispondere.
“Va bene, va bene, state calmi – gesticolò, poi si grattò il capo e disse – Tredici Maggio duemilatredici. Quella sera, Mary si presentò a casa mia, completamente bagnata per colpa della pioggia. Con molto coraggio si dichiarò. Dopo le dissi che la ricambiavo. E’ stato un momento davvero romantico! E non posso dirvi nient’altro – sorrise imbarazzato – Qual è la seconda domanda?”
“Vivete insieme?”
“Ehm, non proprio. Ufficialmente ognuno vive in casa sua ma, beh, diciamo che ci veniamo a trovare spesso. Per così dire”
“Grazie per aver risposto” la ragazzina sorrise imbarazzata e si sedette.
“Ok, adesso voglio domande esclusivamente su Damon. Mi dispiace che sia rimasto in disparte” Ian sorrise.
Tutte le domande successive furono sul bel Salvatore.
Ero rimasta nuovamente sorpresa da quelle domande e da quelle risposte.
Pensando che prima la maggior parte dei suoi fans mi odiava perché venivo nel ‘post-Nian’, tutte quelle considerazioni per me erano state una gran bella soddisfazione.
Ci volle un bel po’, prima che Rose mi riportasse con i piedi per terra.
 
Dopo essermi cambiata, visitai qualche paziente e firmai le ultime cartelle, poi andai in sala conferenze, per concludere la giornata dal mio punto di vista.
Jim mi invitò ad accomodarmi di fronte a lui.
“I miei collaboratori l’hanno trattata bene?”
“Certo, Jim, tranquillo” lo rassicurai.
“Bene. Cominciamo”.
L’assistente accese la luce.
“Allora, dottoressa Floridia, eccoci alla fine di questo giorno. Cosa vorrebbe dirci, prima di tornare a casa?”
“Sarò sincera, come sempre: non mi sarei mai aspettata di vivere un giorno del genere. Credevo sarebbe stato orribile e imbarazzante mostrare a tutti una mia ‘giornata tipo’”
“Anche se oggi non è stato proprio così, giusto? Visto il suo compleanno”
“Già” sorrisi, diventando lievemente rossa.
“Invece com’è stato?”
“E’ stato sopportabile. Meno orribile del previsto – ammisi – ma non prendeteci l’abitudine” sorrisi nuovamente, nascondendo una velata minaccia.
Jim scoppiò a ridere e rispose: “Naturalmente. Allora, dottoressa Floridia, grazie per averci mostrato il suo punto di vista”
“Prego! Spero di avervi fatto compagnia. Ci vediamo in giro” mi alzai.
“Come concluderà il suo compleanno?”
“Suppongo, guardando ‘Grey’s Anatomy’ con gli animali. Tutti insieme, accoccolati sul diavano”
“Idilliaco”
“Molto – risi – A domani, Jim” sorrisi un’ultima volta, poi uscii da quella sala e, finalmente, mi diressi verso casa, stanca, ma comunque felice per quella meravigliosa giornata.
Quando scesi dall’auto, però, mi bloccai.
Il portone era completamente spalancato e di certo non avevo potuto spalancarlo io.
Ian era a LA, perciò chi altri poteva essere stato?
Timorosa, entrai lentamente in casa e presi un ombrello dall’ingresso, poi cominciai ad andare di stanza in stanza, facendo attenzione a non fare rumore. All’improvviso, sentii qualcuno alle mie spalle e mi voltai, pronta all’attacco.
“Ehi, ehi, sono io, sono io!” disse Ian velocemente.
“Dio, Ian, sei impazzito?!  Mi hai fatto prendere un colpo” abbassai l’ombrello.
“Ma che volevi fare?”
“La porta era aperta, mi sono spaventata a morte, credevo fosse entrato qualcuno”
“E volevi colpirlo con un ombrello?!” mi guardò stranito, inarcando un sopracciglio.
“Non prendermi in giro, è stata la prima quasi arma che ho visto”
“Quasi arma” ripeté e scoppiò a ridere.
Dopo essersi calmato, guardò l’orario e continuò: “Se non sbaglio, è ancora il tuo compleanno… perlomeno, ancora per sette minuti” accese lo stereo e mi abbracciò.
“Ma come hai fatto ad essere qui in tempo? Solo due ore fa eri in diretta al Paley Fest”
“Mi hai visto?”.
Annuii.
“Ne sono contento – sorrise e aggiunse – Non sai che sono un uomo dalle mille risorse?”
“No, ma lo terrò a mente, promesso” risposi divertita.
“Brava ragazza” mi sussurrò dolcemente, mentre cominciavamo a ballare un lento.
“Hai passato una bella giornata?” mi chiese, dopo un po’ di silenzio.
“Sì. Se guarderai il documentario, potrai vedere tu stesso” parlai contro il suo petto, completamente rilassata.
“Devo aspettarmi sorprese?” potei percepire il suo sopracciglio inarcarsi.
“Niente che tu non abbia già detto a mezzo mondo oggi. Siamo stati telepatici senza saperlo” lo guardai, facendo una risatina.
Mi fece fare una giravolta, per poi far aderire la mia schiena al suo petto.
“Sai, ci sono le prove della mia reazione ai tuoi auguri in diretta e a tutte le risposte ai fans in una videocamera. E’ tutto molto esilarante. Non so se lo manderanno in onda ma, ti dirò, non mi importa. Sono felice. Non sono stati commenti da ‘minaccia di morte’, quindi non ho fatto brutte figure da ‘Perché tutti mi odiano?’ – finsi di piangere – E’ stato tutto molto più da ‘Oh mio Dio, qualcuno mi ama!’”
“Te l’avevo detto che avrebbero imparato a farlo, non dovevi sorprendertene” sussurrò, scoprendomi una spalla e baciandola.
“Ian, la canzone non è finita” presi un respiro profondo.
“Lo so, ma – la baciò nuovamente, mentre con delicatezza mi toccava i fianchi – direi che è meglio concludere questo meraviglioso compleanno con qualcosa di altrettanto meraviglioso. E dinamico”.
Scoppiai a ridere.
“Sei un po’ superbo”
“No, ammetto solo le mie egregie qualità – mi fece nuovamente fare una giravolta, per poi baciarmi – Buon compleanno, amore mio”.
 
POV Ian
“S-sto bene, tranquilla” dissi a Mary tra violenti colpi di tosse.
“Prendi questo, su, ti allevierà il dolore” mi rispose apprensiva e mi porse un cucchiaio.
Quella sostanza emetteva un odore riprovevole, arricciai il naso.
“No, scordatelo, non prenderò questa robaccia!” ribattei disgustato.
“Invece sì, devi” continuò lei decisa.
“Dai, mi fa schifo, ti prego!” la supplicai.
“No, prendilo e basta”
“Antipatica” mandai giù lo sciroppo con il naso tappato.
Mary continuò a parlarmi con tono preoccupato: “Forse è meglio se domani resti a riposo in hotel”
“Non se ne parla! Mary, è il primo giorno del ‘Let’s get dirty’ di quest’anno, non posso starmene in camera a girarmi i pollici. Dai, tranquilla, sai che a Marzo comincia la mia stagione delle allergie”
“Sì, però la settimana scorsa hai avuto la febbre alta”
“La febbre a 38 gradi non è tanto alta. Lo so io e lo sai pure tu. Anzi, lo sai più tu. E poi era solo dovuta a uno sbalzo di temperatura, niente di serio”
“Però” cominciò.
“Però niente. Non preoccuparti, d’accordo?” le sorrisi rassicurante e l’abbracciai.
“Come vuoi” si arrese e mi strinse.
 
“Benvenute a tutte le scuole della Florida qui presenti, ma anche a tutte quelle che ci stanno guardando e che sono in spiaggia come noi. Sono Ian Somerhalder e sono davvero felice della vostra adesione a un progetto così importante per me. Questo è il terzo anno per ‘Let’s get dirty’, ma è sempre un’emozione vedere con quanta voglia di fare e con quanta dedizione le persone, sia grandi che piccine, si impegnino per pulire le spiagge del nostro paese in così poco tempo! Certo, è comunque un lavoro che non va fatto solo nel corso di queste manifestazioni, però è un punto di partenza: spero che con questa manifestazione annuale della mia fondazione, si prenda più coscienza del fatto che il nostro pianeta, per continuare a essere definito tale, deve essere salvaguardato e protetto da noi. Ma non voglio dilungarmi troppo, passiamo ai fatti: buon lavoro a noi” sorrisi e tutti applaudirono entusiasti.
Scesi dal palchetto, da cui avevo tenuto il mio discorso, e i giornalisti mi si avvicinarono. Dopo aver risposto a qualche domanda, mi misi a lavoro anch’io.
Era più forte di me, non riuscivo a smettere di sorridere: stare all’aria aperta, sentire i raggi del sole fin dentro la mia pelle, pulire la spiaggia, ridere e scherzare con i bambini, erano cose che bastavano a rendermi felice, specie se Mary le condivideva con me. Lei adorava questi eventi, più dei red carpet, perché in queste situazioni non era solo la mia fidanzata, ma anche una donna volenterosa di contribuire alla salvaguardia dell’ambiente. Era una donna normale, non obbligata a sorridere a dei riflettori o a mettersi in posa.
Mentre raccoglievo delle lattine di tè freddo dalla sabbia, mi soffermai a guardarla. Stava aiutando alcuni bambini, di cinque anni al massimo, a raccogliere degli oggetti taglienti. Li guardava in modo apprensivo, dolce… materno!
Mi bloccai su quella parola. Era l’unica che, da quando c’era stata la gravidanza extra uterina, si era insinuata nella mia mente in maniera molto silenziosa e appariva nei momenti meno aspettati, facendomi pensare a cose e situazioni, a cui prima non avrei mai pensato. Non così presto perlomeno. Non senza prima pensare alla fatidica chiesa e alla fatidica navata.
Chiusi gli occhi e vidi un bambino venirmi incontro. Aveva i capelli corti, castani e ricci, gli occhi azzurri e un sorriso smagliante.
“Papà” disse felice e tese le braccia verso di me.
“Papà” sentii nuovamente e riaprii gli occhi.
Una dei bambini, che prima era con Mary, correva verso di me con le braccia aperte. Solo dopo che mi superò, capii che stava correndo verso l’uomo alle mie spalle. Guardai il sole un po’ confuso, mentre un nuovo e strano sentimento si faceva strada dentro di me. Era come se mi incitasse a costruire qualcosa di solido e di stabile, non di materiale, ma proprio a livello sentimentale. Guardai nuovamente Mary. Quel sentimento non mi incitava alla convivenza, ma al per sempre. Mi incitava a pensare prima alla fatidica chiesa e alla fatidica navata, per poi passare a una famiglia vera e propria.
Mi sorpresi di me stesso. Chi avrebbe mai pensato che un sentimento così forte potesse travolgermi, dopo soli dieci mesi dalla sera, in cui le nostre labbra si erano trovate per la prima volta?
Continuai a pensarci fino all’ora di pranzo, poi non riuscendo più a trattenermi, mi allontanai con una scusa.
Stavo per chiamare Paul, quando, invece, ricevetti una chiamata proprio da lui.
“Wes? Ehi, stavo per chiamarti io” risposi dopo il primo squillo.
“Ehi, ti ho visto in televisione stamattina. Come procede?” disse contento.
In modo palesemente finto.
“Tutto bene – cercai di rispondere con la stessa felicità – Che succede?” tornai serio.
“Devo parlarti di una cosa delicata. Molto delicata”
“Devo preoccuparmi?”
“Ecco – esitò un po’ – Som, io e Torrey siamo al capolinea. Stamattina presto siamo andati dall’avvocato e abbiamo firmato i documenti per il divorzio. E adesso sono in hotel e penso e ripenso a questa cosa e mi sento così strano. E”
“Ehi, amico, rallenta. Avete divorziato? Ma che è successo? Sembrava andasse tutto bene tra voi”
“Purtroppo era una felicità di facciata. Non riuscivamo più a non litigare ogni singolo giorno. La serenità era letteralmente svanita dalla nostra casa. Abbiamo deciso entrambi che era meglio chiuderla. Ma non riesco a capire perché”
“Paul, siete stati sposati per tre anni. E’ normalissimo sentirsi mal”
“No, non sto male. Mi sento…  sollevato. Mi sento come se finalmente avessi preso la decisione giusta. Come se tre anni fa avessi fatto un grande errore a sposarmi”
“Oh” presi un respiro profondo.
Improvvisamente tutte le mie certezze crollarono.
Paul e Torrey erano sempre stati il nostro punto di riferimento da ‘Quando l’amore chiama, si risponde’. Non stavano insieme da nemmeno un anno, quando si erano uniti in matrimonio.
E se questo fosse un segno? Che dovevo prendermi del tempo e riflettere bene, prima di fare un passo così importante?
“Scusa se non ti ho parlato della situazione. Solo che ho provato fino alla fine a far quadrare tutto, ma niente. Al Paleyfest quando quell’intervistatrice ci ha posto quelle domande ci siamo sentiti molto a disagio, perché, per la prima volta, abbiamo mentito. Credo sia stato proprio lì che abbiamo capito che, beh, non poteva continuare oltre”
“Mi spiace, Wes, davvero tanto. Però, se ti senti in questo modo, hai fatto la cosa giusta. Non potevi continuare a portare avanti qualcosa che non ha più ‘basi’, mettiamola così”
“Esatto. Grazie per aver capito”
“Ovviamente, non appena rientro da Miami, vieni a stare da me”
“Som, sei il mio angelo. Sul serio”
“Ma figurati! Non ti permetterei mai di rimanere in un hotel” sorrisi, nonostante Paul non potesse vedermi.
Ci fu un attimo di silenzio. L’istinto di riattaccare fu grande, per evitare domande sul perché volessi chiamar-
“Ian, a proposito, tu perché volevi chiamarmi?”
“Ehm – risposi esitante – niente di che, volevo semplicemente sentirti. Scusami, ma devo scappare. Ti auguro un buon pomeriggio, fratello”
“Ma” non gli lasciai il tempo di controbattere.
Riattaccai.
Raggiunsi Mary, che stava passeggiando in riva al mare.
“Ehi, tutto bene?” mi domandò.
“Certamente” accennai un sorriso e la presi per mano.
La strinsi forte, mentre il mio cuore si incupiva sempre di più.














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Note dell'autrice:
E dopo quasi 5 mesi eccoci qua! Innanzi tutto volevo seriamente scusarmi per l'infinita attesa, che manco un telefilm durante la pausa estiva. Non è stato facile non scrivere in questi mesi, ma spero davvero di aver soddisfatto le aspettative. Altrimenti, via agli insulti gratuiti, me li merito dopo questo lungo intervallo.
Non ho molto da dire, se non sulla parte finale del capitolo: Ian che sente di voler costruire qualcosa con Mary, ma ecco i dubbi palesarsi. Secondo voi qual è la cosa giusta da fare? Agire o aspettare? E, sempre secondo voi, cosa farà?
Grazie mille a chi leggerà, a chi metterà la storia tra le seguite/preferite/ricordate e a chi recensirà.
E grazie mille per aver pazientato!
Alla prossima, Mary :*
  
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