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Autore: Adrenaline_    29/05/2015    1 recensioni
Odiava essere così disgustosamente fragile. Non poteva esserlo. Non dopo tutto quello che aveva passato. Le esperienze negative dovrebbero renderti forte, e non buttarti inerte sul pavimento. Lo sapeva bene. Fu per questo che raccolse con il dorso della mano le sue lacrime, e respirò profondamente.
Genere: Malinconico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Volevo dedicare questa storia a una ragazza,
che a dirla tutta non si può neanche definire mia amica,
e che evito di citare, ma che sono sicura conoscerete in molte.
Ho voluto perchè so che non sta attraversando un periodo fra i migliori,
così se si imbatterà in questa breve storia, magari riuscirò a farla sentire un tantino meglio.
Potrebbe essere chiunque, per cui potete immaginare di essere proprio voi la "protagonita",
sempre se corrisponde alle vostre caratteristiche.
In linea generale, direi che presenta un carattere che accomuna un pò tutte,
anche se in un modo tutto suo.
Spero di avervi regalato qualcosa di piacevole.
Buona lettura.

Ash



Il bambino non pianse mai più
e non dimenticò mai ciò che aveva imparato: 
che amare significava distruggere 
e che essere amati significava essere distrutti.
(Shadowhunters: Città di Ossa- Cassandra Clare)


La loro breve conversazione si stava tramutando in qualcosa di odioso e dolente per Ariel.

L'odore acre del fumo intorno, permetteva minimamente di respirare senza provare necessariamente disgusto.
«Mi spieghi che diavolo ci facciamo qui?» Chiese la ragazza, quando raggiunsero una stanza ampia e ricoperta di pulviscolo in ogni angolo.
Diede un occhiata alle finestre ricoperte da strane tende, ottenute con tessuti di qualsiasi tipo.
Non erano armoniche come dovevano, ma donavano soltanto maggiore oscurità alla stanza.
«Ci nascondiamo,» Niall alzò le spalle, incurante dell'ambiente opprimente e inadatto.
Ariel aveva paura di compiere anche un solo passo, credendo che il pavimento sarebbe potuto cedere da un momento all'altro.
Ma la presa ferrea del ragazzo, la costrinse a procedere in direzione di una sorta di camera secondaria all'interno di quella struttura abbandonata.
«Quei ragazzi...»
«Ti ho già detto di non preoccuparti per loro, cazzo.» Imprecò Niall, squadrandola minaccioso e sofformendasi sui piedi piantati a terra.
«Ti muovi di tua volontà, o preferisci che sia io a portarti di là?» Chiese ancora, guardandola prontamente negli occhi. Quel “di là” non prometteva nulla di buono, e quando le labbra del biondo pronunciarono quelle parole Ariel perse un respiro.
La ragazza improvvisò un passo in avanti, e Niall sorrise.
«È troppo facile, convincerti.» Affermò, mentre lei gli lanciava uno sguardo poco amichevole.
«Il solo pensiero di essere toccata da te mi istiga ad obbedirti.» Mentì lei furbamente, attendendo una reazione nel volto di Niall.
«Se ti dispiace così tanto, allora perché sei qui con me?» Chiese il ragazzo, arrestando il passo per rivolgere i suoi occhi al volto sicuro e perfetto di Ariel.
Si schiarì la gola mentre continuava a guardarla con una serietà ironica, aspettando una risposta che effettivamente tardò ad arrivare.
Niall si passò una mano tra i capelli ispidi, per poi mostrare un sorriso compiaciuto.
«Perché sto tentando di colmare il tuo insormontabile vuoto, anche se non sono sicura di riuscirci da sola.» Ariel socchiuse gli occhi, mentre scandiva con una cura invidiabile ogni parola.
Niall rimase sorpreso da quelle parole, e ne fu quasi turbato, come se quello che stesse dicendo fosse una realtà che non voleva accettare.
«Non ti meriti di perdere tempo con me, e so di essere egoista, ma ho solo paura che per la prima volta mi importi realmente di qualcuno, e non mi era mai successo, neanche con me stesso. E delle volte ti odio, perché stai stravolgendo ogni cosa. Ora so per certo che non riuscirò mai a liberarmi di quello che sono, perché le persone non cambiano, e io rimarrò per sempre un caso perso...» Cercò di dire Niall con voce leggermente tremante, mentre lei scuoteva la testa contrariata.
Era sempre stato terribilmente lunatico, e nonostante il comportamento scontroso di poco prima, ora Ariel non poteva far a meno di provare compassione e tristezza.
Credette di sentire il suo cuore stringersi convulsamente contro il petto, e per poco sentì il desiderio di rigettare ogni cosa.
Prima che potesse cambiare idea, alzò le mani all'altezza del volto del ragazzo e posò una di esse sulla sua gota, mentre l'altra slittava dietro il suo collo.
«No, non è così. Ascolta, sei solo un caso... archiviato, ma io ora ho bisogno di risolverti.» Mormorò, deglutendo impercettibilmente quando concluse.
«Ti porto via di qui,» disse alla fine Niall, dopo averla fissata per alcuni secondi, incapace di parlare.
Ariel scosse la testa nuovamente, sfoggiando un sorriso luminoso.
«Non voglio andar via.» Mormorò, spostando dal volto una ciocca di capelli.
Era insicura, ma restando poteva fargli capire che non intendeva lasciarlo solo, non di nuovo.
«D'accordo, speravo lo dicessi.» Ammise Niall,  e con quelle frasi, entrambi dichiararono la loro fine. 
***
«L'amore» Sospirò Niall improvvisamente scettico «non ho minimamente idea di cosa sia.» Continuò riferendosi evidentemente a quanto detto prima dalla ragazza accovacciata alla colonna gotica, che stava già iniziando creparsi senza che se ne accorgesse.

«Bene, io sì, credo. Questo penso possa bastare.» Sussurrò Ariel, il respiro usciva soffocato e tiepido dalle sue labbra. 

Alzò lo sguardo dalle scarpe, che solitamente indossava per gli allenamenti di pallavolo, e quando lo rivolse al biondino vide che un sorriso contagioso era dipinto sulle labbra sottili, uno di quei sorrisi bastardi perchè non potevi far a meno di seguirlo a ruota, uno di quei sorrisi amari che sovente padroneggiavano le sue labbra.

E infatti dopo meno di dieci secondi anche Ariel si rese conto di aver contratto gli angoli della bocca.

«Probabilmente no.» Il suo tono era insicuro, e questo le procurò innumerevoli dubbi. 

Poteva trovare su uno di quei motori di ricerca della rete la definizione esatta dell'amore, o comunque qualche frase già sentita che riuscisse a farne concepire l'idea, ma mai sarebbe riuscita a comprendere cosa rappresentasse quel sentimento per Niall. 
In realtà non sapeva forse troppe cose su quel ragazzo, così come non sapeva come fossero finiti sull'argomento mentre probabilmente dei pazzi li stavano cercando e raggiungendo.
Forse per lui era solo uno di quei sentimenti di cui si sente parlare, ma che non riesci mai a provare sulla tua pelle. O molto più probabilmente, era un sentimento che odiava ed era felice di starne alla larga.

Nei mesi precedenti era riuscita a cogliere solo poche sfaccettature di quel ragazzo. 

Sapeva che possedesse un doppio volto.
 
A momenti la tranquillità lo travolgeva, riusciva a rimanere sempre talmente pacato da farle saltare i nervi.

Contrariamente si ci doveva preoccupare quando era troppo pensieroso, rabbuiato: come se stesse contemplando da lontano i relitti di una nave, dove il suo sguardo si perdeva. 

Probabilmente rimuginava, invece sui relitti della vita passata sempre solo, sempre circondato da persone che non acquisivano alcuna importanza per lui.

Proprio per questo motivo la gente veniva attratta da lui, da quello sguardo sereno e incredibilmente vuoto.

In quei momenti non dovevi svegliarlo dal proprio sonno o potevi, in casi estremi, perdere la vita; una vita che lui non aveva mai avuto.

Niall annuì, sollevato e fiero.

Pensava.

Simultaneamente la ragazza fu colta da uno spasmo di rabbia, e si rese conto di avere un desiderio matto di cancellare quell'espressione di serenità dal viso di Niall.

«Mi sbaglio. Sono sicura di sapere cosa sia.» Ariel fece pressione sulle mani bianche per balzare in avanti e procedere lentamente in direzione della figura che le stava davanti. 

Vide la sua espressione di sfida attraverso lo specchio rotto, che si trovava nella parete opposta, dove Niall confuso studiava ogni sua singola mossa.

«Mi spiego meglio,» cominciò respirando a fondo, si trattava solo di una menzogna. «Io penso di essere innamorata di te.» Soffiò, protesa ad assistere come il ragazzo avrebbe reagito alla provocazione. 

Quello si accigliò colto di sorpresa, poi scosse la testa afferrando le spalle minute di Ariel e la spinse via, come fosse un oggetto di poco valore.

Andò a scagliarsi contro la colonna di poco prima e trasalì per il dolore lacerante che le assalì la spalla destra.

«Non sai di cosa parli.» La schernì cercando di mantenere un tono controllato.

«Ne sono sicura, invece» Continuò imperterrita la ragazza.
 
Stava cercando di reprimere l'impulso di piangere, non lo aveva mai fatto dinanzi a lui. 

Ridusse quindi le labbra a una linea sottile.

«Ti sbagli, allora. Io non sono come tu mi vorresti, e..»

«Neanche tu ti vorresti come sei! Ma so che non lo ammetteresti mai.» Ariel lo interruppe, ma rimase immobile nella sua posizione. Il suo coraggio si era ridotto in brandelli, che non riusciva a cogliere e rimettere insieme perché troppo occupata a farsi assalire dalla paura.

«Cosa conta quello che provi tu?» Le chiese ignorando la sua precedente affermazione.

«Ti volevo solo provocare, scherzavo. Io non...» Questa volta fu Niall a interromperla.

Intanto intorno a loro si stava diffondendo una sorta di nube incolore, ma letale.

Non vi prestarono attenzione.

«Le provocazioni vengono sempre poste per una ragione. Tu perchè mi schernisci sempre articolando storie del genere? Te lo sei mai chiesta?» Era furioso, implacabile. 
Ed era anche ridicolo per Ariel. Insomma, era disposto a drammatizzare tutto e a reagire in maniera inadeguata e stupida.

Sfiorò la nuca rasata mentre girava meditabondo lungo l'asta di legno poco distante dalla parete.
«Sei sempre così pieno di te. Io ti odio Niall, sei la ragione per cui tutta la mia vita è andata persa.» Sussurrò la mora.

Ariel si afflosciò in un angolo del pavimento.

Aveva paura di se stessa.

Non concedeva al suo corpo di respirare, o forse semplicemente si era dimenticata come si facesse.  

Il fiato le si era mozzato in gola.

Ripensava alle parole dette da Niall, lei non poteva permettere di innamorarsi, specialmente di lui.

La sua mente era come impazzita, non rispondeva ai comandi spaventati che le lanciava il suo corpo, nel contempo impegnato in una ricerca disperata d'aria.

Lo aveva letto una volta e le era rimasto impresso nella mente: amare significava disrtuggere ed essere amati significava essere distrutti.

Lei era d'accordo.

Una sola volta, che le era parsa singolare e perfetta nella propria imperfezione, aveva sperimentato quel sentimento.

Quell'amore ora era sepolto, ma non nella sua memoria.

Le illusioni che quello stesso amore aveva cautamente costruito, ora erano diventate membra del dolore che Ariel portava dietro.

L'aria ricominciò a scorrere nelle vie respiratorie, riportando vita alle vene e agli organi.

Non ricordava di aver espirato, eppure una sensazione di pura serenità la accolse.

Serrò per qualche attimo gli occhi scuri, e ritornata in sè si accorse quasi immediatamente della pressione rassicurante alle labbra. 

La fonte era ancora sconosciuta, benchè gli occhi li riaprì quasi subito.

Si guardò intorno, smarrita.

L'aria che ora aveva iniziato ad aspirare da sola, le lacerava la gola asciutta.

La parete dietro di se, era diventata scottante.

Il fumo, aveva lasciato posto al fuoco.

Erano stati davvero così presi da quella discussione, da non rendersi conto di ciò che quel posto minacciava di fargli?

Probabilmente, sì.

Ariel riusciva a smarrire la concezione della realtà, quando al suo fianco c'era lui. 

Cercò di alzarsi, eppure il suo corpo rimaneva rannicchiato in posizione di difesa.

Preferiva morire, che accettare ciò che quella vita le stava donando gratuitamente.

Si era sempre chiesta come potesse essere, perdere la vita.

Ora lo stava scoprendo.

Odiava il modo in cui il mondo aveva deciso di espellerla, però.

Non avrebbe avuto neanche una sepultura, la stessa che stava cercando di regalare a quel sentimento celato per anni.

Alcune immagini poco nitide le attraversarono la mente, come in una cinepresa.

Ricordò i suoi genitori, e si sentì in colpa.

Non meritavano di vedere la propria bambina ridotta ad un cumulo di cenere.

Ricordò Skylar, sua sorella, e le venne un groppo in gola: le aveva promesso di insegnarle ad andare in bici.

Ricordò Linda, e i sogni che insieme avevano formulato: ricordò Parigi, e le partite passate in competizione.

Il suo ultimo pensiero andò a Niall: si chiedeva dove fosse, forse l'aveva abbandonata.

Forse anche lui stava morendo, e pregò con tutta se stessa che fosse, invece, riuscito a scappare.

Ormai erano trascorsi cinque minuti, che aveva contato rimuginando sulla sua vita passata e la sua realizzazione futura, che non sarebbe mai avvenuta.

Gettò un urlo, quando un asta di legno caduta dal soffitto si scagliò contro la sua gamba destra.

Sentì un dolore acuto pervaderle il corpo, e uno scricchiolio di ossa: sapeva bene che fossero le sue, ma continuava ad insistere pregando che non fosse come credeva.

Percepì un liquido denso diffondersi per la bocca, inizialmente non comprese cosa fosse.
Poi si accorse del sapore metallico, e dell'odore di ruggine che emanava.

Quando alcune gocce caddero sulla sua mano se ne accorse immediatamente, riconoscendo quel rosso consueto.
Sangue.

Gettò un urlo, soffocato dallo stesso liquido.
Sputò sul pavimento quanto più potè, cercando di eliminarne quel sapore dalla sue labbra.
Un conato di vomito si impadronì della sua bocca: aveva, infatti, sempre detestato tutto ciò che le ricordava la vista di quel liquido.

Alcune lacrime, si incastonarono tra le gote rosee.

Aveva paura.

Faceva fatica ad ammetterlo persino a se stessa, ma era terrorizzata.

Terrorizzata dalla morte, e dal fuoco che si avvicinava come un predatore famelico.

Provò a sorreggersi sul davanzale in acciaio che dava ad una finestra, ma quando le sue mani entrarono in contatto con il metallo bollente gettò soltanto un altro urlo e ritirò la mano.

Un singhiozzo si diffuse per la stanza.

Provò a respirare nuovamente, ma tossì quando il bruciore si diffuse per la trachea, gettando il fumo fuori dai polmoni.

«Ariel!» sentì qualcuno richiamarla.
Forse era davvero arrivata la sua ora, qualcuno le gridava di raggiungerlo.

Forse era Dio, nonostante credeva di aver già sentito parecchie volte quella voce.

Ora sapeva cosa si celava dietro il mistero della morte: orrore, tanto orrore. Poi, però si veniva ricompensati da una calma dolce e languida che attirava un calore tanto familiare, per quanto sconosciuto. 

Chiuse gli occhi, pronta a consegnarsi a quella serenità insistente.
Un secondo dopo tossì di nuovo.

Cingeva debolmente qualcosa, forse il corpo candido di un angelo.
Così le era parso.

Schiuse gli occhi, e si accorse che l'incubo era ricominciato.
Come se fosse tornata indietro nel tempo, si ritrovò a combattere nuovamente contro la morte.

Il paradiso, consisteva forse in quello ?
Nel rivedere con orrore il momento in cui si muore, per punire ogni peccato commesso ?
O forse le era toccato l'inferno ?

Ariel sapeva di aver peccato, anche troppo, nella sua vita succinta.

Si lasciò trascinare per la stessa stanza in cui aveva discusso con Niall.

Normalmente non si sarebbe fidata; era sempre decisa a cavarsela da sola, ma non c'era motivo di fare l'orgogliosa in quel momento.
Stava morendo.

«Andrà tutto bene, te lo prometto Ariel.» Qualcuno le sussurrò all'orecchio.
Il suo tono non sembrava terrorizzato, solo preoccupato per qualcosa.
Lei annuì, per qualche ragione rimastale ignara.

Ricordò perchè si era ritrovata in quel posto maledetto: Niall.
Eppure non riusciva ad odiarlo.

Lei non aveva esitato seguendolo, quel pomeriggio.

Stavano scappando da un gruppo di matti che per qualche ragione, cui non era a conoscenza, desideravano farla pagare cara al biondo.

Quando glielo aveva chiesto, lui aveva parlato di "affari andati male".

Forse erano stati proprio loro ad incendiare quel posto: ecco con chi doveva prendersela.  

Tuttavia, non le interessava attribuire la colpa a qualcuno in quel momento.

Non riusciva a reggersi in piedi, figuriamoci a pensare a chi punire per quello che le stava accadendo.

Inciampò quando camminando, trovò un lieve squarcio sul pavimento in legno.

Non cadde, qualcuno l'aveva sorretta.
Gli occhi le bruciavano, provocandole lacrime che rendevano offuscata la vista.

Si ritrovò a tossire per l'ennesima volta.
Cercava quanto più poteva di impedire al suo corpo di respirare; quando lo faceva, non le sembrava di ricevere aria.

Bensì ossigeno e azoto, inodoro, insaporo misti a cenere.
Questo era tutto ciò che sapeva sulla formazione chimica dell'aria, con un intruso nel miscuglio.

Era disgustoso.

Desiderava rimanere in vita tramite qualsiasi mezzo, benchè non si proponesse la respirazione.
Capì che quella tortura stesse finalmente terminando, e lei ne era più che lieta: non le importava in che maniera, se tramite la morte o la sopravvivenza.

Bramava l'idea di svegliarsi da quell'incubo. 
Quando schiuse le palpebre, la luce insistente del calare del sole le inondò lo sguardo.
Probabilmente aveva scovato l'uscita, ma non comprendeva come l'avesse raggiunta.

«Ti prometto che d'ora in poi questa tormenta si concluderà, e tu potrai condurre un esistenza normale. Dimenticherai in fretta, mentre il mio ricordo si congelerà.» La sua mente le proponeva locuzioni che Ariel non riusciva a definire, come se sapesse il loro significato ma non riuscisse a comprendere quale equivalenza avessero con lei.

Lei scosse la testa: non voleva che quella presenza rassicurante si dissolvesse.
«Concedimi solo di conservare il tuo ricordo, per sempre.» Continuò la voce, prima che delle labbra calde premessero sulle sue.

Non riteneva di possedere ancora sensibilità al corpo, ma quando quella pressione carezzevole la pervase, si rianimò.
Un sapore delizioso si espanse per la sua bocca secca, mentre involontariamente alcune lacrime le rigarono le guance rosee.

Percepiva una presenza dominarle la bocca, ed era una sensazione talmente piacevole da sembrarle irreale.
Non era un bacio ordinario: era il più doloroso che avesse mai ricevuto, perché sanciva un addio.

Non avrebbe mai più percepito quella sicurezza, al contrario avrebbe smarrito persino il significato di quel termine.
La paura era maggiore di prima.
Non voleva più continuare la sua vita, ma qualcuno l'aveva salvata senza chiederle il permesso.

Di quella rimembranza non rimase altro che un ammasso di polvere, che per anni avevano cercato di occultare alla memoria di colei che l'aveva vissuta.
Ogni attimo, ogni respiro oppresso, ogni occasione frantumata per restare in vita, avevano contribuito a delineare i suoi incubi.

Notti insonni ne aveva trascorse numerevoli, ricordando il suono frastornante dell'autoambulanza.

Il dolce tremore del suo corpo quando una sottile coperta le aveva fasciato il corpo esile, il suono del pianto del padre, il suo permanente tossire, i suoi occhi luccicanti, e il pensiero fisso di un ragazzo rimasto intrappolato tra il fuoco divoratore.
Queste erano state le poche sensazioni vissute ad esserle rimaste impresse nella memoria, come se non si volessero più scollare da sotto le palpebre.

Quando aveva alzato lo sguardo, era riuscita a scorgere tutte le persone che, per convenienza o per amore, le erano sempre state accanto.

Non vide nessuno che non conoscesse, e che fosse inquieto per la sorte di Niall.

Solo un ragazzo, che non aveva mai incontrato, piangeva immerso nel buio.

Se avesse potuto avrebbe preso il suo taccuino e avrebbe iniziato a ritrarre quell'ombra avvilita.

Era un immagine talmente perfetta e definita, che per alcuni attimi le aveva concesso di dimenticare cosa le era accaduto.
Parecchie volte aveva cercato quel giovane, che rappresenteva il suo unico aggancio che l'avrebbe potuta condurre alla vita di Niall.

Ogni ricerca era stata vana, non conoscendo ogni dato che le era dispensabile per capire chi fosse.
Ricordava solo una massa di capelli ricci: nient'altro.
Non era riuscita a scorgere altro, perché il suo volto era avvolto dall'oscurità che era calata.

Doveva essere realmente importante per Niall, e per qualche strano motivo si sentiva in colpa.
Era abbastanza conscia da capire che non era stata lei la causa della sua..... morte.
Ma era sicura della certezza che avrebbe potuto evitarla.

Era lacerata, esattamente come l'edificio in cui aveva perso tutto.

Era impensabile persistere con l'orrore di non poter più tremare quando il tocco insistente delle sue mani la assaliva, o quando le raccontava di come avesse sempre dovuto tenere gli occhi aperti per paura che le persone trovassero vendetta in lui.

O ancora, ricordare i suoi occhi, sempre più astuti dei suoi, scrutarla dolcemente, come se fosse l'unica persona che riuscisse a tollerare. 

L'immagine dei suoi occhi non l'avrebbe potuta neanche sbiadire o rosicare, come accade alle querce, durante gli anni e l'evolversi della sua vita che non sarebbe mai più stata la stessa.

Non riusciva a paragonarli a qualsiasi tonalità che scovava quotidianamente, figuriamoci ad un colore preciso.
Perché la concezione di perferzione non esiste, ma esiste il soggetto che ognuno di noi ritiene perfetto, e lui era indubbiamente impeccabile per Ariel.

Anche se avesse voluto reaccumulare tutta la volontà che possedeva, quei ricordi sarebbero sbiaditi ma mai sarebbero stati dimenticati.

Non poteva, non doveva e tantomeno voleva dimenticare ciò che lui l'aveva aiutata ad essere.

Le aveva inculcato sicurezza, e la certezza che in quel mondo, che sia oggi o domani, si ci deve comunque ricordare che si può sempre finire nella merda.

Forse poteva apparire buffo, ma lo avrebbe ricordato con quella frase ripetuta in sottofondo.
Perché per quanto fosse stata scettica la prima volta che aveva udito quelle parole scorrere lentamente sulle sue labbra sottili, ora le riteneva assolutamente veritiere, semplicemente perché aveva vissuto ogni sillaba di quella frase.

Decise che sarebbe stato come un riflesso, inflessibile e chiaro, all'interno dei suoi occhi neri.

Niall Horan doveva essere un pensiero fisso, non un semplice ricordo, ma un fardello piacevole da trasportare, anche quando sarebbe stata troppo stanca per farlo.

In qualche modo era rincuorata sapendo che non avrebbe rinunciato alla presenza di quel ragazzo all'interno della sua vita, e impegnandosi con tutte le forze che possedeva avrebbe cercato di far rimanere vive le abitudini che solitamente accompagnavano le loro giornate.

Non pensava di amarlo, ma pensava di amare senza alcuna eccezzione ogni momento trascorso in sua compagnia, perché la sua presenza la lasciava sempre accecata, talmente tanto da non accorgersi di rimanere sola, dopo un po.

Ma ora non sapeva quanto tempo sarebbe trascorso prima che riuscisse nuovamente ad incontrare il suo sguardo, e a quel pensiero dapprima una lacrima, a cui ne seguirono poi innumerevoli, incise una scia invisibile sulla sua gota troppo rossa per essere un effetto causato soltanto dal calore estivo.

Poi venne totalmente sconvolta dal gesto involontario che intraprese il suo petto, contraendrosi e rilasciando poi uno strano suono dalle sue labbra: poteva credere che fosse un singhiozzo, ma non piangeva da troppo tempo per esserne completamente sicura.

Un lamento, troppo dolorante e lento per essere sopportato dalla sua anima già perforata da troppo strazio, si fece spazio tra la folla di voci che le ghermiva la testa e si ritrovò tra le braccia esili ma forti di sua madre.

Probabilmente credeva che fosse spaventata, ma lo credeva per la ragione sbagliata.
Era come se fosse diventata dipendente da quel ragazzo.

Come se avesse scoperto la sua qualità di droga preferita, e prima di provarla era sicura di poter vivere senza, ma una volta sentito il brivido e le sensazioni che le donava non avrebbe più potuto farne a meno.

Forse sarebbe anche arrivata al suicidio, pur di raggiungerlo, ma per il momento era troppo stanca e impietrita per escogitare un modo per togliersi di mezzo.

Si voltò verso l'edificio ridotto in polvere dal fuoco, convinta che non sarebbe più riuscita a rivedere quel posto e forse era meglio così.

Era ancora intontita, e mentre guardava la struttura completamente travolta dal fuoco ancora si stupiva di come fosse riuscita ad uscire viva da quel posto.

Spostò lo sguardo su un infisso che era ancora rimasto intatto e si stupì nel trovare Niall a sorriderle. Il suo cuore ebbe un sussulto, e l'illusione di correre a salvarlo si fece spazio nella sua mente. Era un Niall strano quello che vedeva. Nonostante la distanza notò la pelle troppo candida e bianca per essere umana, e il suo aspetto era più quello di un principe maestoso che di un ragazzo triste. Si morse il labbro mentre strofinava gli occhi con i pugni chiusi, e quando li riaprì non vide nulla.

Era stata una stupida.

***

Le mura bianco latte della sua nuova camera la spaventavano, nonostante ben poco era rimasto da temere per Ariel.
La camicetta a mezze maniche in flanella che indossava era adatta al clima primaverile di quel tenue giovedì mattina.
Non riusciva ancora a crederci: era trascorso un intero anno, da quando era stata salvata dalle grinfie di morte sicura.
Aveva deciso di andare avanti, ma non perché ne avesse voglia.

Credeva che continuare a vivere con quel dolore fosse molto più faticoso, che farla finita.

E almeno questo glielo doveva.

Nonostante fosse già passato tanto tempo, forse troppo, lei ricordava ancora con felicità e allo stesso tempo inquietudine quello strano ragazzo per cui si era presa una cotta.

La porta della stanza cigolò quando venne aperta da una figura che poi si dimostrò essere sua madre.
«Tesoro, la macchina è fuori che ti aspetta. Sei sicura di sentirtela?» Le chiese dolcemente, mentre si avvicinava ad Ariel con passi attenti. Quando si fermò a pochi passi da lei sentì una sua mano posarsi delicatamente sulla sua guancia. 

Ariel annuì guardando dritta negli occhi della madre. Sapeva che dimenticare non sarebbe servito a nulla: il dolore sarebbe comunque rimasto e valeva la pena di tentare di sconfiggere quei ricordi.

Il posto distava almeno un ora da casa sua, e se era riuscita a far cedere le resistenze della madre, a cui non sembrava una buona idea ritornare in quel luogo maledetto, era solo perché da quando era successo l'incidente era diventata particolarmente indulgente nei suoi confronti. Probabilmente aveva troppa paura di perferla, e a separarle ci sarebbe stato a breve il college. Non voleva impiegare il suo tempo con lei litigando.

E così era stata accontentata. Era essenzialmente un suo volere il motivo per cui Ariel si trovava nell'abitacolo della macchina della madre ascoltando vecchi brani di James Taylor alla radio. 

Un ora dopo le rovine del grande magazzino le aspettavano, le invitavano a scendere dall'auto. E solo in quel momento la ragazza pensò che forse non era stata una buona idea andare fin lì, e affrontare tutto quel dolore che ora la stava completamente travolgendo in maniera talmente improvvisa da averle fatto trattenere il respiro per qualche secondo.

Scese dall'auto rassicurante con le gambe tremanti e un fastidioso groppo in gola. Lo sentiva chiaramente, il dolore. Lo percepiva in ogni tumulto di cenere e in ogni raffica di vento che sferzava l'aria. 

Aveva lo sguardo dritto davanti a se. Ricordava di aver rabbrividito quando aveva saputo di un secondo incendio nella stessa zona. La notte del giorno in cui aveva sentito il notiziario non era riuscita a dormire, straziata dai ricordi. Ma ora tutto era più amplificato. Riviveva ogni singola scena, mentre teneva gli occhi incollati nel vuoto. 

Sentì l'ennesimo respiro del vento sfiorarle il viso, e pensò che qualcosa non quadrava. Il vento non portava acqua ed era certa che non stesse piovendo, eppure percepì chiaramente il volto bagnato. 

Fu quando la mano della madre le toccò la spalla che si riprese da quella sorta di trance. Fissò il volto preoccupato di Jennifer prima di accorgersi che stesse versando lacrime copiose. 

Odiava essere così disgustosamente fragile. Non poteva esserlo. Non dopo tutto quello che aveva passato. Le esperienze negative dovrebbero renderti forte, e non buttarti inerte sul pavimento. Lo sapeva bene. Fu per questo che raccolse con il dorso della mano le sue lacrime, e respirò profondamente.

Ora era tutto diverso: la sua vita, il modo in cui la guardava chi sapeva, le attenzioni delle persone che le tenevano. 

Solo una cosa rimaneva: quello strano vuoto al cuore che percepiva quando ricordava.

 
Salve!
Questa storia è partita da un pensiero e da un improvvisa ispirazione per una sorta di poesia ipoteticamente scritta da un personaggio morto. 
So che sembra da pazzi, ma poi è venuta fuori una cosa tremendamente triste ed angosciante quale questa piccola storia.
In realtà questa storia risale a circa dieci mesi fa, ma l'ho completata da poco e ho sperato che valesse la pena pubblicarla. 
Ovviamente non mi aspetto grandi attenzioni perché ho fatto l'abitudine a non riceverne molte, ma spero di avervi regalato qualcosa.
Ringrazio chiunque sia arrivato fin qui! 
Non ho altro da dire, sarete voi a giudicare.
La poesia da cui tutto questo tumulto di parole insensate è partito l'ho postata qui sotto. 


Ecco la poesia!

Se chiudo, anche solo per un istante,
gli occhi, riesco a ricordare. 

Riesco a ricordare il tuo viso piccolo e fanciullesco, che tu hai sempre ritenuto appena sufficiente.
 Ricordo i tratti dolci, che tante volte ho carezzato con i palmi ruvidi.

Riesco a ricordare i tuoi occhi scuri e vivi, sempre attrevarsati da un lampo 
di luce unico, che non riuscivo a cogliere
nelle iridi di nessun'altra ragazza.
Quegli occhi che riuscivano a scovare del buono,
anche quando non ve ne era per niente.
Come con me.
Riesco a ricordare il tuo sorriso.
Quel sorriso che permetteva al battito del mio cuore di arrestarsi
per attimi interminabili e poi di riprocedere
con una forza inarrestabile.
Ho temuto spesso per il mio buonsenso.

Riesco a ricordare il tuo naso all'insù.
Ricordo quanto ti irritasse il fatto che si arrossasse
costamente nei mesi invernali, come
una macchia di sangue sulla neve. 

Ricordo la tua pelle chiara, trasparente, simile a quella di uno spettro.
La associavo all'avorio.
Era armoniosa, tenue, fragile:
tanto  che delle volte esitavo persino a sfiorarti,
temendo che potessi ridurti in mille pezzi.

Riesco a ricordare le tue labbra: carnose, invitanti, 
rese di un colore rosso vivo dalla tua mania di morederle.
Nei momenti di terrore o nervosismo
ricordo che infilzavi i canini,
appuntiti come lame,
nella carne senza alcun riguardo per il sangue
che spesso usciva in rivoli.

Riesco a ricordare i tuoi capelli: sinuosi, scuri come i tuoi occhi,
lunghi sino a metà schiena.
Ricordo la tua repulsione all'idea di tagliarli;
sostenevi che averli più corti rispetto
ai tuoi rigorosissimi standard
fosse poco femminile. 
Riesco a ricordare le tue mani,
così esili rispetto alle mie,
pronte a pigiare un bottone dopo aver messo a fuoco
l'immagine da te desiderata.
Quelle mani pronte a esplorarmi senza alcuna esitazione, 
perchè non desideravi altro che me,
come io ero affamato di una fame insaziabile:
una fame di te.
   
 
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