Centodiciassette
Uptown Girl
Ragazza dei quartieri alti
Something For The Pain
Qualcosa per il dolore
I
been knocked down so many times
Counted out 6, 7, 8, 9
Written
off like some bad deal
Sono
stato abbattuto così tante volte
Escluso sei, sette, otto,
nove volte
Cancellato come un cattivo affare
(Bounce, Bon Jovi)
[...]
A
loaded gun needs no alibis
Out on the street where the truth's a
lie
Wasted blood that I left behind
Broken hearts leave a young
man blind
Un fucile carico non ha bisogno di alibi
Fuori
sulla strada dove la verità è una bugia
Sangue
versato che mi sono lasciato alle spalle
I cuori infranti rendono
cieco un giovane uomo
(Out Of Bounds, Bon Jovi)
Novosibirsk, 10 maggio 2013
-Лев,
кто она?-
Lev,
kto ona? Lei chi è?
Lev
sentì Aljona stringergli la mano con un'urgenza diversa dal
solito, come per trattenerlo, come se avesse paura di qualcosa, e
c'era davvero un profondo smarrimento nei suoi occhi quando gli
indicò con un cenno del capo una ragazza dall'altro lato della
strada.
Doveva avere pressapoco la sua età, e si passava
distrattamente le dita fra i lunghi e ordinatissimi capelli di un
biondo latteo, mentre i suoi occhi, di un'intensa sfumatura di
indaco, brillavano di un'avida curiosità.
Aveva un
abbigliamento estremamente curato, ma quello non lo colpì
particolarmente, perché anche Aljona si vestiva molto bene,
per quello che capiva lui di abbigliamenti femminili.
Oh, non
aveva niente in più di Aljona, nessuna ragazza al mondo poteva
avere qualcosa in più di Aljona, secondo la sua personale
concezione del mondo, che andava dai capelli ai piedi di Aljona e
viceversa.
D'altra parte, era appena riuscito a inserire il nome
di Aljona per tre volte in un solo pensiero.
Aljona,
che con la sua leggerissima e semitrasparente camicia azzurra con
minuscoli brillantini dorati chiusa solo da quattro bottoni, la
canottiera di pizzo azzurra che si intravedeva sotto, i jeans celesti
e i sandali d'argento, il lucido smalto indaco alle unghie delle mani
e turchese alle unghie dei piedi e i capelli sciolti, non era una
visione, no.
Perché se fosse stata solo una visione lui non
avrebbe potuto sopravvivere.
Ma i vestiti di Aljona erano Обское
Ангел (Obskoye
Angel, Angelo dell'Ob'),
la migliore delle marche siberiane, di cui c'era un negozio perfino a
Nostal'hiya -il preferito di Al-, non potevano avere niente di meno
dell'abitino di organza verde acqua a maniche lunghe, dello smalto
brillante e dei dieci centimetri di tacco delle décolleté
dello stesso colore che indossava la straniera.
Era il
portamento, più che altro, ad essere diverso.
Diverso da
quello di Aljona -e
quattro-, da
pattinatrice, con una sicurezza che non sembrava derivarle da un
ideale o da un talento, ma da qualcosa di innato, di dovuto.
Da
un suo diritto.
E lei
non sembrava una ragazza che avesse mai lottato per un diritto.
Non
era di Nostal'hiya -ovviamente-,
e a guardarla meglio non sembrava nemmeno russa, ma non era né
impaurita né scandalizzata.
No, non le importava del
quartiere in cui si trovava.
Lei
era lì per qualcuno.
Sostenne
il suo sguardo finché lei non si stancò di osservarlo,
perché sì, stava osservando proprio lui, e quando
distolse gli occhi, occhi che non avevano una storia di stelle e di
sangue dietro le ciglia, e la loro storia Lev non riusciva a
leggerla, non era niente a cui fosse abituato o che potesse
immaginare, un'ombra di delusione le calò sul viso.
-Я
не знаю, Алёнка.
Но не переживай,
звезда моя
близкая-
Ya
ne znayu, Aljonka. No ne perezhivay, zvezda moya blizkaya.
Non lo
so, Aljonka. Ma non preoccuparti, mia stella vicina.
Con
quelle parole l'eroe di Nostal'hiya baciò la sua piccola
pattinatrice, e suo malgrado la ragazza dall'altra parte della strada
provò una grande tenerezza nel guardarli, ma anche un po' di
invidia.
Almeno aveva visto quello che voleva.
Almeno
l'aveva visto.
Beh,
sì, era carino.
Forse perfino bello, ma questo era
relativo.
Erano le sue aspettative di sette anni a farglielo
sembrare fin troppo normale, fin troppo umano.
L'eroe
del 4 settembre 2006, di cui a Leninskij, nel suo quartiere, si
sussurravano le cose più terribili.
Lev
Fëdorovič Puškin, la leggenda di Novosibirsk.
Aveva
uno sguardo straordinario, questo sì, più intenso di
qualsiasi altro, e quando alla fine l'aveva costretta ad abbassare il
suo si era sentita quasi soddisfatta.
Non aveva niente di
minaccioso, in realtà, non dava i brividi come si sarebbe
aspettata, ma una certa emozione sì.
Davvero
quel ragazzo era stato capace di sparare al Presidente?
Davvero
era appena uscito di prigione?
Davvero era il migliore amico del
suo Nikolaj?
The
unknown's always tempting us
With all we're gonna miss
A better
life, a truer love
And we just can't resist
We're all
thrown into this life
We hurt for what we learn
And when we
tire we set the bridge on fire
And laugh and watch it
burn
L'ignoto ci ha sempre tentato
Con tutto quello che ci
sarebbe mancato
Una vita migliore, un amore più vero
E
noi semplicemente non abbiamo resistito
Siamo tutti gettati in
questa vita
Veniamo feriti da quello che impariamo
E quando ci
stanchiamo diamo fuoco al ponte
E ridiamo e lo guardiamo
bruciare
(If We Stay Or If We Go, Joey Tempest)
Novosibirsk, 2 marzo 2007
Uptown girl
She's been living in her uptown world
I bet she's never had a backstreet guy
I bet her momma never told her why
And now she's looking for a downtown man
That's what I am
Ragazza dei quartieri alti
Lei ha vissuto nel suo mondo dei quartieri alti
Scommetto che non ha mai avuto un ragazzo di periferia
Scommeto che sua madre non le ha mai detto perché
E ora sta cercando un uomo dei quartieri bassi
Questo è quello che sono io
(Uptown Girl, Billy Joel)
La prima volta che Arinbjörg
Einarsdóttir era stata a Nostal'hiya, sapeva che non avrebbe
incontrato Lev Puškin.
Lui era in riformatorio da cinque
mesi, ma in qualche modo il suo coraggio, la sua follia e il suo
ricordo dovevano essere rimasti nell'aria.
Era stato quel giorno,
in quella circostanza, con quel desiderio irrealizzabile che le
offuscava qualsiasi altro pensiero, che Arin, sedicenne secondogenita
di una ricchissima famiglia islandese, aveva incontrato un ragazzo
che avrebbe potuto interpretare l'eroe di un film, ma non sapeva che
ruolo avesse nella realtà.
Per come l'aveva immaginato
Arin, avrebbe potuto essere lui Lev.
Ma Lev non era niente senza
le sue parole, e lei non l'aveva mai sentito parlare.
Non c'era da
sorprendersi se quel ragazzo l'aveva tanto colpita.
Arin non
sapeva se nel suo quartiere c'erano ragazzi così belli, ma,
anche nel caso, di sicuro non avevano quel portamento e quello
sguardo distrutto.
Non c'era posto per gli sguardi distrutti a
Leninskij, almeno nella zona dove era cresciuta lei, suo padre e suo
fratello le avevano sempre impedito di vederli.
A quanto sapeva
Nostal'hiya era il regno degli uomini distrutti, eppure lì era
nato Lev, che non era disposto a lasciarsi distruggere e aveva fatto
tremare perfino Leninskij.
Il ragazzo dal lato opposto della
strada poteva aver perso l'anima, ma non la dignità, e
camminava come se avesse potuto vedere più in alto, come se
avesse dovuto stare più in alto, più in alto degli
altri.
Come gli
eroi.
Eppure non era
Lev Puškin.
E Arin doveva sapere chi fosse.
Alarm clock rings, it's 6:45
Must have hit that snooze button at least 3 times
Wishing this morning was still last night
On any other day I just might wanna die
Weatherman says it's gonna rain for a week
Hey, what can you do?
On any other day I'd be blue eyes cryin'
I could tell the world: "At least I'm tryin'"
On any other day I would just go crazy
La sveglia suona, sono le 6.45
Devo aver colpito quel pulsante a ripetizione almeno tre volte
Desiderando che questa mattina sia ancora la scorsa notte
Qualsiasi altro giorno potrei solo voler morire
L'annunciatore del meteo ha detto che pioverà per una settimana
Ehi, cosa ci puoi fare?
Qualsiasi altro giorno sarei occhi azzurri in lacrime
Potrei dire al mondo: "Almeno ci sto provando"
Qualsiasi altro giorno impazzirei e basta
(Any Other Day, Bon Jovi)
-Scusami... Scusami,
tu conoscevi Lev Puškin?-
Non
sapeva dove avesse trovato il coraggio e la sfacciataggine di
raggiungerlo e fargli una domanda del genere, e probabilmente se lo
stava chiedendo anche lui, che la fece sentire in colpa con quegli
occhi chiarissimi e il suo sguardo perso, infranto.
Non aveva idea
di chi fosse, ovviamente, ma lei aveva la sensazione che lo
conoscesse davvero, Lev.
Che avesse respirato la sua stessa aria,
le sue stesse parole, i suoi stessi sguardi.
Però Arin
aveva sbagliato il verbo, aveva detto "conoscevi".
Sembrò
essere questo, più di ogni altra cosa, a turbarlo.
Quel
maledetto imperfetto.
Conoscevi.
Come
se davvero Lev non ci fosse stato più, e lui avesse potuto, da
un giorno all'altro, non conoscerlo più.
-È
mio fratello-
Suo fratello?
Arin
non ci poteva credere.
Come poteva, in tutta la via, in tutta
Nostal'hiya, aver riconosciuto proprio il fratello di Lev Puškin?
Ma
davvero Lev Puškin aveva un fratello?
-Non di sangue, no,
ma ti assicuro che è mio fratello. E io lo conosco meglio di
chiunque altro. Lo
conosco-
-Io...
Io sono Arinbjörg Einarsdóttir. Ho
sentito parlare di lui-
Non
sapeva bene cosa dire, come spiegare.
Si sentiva in dovere di
giustificarsi, ma gli occhi attenti e seri del ragazzo non le
permettevano di inventarsi una scusa credibile, perdonabile, qualcosa
di più della stupida, irragionevole curiosità di una
ragazzina.
-Nikolaj Igorevič Gončarov- si presentò
lui a sua volta -L'unico
vero amico di Lev Puškin-
-Mi
dispiace di averti disturbato-
-Lascia perdere. Non importa, non
importa di me. Ma perché volevi saperlo? Perché
lui è un eroe? Lo
ricordano per questo, sì. Non perché era un ragazzo
meraviglioso. Lo ricordano perché ha sparato, non sanno che
quel proiettile, molto prima che lui premesse il grilletto, gli ha
attraversato il cuore. E
non sanno davvero niente del suo cuore-
Lui
sì, lui sì che si ricordava di Lev.
Quando non si
tagliava i capelli, quando usciva con la giacca di pelle di suo
padre, quando metteva gli occhiali da sole anche se era inverno,
quando si dimenticava di allacciarsi gli stivali.
Quando sorrideva
e lui strizzava gli occhi come se rischiasse di essere accecato, per
vedere il mondo meraviglioso come lo vedeva Lev.
E non ci
riusciva, no, ma almeno aveva Lev.
-Quindi è vero? È
vero che è un eroe?-
Quella
Arinbjörg insisteva, e forse nemmeno lo sapeva, cos'era un
eroe.
E chissà cosa voleva, chissà cosa voleva da
Lev, da lui e da loro.
-Credo di sì. Di sicuro era il mio
eroe, ma prima di tutto era il mio migliore amico-
-Era
bello?-
Nikolaj
scoppiò a ridere, perché quella discussione stava
davvero sfiorando il surreale, ma Arinbjörg era solo una
ragazzina curiosa, non poteva avere cattive intenzioni.
-Sì,
molto. Più di chiunque altro. Gli altri lo dicono di me, ma tu
non ci credere. Non ci credere. Non sanno niente della bellezza, se
dicono che io sono più bello di Lev. E perché dici
"era"? Lo è ancora, lo sarà sempre. Mi
ha giurato che vivrà per sempre-
-Ti
senti bene?-
Nikolaj
aveva uno sguardo sempre più perso e sembrava che stesse per
svenire da un momento all'altro, anche se le sue parole erano così
belle, così belle, anche se lei non riusciva a
capirle.
-Vorrei essere
lui, e che le sue parole fossero le mie. Ma
lo so, lo so che non posso avere le parole di Lev. E nemmeno la sua
forza-
-È bello che tu gli voglia così bene-
-È
bello, sì, ma lui è in galera. Mio
fratello è in galera. E
io non so nemmeno come farò a dormire stanotte, ma questi non
sono discorsi da fare con... Troppo
tardi, vero?-
-Temo di
sì-
-Dovrai tornare a casa, immagino-
-No. Posso restare
ancora un po', se vuoi-
-Se voglio? Se voglio io?-
-Sei
simpatico-
-Oh, non credo proprio... Non
sono simpatico, sono disperato-
-Però
se vuoi io resto lo stesso-
-Tu sei testarda, eh? Ma va bene, se
proprio vuoi che io lo voglia,
puoi accompagnarmi a comprare le sigarette-
A
comprare le sigarette?
Arin
non era sicura che uno degli amici di suo fratello avrebbe mai
invitato una ragazza ad accompagnarlo a comprare delle sigarette, ma
Nikolaj era il migliore amico di Lev, non di suo fratello, e i
ragazzi di Nostal'hiya dovevano avere un'altra mentalità e un
altro tipo di approccio.
In
ogni caso, era con il migliore amico di Lev Puškin.
E per
non essere Lev, era fin troppo bello.
In realtà, Arin non
sapeva perché nella sua mente Lev dovesse necessariamente
essere bello, già da prima che Nikolaj glielo confermasse, ma
doveva essere un riflesso dell'ambiente in cui era cresciuta, il
vizio che aveva di collegare gli eroi alla bellezza prima che al
coraggio folle e allo spirito di sacrificio.
Prima
che alle parole.
Quanto
a Nikolaj, in quel momento si chiedeva soltanto se Lev avrebbe mai
fatto una cosa del genere.
Lev, lo sapeva benissimo, non si
sarebbe mai innamorato di una ragazza che non fosse di
Nostal'hiya.
Non sarebbe riuscito a leggerle gli occhi, non
sarebbe riuscito a sentirle i battiti del cuore, e quindi non sarebbe
nemmeno riuscito ad amarla.
E forse aveva qualche pregiudizio di
troppo, ma neanche gli eroi erano perfetti.
Nikolaj, però,
in quel momento aveva bisogno di una ragazza come lei.
Per non
pensare al dolore.
Per non pensare a Lev.
Vorrei
essere lui, perché le sue parole sono anche le mie.
Ma io
non le so dire.
You can't help but prosper
Where
the streets are paved with gold
"In the blessed name of Jesus"
I heard a preacher say
That we
are all God's children
And He'd be back, back someday
I hoped
that he knew something as he drank that cup of wine
I didn't have
too good a feeling as I head out to the night
Non puoi che prosperare
Dove
le strade sono lastricate d'oro
"Nel santo nome di Gesù"
Ho sentito dire a un
sacerdote
Che siamo tutti figli di Dio
E che Lui tornerà,
tornerà un giorno
Ho sperato che lui sapesse qualcosa
mentre beveva quel calice di vino
Non ne ho avuto troppo bene la
sensazione mentre mi dirigevo fuori verso la notte
(Dry County,
Bon Jovi)
Arinbjörg
era tanto carina, con i capelli biondissimi e tre ciocche raccolte in
una sottile treccina che spiccava sulla lunga chioma, il cardigan
grigio scuro abbinato a jeans stretti di una tonalità più
chiara e gli stivaletti di pelle beige che avevano l'aria di costare
quanto la statua Pugačëv in Piazza, ma sperava di
sbagliarsi.
Aveva tanti braccialetti tintinnanti e luccicanti ai
polsi e orecchini di diamanti che se Arkadij Julajev non fosse stato
in riformatorio con Lev non sarebbero durati cinque minuti, e si
vedeva, si vedeva che che veniva da un altro tipo di nord, da un
altro tipo di gelo, si vedeva, anche se si capiva già dal
nome, che aveva un altro cielo e che, dovunque fosse nata, era
cresciuta in un posto dove le strade erano lastricate d'oro.
Lev
gli avrebbe detto di lasciare perdere, perché le ragazze come
lei, anche se forse non avevano colpe, non quanto i loro padri, non
erano abbastanza serie per i Nostal'hičnyy.
Perché in
Russia non si poteva essere ricchi senza essere Putiniani, o almeno
lui non ci credeva.
E se non avevi conosciuto tutto il male del
mondo, non potevi vedere la luce di Nostal'hiya.
Il male del mondo
scorreva nel sangue dei Puškin, vittime del Gulag, del
tradimento, della malattia.
Per sei anni Nikolaj avrebbe dovuto
vivere senza Lev, con tutto quello che gli sarebbe costato.
-Tu
sei svedese?-
-Islandese-
-Già. E vivi...-
-A
Leninskij-
-Appunto. E quanti anni hai?-
-Sedici-
-Infatti-
-Tu?-
gli restituì la domanda Arin, sorridendo per le sue
risposte.
-Diciotto a novembre-
Lei annuì, e prima che
se ne rendesse conto Nikolaj aveva già pagato le sigarette,
appoggiando sul bancone una manciata di kopeki contati, ed erano già
usciti dalla tabaccheria.
-È bello, vivere a Leninskij?
Voglio dire, dev'essere un bel quartiere-
-Sì, è
bello. Ma credo che sia un posto come un altro-
-Davvero?-
Il
sorriso di Nikolaj quando si era voltato a guardarla era il più
doloroso che Arin avesse mai visto, e non credeva che i sorrisi
potessero fare così male.
Per un ragazzo di Nostal'hiya
Leninskij non era un quartiere come un altro.
Era un altro mondo,
un'altra città.
Tutta un'altra vita.
-Tu sei nato
qui?-
-No, Lev è nato qui. Io sono ucraino, di Kiev-
-E
com'era?-
-Vivevo in una strada come questa, solo che era a Kiev.
D'altra parte, questo una volta era il quartiere ucraino di
Novosibirsk. Il suo nome, Nostal'hiya,
è ucraino, non lo sapevi?-
-Non credo di conoscere
l'ucraino. In fondo in russo il nome è quasi uguale,
no?-
-Quasi-
C'era differenza, fra nostal'giya
e Nostal'hiya.
C'era
lui, fra la nostal'giya
e Nostal'hiya.
Lui
che non sarebbe morto di nostal'giya,
ma di Nostal'hiya.
-Tuo
padre cosa fa?-
Questa era l'ultima domanda da fare a un ragazzo
di Nostal'hiya, ma anche questo, Arin non lo sapeva.
-Il pittore
di strada a San Pietroburgo-
-Oh, bello...-
-Il tuo?-
-Il
mio è... Beh, è un diplomatico-
-Fantastico. No,
sono contento per te, davvero. Non credere che ti stia giudicando
male-
-Perché dovresti giudicarmi male?-
-Ah, già,
scusa... Forse sei tu che mi giudichi male-
-No, perché?
Dev'essere bello avere un padre pittore-
-Io farò il
militare, e mia sorella andrà all'Università. Andrà
tutto bene, comunque. L'ha detto anche Fedja-
-Fedja?-
-Oh,
lascia perdere. È il padre di Lev-
That
was my brother lost in the rubble
How many hands?
How many
hearts?
How many dreams been torn apart?
Enough...
Enough...
The
time has come to rise back
Quello era mio fratello perso fra
le macerie
Quante mani?
Quanti cuori?
Quanti sogni sono
stati lacerati?
Abbastanza...
Abbastanza...
È
arrivato il momento di risogergere di nuovo
(Undivided, Bon Jovi)
-Davvero,
Arinbjörg. Perché sei venuta qui? Lev è stato
arrestato cinque mesi fa, Nostal'hiya non è un posto poi tanto
bello, senza di lui. Lui vede tutto meraviglioso, nonostante tutto il
male che gli possono fare, che gli hanno fatto e gli faranno ancora.
Io invece vedo tutto buio, e quando facevano del male a me... C'era
lui-
-Sono
qui perché... Volevo sapere... Sentire la sua, la vostra
versione. Ha fatto una cosa così folle, era su tutti i
giornali... Ne abbiamo parlato tantissimo a scuola, avevano tutti
così paura... E io volevo capire, tutto qua-
-Hai parlato
con la persona che lo stima di più al mondo, e che non potrà
mai, mai, mai essere obiettiva nei suoi confronti. Io non ti parlerò
mai male di lui. Non so se tu possa ritenerti soddisfatta-
-Direi
proprio di sì, invece. Di persone che parlano male di lui ce
ne sono già abbastanza nel resto della città e nel
resto della Russia, no? E loro non lo conoscono-
-E tu credi a me?
Ti bastano le mie parole? Non sono mai bastate neanche a me, le mie
parole-
-A me bastano-
-E così a Leninskij ci sono anche
ragazze che capiscono. Che
si accontentano-
-Cos'hai
contro le ragazze di Leninskij, esattamente?-
-Niente. Non ho più
niente contro nessuno. Non
serve a niente-
-Neanche
contro chi ha arrestato Lev? Neanche contro il Presidente?-
-E
questo me lo chiede la figlia di un diplomatico islandese residente
in Russia?-
-Non lo direi a mio padre-
-E secondo te cosa me ne
frega, di tuo padre? Certo che sono contro il Presidente, contro il
governo e contro chi ha arrestato Lev. E
sono contro chiunque sia contro di lui.
Ma non serve a niente, che io sia contro.
Io non posso fare niente-
-E
allora cosa fai?-
-Oddio, non ho nemmeno idea di cosa sto facendo
adesso... Perché lo sto dicendo a te...-
-Forse hai bisogno
di aiuto-
-Io?-
-Neanch'io
so perché sono ancora qui ad ascoltarti, in fondo sei un
fuorilegge anche tu. Ma si vede che hai bisogno di aiuto-
In
realtà Arin lo sapeva benissimo, perché era ancora lì
ad ascoltarlo.
Perché diceva cose che nessuno avrebbe mai
osato pronunciare ad alta voce nel suo quartiere, e anche se spesso
gli si spezzava la voce e parlava in modo tanto concitato da farle
quasi paura, con quegli occhi cerulei lucidissimi che pareva avessero
un mare di lacrime cristallizzate al posto del loro pigmento
naturale, come se fossero state quelle lacrime gelate, il vero colore
dei suoi occhi, era troppo bello perché lei potesse
distogliere lo sguardo, bello come non aveva mai creduto possibile,
qualunque fosse la sua posizione politica e la sua opinione sulle
"ragazze di Leninskij".
Lev era un vero eroe, ormai non
aveva dubbi su questo, ma doveva essere troppo complicato, troppo
violento, e comunque era in riformatorio.
Per vederlo di persona
avrebbe dovuto aspettare sei anni, e lei ne aveva sedici, non poteva
aspettare così tanto.
Doveva accontentarsi, come aveva
detto Nikolaj, e accontentarsi di uno come Nikolaj le sembrava un
ottimo affare.
Perché era così disperato, i ragazzi
di Nostal'hiya dovevano avere proprio una passione per complicarsi la
vita -sparare al Presidente, morire di nostalgia per un amico in
riformatorio!-, ma non poteva essere completamente diverso dai suoi
coetanei di Leninskij.
Una ragazza avrebbe potuto distrarlo da
tutti quei suoi disastri mentali, l'unica cosa che riusciva a
vedere.
C'era lei, adesso.
Lei che non sapeva cosa significasse
vivere con tante preoccupazioni, ma aveva sentito un'attrazione
irresistibile per quel quartiere di poveri pazzi dal cuore infranto,
i rinnegati della società russa, dal momento in cui aveva
sentito parlare dell'attentato di Lev Puškin, un ragazzino
della sua stessa età, al telegiornale.
E così era
andata a conoscere l'altro lato di Novosibirsk, a sentire la loro
versione.
A casa non gliel'avrebbero mai raccontata, non le
avrebbero mai detto la verità, anche se in fondo, ora che la
verità la sapeva, non poteva certo dire di averla capita.
Cosa
c'era che non andava, allora?
Cosa c'era che non andava nel loro
Presidente?
Era perché loro erano poveri?
E perché
erano poveri?
Perché vivevano in quel posto
orribile?
Perché non avevano un lavoro bello come quello di
suo padre?
Se erano poveri perché non rispettavano il
Presidente allora forse era anche un po' colpa loro.
Il Presidente
sapeva cosa era giusto per loro, non avrebbero dovuto ribellarsi.
Se
avessero saputo aspettare, Putin avrebbe messo a posto le cose.
Anche
le sue amiche e compagne di scuola scandinave, la norvegese Frida
Nystrøm e Brynja Gunnarsdóttir, islandese come lei, non
erano nate in Russia, ma erano state educate dai loro genitori, tutte
persone importanti e vicine al governo, a rispettare il Presidente
Putin, che adesso era anche il loro.
Loro l'avevano sempre fatto
senza fiatare e non avevano mai avuto problemi.
Perché i
ragazzi di Nostal'hiya dovevano fare tutti quei casini?
Forse
avevano ragione suo padre e suo fratello, erano solo degli
sbandati.
Ma invece di accusarli come facevano Einar e Jón
Einarsson, Arinbjörg li compativa.
But the truth is all you have to have
And would you lie for it?
Cry for it?
Die for it?
Would you?
Would you scheme for it?
Scream for it?
Bleed for it?
Would you?
I believe, I believe
Ma la verità è tutto quello che devi avere
E mentiresti per questo?
Piangeresti per questo?
Moriresti per questo?
Lo faresti?
Complotteresti per questo?
Urleresti per questo?
Sanguineresti per questo?
Lo faresti?
Io ci credo, io ci credo
(I Believe, Bon Jovi)
-Ci...
Ci possiamo rivedere?-
Se
diceva che capiva, se davvero voleva capire...
Lui aveva ancora
una vita, aveva ancora la libertà, poteva almeno
provare...
Sperare...
Fidarsi
di lei.
Trovare
qualcosa da fare, qualcosa che lo portasse lontano da lì,
almeno per un po'.
Arinbjörg sembrava, era
così
spensierata, non aveva niente di nostalgico,
niente di difficile, niente di maledetto.
Non aveva i morsi della
povertà e della strada sulla pelle, non aveva il ghiaccio nel
sangue e il cielo sotto i piedi, no, per le ragazze come lei la
natura rimaneva al suo posto, rimaneva bella.
Cosa gli avevano
detto tante volte, che lui era così bello, che lo guardavano
tutte, che le ragazze non osavano nemmeno sperare che lui alzasse lo
sguardo, ma se solo l'avesse fatto...
Se
solo avesse voluto...
-Certo-
Arinbjörg
era abbastanza bella da far dimenticare le cose più
terribili.
Lev
non c'era, e lui doveva cavarsela da solo.
-Qui?-
Arin
si guardò intorno un po' dubbiosa, perché Nostal'hiya
non era esattamente un posto dove sarebbe tornata volentieri, ma se
c'era lui, se se glielo chiedeva lui...
-Va bene-
Ci sarebbero
state altre occasioni per invitarlo a Leninskij, che adesso non le
sembrava più "un posto come un altro".
C'erano
anche ragazzi poveri come Nikolaj, a Leninskij, non era un quartiere
esclusivo, era solo centrale.
Era sulla strada in cui abitava lei
che non esistevano ragazzi come Nikolaj.
Era su quella strada che
negavano l'esistenza di un posto come Nostal'hiya.
Finché
Lev, un ragazzo di Nostal'hiya, non si era fatto sentire anche lì.
E
così gli abitanti della Stalina Ulitsa avevano dovuto
ammettere che non solo esisteva Nostal'hiya, ma esistevano anche i
Nostal'hičnyy.
E non avevano più intenzione di vivere
nell'ombra.
Ci sarebbe tornata lei, nell'ombra, per Nikolaj.
Le
veniva da sorridere quando ripensava al loro incontro e al modo in
cui lui le aveva chiesto se potevano rivedersi, ma lui non sorrideva,
no, lui era fin troppo serio.
Quando sorrideva sembrava che si
stesse facendo del male, che stesse facendo un torto a se stesso.
Non
sorrideva nel modo in cui avrebbe voluto, per il motivo che avrebbe
voluto.
Doveva
essere malinconico di natura, si disse la piccola islandese, ma non
importava, era perfino più bello così.
Nikolaj
sperava davvero che lei avesse capito.
Doveva
credere che lei avesse capito, perché altrimenti avrebbe perso
anche l'ultima traccia della sua fiducia.
And you're shining like a brand new dime
That's keeping me from giving up
Thinking like I had enough
E tu sei splendente come un centesimo nuovo di zecca
Questo mi sta impedendo di rinunciare
E di pensare che ne ho avuto abbastanza
(Summertime, Bon Jovi)
[...]
And all is well in hell
I wish
you were here
I wishing you well
E va tutto bene
all'inferno
Vorrei che tu fossi qui
Spero che tu stia bene
(All
Is Well, Soul Asylum)
-Papà?
Come stai? Hai venduto qualcosa, oggi? Noi stiamo bene, sì.
Anche la mamma. Anche Lev. Beh, lui ci prova. Ci prova sempre, lui.
Hai venduto il tramonto sul Mare dell'Ob'? Oh, fantastico. Era
davvero meraviglioso. Ma perché... Perché te l'hanno
pagato così poco? Oh, papà... Certo, certo che sono
contento lo stesso. Richiami stasera? Sei sicuro che non vuoi che ti
chiami io? Sì, ne ho ancora di credito sul cellulare. E chi
vuoi che chiami oltre a te e a Fedja? Ce la faccio, stai tranquillo.
Noi ce la facciamo. Anch'io ti voglio bene, tanto. Torna presto,
torna quando puoi. Un bacio anche a te. A più tardi-
Nikolaj
chiuse la telefonata e rimase a guardare il display del cellulare con
occhi persi, la foto che si erano fatti fare lui e Lev in Piazza,
accanto alla statua di Pugačëv, che aveva messo come
sfondo, datata un giorno in cui credevano di essere felici, e
probabilmente lo erano stati davvero.
Provò a immaginare il
suo papà a San Pietroburgo, lo sguardo stanco e i jeans
consumati, la folta chioma bionda spettinata dal vento, i suoi quadri
sottobraccio, in tasca i pochi rubli che aveva ricavato da quel
tramonto sull'Ob' da spezzare il fiato e il cellulare...
E il
sorriso che a lui non andava via, come la sfumatura perfetta di un
colore, scelta con tanta attenzione e applicata perché
rimanesse, perché catturasse la luce e vivesse davvero,
eternificata come non avrebbe mai potuto essere in natura.
Era
quasi riuscito a sorridere anche lui, a sorridere davvero, quando lo
schermo del cellulare si illuminò, annunciando l'arrivo di un
nuovo messaggio.
Gentile
cliente, la informiamo che il suo credito è in
esaurimento.
Kolja
infilò una mano in una tasca dei jeans, cercando i soldi
necessari per comprare una ricarica in tabaccheria, ma non gli era
rimasta una sola monetina.
Aveva speso quel poco che gli rimaneva
per le sigarette, e ora in tasca gli restavano solo quelle e un
bigliettino accartocciato, lasciatogli da Sokrat e Ksenofont quella
mattina sotto la tazza della colazione.
Добрый
день, Коля!
Buona
giornata, Kolja!
Riconobbe
la calligrafia di Sokrat e, poco sotto, una delle prime firme un po'
storte di Ksenofont.
Sotto avevano disegnato due strane faccine
sorridenti con le antenne, e Kolja si sarebbe chiesto a lungo cosa
rappresentassero, se Sokrat non vi avesse aggiunto una
didascalia.
Два нейрона
(тебе нужно в
них!)
Due
neuroni (ne hai bisogno!)
I
suoi fratellini gli avevano disegnato due neuroni.
Sorridenti.
Con
le antenne.
I
neuroni avevano le antenne?
Se lo dicevano loro, Kolja era sicuro
di sì.
Saving dimes, spending too much time on the telephone
Risparmiando centesimi, passando troppo tempo al telefono
(Who Says You Can't Go Home, Bon Jovi)
[...]
Well,
I'm so far away each step that I take's on my way home
A king's
ransom in dimes I'd give each night
To see through this
payphone
Still I run out of time or it's hard to get through
Till
the bird on the wire flies me back to you
Beh, sono così lontano che ogni passo che faccio è sulla strada di casa
Darei il riscatto di un re in monetine ogni notte
Per vederti attraverso questo telefono pubblico
Corro ancora fuoritempo o è difficile farcela
Finché l'uccello sul filo non mi riporta in volo da te
(Bed Of Roses, Bon Jovi)
Fece
per alzarsi dai gradini del condominio sui quali si era seduto, ma
sentì qualcosa pungere sotto il piede destro, e agitò
la scarpa per capire se ci fosse un sassolino.
Quando lo individuò
si slacciò le stringhe per sfilare la scarpa e farlo uscire,
ma nel farlo lo sentì sfregare contro la pelle nuda del piede,
e così realizzò che anche il suo ultimo paio buono di
calze si era bucato.
Doveva tornare a casa, sì, avrebbe
fatto meglio a tornare.
Ma le lacrime avevano cominciato a
scorrergli impietosamente lungo le guance, e non poteva farlo in
quelle condizioni.
Arinbjörg gli aveva dato il suo numero, ma
non poteva chiamarla.
Lev era in riformatorio, ma non poteva
andarlo a trovare a quell'ora.
Suo padre era a San Pietroburgo e
non poteva vederlo.
Sua madre e i suoi fratelli lo aspettavano a
casa, ma non dovevano vederlo piangere.
Gli rimanevano pochissimi
kopeki sul cellulare, ma li spese per mandare un ultimo messaggio a
Fëdor.
Как тебя
дела?
Come
stai?
Young hearts better hold
on
Beyond the innocence
Your youth is gone
So look in your
mirror
You got nothing to lose
Don't waste your time
away
Thinkin' 'bout yesterday's blues
I
cuori giovani devono resistere
Dietro l'innocenza
La tua
gioventù è finita
Quindi guardati allo specchio
Non
hai niente da perdere
Non sprecare il tuo tempo
Pensando al
blues di ieri
(Ballad Of Youth, Richie Sambora)
Quando
le lacrime si furono seccate del tutto, Nikolaj entrò di nuovo
in tabaccheria.
Il tabaccaio non lo stava guardando, parlava
animatamente con un cliente, forse un suo amico, e rideva alle sue
battute.
Rapido come il battito del cuore che gli mancò
sfilò una card per la ricarica del suo operatore telefonico e
se la nascose in tasca.
Una volta fuori sentì come una
fitta ad un fianco, un batticuore troppo accelerato e un senso di
colpa che gli offuscava la vista, ma non ci doveva pensare, non
poteva pensare anche
a quello.
Neanche lui era abbastanza onesto, neanche lui era
abbastanza innocente.
Stava
cominciando a piovere.
E
quella era Nostal'hiya.
This world don't give you nothing
it can't take away
Everybody holding on to something
Nobody
wants to fade away
No forgiveness on the streets of this
town
I left my patience at a traffic light
There's no denying
that I almost lost it
Threw in the towel, too tired to
fight
These days I'd trade sight for feeling
There are days
my feeling's gone
Can't figure out whose life I'm living
I
don't know right from wrong
Questo mondo non ti dà niente che non possa riprendersi
Tutti si aggrappano a qualcosa
Nessuno vuole scomparire
Non c'è perdono nelle strade di questa città
Ho lasciato la mia pazienza ad un semaforo
Non si può negare che l'abbia quasi persa
Ho gettato la spugna, troppo stanco per combattere
In questi giorni scambierei la vista per un sentimento
Ci sono giorni in cui i miei sentimenti sono finiti
Non riesco a capire questa vita che sto vivendo
Non distinguo ciò che è giusto da ciò che è sbagliato
(Love Me Back To Life, Bon Jovi)
-Arinbjörg, dove sei stata?-
La voce acuta e autoritaria di Ketilfriður Ársældóttir, per parenti e amici Katý, raggiunse Arinbjörg non appena si chiuse alle spalle la porta di casa.
-Da Frida, mamma. Dovevamo studiare fisica- spiegò, e Ketilfriður le gettò un'occhiata scettica da sotto le lunghe ciglia cariche di mascara, fulminandola con profondi occhi indaco identici a quelli della figlia.
I suoi capelli biondi erano raccolti in un'elaboratissima treccia che splendeva come un gioiello sul blu cobalto del vestito che indossava, e i tacchi a spillo delle sue décolleté nere producevano un rumore inquietante sul parquet color crema.
A volte sua madre le faceva venire i brividi, ma le somigliava più di quanto al momento fosse in grado di realizzare, e per quanto la mettesse in soggezione non aveva né avrebbe mai desiderato una madre diversa.
Non avrebbe saputo come gestirla, una madre diversa.
E chissà com'era la madre di Nikolaj.
La moglie di un pittore di strada.
Una madre di Nostal'hiya.
-Da Frida. A studiare fisica- ripeté Ketilfriður, scrutandola con occhi gelidi quasi quanto la strada di Nostal'hiya.
-Davvero!-
-Cerca di essere più sincera e più prudente, Arinbjörg. E ora vai a farti una doccia e a cambiarti, che Dæja sta già preparando la cena-
-Va bene, mamma-
Arin si diresse a passo svelto verso la sua camera, dove scelse il cardigan blu e i pantaloni color panna che avrebbe indossato per la cena, e dopo averli preparati ordinatamente distesi sul letto finalmente andò nell'enorme bagno attiguo alla sua stanza, con piastrelle bianche e blu e una doccia e una vasca che occupavano metà dello spazio.
Era tutto esagerato, ma lei non lo sapeva, non lo sospettava nemmeno.
Non sapeva perché alcune persone vivevano in una casa come la sua e altre in case come quella in cui immaginava abitasse Nikolaj, ma non aveva bisogno di saperlo.
Era la sua vita, era quello a cui era sempre stata abituata.
Era una ragazza fortunata, e doveva essere giusto così.
-Dove
sei stata ieri pomeriggio?-
La domanda bisbigliata da Frida
Nystrøm fece sorridere istintivamente Arinbjörg.
-A
Nostal'hiya- sussurrò,
con una scintilla di malizia negli occhi chiari.
La sedicenne
norvegese sgranò gli occhioni verde chiaro e si scostò
una lunga ciocca di capelli rossi dal viso per guardare meglio la sua
migliore amica.
-A
Nostal'hiya?! Dove...-
-Dove
viveva Lev Puškin, sì-
Viveva.
Nikolaj
l'avrebbe odiata per quel tempo verbale, l'ennesimo sbagliato.
Lev
viveva ancora a Nostal'hiya, ma in riformatorio.
E in fondo che
vita era?
Per questo, forse, ad Arin veniva spontaneo parlare di
lui al passato.
-E perché ci sei andata? Da sola, poi! Non
è pericoloso?-
-Beh, sì, credo di sì...
Squallido, soprattutto. Non sembra neanche città! Ma
volevo vederlo-
-E
adesso perché sorridi così?- volle sapere Frida,
inquietata dall'incoscienza e dalla noncuranza dell'amica.
-Beh,
lui, Lev, non c'era, naturalmente. Ma
c'era il suo migliore amico-
-E...?
Arin,
dai, mi stai mettendo ansia!-
-Ti agiti per troppo poco, Frid.
Oggi ci rivediamo, tutto qui. Io e Nikolaj. Il
migliore amico di Lev Puškin-
-Un
Nostal'hičnyy? Sul
serio, Arin? Ed
è così importante, per te, il fatto che sia il migliore
amico di Lev Puškin?
Il migliore amico di un delinquente?-
-Non
è solo
un
delinquente. E comunque non lo so, se è ancora così
importante. Lui
fa un certo effetto anche da solo-
-In
che senso?-
-Non puoi nemmeno immaginare quanto sia bello, Frid!
Pensa al ragazzo più bello che hai visto-
-Gunnar
Meinich...- sospirò
Frida, pensando al ragazzo di origine svedese che incontrava tutte le
estati a Vardø, la sua città natale.
-Ancora con
questo Gunnar... Beh, va bene, se proprio devi pensa a lui. Ecco,
Nikolaj è molto più bello-
-Impossibile-
-Frid,
qui non si tratta solo di soggettività. Lui è davvero,
davvero, davvero straordinario!
Peccato solo che viva lì. Sai che è figlio di un
pittore di strada? Non è una cosa affascinante?-
-Un
pittore di strada? E quanto guadagna?-
-Beh, meno dei nostri
padri, suppongo...- ridacchiò Arin, e anche a Frida, per
quanto non le sembrasse una cosa molto carina, scappò una
risatina.
-Sempre meglio del padre di Lev, lo
schizofrenico-
-Quanto
guadagna uno schizofrenico?-
Arinbjörg
scoppiò a ridere e la professoressa di fisica si fermò
davanti al suo banco con uno sguardo che la convinse a smettere
all'istante.
D'altra parte il giorno prima non aveva nemmeno
aperto il libro, e non aveva idea di quali fenomeni si verificassero
quando un raggio di luce attraversava due mezzi trasparenti.
Happiness it's been no friend to me
But forever after ain't what it's all cracked up to be
Yeah, I had a taste, you were my fantasy
But I almost lost my faith when I hit reality
I opened up my heart, but all I did was bleed
La felicità non mi è stata amica
Ma non è sempre andato tutto bene come avrebbe dovuto
Sì, ne ho avuto un assaggio, tu eri la mia fantasia
Ma ho quasi perso la mia fede quando mi sono scontrato con la realtà
Ho aperto il mio cuore, ma tutto quello che ho fatto è stato sanguinare
(Something For The Pain, Bon Jovi)
Nikolaj
aveva trovato quella matita sulla scrivania di Sof'ja, una matitina
corta e già un bel po' consumata, ma le aveva fatto la punta e
gli era sembrata perfetta.
Perfetta per lui.
Suo padre aveva
detto loro che avrebbero potuto strappare l'anima ad una matita
cercando di catturarne l'ombra su un foglio bianco, e alla fine non
avrebbero capito se avevano davvero consumato la matita o una parte
di loro stessi.
Una parte con suo padre, una con Lev, una con la
matita...
E poi Arinbjörg.
Cosa
sarebbe rimasto di lui?
Però
volle disegnarla lo stesso, quella ragazzina islandese tanto
spensierata e radiosa, la figlia di un diplomatico che voleva
"capire", capire le ragioni di Lev e le sue.
Tratteggiò
il suo viso a matita, solo in bianco e grigio, i colori di
Nostal'hiya.
Non era sicuro che a lei sarebbe piaciuto, anche se
aveva ereditato buona parte del talento di suo padre per il disegno.
Era
solo un ricordo, un'ombra, un'immagine, molto più fragile e
meno eterna dei dipinti di Igor' Gončarov.
Era tutto quello
che sapeva fare, o forse solo quello che voleva
fare.
Uno
schizzo, una prova.
Perché la realtà, quella vera,
gli aveva quasi fatto perdere la fede, e questo davvero non poteva
più permetterselo.
Lo lasciò sul comodino, il
ritratto di Arinbjörg Einarsdóttir.
Era riuscito a
spiegarle tutto quello che voleva sapere?
A rendere giustizia e
Lev e alle sue idee, alle loro idee?
Aveva sempre creduto, sperato
che sarebbe stato lui, un giorno, a restituire la giustizia a
Lev.
Nikolaj si sarebbe chiesto spesso, negli anni seguenti, cosa
lo avesse spinto a fidarsi di Arinbjörg, a dirle davvero quello
che sentiva.
L'assenza di Lev, che sapeva sempre cosa era giusto,
anche se gli altri credevano che fosse lui, ad essere
sbagliato.
L'assenza di suo padre, che faceva semplicemente il
meglio che poteva, come lui, solo in un'altra città, a 3829,4
chilometri da lì.
L'assenza di qualcuno che, anche solo per
una volta, per un momento, si prendesse la responsabilità per
lui e gli desse qualcosa per il dolore.
Qualcuno per il
dolore...
Qualcuno come Arinbjörg.
Give me something for the pain
Give me something for the blues
Give me something for the pain
When I feel I've been danglin' from a hangman's noose
Give me somethign for the rain
Give me something I can use
To get me through the night
Make me feel all right
Something like you
Dammi qualcosa per il dolore
Dammi qualcosa per il blues
Dammi qualcosa per il dolore
Quando mi sento come se pendessi dal cappio di un boia
Dammi qualcosa per la pioggia
Dammi qualcosa che possa usare
Per superare la notte
Per sentirmi bene
Qualcosa come te
(Something For The Pain, Bon Jovi)
L'unico
bel posto che conosceva a Nostal'hiya, l'unico posto veramente
bello ed esclusivo che c'era, oltre al lago che però era già
fuori, già in un'altra dimensione, era I Cosacchi dell'Ob', la
crêperia di Stanislav Baškov.
Forse i ragazzi di
Nostal'hiya avevano idealizzato anche quella, attribuendole chissà
quale atmosfera miracolosa, chissà quale magia, a quella sala
con i divanetti di pelle blu e i ritratti dei Cosacchi alle pareti,
che forse non erano la cosa più rassicurante del mondo, ma non
c'era niente da fare, a loro piacevano anche quelli.
Il divanetto
di Lev e Nikolaj, quando riuscivano ad accaparrarselo, era quello
sotto il ritratto di Pugačëv, il loro Cosacco preferito, ma
quel giorno era occupato.
-Vieni, andiamo a sederci sotto Sten'ka
Razin-
-Sotto chi?-
La domanda di Arinbjörg lo spiazzò
a tal punto che Kolja ebbe bisogno di diversi secondi per riprendersi
e sostenere lo sguardo perplesso della ragazza.
-Sten'ka Razin.
Era un Cosacco del Volga-
-Ah. E allora?-
-È stato a
capo di una rivolta antizarista nel 1760-
-E poi?-
-E
poi l'hanno squartato-
-Carino.
Ma cosa c'entra?-
-Niente, intendevo... Andiamo a sederci a quel
tavolino, va bene?-
-Certo che sei un tipo romantico, tu... Con i
tuoi Cosacchi squartati...- rise Arin, e Kolja si sentì un
vero stupido.
Lei l'aveva presa sul ridere, ma lui doveva
smetterla.
Doveva
smetterla di comportarsi come un ragazzo di Nostal'hiya.
Non
sarebbe riuscito ad essere niente di diverso, altrimenti.
Non
sarebbe riuscito ad avere niente di più.
-Scusa-
-Fa
niente, dai. L'avevo già capito, che non eri un ragazzo
romantico-
L'aveva
capito?
In
realtà non lo sapeva nemmeno lui, se era o meno un ragazzo
romantico.
Ma forse i ragazzi romantici non parlavano mai, proprio
mai,
di Cosacchi squartati?
Di sicuro non al loro primo appuntamento.
E
allora di cosa accidenti parlavano?
-Mi
dispiace...-
-Non preoccuparti. Ti ho detto che non fa
niente-
Arinbjörg posò una mano sulla sua, e Kolja si
convinse di vedere nei suoi occhi più dolcezza che pietà.
Non
si era accorto, in quel momento non se n'era accorto, di aver chiesto
scusa per essere stato se stesso, l'unico Nikolaj Gončarov che
esisteva.
Doveva fare qualcosa per il dolore, e Nostal'hiya doveva
lasciarlo libero, per una volta...
E forse avrebbe potuto essere
diverso.
Essere
migliore.
-Ehi,
Kolja! Mi dispiace che tu non abbia trovato il tavolo di Pugačëv
libero, ma non sapevo che saresti venuto oggi... Beh, comunque sei
sotto Sten'ka, ottima scelta-
Kolja cercò di sfuggire ai
ridenti occhi azzurri di Stanislav, che come al solito sfoggiava una
folta e ribelle chioma castano scuro e una barba simile a quella dei
Cosacchi, e per quanto fosse una delle personi migliori del mondo a
prima vista faceva la stessa impressione dei suoi antenati.
Non
riuscì però ad ignorare lo sguardo accigliato con cui
Arin lo stava studiando, e nonostante lo adorasse si ritrovò a
desiderare che non avesse detto una sola di quelle parole e che non
avesse un'aria così selvaggia, così poco
raccomandabile.
Desiderare di non essere lì.
Lui
non era così forte.
Non era più così
orgoglioso.
Non ce la faceva più.
Non
c'era un camerino dove qualcuno -Kolja non sapeva nemmeno come si
chiamassero, quel genere di addetti- appendeva i cappotti dei
clienti, in genere i ragazzi di Nostal'hiya i loro cappotti li
buttavano sui divanetti e ci si sedevano sopra, finché non si
rendevano conto di essere stati per mezz'ora appollaiati sul proprio
cellulare e sui rubli con cui avrebbero dovuto pagarsi la merenda, ma
era stato così penoso vedere Arinbjörg, tanto elegante,
troppo elegante nel suo delizioso vestitino di seta nera, essere
costretta a piegare e tenersi sulle ginocchia il suo bel cappotto di
camoscio con aria imbarazzata.
E lui di questo si era accorto
dopo, dopo aver buttato il suo giaccone dei magazzini sul divanetto e
aver fulminato con lo sguardo la stringa slacciata della sua scarpa
sinistra.
Avesse almeno avuto la giacca di pelle di Fëdor
Puškin o gli stivali di Lev, che facevano tanto ussaro
superstite della Battaglia di Borodino...
-Che succede, Niko? Non
vuoi ordinare? Ti senti bene, scricciolo? Stai piangendo?-
-Piangi?-
chiese
Arin, allarmata dalle parole di Stanislav.
Ma Kolja non piangeva,
aveva solo gli occhi lucidi.
-Non
volevo essere inopportuno... Non volevo parlare di Cosacchi
squartati... Non volevo che portassero via Lev...- sussurrò,
ma con una voce talmente sottile che non lo sentirono né l'ex
Cosacco di Nostal'hiya né l'Islandese di Leninskij.
-Ti
porto una cioccolata fondente alla nocciola e una bella fetta di
torta al cioccolato ricoperta di cereali croccanti e granella di
nocciola. L'ho appena fatta- annunciò Stas, senza possibilità
di replica, arruffando gentilmente i capelli dorati del
ragazzo.
-Lei, signorina?-
Stanislav
cercò di staccare lo sguardo dagli stivali neri di camoscio di
Arinbjörg, smettere di valutarne mentalmente il prezzo e
apparire professionale, perché lui
non
si lasciava mettere in soggezione da una ragazzina dei quartieri alti
e non aveva intenzione di dare alcuna soddisfazione né a lei
né alla sua aria arrogante.
-Un... Un thè
all'arancia e cannella, grazie. E dei biscotti... Non saprei, che
biscotti ci sono?-
-Ho appena sfornato una teglia di ottimi
biscotti di Pugačëv-
-Che sarebbero?-
-Semplici
frollini al mais a forma di P-
-Anche questo Pugačëv è
stato squartato?- si informò Arin, con un sopracciglio
inarcato.
-Decapitato-
venne
automatico rispondere a Nikolaj, che aveva alzato lo sguardo di
scatto prima ancora che Arinbjörg finisse la domanda.
Poi si
maledisse cento volte, mentre Arin, preferendo sorvolare, acconsentì
a farsi portare cinque biscotti di Puškin.
Era stato più
forte di lui.
These
days it's hard to have a heart
It doesn't matter where you come
from or who you think you are
These days it's hard just fitting
in
Why does someone have to lose for someone else to win?
We're
all looking for forgiveness and someone we can trust
In questi giorni è difficile avere un cuore
Non importa da dove vieni o chi credi di essere
In questi giorni è difficile trovare il proprio posto
Perché qualcuno deve perdere mentre qualcun altro deve vincere?
Cerchiamo tutti il perdono e qualcuno di cui fidarci
(The Last Night, Bon Jovi)
[...]
I called upon my brother just
the other day
He said: "John, I'm gonna die, if I don't
start to live again.
I could kick this bad world's ass
If
I could just get on my feet "
Ho chiamato mio fratello proprio l'altro giorno
Mi ha detto: "John, morirò, se non ricomincio a vivere.
Potrei prendere a calci il mondo intero
Se solo fossi libero"
(Bang A Drum, Jon Bon Jovi)
Quando
Arinbjörg l'aveva portato a Leninskij, Nikolaj aveva davvero
preso in prestito la giacca di pelle di Fëdor e indossato degli
stivali molto simili a quelli di Lev, che era il massimo
dell'eleganza concepibile da un ragazzo di Nostal'hiya.
Per strada
aveva visto un ragazzo con una criniera di capelli neri tenuti più
o meno indietro da una fascia bianca, una canottiera nera, jeans
attillati strappati e scarpe da ginnastica che gli era parso quasi
una creatura sovrannaturale, con quegli occhi scuri lucenti e
quell'aria anacronistica, come se fosse piovuto da un'altra epoca, un
altro cielo, e per qualche magia che aveva negli occhi vedesse solo
la parte bella del mondo, come Lev.
L'aveva visto sistemare la
treccia a una bambina con i suoi stessi occhi del nero più
brillante e il suo stesso sorriso da angelo di strada, e un lampo di
orgoglio era brillato nello sguardo della piccola quando suo padre o
suo fratello si era chinato su di lei con quella dolce premura.
Quella era stata l'immagine con cui Kolja aveva lasciato Nostal'hiya per precipitare nelle strade
dorate dei Putiniani, dove Arinbjörg lo stava aspettando.
With a silver crystal on
How well you used to know how to shine
In the place that's safe from harm
I had been blessed with a wilder mind
You can be every little thing you want nobody to know
And you can try to drown out the street below
And you can call it love
If you want
But I thought we believed in an endless love
Con un cristallo d'argento
Com'eri brava a brillare
In un posto al sicuro dai pericoli
Io sono stato benedetto da una mente più selvaggia
Tu puoi essere ogni piccola cosa che non vuoi che nessuno sappia
E puoi provare a ricoprire la strada sottostante
E puoi chiamarlo amore
Se vuoi
Ma io pensavo che noi credessimo in un amore infinito
(Wilder Mind, Mumford & Sons)
-Ecco,
lei è Frida, la mia migliore amica. Frid, lui è Kolja.
Il mio fidanzato-
Frida sgranò gli occhi, visibilmente
colpita da qualcosa che Nikolaj non riusciva a vedere, la sua
bellezza e il modo che aveva di illuminare la strada, anche se non
era la sua strada e lui non ci credeva, alla sua luce, anche se per
lui era tutto molto più difficile, molto più
buio.
-Piacere...-
Neanche lei doveva essersi accorta dello
smarrimento di Kolja, perché non le veniva naturale associare
qualcosa di tanto fragile a un ragazzo come lui, e la realtà
non poteva distaccarsi troppo dai suoi stereotipi.
Di certo non si
era accorta del lieve tremare di Nikolaj, sicuro che nessuno
l'avrebbe difeso, in quel quartiere, e nessuno l'avrebbe perdonato
quando avesse deluso Arinbjörg e Frida.
Perché non
parlava, non raccontava niente di divertente o di spaventoso, ma
guardava Arin come se implorasse da lei la salvezza, e pregava che
lei, con uno strattone, una parola, anche senza aver capito, lo
facesse sentire più lontano da se stesso, da quella parte di
sé che non riusciva nemmeno a respirare lontano da
Nostal'hiya.
Per Arin lui era un'altra persona, qualcuno di cui
accontentarsi in assenza di Lev, per quella sua bellezza
straordinaria che la distraeva dalla fama di Lev.
E Kolja aveva
provato a vivere senza Lev, senza raccontare niente al suo migliore
amico di quello che per lui era diventato amore, che voleva
disperatamente credere che fosse amore, l'amore
per Arin,
aveva provato a vivere con le sue parole sbagliate, le sue parole
spezzate, i suoi occhi lucidi, il suo cuore sempre più
devastato, il suo tempo che non passava mai, i suoi sei anni da
aspettare, ed erano trascorsi solo nove mesi.
Ne erano passati
quattro, dal suo incontro con la ragazza di Leninskij.
Lui era
sempre meno forte e lei a volte lo guardava annoiata, stanca di
quella lacrimosa tristezza che non gli scivolava mai via dagli occhi,
stanca di un ragazzo che la baciava per ritrovare la speranza, perché
lei voleva solo un ragazzo di Nostal'hiya.
Un ragazzo diverso
dagli altri, da tutti quelli del suo quartiere, che facesse sgranare
gli occhi alle sue amiche, non uno che lei dovesse salvare.
-Vieni
con noi a prendere un thè, Frid?-
Kolja non l'aveva capito,
non l'aveva capito, che Arinbjörg stava osservando così
attentamente la sua migliore amica solo per scorgere nei suoi occhi
il minimo segno di invidia.
-No, Arin, grazie. Devo studiare-
Arin
le lanciò un'occhiata di sufficienza, come se le parole di
Frida non avessero alcun senso.
-Ma cosa?-
-Quello
che non studierai tu- borbottò
sottovoce la Norvegese, prima di rivolgere un breve e imbarazzato
sorriso a Nikolaj.
-Ciao-
-Ciao-
Nikolaj
ricambiò il sorriso senza esitazioni, perché per quei
pochi secondi in cui si erano guardati Frida gli era sembrata una
brava ragazza, mentre Arinbjörg la salutò con un
distratto cenno della mano e uno sguardo che, se non fosse stato
assurdo, Kolja avrebbe definito di sfida.
Doveva essere un po'
nervosa, Arin, quel giorno.
Un po' nervosa o un po' troppo
cattiva.
Nikolaj
non era riuscito a leggere il nome del locale, ma di sicuro non ci
sarebbe mai entrato se Arinbjörg non l'avesse letteralmente
spinto dentro.
-Vuoi entrare o no?! Ora cosa c'è che non
va? Hai sempre qualcosa, tu... Hai
visto il fantasma di Lev?-
-Lev non è morto-
Solo
in quel momento gli occhi di Nikolaj si accesero, solo allora la sua
voce si alzò.
Solo in quei momenti gridava, solo in quei
momenti riusciva a farsi sentire.
Quando qualcuno metteva in
dubbio che Lev stesse riuscendo a resistere.
Che
Lev sarebbe tornato.
-È
l'unica cosa che sai dire. L'unica cosa in cui credi.
Ti sembra carino nei miei confronti?-
-Tu
non c'entri... Non
c'entri niente con Lev-
sussurrò Kolja, ad occhi bassi ma deciso.
Poteva anche
perdonare Arin per come lo trattava, ma non doveva toccare il suo
migliore amico.
Forse lei si era accorta che parlando di Lev lo
feriva di più.
Forse era proprio quello che voleva.
-Dici?
Non staremmo nemmeno insieme, se non fosse per Lev-
-Cosa vuoi
dire?-
-Niente, Kolja, niente. Siediti e basta. Non ti rendi conto
di essere in piedi in mezzo alla caffetteria? Ci guardano. Siediti,
per carità!-
-Perché devi sempre arrabbiarti con
me?- sbuffò Kolja, infastidito dall'atteggiamento della
ragazzina, ma troppo fragile senza di lei, in quel quartiere tanto
lontano da Nostal'hiya, per potersi davvero ribellare.
-Perché
non sai mai come comportarti, Kolja! Sei sempre maledettamente
fuoriluogo, costantemente inopportuno! I primi tempi ci passavo
sopra, ma sono passati quattro mesi... E adesso siamo nella
caffetteria più esclusiva della città!-
-Sai quanto
me ne frega della caffettiera più esclusiva della città!
Dei quadri, dei ricami, delle tovaglie... Non ho mai avuto intenzione
di farti fare brutta figura, ma a me non importa niente-
-I quadri
di tuo padre sono meglio, eh?-
Arinbjörg vide Nikolaj
rabbuiarsi come non gli era mai successo prima, nemmeno quando doveva
difendere Lev dalle sue frecciatine.
I suoi occhi diventarono più
scuri, quasi grigi come la strada di Nostal'hiya, raggelati di colpo,
come l'Ob' d'inverno e i marciapiedi imprigionati dal ghiaccio, e
Arin preferì affrettarsi a tranquillizzarlo.
Non si sapeva
mai come poteva reagire un ragazzo di Nostal'hiya.
-Ma no, tesoro,
tu non mi fai fare brutta figura. Sei così bello! Non volevo
dire niente di offensivo su tuo padre, e nemmeno sul tuo migliore
amico. Stai tranquillo, Nikolen'ka. Tranquillo. Se non ti piace qui
possiamo andare da qualche altra parte... Possiamo andare a casa
mia-
Arinbjörg accarezzava piano la mano che Nikolaj aveva
appoggiato sul tavolino della caffetteria, e Kolja, anche se non la
guardava, aveva ripreso a respirare regolarmente.
-A casa tua? Tu
mi porteresti a casa tua?-
-Certo. Che problema c'è? Io
sono fiera di te, non lo sai? A volte sei un po' inopportuno, sì,
ma ti amo lo stesso!-
-Mi
ami?-
Nikolaj
alzò lo sguardo, incapace di trattenere un sorriso spontaneo e
uno stupore che gli brillava negli occhi ora meravigliosamente
schiariti.
-Certo!-
Arin gli accarezzò dolcemente una
guancia, con i begli occhi ridenti e il sorriso che bastava a far
rabbrividire Nikolaj, il povero, fragile e innamoratissimo
Nikolaj.
-Anch'io-
Rideva,
Arinbjörg, rideva ogni volta che Kolja glielo diceva, e lo baciò
ridendo, divertita da quanto si fosse rivelato facile avere ai propri
piedi un ragazzo di Nostal'hiya.
Il
più bel ragazzo di Nostal'hiya.
-Prendiamo
un thè e andiamo a casa mia, dai. Ce
la puoi fare, a prendere un thè?-
But this is all I ever was
And
this is all you came across those years ago
Now you go too
far
Don't tell me that I've changed because that's not the
truth
And now I'm losing you
Ma questo è tutto quello
che sono sempre stato
E questo è tutto quello con cui hai
avuto a che fare in questi anni
Ora vai troppo veloce
Non dirmi
che sono cambiato perché non è la verità
E
ora ti sto perdendo
(Ditmas, Mumford & Sons)
-Come
hai detto che si chiama, Arinbjörg? Continua a sfuggirmi, non mi
sono mai piaciuti i nomi russi-
-Nikolaj. È ucraino-
-Lui
o il nome?-
-Lui, lui-
-Ed è proprio necessario... Ti
piace proprio così tanto? È una cosa passeggera,
vero?-
-Ma certo, mamma! Come
potrebbe essere una cosa seria, con un Nostal'hičnyy?
Lo so che non fa per me. Non preoccuparti-
-Stai attenta, Arin...
Quelli come lui sono
pericolosi-
-Quelli
come il suo amico, magari. Lui è proprio una nullità.
Basta dirgli che lo
ami...-
sussurrò Arin
fra sé e sé, e Ketilfríður, che non l'aveva
sentita ma confidava nel buon senso della figlia, non certo il genere
di ragazza che avrebbe lasciato tutto per un mentecatto di periferia,
le accarezzò distrattamente la serica chioma bionda.
Se
voleva solo divertirsi un po', che lo facesse pure.
Era così
giovane, era ovvio che subisse il fascino dei ragazzi di
periferia.
L'importante era che non fosse niente di serio, niente
in cui lei credesse davvero, ma su questo non aveva dubbi.
Questo
non era possibile.
I
should have seen it coming when the roses died
Should have seen
the end of summer in your eyes
I should have listened when you
said "good night"
You really meant "goodbye"
Avrei dovuto vederlo arrivare quando le rose sono morte
Avrei dovuto vedere la fine dell'estate nei tuoi occhi
Avrei dovuto ascoltare quando hai detto "buonanotte"
In realtà intendevi dire "addio"
(This Ain't A Love Song, Bon Jovi)
A
Sof'ja non piaceva per niente, la ragazza di Leninskij.
Non le
piaceva l'aria di sufficienza con cui guardava e ascoltava Nikolaj,
distratta e a volte, ormai sempre più spesso, perfino
insofferente.
Kolja aveva smesso di parlare di Lev con Arin, aveva
smesso di parlare della sua nostal'giya.
Qualche
volta le parlava ancora del suo sogno, l'Accademia Militare, mentre
lei fingeva di non essere troppo annoiata, e del lavoro che aveva
trovato come lavavetri della Banca di Nostal'hiya, che lei si
sforzava di non giudicare troppo miserabile.
Sof'ja li vedeva, li
sentiva sotto la sua stessa pelle, i disperati tentativi di Nikolaj
di richiamare l'attenzione di Arinbjörg, di impedirle di
distogliere lo sguardo da lui, di pensare ad altro mentre lui cercava
di trovare le parole, e ogni parola era un frammento del suo
cuore.
Ad Arin sembrava assurdo che Kolja dormisse con la sua
sorellina di nove anni, quell'insopportabile esserino che non mancava
mai di lanciarle sguardi pieni di accuse, come se lei avesse potuto
capirne qualcosa, delle relazioni fra i ragazzi grandi come suo
fratello.
Il giorno in cui Arinbjörg aveva lasciato Nikolaj,
Sonja era stata invitata a casa di una sua compagna di classe da cui
si sarebbe fermata a dormire, e Kolja aveva invitato Arin.
L'Islandese
si era fermata ad osservare la foto dei genitori di Nikolaj, Lidija
Stefanenko e Igor' Gončarov, lei con una cascata di capelli
rossi e ridenti occhi verdazzurri, immortalata mentre stringeva forte
la mano del fidanzato, un ragazzo altissimo e biondo dai cristallini
occhi cerulei, sorprendentemente identico a Kolja, ma con un sorriso
che Arin non aveva mai visto sulle labbra di Kolja, non con lei.
E
così quelli erano due genitori di Nostal'hiya.
Provò
a sovrapporre la ragazzina della foto alla giovane donna dagli occhi
stanchi ma sempre chiari e la lunga treccia sfatta ondeggiante sul
cappotto che aveva appena visto uscire mano nella mano con la figlia
e pensò a sua madre, elegante in ogni respiro che esalava,
sempre impeccabile e all'altezza di ogni situazione, mentre gli altri
non sempre erano alla sua altezza.
Arinbjörg aveva preso da
lei, sarebbe stata una di quelle ragazze e donne perfette.
La sua
pelle non sarebbe mai stata sfiorata dalla polvere di
Nostal'hiya.
Era stata sfiorata molte volte da un ragazzo di
Nostal'hiya, ma quelle carezze immeritate sarebbero svanite.
Il
ricordo delle mani tremanti di Nikolaj sarebbe andato via, e anche
lei sarebbe andata via.
Caro Kolja,
Credo che tu possa
capire, se non l'hai sempre saputo.
Non sei il ragazzo giusto per
me.
Ora devo tornare a casa, e sii gentile, accetta la mia
decisione, non vediamoci più.
Per una volta, almeno adesso,
non essere inopportuno.
Ti lascio i soldi per pagarti l'Accademia
Militare, perché, anche se sembri non volerlo capire, non ci
riuscirai mai con quel tuo stupido lavoro di lavavetri.
Arruolati,
se ci tieni tanto, se credi di potercela fare.
E non fare
l'orgoglioso, non saranno tutti così buoni con te.
Buona
fortuna, Nikolen'ka.
Un bacio.
Arinbjörg
Nikolaj
aveva sperato tanto che non fosse così, ma c'era davvero una
busta sotto il biglietto di Arinbjörg, e quando intravide la
carta filigranata delle banconote un vertiginoso senso di nausea gli
impedì di alzarsi dal letto.
Non sapeva se stava
respirando, ma non c'era più niente che potesse fare per il
dolore, nessuna medicina sbagliata, nessun sorriso a cui credere.
E
quello doveva essere cadere.
Quello doveva essere perdere tutta la
sua fede.
She said: "Baby, our love's
just like your songs
The beat ain't bad but the words are all
wrong
It's time to pack my bags, it's time to just move on"
She sang: "Johnny, I'm gone, gone, gone"
And she
was gone, yeah
Lei ha detto: "Tesoro, il nostro amore è proprio come le tue canzoni
Il ritmo non è male, ma le parole sono tutte sbagliate
E' il momento di impacchettare le mie cose, è il momento di andare avanti
Ha cantato: "Johnny, me ne sono andata, andata, andata"
E se n'era andata, sì
(Queen Of New Orleans, Jon Bon Jovi)
Kolja aveva dovuto leggere tre volte il nome scritto sul campanello, prima di provare almeno ad ipotizzare un modo in cui poterlo pronunciare.
Ketilfríður Ársældóttir.
Signora Ársældóttir.
Al nome ci rinunciò, non sarebbe mai riuscito a ripeterlo senza farne scempio, mentre il cognome lo lesse ad alta voce finché non gli sembrò di averlo pronunciato in modo quantomeno accettabile, anche se si sentiva un completo cretino.
Si posò una mano sul petto per accertarsi che esistesse ancora almeno una traccia di battito cardiaco sotto sulla sua pelle, poi suonò.
Lei non gli avrebbe risposto di sicuro, e a quell'ora suo padre doveva essere al lavoro.
Il fratello di Arin si chiamava Jón Einarsson, ma Nikolaj sperava disperatamente che non rispondesse lui.
No, la sua ultima preghiera l'avrebbe rivolta a Ketilfríður Ársældóttir.
La sua ultima sconfitta gliel'avrebbe annunciata lei.
I'm hanging outside your
door
I've been here before
Sto aspettando fuori dalla tua porta
Sono stato qui prima
(Misunderstood, Bon Jovi)
-Buongiorno, signora Ársældóttir. Sono Nikolaj, sono, ero... Potrei parlare con Arinbjörg?-
-Sei il suo ex fidanzato, vero? Quello di Nostal'hiya?-
La madre di Arin non sembrava molto disponibile, proprio come aveva temuto, ma lui doveva provare, doveva convincerla.
Doveva parlare con Arin, doveva capire...
Anche se lei credeva di avergli già spiegato tutto in quel maledetto biglietto, lui non poteva crederci.
Non aveva detto di amarlo?
Come poteva non contare più?
Non importarle più?
-Sì, sono io-
-Ecco, caro, temo che tu sia venuto fin qui per niente. Mia figlia è impegnata-
-Per
favore, signora Ársældóttir, voglio solo parlare
con lei...-
-Arinbjörg non ha tempo di scendere, ragazzino.
Sta studiando-
-Per favore, signora, voglio solo salutarla... Le
ruberò solo un minuto...-
-Ti ho detto che è
impegnata. Mia figlia ha di meglio da fare che perdere tempo con un,
come posso definirti... Ragazzino
più sfortunato di lei che di sicuro ha problemi molto più
seri. Arinbjörg sta
cercando rifarsi una vita, di costruirsi un futuro degno di lei. Lo
capisci, questo, Mic... Nik... Oh,
Santo Cielo, come diavolo ti chiami?-
-Nikolaj,
Nikolaj Igorevič
Gončarov-
-Ecco,
Nikolaj. Domani ha un compito importante, tu sai... Ti
ricordi cosa significa? Vai
ancora a scuola, vero?-
-No, signora. L'ho
lasciata tre anni fa-
-Oh,
mio Dio, nemmeno il diploma...
In ogni caso, te lo dico io cosa significa. Non ha tempo per scendere
a parlarti. È troppo impegnata-
-Signora, la
prego...-
-Nikolaj, sono io a pregarti. Non costringermi ad essere
maleducata. Sono sicura che troverai una ragazza alla tua... Altezza,
nel tuo... Quartiere-
-Almeno
le dica che sono passato... Che la saluto...-
-Certo, caro.
Senz'altro. Grazie per la visita. Arinbjörg apprezzerà il
pensiero. E, per favore, non
tornare più-
Sylvia's
mother says: "Sylvia's busy
Too busy to come to the
phone"
Sylvia's mother says: "'Sylvia's tryin'
To
start a new life of her own"
Sylvia's mother says: "Sylvia's
happy
So why don't you leave her alone?"
And the
operator says: "40 cents more for the next 3 minutes"
Please,
Mrs. Avery, I just gotta talk to her
I'll only keep her a
while
Please, Mrs. Avery, I just wanna tell 'er goodbye
Sylvia's
mother says: "Take your umbrella
'Cause Sylvia, it's startin'
to rain"
And Sylvia's mother says: "Thank you for
callin'
And, sir, won't you call back again?"
La madre di Sylvia dice: "Sylvia è impegnata
Troppo impegnata per venire al telefono"
La madre di Sylvia dice: "Sylvia sta cercando
Di iniziare una nuova vita per conto suo"
La madre di Sylvia dice: "Sylvia è felice
Quindi perché non la lasci stare?"
E l'operatore telefonico dice: "Quaranta centesimi per i prossimi tre minuti"
Per favore, Mrs. Avery, devo solo parlare con lei
Le ruberò solo un momento
Per favore, Mrs. Avery, voglio solo dirle addio
La madre di Sylvia dice: "Prendi il tuo ombrello
Perché Sylvia, sta cominciando a piovere"
E la madre di Sylvia dice: "Grazie per aver chiamato
E, ragazzo, non richiamerai di nuovo?"
(Sylvia's mother, Dr. Hook)
Non esisteva niente per il dolore.
Non più, non per lui.
Poteva
solo tornare a casa, doveva
tornare
a casa, perché quelle
non
erano le sue strade, e
lui non ci sapeva camminare in mezzo alle case dei ricchi, non si
sapeva orientare, gli sembrava di essere dall'altra parte del mondo
rispetto alla sua Dostoevskij Prospekt, il posto a cui
apparteneva.
Corse via, quando si rese conto che nessun battito
del suo cuore gli sarebbe stato restituito, e neanche un attimo del
suo amore sarebbe tornato, sarebbe rimasto.
Doveva lasciare andare
tutto, doveva solo andare via di lì.
Aveva
pianto per tutto il tragitto dell'autobus, che tra l'altro non si
fermava nemmeno a Nostal'hiya, ma solo poco prima, con la testa
appoggiata al vetro del finestrino e la città che scorreva
insieme alle sue lacrime, troppo offuscata, veloce e lontana.
Una
volta sceso, però, non aveva voluto tornare a casa.
Per
cosa, poi?
Rimettersi a letto, con le coperte tirate fin sopra la
testa per vedere solo il buio, per provare ad annegare nel
buio?
Questo avrebbe potuto farlo qualsiasi altro giorno.
On any other day I might just
stay in bed
Sit down in a sea of blankets
Pull them up over my
head
Qualsiasi altro giorno potrei
solo stare a letto
Seduto in un mare di coperte
Tirarmele fin
sopra la testa
(Any Other Day, Bon Jovi)
Quel giorno, invece, dato che era
già il giorno sbagliato, ed era già stato più
crudele di qualsiasi altro, Kolja andò al lago.
Il lago
ghiacciato era sempre meraviglioso, ed era sempre lì,
apparteneva un po' anche a lui, anche se non praticava nessuno sport
sul ghiaccio, ma si limitava a coglierne i bagliori.
Quel giorno
voleva vedere il lago perché il cielo non gli bastava, il
cielo c'era anche a Leninskij, ed era molto più freddo di
qualsiasi tratto dell'Ob', ma il lago no.
Era fuori da Novosibirsk
e fuori da Nostal'hiya, ma i Nostal'hičnyy correvano lì
per vedere oltre, per avere un azzurro più intenso,
abbagliante e sincero del cielo, e anche se in estate diventava la
meta turistica degli altri abitanti di Novosibirsk, nessuno ci vedeva
quello che vedevano loro.
Quello in cui credevano loro.
C'era
una ragazzina che pattinava, quel giorno, sempre lo stesso maledetto
giorno, ma da tutt'altra prospettiva.
Era lì anche gli
altri giorni, quelli in cui lui non era andato al lago, ed era brava,
Kolja non era un esperto, ma non ci voleva molto a capire che non
tutte le ragazze della sua età pattinavano così.
Neanche
se abitavano in riva al lago, neanche se lo facevano da quando erano
piccole.
Lei aveva un altro modo di muoversi, un altro modo di
sentire il ghiaccio.
Aveva i capelli raccolti, di un dorato biondo
chiaro, e pattinava come se non avesse bisogno di un cielo sopra,
quando aveva il ghiaccio sotto le lame dei pattini.
Durò un
attimo, o forse un po' di più, ma per un tempo sufficiente
perché il loro ricordo si impigliasse nella sua memoria
Nikolaj incontrò gli occhi della pattinatrice.
Occhi
blu-argentei come quelli di Lev, un paragone, una sovrapposizione
spontanea che gli spezzò il respiro.
Non era il suo
disperato desiderio di salvezza, non era la sua immaginazione.
Non
erano nemmeno le lacrime ad ingannarlo, perché si erano
asciugate, ormai.
L'ultima si era seccata proprio in quel
momento.
E la pattinatrice aveva gli occhi di Lev.
Lo
sguardo di Lev.
Non poteva sbagliarsi, e il suo cuore non
avrebbe potuto battere più forte, anche se era infranto.
Forse
qualcosa per il dolore esisteva.
Quella ragazzina bionda che
volava sul lago gli ricordava Lev.
You can keep all the money and the streets that's painted gold
If someone gives me back my soul
Puoi tenerti tutti i soldi e le strade dipinte d'oro
Se qualcuno mi restituisce la mia anima
(Fields Of Fire, Bon Jovi)
Novosibirsk, 11 maggio 2013
Arinbjörg
la riconobbe immediatamente, la ragazza di Lev Puškin.
Indossava
un cortissimo abitino blu e si stava slacciando i pattini bianchi,
quando l'Islandese decise di avvicinarsi.
La piccola Nostal'hična,
che non l'aveva ancora vista, si sciolse la lunga treccia e scosse la
folta chioma bionda, di una lunghezza che solo poche ragazze potevano
permettersi di sfoggiare, e lei evidentemente era una di
quelle.
Giovanissima e di una bellezza distratta, noncurante, non
ricercata.
Bella di natura, senza diamanti e luci artificiali, la
ragazza che era stata baciata da Lev, a cui Lev aveva sorriso, e
Arinbjörg il sorriso di Lev non era riuscita a vederlo.
Ma
era poco più di una bambina, non poteva ricordarsi niente di
sette anni prima, dell'arresto di quello che adesso era il suo
fidanzato, dello scalpore, lo sconvolgimento, l'emozione e il terrore
che aveva causato.
Eppure chissà cosa si provava.
Ad
essere stata scelta, ad essere proprio lei.
La
ragazza di Lev Puškin.
-Cosa si prova a stare con un
eroe?-
Aljona
sussultò, ma era una pattinatrice, e recuperò in fretta
l'equilibrio.
Arinbjörg non si scusò per averla fatta
spaventare, non si sarebbe mai scusata per niente.
La quindicenne
siberiana la guardò con due occhioni blu pieni di sgomento, e
Arin non si era sbagliata, c'erano anche un certo timore, una
malcelata preoccupazione e un'ansia difficile da nascondere, in
quelle iridi tanto celesti.
-Sono Arinbjörg Einarsdóttir,
la ex di Nikolaj Gončarov. Sono stata io a testimoniare in
favore di Lev Puškin, a febbraio. È il tuo fidanzato,
vero?-
-Sì...-
-Come ti chiami?-
-Aljona...-
-Aljona
come?-
-Aljona Sergeevna Dostoevskaja-
-Piacere-
-Piacere?-
mormorò Aljonka, sempre più smarrita e preoccupata,
impietrita dalla malizia del sorriso di Arin.
-Sì, in
genere si dice così-
-Cosa... Perché...-
-Sei la
ragazza di Lev Puškin. Volevo solo sapere
com'era-
-Com'è?-
Cosa
voleva da lei?
E cosa poteva volere da Lev la ex di
Nikolaj?
L'aveva detto con una tale noncuranza, come se Kolja
fosse stato soltanto una virgola nella sua frase.
Come se lui e il
fatto che fossero stati insieme non contassero niente.
-Non
capisco-
-Già, questo l'ho notato. Beh, insomma, è
un bel ragazzo, glielo devo concedere, ma non è un po' troppo
magro?-
-È appena uscito di prigione...-
-Già. E
tu sei orgogliosa di lui?-
-Certo...-
-Immagino. Come si
comporta con te? Deve baciare bene, eh? Non ti ha lasciata andare per
quasi un minuto-
Stava
delirando?
Aljona
non voleva credere che fosse normale, che una ragazza vista per la
prima volta il giorno precedente la fermasse di punto in bianco e le
facesse domande del genere.
-Perché hai testimoniato per
lui? Hai visto cos'è successo... Eri qui, quella sera?-
-No,
naturalmente. Ero a casa mia. Ma volevo vederlo di persona, questo
benedetto grande eroe di periferia, e in un certo senso si può
anche dire che abbia voluto fare un favore a Kolja, povero ragazzo.
Era una tale pena, e a volte mi faceva una rabbia! Sembrava sempre
moribondo, non reagiva, e mi guardava con certi occhi vacui... Bello
da morire, per carità, ma non faceva per me. Lev mi ha sempre
dato l'idea di avere più carattere. Dev'essere un bel tipo,
no? Uno che ti dà del filo da torcere, uno molto passionale...
Anche violento, ma quel tanto che affascina... Non dev'essere uno che
si lascia contraddire, o sbaglio? Non credo, ha un'aria così
determinata... Ed è un sovversivo. Francamente ho sempre
preferito i ragazzi come lui a quelli come Kolja. Più
grintosi, non so se mi spiego. Fanno anche più bella figura,
tra l'altro. Dai, raccontami qualcosa!
Sei tu la fortunata-
-Io
non capisco...-
-Ancora?!-
-Non
capisco se sei completamente cretina o è tutta una presa in
giro... Ora
come ora non mi rassicura nessuna delle due alternative, però-
Aljona
sussurrò queste parole scuotendo la testa, seriamente turbata,
e Arinbjörg, che non sembrava rendersi conto dell'assurdità
delle sue domande e non poteva sopportare di essere insultata da una
ragazzina di periferia, cambiò completamente
atteggiamento.
-Ho fatto uscire di galera il tuo fidanzatino,
dovresti essermi grata- sibilò, perdendo ogni traccia di
ironia. -E portarmi
rispetto-
Anche
la pattinatrice siberiana, a quel punto, cambiò atteggiamento,
perché se ad Arinbjörg dava fastidio essere insultata da
una ragazzina di periferia, a quella ragazzina di periferia dava
fastidio essere presa in giro da un'esaltata dei quartieri alti.
Una
ragazza che guardava il suo Lev come se avesse voluto appropriarsi
della sua storia e dei loro segreti, essere al suo posto per sentire
la luce dei suoi occhi, senza averlo mai meritato.
La ragazza che
anni prima aveva ferito Nikolaj, rubandogli anche l'ultima stilla di
orgoglio e calpestando il suo primo amore.
Lev era il suo, di
primo amore, la sua stella, il suo eroe, ma non l'eroe che pensava
Arin, solo il ragazzo di cui Aljona si fidava di più al
mondo.
-Stai lontana da lui, chiunque tu sia. Non azzardarti mai
più a guardarlo in quel modo, perché non riuscirai a
sostenere il suo sguardo, non ci riuscirai mai, se non te lo
permetterà lui. Stai lontana da Lev, il mio Lev, e anche da
Nikolaj. Questo non è un quartiere per ragazze come te. È
la nostra strada, il nostro lago. Torna a casa tua, Arinbjörg
Einarsdóttir. Tu avrai una bella casa, noi abbiamo solo
Nostal'hiya. E tu
non hai il nostro permesso di restare qui-
Arin
scoppiò a ridere, incredula, perché non si sarebbe mai
aspettata di essere ritenuta "indegna" di stare in quel
quartiere di miserabili.
Semmai con la sua presenza a Nostal'hiya
stava abbassando il suo livello, no?
-Permesso? Ma ti senti,
ragazzina? Dovrei chiedere il permesso per respirare il vostro
squallore?-
-Chiamalo come vuoi, ma questo è il quartiere
di Lev, il regno di Lev. E Lev non ha pietà di chi non
rispetta le sue strade. La sua Nostal'hiya... E la sua
nostal'giya-
Quelle
parole le aveva già sentite, Arinbjörg.
Le aveva
sentite sette anni prima da un ragazzo a cui aveva spezzato il
cuore.
Un ragazzo di Nostal'hiya.
-E tu, allora? Tu
sei solo la ragazza di Lev?-
-Io
sarò la futura campionessa di pattinaggio di Russia, ma questo
adesso non importa. Tu hai fatto del male a Kolja, vero? Ce l'hai
ancora negli occhi, il male che gli hai fatto. E anche lui-
-Dio
mio, siete tutti fuori di testa... Sono passati sette anni, da quando
stavo con Kolja! Te l'ho detto, era una palla al piede. Non credo di
avergli mai fatto del male, ma chi se lo ricorda più?-
-Eppure
ti sei ricordata di Lev-
-Lev è diverso. Lui
è un eroe-
-E
tu credi davvero che le ragazze di Nostal'hiya non sappiano tenersi
stretti i loro eroi? Che si lascino trattare così?-
Arinbjörg
non credeva di avere niente da temere da Aljona, eppure quando la
pattinatrice le affondò le unghie nel polso e nei suoi occhi
brillò la stessa vertigine di tempesta che l'aveva costretta a
distogliere lo sguardo da quello di Lev, l'arroganza dell'Islandese
cominciò ad incrinarsi.
-Lasciami andare, non hai il
diritto...-
-Tu
non hai il diritto. Non
avevi il diritto.
E non tornerai mai più, credimi. Non ti azzarderai a rimettere
piede qui-
-Non c'è bisogno di essere così
aggressive...-
-Non sono aggressiva, Arinbjörg. Sono la
ragazza di Lev Puškin. Aljona
Dostoevskaja di Nostal'hiya-
-Aljonka?
Aljonka, cos'è successo?-
Aljona non si era minimamente
accorta della presenza di Nikolaj, e probabilmente era l'unica
ragazza al mondo che poteva passare accanto a Nikolaj Gončarov
senza vederlo, ma era anche per questo che aveva cominciato a stargli
simpatica.
-Oh, Kolja... Come
stai?-
Era
anche l'unica che poteva rispondere "Come
stai?" a
qualcuno che le aveva chiesto
"Cos'è successo?",
ma Kolja non si scomponeva di certo.
Aljona era proprio come
Lev.
-Io bene. Sei
tu che tremi-
-Tremo?
Ma quando? Oh... In
effetti...-
Nikolaj
sorrise, scuotendo la testa, le prese la mano e la tenne stretta
finché Al non recuperò una temperatura consona a un
essere umano.
-Allora, reginetta del ghiaccio, cos'è
successo?-
-Credo... E dico credo... Di
essere maledettamente gelosa- sospirò
Aljonka, senza guardarlo.
-Di Lev?-
-E
di chi, di te?-
-No,
infatti. Grazie per avermi ricordato che non sono nessuno in
confronto a Levočka-
-Grazie a te per averlo capito da solo.
Mi hai risparmiato la seccatura di spiegartelo-
-Di chi sei
gelosa, esattamente?-
-C'era una ragazza che lo guardava. Ma lo
guardava davvero... Tanto.
Credo
mi sia preso il panico. Anche perché non era...-
-Non
era?-
Di
qui.
Non
era una ragazza di Nostal'hiya.
Ed era l'ex ragazza di Kolja.
Ma
lui non lo doveva sapere.
-Niente, lascia perdere. O
mi passa, o la uccido-
-Uccidila,
è meglio. È sempre meglio liberare il mondo dalle
ragazzine che guardano Lev senza averne il diritto-
E
dalle ragazzine che spezzano il cuore di Kolja senza averne il
diritto.
Perché nessuna ne aveva il diritto.
-Kolja,
tu lo sai...-
-Cosa?-
-Lo sai che nessuno ti farà più
niente di male? Che
io non lo permetterò?-
-Davvero?-
-Davvero-
Aljonka
non riuscì a decifrare del tutto gli occhi lucidi e lo sguardo
incredulo di Nikolaj, perché quella promessa le era sembrata
talmente naturale, talmente necessaria, che Kolja non avrebbe mai
dovuto dubitarne né stupirsene.
-Sai, Al, sette anni fa
avevo un piccolo angelo custode. Proprio piccolo, uno scricciolino,
con lunghissimi capelli biondi e un paio di pattini bianchi. Non mi
diceva una parola, ma mi ricordava tanto Lev. E io mi sentivo più
tranquillo-
-Avevi le allucinazioni?- ipotizzò Al, con un
sopracciglio inarcato.
-Può darsi. E può darsi che
ce l'abbia ancora, anche se allora sembrava molto più
gentile-
-Gli angeli custodi non sono gentili, Kolja. Forse sono
biondi, forse pattinano, ma di sicuro non sono gentili. Credimi-
Eh
già.
Le credeva.
Certo che le credeva.
Credeva a ogni
sua parola, perché lei sì, lei
aveva le parole di Lev.
Well, there ain't no luck
In these loaded dice
But baby,
if you give me just one more try
We can pack up our old dreams
And our old lives
We'll find
a place where the sun still shines
Ebbene, non c'è fortuna
In questi dadi truccati
Ma tesoro, se mi dai solo un'altra possibilità
Possiamo impacchettare i nostri vecchi sogni
E le nostre vecchie vite
Troveremo un posto in cui il sole splende ancora
(Always, Bon Jovi)
Note
Uptown Girl, Billy Joel.
Something For The Pain, Bon Jovi.
Buongiorno
a tutti! ;)
Finalmente sono riuscita a scrivere -e a finire-
questo capitolo su Arinbjörg, la prima fidanzata di Nikolaj, la
ragazza che ha testimoniato in favore di Lev quando è stato
arrestato per la seconda volta, pur senza aver visto niente.
Una
ragazza di Leninskij, il quartiere centrale di Novosibirsk, la figlia
di un diplomatico islandese, coetanea di Lev e ossessionata da lui e
dalla sua fama, ma senza la minima intenzione di capire né le
sue ragioni né i sentimenti di Kolja.
Questo capitolo è
anche il resoconto del primo anno di Kolja senza Lev, del suo periodo
peggiore, di maggiore fragilità e vulnerabilità.
Il
periodo in cui è più distrutto e manipolabile, tanto da
voler disperatamente credere che Arin lo ami, anche se lo tratta come
l'ultimo dei miserabili e calpesta continuamente il suo orgoglio.
A fare da sfondo ci sono le parole di Lev, sempre nel cuore di
Nikolaj, e Aljona, che Lev glielo ricorda tanto, mentre la guarda pattinare sul lago, e come Lev lo
difenderà, da Arin e da qualsiasi altra cosa.
E ci sono Anatol' e Khadija, all'inizio, che penso abbiate riconosciuto, anche perché Tolik è l'unico ad andare in giro vestito così ;)
Le citazioni
nella copertina del capitolo sono tratte da Always e The
Distance dei Bon Jovi, e vi lascio il link del "nuovo"
album dei collage di Zvezda, dove potete vedere i personaggi come me
li immagino io, man mano che li trovo ;) Ce ne sono tremila su Lev e
Aljona, ma sono quelli su cui sono più sicura ;)
Zvezda
moya daljokaya (Collage)
Spero che il capitolo vi sia
piaciuto!
A presto! :)
Marty