Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: EclipseOfHeart    30/05/2015    2 recensioni
Quando realizziamo una nuova scoperta su noi stessi, siamo sempre di fronte a tre scelte: o annegare, lasciandoci travolgere da essa, o ignorarla, limitandoci a vivere nella sicurezza di ciò che ci è noto e negandoci qualcosa che può essere infinitamente migliore oppure imparare a respirare annegando in essa, godendone senza restare privi di ossigeno.
Giulia è di fronte a questa scelta e muove un passo, in direzione di una di queste decisioni, nel tentativo, come tutta l'umanità, di essere serena e felice.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Respirare annegando

 

 

A Jessica,

che troppo spesso si guarda,

ma non si vede.

 

 

Il risveglio è lento, senza fretta: un occhio si apre placidamente, aiutato dal buio della stanza da letto, seguito dall’altro che inizia a focalizzare i dettagli di quel luogo.

Se dovesse utilizzare un aggettivo per descriverlo direbbe subito, senza esitazione, essenziale: un armadio con le ante leggermente aperte ai piedi del letto, in fondo alla stanza, un comò a sinistra con sopra appoggiati un orologio, le chiavi della macchina e una bottiglietta d’acqua; lo specchio sopra di esso che riflette i tenui raggi solari che tentano di entrare dalla serranda abbassata, lottando per illuminare ogni angolo.

Come presa da un’istintiva paura, si alza. Lo scatto è fulmineo, ma silenzioso: non sente rumori dall’altro lato del letto.

Si appropria dei suoi occhiali a tentoni, vedendoli gettati a terra a pochi metri da lei, fortunatamente intatti, e si dirige verso il bagno, chiudendosi piano la porta alle spalle. La scarsa presenza di stanze in quella casa – una cucina, un salottino, un bagno e una stanza da letto – rende difficile il confondersi, per cui è senza dubbio che gira la maniglia e si inoltra nel bagno scuro.

Appoggia le mani alla ruvida corda della tapparella e tira piano, alzandola finché non c’è abbastanza luce.

Che ore saranno? Chissà…

Apre il lavandino, osservando l’acqua che scende e domandandosi come debba essere vivere in quel modo: perennemente trascinati giù, attirati verso un basso che non finisce mai.

Forse se lo domanda perché, in quel momento, si sente esattamente in quel modo. Si sciacqua la faccia e solo dopo osa alzare lo sguardo nello specchio di fronte a sé.

Si guarda nel riflesso, ma non si vede. Il problema di tutta una vita.

Dopo aver legato i capelli in una coda improvvisata, tenta di lavarsi i denti in qualche modo, usando il dito come uno spazzolino e cercando di non far cadere acqua per terra.

Come la stanza da letto, anche il bagno è essenziale nel suo essere: una bottiglietta di shampoo e una di bagnoschiuma troneggiano ai piedi del box doccia, accompagnati da una spugna rettangolare blu, una spazzola è stata evidentemente buttata con fretta sulla lavatrice, con ancora alcuni capelli corti attaccati ad essa.

Sul piano del lavandino è appoggiato un profumo – di una marca un po’ scadente – e una piccola trousse è appoggiata al muro, con un rimmel aperto e abbandonato che ha provveduto a sporcare il ripiano con piccole chiazze nere.

Osserva tutto ciò mentre è seduta sul bagno e la sua mente viaggia a due livelli, tentando di riempirsi di tutti quei dettagli per rievocare quelli persi della notte precedenti, che sembrano essersi sfaldati nelle poche ore che sono passate da quando sono avvenuti.

Non le mancano le informazioni essenziali – dove si trovi, con chi, quando e come ci sia finita -, ma solo il motivo che le lega tutte insieme: perché.

Esce dal bagno e va verso la cucina, meditando di farsi un caffè: aver utilizzato una stanza della casa come avevano fatto loro la notte prima, rende automatico l’accesso a tutte le altre, no?

Mentre osserva la fiamma del gas che fa salire la temperatura della moka che ha minuziosamente preparato, sente l’istintivo bisogno di fuggire, come se le pareti si fossero chiuse di colpo intorno a lei e l’odore del caffè avesse impregnato ogni molecola d’ossigeno, soffocandola.

Respira, respira, una due tre volte, ma le pareti non si allargano e l’odore non se ne va – mio Dio, sto respirando caffeina -, anzi diventa sempre più forte, come i ticchetti dell’orologio appoggiato alla parete che scandisce i secondi con la forza di un martello che colpisce l’incudine.

Si abbassa, acquattandosi sulle ginocchia e continuando a respirare – non sto respirando, boccheggio aria come i pesci appena pescati – e prova a deglutire, a vuoto ovviamente, perché non ha saliva da mandare giù.

Respira, respira, quattro cinque sei volte, forse dell’acqua può aiutarla – niente può aiutarmi, neanche l’illusione di un possibile aiuto – e apre il frigorifero per prendere quella fresca, che striderà nella sua gola calda e secca e la beve direttamente dalla bottiglia, evitando per miracolo di soffocarsi con essa e di sputarla nella delusione di scoprire che è acqua frizzante.

Quasi le sfugge dalle mani mentre la riposa nel frigorifero, accorgendosi di quanto le tremino – state ferme, state ferme, chissà se si sente così un malato di Parkinson -, ride e si rimprovera di quel pensiero, non le sembra il momento di fare ironia, ma se solo le mani smettessero di tremare.

Un piccolo fischiettio, proveniente dalla moka che sta bollendo il caffè ormai pronto, le fa velocemente chiudere la manopola del gas, facendole realizzare improvvisamente che, forse, bere un caffè in quel momento sia l’ultima cosa di cui ha bisogno per calmarsi.

Respira, respira, sette otto nove volte, l’aria inizia di nuovo ad avere odore di ossigeno – come può l’aria odorare di ossigeno? Sto impazzendo, mio Dio – e le pareti sembrano allargarsi, i ritmici ticchettii dell’orologio diminuire d’intensità e le mani hanno smesso di tremare.

Si tocca la fronte sudata e sente le gambe cederle, rilassate dopo un grande sforzo. Si siede a terra, tirandosi le ginocchia al mento e pregando che non si svegli, che non la veda così, analizzando che il desiderio di fuggire non è scemato come il resto delle sensazioni.

Scacciando definitivamente la sensazioni di nausea, volge lo sguardo all’orologio che, in quel momento, segna le 9.34 del mattino: presto, per i suoi standard.

Il sole illumina tutta la cucina, facendole osservare dettagliatamente ogni singolo particolare che il suo occhio, agitato e ancora stimolato, percepisce con eccessiva reattività.

Poi, d’improvviso, sente un rumore e sobbalzando si gira verso la porta, osservando la figura che la guarda, con la preoccupazione negli occhi. Si alza di scatto, così velocemente che ha rischiato di inciampare nei suoi stessi passi, e rifugge il suo sguardo, creando qualche scusa plausibile nella sua mente.

«Scusa. Io… mi sentivo poco bene…» le parole inciampano una sull’altra, togliendole però il dubbio che l’ha attanagliata finché non le ha dette: se fosse ancora capace di articolare qualche pensiero.

Non c’è scherno o derisione nello sguardo che vede restituirsi, ma un sorriso di consapevolezza, come se lo sapesse già.

«Hai fatto il caffè?»

Si muove con poca grazia all’interno della sua cucina e non perché ci vive da poco – ha comprato quell’appartamento appena due settimane fa, motivo dell’ancora spartana disposizione degli oggetti nelle varie stanze – ma perché l’eleganza nel muoversi è qualcosa che non le è mai appartenuta.

«Sì.»

I capelli biondi le sfiorano leggermente le spalle – li ha tagliati appena un mese fa e sono già lunghi come prima – e gli occhi azzurri brillano tra le delicate lentiggini del suo volto, visibili solo se si sa dove guardare.

«Ma sarà freddo.» l’avverte, osservandola versarsi la bevanda nella tazzina, riempirla con una zolletta di zucchero e portarsela alle labbra, quelle stesse che ieri la baciavano, la toccavano, la desideravano come mai niente l’aveva voluta.

I ricordi della notte prima riesplodono con violenza nella sua mente – le sue mani, la sua bocca, i suoi occhi così oscenamente intrisi di desiderio – e si trattiene dallo stringere le gambe, stupita dall’eccitazione che ha chiaramente avvertito nel basso ventre.

E si spaventa, di nuovo sente lo stomaco stringersi e capisce – l’aveva già capito – che era da questo che voleva fuggire.

Ma Sara le sorride, mentre sorseggia il caffè, ed è un sorriso dolce e malizioso che promette cose che, forse, ha sempre ricercato nel sesso sbagliato, che nessun uomo è mai stato in grado di darle.

«Stai tremando, Giulia.»

«Lo so.»

Le tira una mano tra le sue ed è un contatto che la fa quasi sobbalzare, si stupisce perché la mano di Sara è fredda, eppure non le intirizzisce la pelle.

Forse il perché che stava cercando risiede proprio in quella stretta, illuminata in quella cucina così sobria.

«Vieni con me.»

Giulia si fa trascinare, affidandosi a quell’amica conosciuta due mesi prima che, forse, amica non era stata mai e sicuramente non sarà mai più.

«Ti voglio.»

C’è una tale sensualità, una tale comprensione in quelle parole che Giulia si sente quasi annegare, annientata dalla forza di quello che sente ma, in un attimo, è come se il sole rischiarasse la nebbia e le aprisse la mente.

Le risponde, trovando nella consapevolezza di quello che sente il modo per annegare pur continuando a respirare.

«Anche io

 

 

 

 

Fine.

In questo periodo mi sento molto ispirata nello scrivere queste storie originali, dove prediligo un’analisi prevalentemente psicologica dei personaggi e indago aspetti sensibili del loro essere: Giulia si sveglia calma, apparentemente tranquilla, dopo una notte con Sara, la sua prima notte con una donna e si spaventa nel capire quello che ha sentito, nel comprendere nuovi aspetti della sua sessualità che ribaltano la concezione di tutta una vita, sono semplicemente frammenti che ho analizzato in un percorso di accettazione molto più lungo e travagliato.

Volevo rendere il lettore allo stesso livello di Giulia per cui è intenzionale che all’inizio non si capisca chi ci sia di fianco a lei, se un uomo o una donna (anche se purtroppo dovendo mettere nelle note l’avvertimento di Fem-Slash questa cosa perde un po’ di senso , ma non importa XD).

Che dire, potrei dire ancora molto, ma non voglio condizionare oltre la vostra interpretazione di questa lettura: mi farebbe un immenso piacere se mi scriveste la vostra opinione, per capire cosa ne pensiate.

Grazie.

Un bacione,

 

 

 

EclipseOfHeart

 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: EclipseOfHeart