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Autore: mikchan    30/05/2015    1 recensioni
[NON COMPLETA] La ginnastica artistica è sempre stata la più grande passione di Chiara. Non c'era niente di meglio che qualche giro sulle parallele o un salto al volteggio per rendere migliore la giornata.
Ma nel momento in cui questa possibilità le viene tolta, Chiara si ritroverà catapultata nella vita di una qualunque adolescente, tra scuola, libri, amicizie e primi amori. I problemi quotidiani sembrano molto più grandi se vissuti dall'interno e Chiara dovrà imparare ad affrontarli con coraggio e tenacia.
E chissà che, forse, non trovi anche il ragazzo che le faccia battere forte il cuore.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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3- NEL MEZZO DI DUE VITE



Parlare con Carlo era diventata una routine.
Una tenera e pericolosa routine. Tenera perché Carlo era una persona fantastica: sempre allegro ed esuberante, con la battuta pronta sulla punta della lingua ogni volta che ci punzecchiavamo come due ragazzini. Mi faceva sentire bene la sua presenza, anche se la maggior parte delle volte era solo virtuale. Carlo rappresentava il mio nuovo mondo, così come Greta e Vera, la mia migliore amica della palesta, rappresentavano quello vecchio, e mi serviva sapere che, dopotutto, questa vita in cui ero stata catapultata non era così male. Tuttavia era anche pericolosa, soprattutto per due motivi: il primo, forse un po' stupido, era che quando messaggiavamo a scuola dovevamo stare attenti a non farci beccare con i telefoni, rischio che avevo già corso più di una volta; il secondo era che temevo di affezionarmi troppo e troppo in fretta. Forse, anzi probabilmente, era tutto solo nella mia mente, ma ero convinta che se fossi stata troppo precipitosa e troppo assillante, presto Carlo si sarebbe stancato di me e perdere il mio contatto diretto con la realtà, quel contatto che mi faceva sentire così viva e nuova, non avrebbe di certo giovato alla mia salute mentale.
Se mi piaceva Carlo?
Beh, mi ero posta questa domanda svariate volte nell'ultimo mese, ma non sapevo giungere a una risposta. Insomma, quanto tempo doveva passare per capire che l'amicizia si era trasformata? E cosa si provava quando ciò succedeva? Come potevo capirlo? Ma, soprattutto, perché continuavo a tormentarmi di domande? Tutto ciò mi vorticava nella mente come un uragano, mentre ripensavo alla risata contagiosa di Carlo, alle sue barzellette stupide, alla sua gentilezza, ma anche alla sua permalosità e alla sua testardaggine. Nel poco tempo che l'avevo conosciuto avevo imparato ad apprezzarlo, ma non sapevo se questo significava che ne ero innamorata. Forse il semplice fatto che continuassi a chiedermelo corrispondeva a un sì, o almeno Greta era di questo parere.
Ecco, parlarne a Greta non era stata esattamente un'idea geniale. Ad essere sinceri non avevo dovuto dire molto, le era bastato rubarmi il telefono dall'astuccio durante la mia interrogazione di storia e curiosare tra i messaggi per capire che la mia qualsiasi-cosa-fosse con Carlo stava andando più che bene. Lei era convinta che io mi fossi presa una poderosa cotta e aveva fatto comunella con Vera, un pomeriggio a casa mia, nel convincermi che anche a Carlo non ero indifferente.
Alla fine, stanca dei loro consigli non richiesti e del mio cervello confuso, avevo deciso che era decisamente troppo presto per decidere. Insomma, ci conoscevamo da appena un paio di mesi e già le mie due comare stavano organizzando il nostro matrimonio e il battesimo dei figli!
Alla fine, però, ero sicura che Carlo fosse un grande amico, e lo dimostrava il fatto che, in quel momento, ci trovavamo nella mia cucina intenti a capire qualcosa sulla pressione per recuperare il mio primo votaccio di fisica. Non era stato molto inaspettato, in effetti, considerato che avevo davvero faticato a capirci qualcosa, mentre la prof spiegava. Ma avevo voluto provare a cavarmela da sola e mi ero ritrovata a piagnucolare davanti alla mia prima vera grave insufficienza. Carlo, mosso da compassione, prima aveva riso della mia disgrazia e poi si era offerto di aiutarmi per la prossima verifica che sarebbe stata sul calore e qualcosa che c'entrava con i liquidi e il volume (sì, lo spazio nel mio cervello non era molto ampio), vantandosi della sua testa da scienziato.
Quindi ecco come ero arrivata a quel punto, mentre sbattevo confusa la testa sul tavolo e pasticciavo con la matita l'esercizio che non voleva uscirmi.
"Frena la tua mania suicida", mi prese in giro, sfilandomi la penna dalle mani e il foglio da sotto il naso.
L'obiettivo era riuscire a risolvere qualcosa da sola, dopo essere riuscita a infilare qualche regola in testa, ma continuavo a mischiare le formule e i concetti e, in qualche strano modo, ero riuscita a far dilatare un solido abbassandone la temperatura. Avrebbero dovuto darmi un nobel per la fantasia, comunque.
"Guarda qui", mi riprese colpendomi con la matita sulla testa e richiamando la mia attenzione. "Hai aggiunto un meno dove non ci andava e hai usato la formula della dilatazione dei liquidi invece che quella volumica".
"Ma sono uguali", mugugnai.
"No, invece. I gas si dilatano tutti allo stesso modo, quindi la costante è 3
L(*), mentre per i liquidi il coefficiente a cambia a seconda del materiale. Quindi le formule sono di conseguenza diversa. A te cosa serve, qui?".
"Ehm, quella volumica?", dissi, ripetendo le sue parole di poco prima.
"Ovvero?".
"Ehm", borbottai di nuovo, stringendo gli occhi come se potessero darmi un'informazione in più. Rinvangai nel mio cervello, poi sospirai. "Volume finale", iniziai, guardandolo annuire. "uguale a 3
L per volume iniziale per temperatura(**)", concusi, fissandolo speranzosa.
"Più?", disse lui, invitandomi a continuare.
"C'è un più?", esclamai.
Carlo sospirò. "Okay, ripartiamo dall'inizio".
"No, ti prego, basta!", esalai congiungendo le mani e pregandolo di risparmiarmi.
"Non puoi andare avanti se non sai cosa c'è prima", mi ripeté per almeno la millesima volta da quando avevamo iniziato.
"Lo so, ho capito", dissi sbuffando. "Ma ti propongo solo una pausa. Ci rilassiamo un attimo e poi continuiamo".
Lui sorrise, scuotendo la testa. "Se speri di tentarmi con del cibo...".
"Tu che ne sai che voglio tentarti con del cibo?", ribattei.
Carlo alzò un sopracciglio. "Vuoi tentarmi con qualcos'altro?" disse malizioso.
Lo guardai confusa, per poi spalancare gli occhi quando mi resi conto di quello che avevo detto. Arrossii e mi alzai in piedi. "E cibo sia", mugugnai sentendolo ridere.
"Cosa mi offri?", mi chiese alzandosi e raggiungendomi davanti alla dispensa.
Quelle parole nascondevano molti più significati di quelli che volevo scoprire e cercai di limitarmi a quelli culinari. "Nutella?", proposi prendendo il barattolino aperto.
"Questa sì che è una tentazione", disse felice, rubandomi il barattolo dalle mani.
Io scoppiai a ridere davanti alla sua faccia da bambino esaltato e scossi la testa, mentre prendevo due fette di pane e un cucchiaino.
"Dopo di te", dissi una volta arrivata al tavolo, porgendogli il cucchiaio e il pane.
Lui iniziò a spalmarsi una generosa quantità di Nutella mentre borbottava qualcosa sulla genialità dell'individuo che aveva inventato tale angelico cibo.
Mentre mangiavamo la nostra meritatissima merenda iniziò a squillarmi il telefono e iniziai a frugare sotto i fogli sparsi sul tavolo, cercando di mantenere in equilibrio sulle dita la fetta di pane. Ovviamente non fui molto fortunata, perché appena trovai il telefono e risposi alla chiamata, il pane mi cadde dalla mano, finendo inesorabilmente a faccia in giù.
"Merda", borbottai sottovoce, recuperandolo in fretta e osservando rattristata tutta la Nutella sul tavolo.
"Ehi, Chiara?", mi sentii chiamare.
Riavvicinai il telefono all'orecchio mentre Carlo scoppiava a ridere. "Sì?", mormorai.
"Ho una notizia grandiosa", esclamò la voce dall'altra parte, che riconobbi come quella di Greta.
"Ovvero?", chiesi, pensando che nessuna grandiosa notizia poteva riportare in vita la mia amata Nutella.
"Sabato sera sei mia perché devi conoscere Lorenzo".
"Ah, il famoso Lorenzo", dissi improvvisamente curiosa. "Finalmente si fa vedere".
"Sì", esclamò lei felice. "È tornato ieri dalla vacanza studio in Inghilterra e ha detto che vuole conoscerti anche lui".
"Mica non stavate insieme?", la presi in giro, ridacchiando.
"Beh, quello era il passato. Ora è qui con me. Ci vuoi parlare?", mi chiese esaltata.
Non feci in tempo a rispondere che la sentii urare il suo nome dall'altro capo della cornetta. Mentre aspettavo che il fantomatico Lorenzo arrivasse lanciai un'occhiata di scuse a Carlo, che scosse la testa, affondando il cucchiaino nel barattolo ed estraendo un'enorme quantità di Nutella, che poi si infilò in bocca tutto insieme, guardandomi soddisfatto.
Ridacchiai, mentre sentivo un borbottio strano nel telefono e poi la voce di un ragazzo che mi salutava.
"Ora so che non sei un'invenzione di Greta", dissi dopo aver ricambiato il saluto.
La mia amica borbottò un
"Ehi!" offeso e Lorenzo scoppiò a ridere. "Sono vero, tranquilla. Ma devo dire che anche io avevo iniziato a credere che fossi un'invenzione. Greta mi ha parlato molto di te".
"Allora è stata molto ripetitiva perché non c'è nulla da dire".
"Forse", disse telegrafico, facendomi alzare un sopracciglio. "Allora ci vediamo sabato, famosa Chiara".
"Certo, a sabato, famoso Lorenzo".
Salutai velocemente anche Greta e chiusi la chiamata, abbozzando un sorriso. Finalmente avrei conosciuto l'eterno ragazzo della mia migliore amica, colui che aveva sempre nominato, ma che non mi aveva mai presentato.
"Scusa", dissi a Carlo, appoggiando il telefono sul tavolo. "Greta è sempre molto puntuale nel disturbare".
Lui ridacchiò. "Tranquilla, ero in buona compagnia", disse mostrandomi il barattolo di Nutella e il cucchiaino.
"Non finirmela", lo sgridai, rubandogli il barattolo dalle mani e chiudendolo velocemente.
"Cos'è tutta questa fretta di tornare alla fisica?", mi chiese divertito mentre mettevo a posto i rimasugli della nostra merenda.
"Hai capito proprio male, mio caro. In realtà stavo per chiederti di finirla qua. Non ne posso già più", dissi tornando a sedermi al suo fianco.
"Oh, no! Non ti permetto di arrenderti così. Imparerai quelle formule, a costo di legarti alla sedia".
Alzai un sopracciglio, divertita. "Non la stai prendendo un po' troppo sul personale?", ridacchiai.
"Forse", rispose alzando le spalle. "E comunque non sei davvero capace di sviare il discorso. Ora mettiamoci all'opera".
Finimmo di studiare quasi due ore dopo, quando mia madre tornò dal lavoro e ci trovò intenti a risolvere un esercizio. Carlo se ne andò poco dopo, salutandomi con un bacio sulla guancia e lo guardai allontanarsi a bordo della sua macchina dalla finestra del soggiorno con un sorriso idiota stampato sulle labbra.
"Un amico?", mi chiese mia madre maliziosa.
"Mi ha aiutato con fisica", dissi semplicemente, sviando sulla questione delle definizioni.
"È stato molto carino", continuò lei, seguendomi mentre tornavo in cucina per prendere un bicchiere d'acqua. "Ed è molto carino", aggiunse.
"Mamma!", la ripresi con un'occhiataccia.
Lei scoppiò a ridere. "Che c'è di male?", esclamò.
"Niente, ma sarebbe carino", dissi, sottolineando l'ultima parola. "Se evitassi di farti viaggi mentali eccessivamente costosi".
"Chi si fa viaggi mentali?", chiese una voce dal soggiorno.
Alzai gli occhi al cielo. Fantastico, con mio padre come alleato mia madre avrebbe dato il meglio di sé.
"Oh, Riccardo", pigolò raggiungendolo con un sorriso a trentadue denti. "La nostra bambina è innamorata".
"Mamma", esclamai di nuovo, arrossendo.
"Chi è innamorata?", chiese invece papà, alzando un sopracciglio. "No, aspetta. Cosa vuol dire che è innamorata?".
"Non fare il papà geloso, ora", borbottai incrociando le braccia al petto. "E non sono innamorata!".
"Chi è?", ribatté invece lui.
"Non è nessuno perché non sono innamorata", ripetei al limite dell'imbarazzo. Mai mi sarei immaginata di affrontare una discussione simile, figurarsi con mio padre, che mi aveva sempre vista come la sua bambolina da proteggere da tutto e tutti.
"Ah, sì?", mi sfidò la mamma, mettendosi in posa da combattimento, con le mani sui fianchi e lo sguardo tagliente. "E chi era quel ragazzo molto carino che era in casa nostra poco prima?".
"Smettila con questo interrogatorio", sbottai. "Era un amico, che mi ha aiutata a studiare fisica. Punto".
"Cosa significa che era in casa nostra?", mormorò invece papà, sempre più confuso.
Sospirai. "Lascia stare le fantasie della mamma, ti prego".
"Maria non è che stai esagerando?", le chiese guardandola stranito, mentre finalmente si sfilava la giacca e la appoggiava sul divano.
"Che guastafeste che siete", borbottò lei. "Sono solo felice".
Ridacchiai, scuotendo la testa. Adoravo mia madre anche per quello. Era un'impicciona di prima categoria, ma era sempre molto, a volte troppo, interessata alla mia vita e voleva essere messa a corrente di ogni mia scelta, non per controllarmi, ma per gioirne o piangerne al mio fianco. E anche se quella volta aveva decisamente preso un'abbaglio, ero contenta di vederla così allegra dopo tutti quei mesi di lacrime e sofferenza. Il mio incidente aveva messo a dura prova la mia famiglia e i miei genitori avevano rischiato di separarsi davvero per sempre, ma fortunatamente tutto si era sistemato per il meglio e se per avere tutto ciò dovevo sopportare un poco la sua pazzia, allora l'avrei fatto ben volentieri cento e mille volte.
"Non farti mille storie, mamma", le ripetei, questa volta con il sorriso sulle labbra. "Io e Carlo siamo amici, davvero".
"Solo amici?", insistette lei.
E non seppi mentire davanti ai suoi occhi. "Non lo so", ammisi. "Ma vorrei scoprirlo".
Lei mi interruppe con un gridolino di gioia e corse ad abbracciarmi. Mentre la stringevo vidi papà sorridere e sospirare.
"Ora che abbiamo finito di ficcare il naso nella mia vita, che ne dici di preparare la cena?", le dissi sciogliendo l'abbraccio.
"Certo!", esclamò. "Stasera spaghetti con il mio sugo speciale, i tuoi preferiti".
"Perfetto, allora vado a farmi una doccia intanto", la avvisai mentre saltellava allegra in cucina.
Scambiai un'occhiata complice con mio padre e poi salii le scale e mi chiusi in camera.
Decisamente non ero pronta per affrontare un argomento simile con mia madre, ma in fondo ero contenta di averle rivelato che, forse, mi stavo prendendo una cotta per il mio insegnante di fisica preferito.
Insegnante di fisica che mi aveva scritto due messaggi quasi dieci minuti prima, che lessi con il sorriso sulle labbra.
"Mi sono divertito molto oggi.
L'ultima domenica di novembre ti va di venire a vedere la mia partita di calcetto? Giochiamo in casa, quindi non devi nemmeno trovare paesi improponibili. Fammi sapere".
Era un appuntamento, quello? No, decisamente no. Ci sarebbero stati i suoi amici e avrei di sicuro chiesto a Greta o a Vera di accompagnarmi. Ma ero contenta che mi avesse invitato, anche solo per guardare una partita di calcio tra ragazzi.
"Vengo di certo", risposi subito. "E anche io mi sono divertita molto oggi, nonostante la fisica".
Attesi impaziente che accanto ai miei messaggi apparisse il simbolo della visualizzazione e continuai così per tutta sera. Mi dimenticai addirittura della doccia, ma parlare con Carlo mi portava sempre su un'altro universo.
Tornai alla realtà solo quando dopo cena diedi un'occhiata veloce al calendario e mi accorsi di una nota segnata sul giorno seguente.
Il mondo mi cadde addosso e realizzai che cercare di separare le mie due vite, quella che stavo vivendo in quel momento, con Carlo e la scuola, e quella che avevo vissuto fino a pochi mesi prima, con la palestra e la ginnastica, era inutile e deleterio. Una non avrebbe cancellato l'altra e seppellire il passato non lo avrebbe di certo eliminato.
Non seppi dire in quel momento se quell'esatto pensiero mi intristisse o meno. Fino a nemmeno un anno prima ero certa che la mia vita sarebbe sempre girata intorno alla ginnastica, ma il brusco cambiamento che mi aveva travolta mi aveva fatto scoprire un mondo intero al di fuori della palestra. Eppure non riuscivo ancora a cancellare quella parte di me che agognava di poter allenarsi di nuovo e gareggiare, quella parte che voleva sentire l'adrenalina nelle vene e il sudore sulla fronte, ma non ero nemmeno certa che volessi fare finta che non fosse mai esistita.
La proposta che mi aveva fatto il mio allenatore mi rimbombò pesante nel cervello, più insistente che mai, e per la prima volta da mesi mi chiesi se davvero stessi facendo la scelta giusta, cercando di ignorare quell'opportunità.



(*) Allora, prendete molto con le pinze quello che dico qua, perché ho raggiunto la sufficienza in fisica per un miracolo divino, ma proverò a dare un senso a ciò che ho scritto sopra, giusto per non piantare qualcosa in giro senza poi raccoglierlo. Fondamentalmente, Carlo e Chiara stanno parlando di termologia e calorimetria e, in particolare, delle leggi di dilatazione. In breve, fornendo calore a un oggetto (ad esempio di ferro), questo si dilata nelle tre dimensioni. Quella più semplice è quella lineare, in cui un oggetto si dilata in lunghezza, mentre esiste anche quella volumica, in cui un oggetto, o meglio un materiale, si espande in modo diverso e a temperature diverse. Per i gas, però, questo coefficente di dilatazione (3L) è lo stesso.
(**) La formula di dilatazione volumica deriva da quella lineare e, come Chiara dice, anche se con un errore, è: Vfinale=Viniziale+3
L*Viniziale*temperatura.
Ora, io non so quanto voi abbiate capito. Io stessa credo di avere fatto un po' un pastrocchio, ma in linea generale è questo ciò di cui parlano. Poi magari non ve ne può fregare di meno (e vi do ragione), ma considerato che ne ho parlato nel capitolo, mi sembrava brutto non dare nemmeno un minimo di spiegazione. Indi, se qualcuna trova un errore o qualche stronzata in ciò che ho scritto, me lo dica subito!

  
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