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Autore: AnnabethJackson    30/05/2015    20 recensioni
| Percabeth | AU |
---------------------------TRAMA---------------------------
Annabeth ha 18 anni quando viene violentata. Subisce un trauma così profondo che non riesce più a sorridere, a ridere,a vivere. Nessuno è in grado di aiutarla ad uscire da quella bolla di indifferenza in cui è intrappolata.
Due anni dopo Annabeth non è diversa da quella maledetta sera, e il padre, l'unico uomo di cui lei si fidi ancora, non riesce più a vederla riversa in quello stato. Così convince la figlia a partire per il Brasile in veste di insegnante, ed è così che la ragazza fa una promessa a sé stessa: nulla avrebbe dovuto rinvangare il suo passato.
Annabeth però non sa che la scintilla perduta è proprio dietro l'angolo della bella Rio, mascherata da un ragazzo da cui deve stare lontana, dei bambini che amano la vita, e un amore inaspettato, per nulla voluto, ma in grado di innescare il processo di rinascita inevitabile.
------------------------DAL TESTO------------------------
«Non voglio spaventarti, non voglio allarmarti e sopratutto non voglio metterti fretta. Accettalo e basta. È importante che tu ti prenda tutto il tempo necessario, ma ho l'urgenza di dirti che...» mormorò.
E poi accadde, senza alcun preavviso. «Ti amo, Annabeth.»
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nico di Angelo, Percy/Annabeth
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love the way you live - La raccolta'
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Disclaimer:
'Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro'.


Capitolo 17


Rio de Janeiro, la stessa sera


Annabeth


La mia testa era come una scatola ermeticamente vuota. Probabilmente il cervello aveva preso, fatto i bagagli e s'era trasferito in una scatola cranica più agevole e accogliente. Eppure, malgrado la mia momentanea deficienza, una pensiero mi attraversò la mente, per mettere radici e decidere di assillarmi finché non fossi rinvenuta dallo stato catatonico in cui ero.
Percy aveva delle labbra morbidissime. Forse le più morbidi di tutto il mondo.
Nel momento stesso in cui i nostri corpi entrarono in contatto intimamente, quello fu il mio unico, costante e assillante pensiero. Ovviamente in seguito ce ne furono molti altri.
Fu l'esperienza più ultraterrena della mia vita, come se la mia anima di fosse separa dal corpo, per assistere dall'esterno. La carne, la fame, il desiderio rubarono il timone delle mie azioni.
All'inizio, forse a causa dell'effetto sorpresa che aveva preso in contropiede sia lui che la sottoscritta, tutto fu calmo e delicato. Era solo un contatto di labbra, le mie sulle sue, le sue sulle mie. Tenni gli occhi ostentatamente chiusi e questo mi permise di sentire le prime ondate di emozioni, senza però riuscire a distinguerle. 
Probabilmente durò pochi secondi, il tempo necessario perché prendessimo coscienza della situazione ma, ovviamente, a me sembrarono millenni. Un nulla in confronto al dopo.
Percepii il cambiamento nell'immediato, come se le nostre menti si fossero attivate nello stesso istante, lasciando libero arbitrio all'istinto. 
Percy schiuse le labbra, io aprii le mie e tutto fu un incrocio di lingue e uno scambio di saliva. Sì, perché c'era anche quella. Ma, logicamente, non ci feci caso. Quello che importava era che fossimo noi due, lì, quella sera, sul terrazzo.
Percy ricambiò il mio bacio con più foga, reagendo alla sorpresa iniziale. Mi strinse a sé, avvolgendo un braccio intorno alla mia vita e appoggiandomi l'altra mano dietro la testa, alla base del collo, forse per paura che mi ritraessi. 
Non mi importava che fossimo in apnea da secoli e che i miei polmoni cominciassero a reclamare l'aria, perché mi sentivo viva e il mio corpo parlava da sé. 
Gli buttai le braccia al collo, per stringerlo a mia volta, e le mie mani si tuffarono nei suoi capelli, dove presero a giocare con le ciocche arruffate, attorcigliandole intorno alle dita. Lo desideravo fare da secoli e finalmente ne avevo l'occasione. 
Quando Percy spostò le labbra verso destra, creando una scia di piccoli baci fino all'incavo dietro all'orecchio, mi sfuggì un piccolo gemito involontario che cercai di mascherare. Ma, ovviamente, lui capì di aver toccato un punto sensibile perché prese a leccarlo e a morderlo delicatamente, toccando così tanti nervi che non riuscivo più a smettere di ansimare. Si spostò leggermente più in basso e appoggiò la bocca, succhiando poi con forza la pelle.
Oh, mio, Dio.
Il mio petto, ormai, si alzava e abbassava velocemente mentre stringevo la sua testa con più forza. Lo volevo più vicino, più vicino.
Quando finì di torturare quel punto riprese il suo cammino con le labbra, passando per la guancia, la tempia, la fronte e poi il naso, dove depositò un ultimo, piccolo bacio. Rimase così per qualche secondo, mentre il tempo ricominciava lentamente a scorrere.
Gli ultimi istanti li passammo fronte contro fronte, naso contro naso, fiato contro fiato. Cuore contro cuore. 
Poi aprii gli occhi, incontrai i suoi e fu la fine del nostro inizio


 
***


Impiegai qualche momento per ritornare in me, forse più del necessario. Fu un processo lento e graduale, come la marea: sale lentamente per coprire la superficie terrestre. 
Non potevo dire che tornare in me mi procurò gioia e felicità perché non era vero. Ero stata così bene, così libera di evacuare per qualche minuto dalla realtà e, sopratutto, dalla mia testa.
Ho baciato Percy, ho baciato Percy, ho baciato Percy
Ho. Baciato. Percy. Cazzo.
Non era solo la consapevolezza del mio gesto a congelarmi ma sopratutto le sensazioni che in precedenza non ero riuscita a identificare. 
Da una parte, a pietrificarmi, c'era l'adrenalina che mi scorreva in corpo, facendomi sentire viva e desiderando di rivivere ancora e ancora quell'esperienza. Dall'altra sorse anche l'imbarazzo e la vergogna per esser stata così sfrontata e impulsiva. Non era da me reagire in quel modo; io osservavo, pensavo, pianificavo, ragionavo. E poi agivo.
Le mani di Percy mi stringevano ancora a sé, una dietro la schiena, l'altra al collo. Pure le mie braccia erano sulle sue spalle, legate dietro la testa.
Qualcosa era cambiato ma non nel nostro corpo. Eravamo ancora fronte contro fronte, naso contro naso, fiato contro fiato. Io guardavo lui, lui guardava me e io temevo il momento in cui lui avrebbe aperto bocca perché, prima o dopo, qualcosa si sarebbe dovuto muore. Io non osavo nemmeno sbattere le palpebre.
Ti prego tienimi stretta così per tutta la vita.
Soppressi quel pensiero nell'angolo più buio del mio cervello, decidendo di fare la razionale e l'adulta. Poi Percy aprì la bocca, sbatté le palpebre, prese aria e...
Io andai nel panico. Letteralmente.
Nelle sue iridi, che nell'oscurità di quella notte parevano neri come la pece, lessi qualcosa di inaspettato. Sorpresa, confusione e qualcos'altro che non riconobbi. Ma le prime due emozioni bastarono: raccolsi le forze necessarie per riuscire muovermi e scappare, come un assassino che fugge dalla scena del crimine.
Bruscamente mi divincolai dalla sua stretta intorno al mio corpo, creando il varco necessario per raggiungere la porta finestra che dava sul balcone e andarmene il più lontano possibile da quel ragazzo. In quel momento mi bastava anche solo distanziarmi di pochi centimetri.
Necessitavo di aria urgentemente.
Ce l'avevo quasi fatta, il traguardo era di fronte a me ma, ovviamente, non avevo fatto i conti con l'oste. Passò un istante dal momento in cui Percy mi bloccò un braccio con la mano, costringendomi a voltarmi, e quello in cui i miei occhi erano di nuovo nei suoi.
Ora, però, non riuscivo più a sostenere il suo sguardo, così abbassai il capo, chiudendo gli le palpebre con forza. Non potevo sopportare di leggervi pietà e rammarico, non da Percy.
Io lo amavo ma lui non doveva saperlo. Lo facevo per il suo bene, e per il mio, sul serio.
-Lasciami!- probabilmente lo urlai con più isteria di quello che volevo ma sembrò funzionare perché, quando riprovai a liberare il braccio, ci riuscii senza troppo sforzo.
Ripresi la mia fuga, senza più guardarmi indietro.
-Annabeth, aspetta!-
Corri. Scostai bruscamente le tende della porta finestra per liberare il passaggio.
Corri. Non sapevo dove stessi andando ma mi fidavo dei miei piedi.
Corri. Entrai nella mia camera e chiudi la porta, a chiave.
Mettiti in salvo.
Mi appoggiai al legno della porta, con le gambe che faticavano a reggere il peso di tanto che tremavano. Inspiegabilmente avevo il fiatone e l'adrenalina aveva ripreso a scorrermi nelle vene, senza motivo apparente. Appoggiai l'orecchio alla porta e cercai di coprire il suono del mio fiato mascherando la bocca con la mano.
Nessun rumore dal corridoio: Percy aveva deciso di lasciarmi scappare sul serio e io non sapevo se esserne sollevata.
Cominciai a camminare per la stanza, lo sguardo che saettava da un punto all'altro senza mai fermarsi. L'acconciatura che avevo all'inizio della serata era ormai un lontano ricordo così, quando immersi le mani nei capelli in preda all'agitazione, nessun senso di colpa si aggiunse al carico di emozioni che stavo portando al momento. Quella posizione, assieme all'affanno, mi conferiva, senza dubbio, un'aria da pazza isterica. Probabilmente, pazza lo ero sul serio.
Fu allora che la mia mente riprese a funzionare attivamente, per mia sfortuna. Fu come se una diga fosse esplosa in seguito ad ordigni ben piazzati, gettando miliardi di litri d'acqua ovunque. Ecco, i miei pensieri erano come acqua: semplici e limpidi all'apparenza, ma pericolosi e tentatori nella realtà.
Il bacio non era arrivato dal nulla, ne ero consapevole; sarebbe stato troppo facile pensare il contrario. Per tutta la serata non avevo fatto altro che guardare le sue labbra ad intermittenza, desiderando ben tre volte di compiere quel gesto e annullare la distanza che c'era tra i nostri corpi. Ma nemmeno nei miei sogni più reconditi mi sarei immaginata di osare farlo sul serio.
Mai e poi mai.
Eppure ero stata proprio io la prima a muovermi, a prendere il suo viso tra le mani, ad avvicinarmi. A baciarlo.
Avevo fatto il primo passo, quello che, inevitabilmente, portava sempre alla rovina. In questo caso alla mia di rovina. Probabilmente ero impazzita. Sì, il mio cervello doveva essersi preso una vacanza dal suo lavoro di vecchio saggio che sperpera consigli razionali e giudiziosi. O, più probabilmente, e questo non andava affatto bene, i sentimenti che provavo per Percy, quelli che prendevano il controllo nei momenti in cui ero soggetta a debolezze da ragazza innamorata, stavano sfuggendo al mio controllo completamente.
Oddio.
Dove mi avrebbero portato se avessi deciso di lasciarmi andare? Perché, ero certa, che dopo il primo bacio ne venivano altrettanti, e altri baci portavano ad un contatto più intimo, e il contatto intimo portava sempre e solo a quello. Sesso
Sesso, sesso, sesso, sesso, sesso...
Chiusi gli occhi ostentatamente, fermandomi per un momento al centro della stanza, ancora  con le mani tra i capelli e la testa che scoppiava, di fronte al letto su cui era posato il mio cellulare.
Annabeth, Dio santo, fermati finché sei in tempo.
Presi un bel respiro, un grande respiro, desiderosa di far passare quella brutta sensazione che mi opprimeva il petto. Da quant'era che trattenevo il respiro?
Stavo in quella posizione, le spalle che si alzavano e abbassavano velocemente, assecondate dall'affanno e dalla necessità di aria nei polmoni. Per una sera ero andata in iperventilazione troppe volte.
La camera era avvolta nel più completo silenzio quindi, quando sentii distintamente dei passi fuori dalla porta, nel corridoio, mi premetti una mano sulla bocca. Quello era l'andamento di Percy, ne riconoscevo la cadenza. 
Percy.
Prima di poter fare qualcosa di avventato e stupido come spalancare la porta e buttarmi tra le sue braccia una seconda volta nel giro di poco tempo, mi appoggiai alla parete, scivolando a terra, con le gambe al petto e la testa incassata tra le ginocchia. Ero stupida, stupida, stupida. Ero pazza, pazza, pazza.
I passi si bloccarono e io temetti seriamente che lui decidesse di bussare perché, in quel momento, non ero sicura di essere abbastanza forte per oppormi a qualsiasi sua richiesta.
Pregai, pregai finché il mio cuore non raggiunse una velocità allarmante di battiti al secondo. Probabilmente, se Percy non se ne fosse andato subito dopo, avrei avuto un infarto. Ero troppo giovane per avere un infarto.
Però Percy lo fece, se ne andò e io ripresi a respirare.
Probabilmente il karma, quella sera, aveva deciso di avercela con me in tutti i sensi perché, un paio di secondi dopo, il mio cellulare cominciò a squillare, la suoneria al massimo. Alzai il capo di scatto: Percy doveva avermi sentito.
E se aveva sentito, probabilmente, sarebbe tornato sui suoi passi, bussando alla mia porta. Poi io sarei stata costretta ad aprire, mentre il telefono continuava a suonare, e me lo sarei travata davanti, con il suo sguardo dispiaciuto e la sua espressione che mi rifiutava.
No, no, no, no, no, no!
Con un gesto fulmineo mi alzai dal pavimento, inchiodando gli occhi su quel maledetto aggeggio rumoroso. Odiavo la tecnologia. Odiavo la tecnologia. Odiavo...
Presi il cellulare in mano e senza più pensare, con la razionalità inghiottita dalla pazzia, lo scagliai sulla parete opposta, con forza e rabbia. Perché sì, ero arrabbiata.
Furiosa con Piper che mi aveva chiamato, furiosa con Percy che mi aveva preso tra le sue  braccia, furiosa con il mondo che sembrava riservarmi le punizioni peggiori. E furiosa con me stessa, perché lasciavo che quella vita di merda mi distruggesse, prendendo il controllo delle mie scelte, delle mie emozioni, della mia felicità. Del mio cuore.
Il telefono cadde a terra, materia immobile, soggetta a forze esterne. Probabilmente l'avevo rotto: non mi importava. Volevo essere anch'io così: inerme, impotente, in modo da non dover commettere azioni sbagliate, rischiose, pericolose.
Ero un pericolo vivente, un pericolo per me stessa.
All'improvviso fu come se la pressione atmosferica intorno a me fosse aumentata di intensità perché mi sentivo oppressa, schiacciata. La testa mi scoppiava, il petto non riusciva ad incanalare abbastanza aria, le gambe erano bloccate. Dovevo liberarmi di quella sensazione, all'istante, altrimenti ne sarei rimasta soffocata.
Con la coda dell'occhio vidi il mio riflesso nello specchio a figura intera, alto, splendente. Il vestito mi avvolgeva il corpo come un serpente. Rimasi così, immobile, a guardarmi per qualche secondo poi scattai. Movimenti urgenti, goffi, essenziali. Tira giù la cerniera, lascia cadere il vestito a terra, fai un passo, poi un'altro. Ti senti libera ora?
Ritornai ad osservarmi allo specchio. Nuda, ero, ad esclusione delle mutande color carne e il reggiseno. Evitai con tutte le forse di soffermarmi sulla faccia: quella era l'ultima cosa che volevo vedere. Probabilmente, se uno psichiatra avesse visto lo stato in cui ero, mi avrebbe internato all'istante.
Un flash. Un cielo stellato, un gatto, dei lampioni, la gonna ai miei piedi. Una nuova emozione mi strinse la gola, espandendosi in tutto il corpo. Paura, avevo paura. Ma di cosa?
Voltai la testa, prima a destra, poi a sinistra, prendendo coscienza di essere nella mia camera, non in una vietta laterale a New York. E stavo bene, almeno fisicamente.
La paura aveva messo in circolo altra adrenalina, ma passò in fretta, non appena quell'emozione si tramutò in qualcosa che stavo aspettando da due anni, da quella sera.
In pochi passi raggiunsi il letto, lasciandomi cadere come un peso morto cade a terra. Presi il mio cuscino, il quale odorava vagamente di menta, e piansi, finalmente.
Piansi come non facevo da tempo.
Versai tutte le lacrime che non avevo versato da allora, liberandomi di un peso enorme, di tutta la tristezza che avevo dentro, del dolore che non mi ero concessa di provare.
Fu come morire dopo una lunga battaglia, giungere all'Inferno e venire assegnati ad un girone, subendo una pena eterna. Invidiavo i vivi nel corpo, ma compativo i morti nell'anima. Perché anch'io ero così: viva all'apparenza, ma deceduta dentro.
Strinsi le lenzuola tra le dita, battendo il pugno destro sul materasso. Perché? Perché proprio a me?
Con il viso affondato nel cuscino, le spalle che si muovevano ad intermittenza e la gola chiusa dai singhiozzi, piansi finché non fui esausta.
Non so che ora fosse quando mi addormentai su quel letto, supina, ma l'ultima cosa che vidi fu un pacchetto, il regalo di Percy per il mio compleanno, che avevo estratto dal cassetto del comodino prima di partire per il Gala. Chissà cosa conteneva.


 
***

 
Impiegai qualche secondo per capire cosa stesse succedendo. Vissi una sorta di deja vu.
Il mio subconscio sapeva che era mattina, forse perché fuori gli uccellini cinguettavano. Percepivo anche la presenza di una questione molto importante, estremamente urgente, che avrebbe dovuto occupare tutti i miei pensieri. Eppure il mio cervello era vuoto; mi limitavo a compiere i soliti gesti quotidiani.
Qualcuno stava bussando alla porta con insistenza, incurante che io stessi ancora dormendo. Chi poteva essere a quell'ora di Domenica mattina?
Sbattei le palpebre, un po' accecata dalla luce proveniente dalla finestra. La sera prima dovevo essermi dimenticata di chiudere le imposte.
Mi misi a sedere sul letto, stroppicciando gli occhi e sbadigliando rumorosamente. Non dormivo così pesantemente da molto, pensai con tristezza. 
Dopo la seconda raffica di colpi alla porta, mi decisi a scostare le coperte, infilare le ciabatte e alzarmi, dirigendomi verso la porta. Giurai a me stessa che se era ancora Grover, in cerca di qualche aiuto per le parole crociate, l'avrei ammazzato.
La brutta sensazione, quella che non riuscivo a identificare, mi fece sprofondare lo stomaco. Cosa poteva essere successo di così brutto? E perché non riuscivo a ri...?
Nello stesso istante in cui giravo la chiave e aprivo, nascosta ancora dietro alla porta, ricordai
Avrei preferito non averlo fatto.
-Finalmente! Pensavo fossi morta qui dentro.- disse Percy entrando nella mia camera senza indugiare oltre. Si diresse a passo spedito vicino al letto, girandosi poi nella mia direzione, mentre io rimanevo imbambolata davanti alla porta.
Quello doveva per forza essere l'Inferno. Un fottuto Inferno. E io dovevo essere davvero molto, molto, molto stupida per aver commesso un'altro madornale errore. Ovvero quello di far entrare Percy in camera mia quando la sera prima ero praticamente impazzita nel tentativo di evitarlo.
Chiusi gli occhi, cercando con tutte le mie forze di non scoppiare a piangere come avevo fatto il giorno precedente. Come mi dovevo comportare? Cosa avrebbe detto? Perché era lì?
-Ehm... Annabeth...?- dai meandri più reconditi della mia testa, sentii una voce lontana, ma che probabilmente era vicinissima. Raccolsi tutto il coraggio di cui ero provvista al momento perché mi sarebbe servito, poi mi voltai verso Percy, dopo aver spinto la porta con una mano. Lui era in piedi, vicino al letto, con le braccia lungo i fianchi e una strana espressione sul viso. Con la bocca leggermente aperta, le sopracciglia alzate e il pomo d'Adamo che andava su e giù frequentemente, sembrava aver appena visto un cane parlante.
Incrociai le bracci al petto, optando per mostrare un atteggiamento sarcastico, aggressivo.
-Che c'è?-
In tutta risposta lui spostò gli occhi dal mio viso, posandoli più in basso. Seguii il suo sguardo e, con orrore, compresi il motivo per cui aveva quella strana espressione.
Non era un cane parlante ciò che Percy aveva visto, ma il mio corpo. Quasi nudo.
Confusa come mi ero svegliata, mi ero anche scordata di indossare qualcosa prima di aprire la porta. E ora stavo davanti a Percy, il ragazzo che amavo, quello che avevo baciato e che volevo evitare con tutta me stessa, con solo un reggiseno e le mutande a coprire il minimo indispensabile. 
Nella stanza non volava nemmeno una mosca mentre io guardavo Percy con gli occhi spalancati e lui ricambiava il mio sguardo nel medesimo modo. Capii che stava cercando con tutto sé stesso di non abbassare lo sguardo, e io gliene fui immensamente grata.
Ed ecco la cosa assurda: lui mi aveva già visto in costume da bagno almeno un paio di volte, quand'eravamo andati al mare. Eppure, per qualche motivo, stavo vivendo quella situazione in maniera completamente diversa.
Il momento passò e io, dopo aver lanciato uno stupido gridolino di sorpresa, mi affrettai ad indossare il primo indumento che mi capitò alla mano: la felpa gigante che Percy mi aveva prestato un pomeriggio di pioggia per coprirmi, dato che io portavo solo una misera canottiera di cotone. Era umanamente impossibile che accadesse, ma con quell'indumento indosso rendevo la situazione ancora più imbarazzante di quello che già era.
Percy mi aveva preso alla sprovvista, questa era la verità. Dovevo ancora capire bene cosa fosse successo la sera prima, sia il bacio che il dopo nella mia stanza. Per questo temevo il confronto con lui. Se non ero in pace con me stessa, come potevo anche solo sperare di chiarirmi con Percy? Lui però era lì, vicino al mio letto, e pretendeva delle risposte, o almeno di discuterne. Non avevo bisogno di conferme, glielo leggevo negli occhi e nella postura: era diventato, in pratica, un libro aperto per me.
-Cosa vuoi, Percy?- chiesi alla fine con un sospiro, ponendo una distanza ragionevole tra di noi nel caso il mio corpo avesse deciso ancora di non rispettare il volere della mia parte razionale. Incrociai le braccia al petto di nuovo, cercando di fargli capire che non volevo compagnia.
-Hai qualche problema?- aggiunsi sarcasticamente. Se voleva davvero parlare dell'accaduto non sarei stata io la prima a cominciare. Chiamatemi codarda, o come volete, ma prima di partire per il Brasile avevo promesso a me stessa di non rinvangare il passato per nessun motivo al mondo e, ammettendo ad alta voce di aver fatto un passo simile, mi sembrava di non essere coerente.
Questo fu il mio primo sbaglio.
-Stai scherzando, vero?- domandò Percy con le sopraciglia alzate e un'espressione incredula in volto. Successivamente anche lui incrociò le braccia al petto. 
Non sapevo cosa si aspettasse esattamente da me, forse delle scuse? Al contrario, io presumevo già quello che lui aveva da dirmi. Si sarebbe scusato perché io ero carina e tutto, ma non provava nulla per me e gli dispiaceva. Non sarei mai riuscita ad ascoltare quelle parole perché io stessa non ero pronta a farmi avanti. Non volevo rovinare nulla e, sopratutto, non volevo incasinarmi più di quello che già ero. Per questo, seguendo il mio ragionamento, reagii di conseguenza, ovvero attuai la politica del silenzio e dell'indifferenza.
E questo fu il mio secondo errore.
-Credi che stando in silenzio quello che è successo si cancellerà?- riprese a domandare Percy quando capì che io non avrei parlato.
-A cosa ti riferisci?- chiesi distogliendo lo sguardo dal suo viso. La tensione era troppa e io non riuscivo a sopportare oltre le sue domande. Mi faceva male al cuore non poter esprimere tutto ciò che avevo dentro ma non potevo.
Non potevo.
-Annabeth, ti prego, non fare così. Sai benissimo di cosa sto parlando. Almeno non trattarmi come uno stupido.- rispose lui dopo un po', risentito. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi ma la sua voce era come una calamita, così alla fine alzai leggermente il capo, osservandolo da sotto le ciglia. Silenzio.
-E va bene, cosa vuoi esattamente?- domandai alla fine. Via il dente, via il dolore, giusto? Chissà perché non ci credevo molto...
-Non ha significato nulla per te quello che c'è stato tra di noi? Perché malgrado tu sia fuggita, qualcosa c'è stato, non puoi negarlo Annabeth.-
Ero confusa. Dove voleva arrivare a parare con quel ragionamento? Perché non giungeva al dunque? Credevo che, prima mi avesse fatto il suo discorso di compianto, prima io sarei riuscita a superarlo.
-E invece non c'è stato nulla!- esclamai, allargando le mani.
-Ah, vuoi dire che mi hai baciato così, per puro sport?- domandò Percy, scetticamente sarcastico.
-Ti ho baciato solo per fermare il tuo sproloquio! Eri impazzito e io non sapevo cosa fare!- e, in tutta franchezza, questa non era nemmeno una vera bugia.
Poi accadde una cosa che mai mi sarei immaginata potesse succedere nel mio mondo, probabilmente perché era un'ipotesi così assurda e inverosimile che poteva avverarsi solo nei miei sogni più reconditi. Vidi chiaramente Percy esitare; spostava gli occhi freneticamente da destra a sinistra, deglutendo. Sembrava... nervoso.
Alla fine inchiodò lo sguardo nel mio, improvvisamente determinato, e parlò.
-Per me invece sì.- affermò, convinto. -Per me, quel bacio, ha significato molto, perché mi piaci.-
… Dal mio cervello nessuna segnale.
-Ha significato molto perché provo qualcosa per te, Annabeth, e non sono il tipo che reprimere i propri sentimenti a lungo. Volevo dirtelo già da un pezzo, ma credevo non fossi pronta. Ora però non posso più trattenermi perché io sono quasi certo che il bacio di ieri sera non è caduto dal cielo per caso. Probabilmente, in parte, l'hai fatto per calmare me, e di questo ti ringrazio, ma quel bacio era molto di più, Annabeth.- disse.
Percy aveva detto esattamente il contrario di ciò che pensavo volesse parlarmi, esattamente quello che, in realtà, volevo sentirgli dire. Percy provava qualcosa per me. Per me. Da un pezzo.
Oh, Santa Mariolina Incappucciata. 
Ero consapevole che non aveva detto di amarmi, ma gli piacevo. Questo era un inizio, tutto partiva così. C'era solo un piccolo problema: la sorpresa lasciò presto posto al panico e io non pensavo ad altro che fare una cosa.
Negare. Dovevo negare.
Sì, amavo Percy e non c'era cosa che desiderassi di più che essere felice con lui, ma io ero io, e ammettere così, su due piedi, che il bacio della sera prima era stato qualcosa di più di un semplice modo per fermare Percy, significava sacrificare me stessa.
Perché, tutto ad un tratto, compresi di non essere pronta per quello che lui mi stava offrendo. Non ero pronta a mettermi in gioco, sopratutto se questo comportava mettere a rischio il mio cuore. Avevo già sofferto abbastanza per una vita intera.
Deglutii, preparandomi a mentire.
-No, invece. Per me non ha significato nulla di più!- esclamai, scuotendo il capo. Temevo di guardarlo in faccia perché avrei confessato la verità. Ma poi azzardai uno sguardo e vidi il suo volto segnato dall'incredulità. 
Le sue spalle si alzavano e si abbassavano lentamente, la maglietta bianca segnava il petto ampio e le spalle larghe. 
-Quale è il problema, Annabeth?- mi domandò, con le sopracciglia aggrottate. -Ti prego, parlami. Lo so che non mi stai dicendo la verità, lo vedo. E so anche che ti è successo qualcosa di grave, che ti ha lasciato il segno.-
Sbarrai gli occhi. No.
-Io tengo molto a te, credimi, e sarò sempre qui se avrai bisogno di me.- disse lui. -Parlami, Annabeth.-
E lo stavo quasi per fare. Credevo seriamente che Percy mi avrebbe ascoltato, che avrebbe compreso, che la nostra non sarebbe stata una semplice storiella. Probabilmente quel ragazzo era diventato uno dei miei migliori amici, una persona importante per me.
Volevo sul serio lasciarmi andare, aprirgli il mio cuore e non pensare più a nulla. Ma per lo stesso motivo per cui la sera prima ero fuggita, per cui avevo negato che il bacio fosse qualcosa di diverso, alla fine scossi la testa, lentamente.
-Non ho nessun problema, Percy, sul serio.-
Passarono secondi, minuti, ore, mesi, anni in cui non vedevo altro che il volto di Percy e il mio cuore, nel mentre, moriva lentamente, segnato dalle emozioni che gli leggevo negli occhi. Non so cosa mi aspettassi esattamente, ma non quello.
Percy era ferito e deluso. Ed era tutta colpa mia.
Nel silenzio di chi non ha più nulla da dire, abbandonò le braccia sui fianchi e, senza più guardarsi indietro, se ne andò, sbattendo la porta della mia camera.












Angolo Autrice:
... okay, fermi tutti! Prima che qualcuno prenda il forcone e mi ammazzi vorrei dire alcune cose, poi siete liberi di riempirmi di insulti gratuiti. Me li merito.
Prima di tutto: ciao ^^ Come vi va la vita? Avete notato che in questi ultimi mesi sono diventata quasi regolare? *^* Una specie di benedizione, insomma.
Bando alle ciance: non vi nascondo che questo capitolo è stato difficile da scrivere, molto. Per farvi capire: ho dovuto farlo leggere in anteprima all'Innominata Persona Che Mi Ricoda Di Dover Scrivere (aka miss Giuliana) per avere un parere oggettivo sull'ultima parte visto che non ne ero per niente convinta.
Sono successe molte cose, no? uvu Il baaaacio, le pippe mentali di Annabeth, la crisi di Annabeth (qui ci vorrebbe un: finalmente!), la dichiarazione di Percy e poi... beh, il finale. 
Ecco, forse questo è il momento di esprimere una piccola preghierina: pleeese non siate troppo cattivi con me ç.ç vi prometto che nel prossimo capitolo TUTTO si aggiusterà per il meglio.
Una seconda cosa che devo per forza dirvi prima di andare è la seguente: lo scorso capitolo ha raggiunto quota 34 recensioni. 34.MERAVIGLIOSE.RECENSIONI.   CAPITEEE????
Io non so più come dirvi grazie, vi amo già alla follia, sappiatelo.
Nulla, ora siete liberi di scatenare tutta la vostra furia sulla sottoscritta (con moderazione). Nel caso siate molto arrabbiati per l'ultima parte, ricordatevi del bacio inziale :33 
Bacioni,
Annie 



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Link 2 --> Linko anche la mia pagina Facebook dove ho ripreso a pubblicare alcuni mini-spoiler dei capitolo ogni tanto.
  
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