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Autore: LA dreamer    06/01/2009    1 recensioni
Chiusi,per l’ennesima volta,gli occhi e mi abbandonai del tutto a pensieri lontani. Lo feci. Non avrei dovuto,ma lo feci.Ripensai a tutto di lei,ai suoi occhi,alla sua pelle che tante volte avevo potuto toccare,ma senza scoprirne ogni singolo vertice,senza andare oltre ad un abbraccio amico.Perché niente poteva tornare a quei giorni?Perché se n’era andata?
Lei era la mia Dea.
Lei era la musa ispiratrice della mia musica.
Lei era la mia perfezione li dove pensavo di sbagliare.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Camminavo per le strade affollate della città,senza perdermi un minuto della mia libertà e della mia giornata,simile a tutte le precedenti.
Le persone mi passavano a fianco facendo finta di niente,ma in alcune di loro coglievo un sorriso affascinato che spuntava sulle labbra. Amavo trascorrere la mia giornata così,semplicemente camminando per la città,senza una meta precisa,senza niente da fare.
C’eravamo presi un mese di stacco dal lungo tour che ormai andava avanti da mesi,e mentre gli altri si dividevano tra famiglie,fidanzate e amici,io mi concedevo queste camminate infinite dalla mattina alla sera,senza dovermi dividere con nessuno,se non con me stesso,e con questa città illuminata da un sole caldo,coperta da un’aria frizzante e leggera che mi pungeva le guance,e quel cielo che mai avrei voluto dimenticare,un cielo azzurro come le acque di posti lontani,come lo era quel giorno.La città era sempre la stessa,la mia casa,il mio rifugio personale nei momenti in cui volevo chiudere col mondo esterno,nei momenti in cui il ricordo di lei era sempre più forte da farmi male.La mia città incantata,la mia bella e luminosa Montreal.
E ora mi ritrovavo con le mani nelle tasche dei jeans,la testa rivolta verso il marciapiedi,a camminare solitario per questa città che mi ha sempre dato tanto,ma che per destino,mi ha tolto il doppio della mia stessa vita.
Non c’era niente che non mi piacesse di quel posto.
I grandi grattacieli,che decoravano il panorama,mi rendevano sicuro e allo stesso tempo rilassato,come protetto davanti a tanta massa solida e luccicante.
I raggi del sole si scontravano dolcemente contro le finestre dei palazzi,creando nell’aria dei grossi cerchi luminosi e colorati,come l’arcobaleno dopo la tempesta,come la quiete dopo la tempesta.La mia tempesta interiore ancora non cessava,ancora non era intenzionata a cessare.Sentivo il disordine della mia mente girare impazzito,come se fossi sulle montagne russe,mille e mille pensieri,ricordi,vagano indisturbati nella mia testa,senza volersi fermare,o molto più probabilmente ero io che non volevo farli fermare…Già forse ricordare mi faceva bene quanto male.
Ogni volta che pensavo a quegli anni trascorsi,mi si apriva una voragine nel petto tanto forte da farmi sentire come tagliato a metà,opprimevo tutto questo semplicemente chiudendo gli occhi e appoggiando la fronte alla parete fredda del bagno,ma a volte non bastava ed ero costretto ad aprire quel maledetto armadietto e tirare fuori la mia disgrazia,quella disgrazia di cui solo io ero a conoscenza.Odiavo quei momenti,arrivavo persino ad odiare me stesso per farmi del male in quel modo,ma avevo scoperto che era l’unico modo per sopprimere tutto quel dolore.
Eppure,nonostante stessi male,continuavo a pensare a quegli attimi lontani,ma nitidi nella mia testa,nonostante tutto io non permettevo alla mia mente di dimenticarmi di lei.Della mia piccola lei. Sorrisi a me stesso,per la prima volta dopo giorni,sorridevo a me stesso,per quanto riuscissi a pensare senza annegare nelle acque più nascoste del mio corpo.
I miei amici ormai lo sapevano,e sapevo di poter contare su di loro,infondo anche loro avevano vissuto gli ultimi atti di quella recita insieme a me,e tentavano in tutti i modi di farmi pensare ad altro,ma c’erano momenti in cui niente era più forte che la sua immagine stampata sui miei occhi,talmente forte da farmi accecare. Avevo tutto quello che avevo desiderato.
Il mio sogno più grande si era avverato.
Ero famoso e potevo portare la mia,la nostra musica in tutto il mondo,colpendo il cuore delle persone che ci venivano a sentire.Amavo i miei fans quanto loro amavano me,amavo poterli incontrare,fare foto con loro e vederli felici come lo ero io un tempo nella loro posizione.
Ma,perché in ogni storia bella c’è un ma,mancava qualcosa di troppo grande,mancava qualcosa di troppo vitale,mancava lei.
Passai per il piccolo ponte di legno che divideva la vecchia Montreal da quella nuova.
I fiori ricoprivano la maggior parte della superficie legnosa di cui era fatto il ponte.Accanto a me camminavano coppie di fidanzati,abbracciati e innamorati,che si sorridevano felici e consci di un amore che,forse,sarebbe durato a lungo.Gli occhi di lei brillavano nel momento in cui scontravano con quelli del suo lui,e lui le carezzava dolcemente la pelle della guancia con la punta delle dita,come se premuta troppa,si fosse rotta in mille pezzi.
Non guardarli,diceva la voce dentro di me,vai avanti senza guardarli.Ma come potevo ignorare tanta felicità?come potevo privarmi anche di quelle visioni assurde e dannatamente belle?
Quanto sarebbe passato prima che anche i miei occhi fossero tornati a sorridere come facevano in quel tempo tanto lontano da sembrare sfuocato?tanto,poco,o forse mai.La vita è troppo scivolosa per capirne davvero il futuro che ci riserva.
David vai avanti.Ascoltai la voce furiosa e camminai fino ad uscire dal quel paradiso con le sembianze dell’inferno.
7 anni,mi ripetevo,7 anni e tu stai peggio di quel giorno stesso. Ma cosa potevo farci?
Ogni volta che il verde delle piante mi accecava mi venivano in mente i suoi occhi che mi guardavano,felici nei momenti belli,tristi come quel giorno in cui la vidi per l’ultima volta.
Quegli occhi che credevano in me,che credevano in tutto ciò che facevo,pur sbagliato o giusto che fosse,a cui non importava di quanto idiota fosse quello che facevo,quegli occhi che mi hanno sempre fatto sentire importante e vero,quegli stessi occhi dove vedevo me stesso senza aver paura di scoprirne la verità.Quegli stessi occhi in cui vedevo tutto il mondo,che erano tutto il mio mondo e dove ancora mi sentivo intrappolato,dove forse ero ancora intrappolato.
Entrai distratto in un bar,avevo bisogno di sedermi,bere un caffè e continuare a placare il dolore che il mio cuore pompava come il sangue caldo nelle vene.
Mi sedetti vicino alla grande finestra.Il mio posto preferito,dove amavo stare,dove potevo guardare il mondo andare avanti,mentre io mi prendevo preziosi minuti di silenzio,di riflessione e di calma interiore.
Il caos della città cessò nel momento in cui l’ultimo cliente chiuse la porta d’ingresso,così di botto mi lasciò vuoto anche dentro,un minuto prima una signora suonava il clacson come impazzita,un minuto dopo il silenzio regnava sovrano quel posto,come se fosse lui a governare i sentimenti delle persone.
-Ciao dimmi tutto.-la ragazza davanti a me stringeva nervosa un blocco e una penna,pronta a scrivere per poi scappare dietro al bancone con la mia ordinazione.Possibile che fossi geloso anche di una stupida ordinazione?scossi la testa come annientare tutta la pazzia che governava i miei pensieri e sfoggiai un sorriso amichevole e gentile.
-un caffè con panna extra zuccherato e una ciambella al caramello.
-altro?
-per ora no grazie.-sorrisi ancora fissandola.Sapevo che stava per chiedere altro.Si mordeva il labbro inferiore in modo frenetico che avrei voluto metterle una mano sulla bocca per farla smettere.Quel gesto mi dava sui nervi,la mia piccola lei,il mio miracolo personale,lo faceva sempre.
-posso…-si fermò un secondo valutando la mia espressione. Chissà che espressione avevo assunto.Cercai di non pensarci e ricominciai a sorridere.
-dammi pure.-le sfilai dalle mani il blocchetto e la penna.-come ti chiami?
-Sharon.-balbettò continuando col gesto di poco prima.Scrissi velocemente aggiungendo qualcosa di speciale e le diedi di nuovo il blocchetto.-oddio grazie David.
-non c’è di che Sharon.-mi voltai ancora alla finestra e al mondo pieno di emozioni e privo di me.Chiusi gli occhi placando la secchezza della gola e l’urlo che stava per uscirmi a pieni polmoni dalla bocca e ricominciai come un pazzo furioso a scuotere la mia coscienza e sognare ad occhi chiusi.
Avevo ancora troppe domande da porle,troppe erano le cose rimaste in sospeso quel pomeriggio di Luglio,perché quel gesto?perché andarsene così senza motivo?beh forse il motivo c’era e a me era ancora sconosciuto.
Avevo capito tardi che quella che provavo io non era amicizia,così tanto tardi da sentirla scivolare via dalle mie mani per poi non riprenderla più.Mi davo la colpa per qualcosa di cui non sapevo niente di niente,perché forse qualcosa che avevo fatto io a lei aveva fatto male,e se fosse davvero così non sarei mai riuscito a perdonarmelo.
BASTA,urlai dentro di me.Ma basta risultava ancora troppo poco per convincermi a lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare da zero. Dovevo convincermi che lei non c’era più,che forse non sarebbe mai tornata,e che il mio piccolo mondo fatto solo di me e lei,non avrebbe più continuato a vivere se non soffocato dal dolore e da incubi.Erano passati 7 anni,7 lunghi anni e ancora non riuscivo a dire addio alla mia piccola lei.
Il vibrare del cellulare mi fece tornare per un momento ad una realtà dura e difficile.Estrassi il telefono dalla tasca della giacca di pelle nera e sorrisi nel vedere il nome sul display.
-ciao Pierre.
-eih dove sei?
-in un bar a prendermi un caffè.
-ottimo,senti domani sera che fai?ti va di uscire un po’?
-dove mi vuoi trascinare?
-al Metropolitan,dai è un sacco che non ci andiamo e saremo un po’ gli ospiti d’onore.
-non si era detto di stare tranquilli per un mese?-chiesi sospirando e sprofondando nel divanetto di pelle del bar.Possibile che anche quello mi ricordasse il suo profumo?ero pazzo,pazzo da legare.
-si lo so Dave però che palle.-sbuffò sonoramente come se volesse farmi capire qualcosa.Solo allora ci arrivai.
-hai litigato con Denise vero?
-mi leggi nel pensiero?
-no si dal caso che ti conosco dalla bellezza di 8 anni e credo di capire ormai quando mi fai certe proposte.
-uffa…e comunque si per una cazzata che domani si risolverà.-Sharon arrivò al tavolo con la mia ordinazione,con mano tremante posò il caffè e la ciambella sul tavolo facendo sbattere troppo il piatto contro il legno del tavolo.Le sorrisi per tranquillizzarla e mimando un << grazie >> tornai ad ascoltare le parole del mio amico.
-quindi devo prenderla per metà la tua offerta di domani sera?
-beh…si?
-tranquillo,tanto non ho molta voglia di uscire quindi tranquillo se risolvi con lei.
-è tutto ok Dave?
-certo mi riposo e basta.fammi sapere ok?
-contaci.-riposi il cellulare nella tasca e assaggiai il caffè.Ora si che iniziavo a ragionare.Come sempre mi aveva capito,aveva capito che c’era qualcosa che non andava,e come sempre aveva lasciato perdere,non avevo voglia di lagnarmi al telefono con lui,non avevo proprio voglia di parlarne con nessuno.
Sospirai posando il caffè sul tavolo.Ovunque tu sia,e non mi importa che sia vicino o lontano,sappi che soffro per te,che piango per te,che penso a te come se fossi ancora viva dentro di me,perché il tuo ricordo,il ricordo della tua voce cammina lento sul mio cuore,corre veloce nella mia mente.Ed era proprio la sua voce il ricordo più doloroso,l’immagine più critica da inquadrare.
Sprofondai ancora di più sul divanetto,fino a sentire il contatto della pelle contro l’incavo del mio collo.Chiusi,per l’ennesima volta,gli occhi e mi abbandonai del tutto a pensieri lontani.
Lo feci.
Non avrei dovuto,ma lo feci.Ripensai a tutto di lei,ai suoi occhi,alla sua pelle che tante volte avevo potuto toccare,ma senza scoprirne ogni singolo vertice,senza andare oltre ad un abbraccio amico.Le sue mani che mi disegnavano prima di qualche gara tra amici sullo skate,a quel sorriso così magico,così sincero e semplice che compariva ogni qual volta riuscivo in uno dei miei giochetti.Ma la cosa che più mi mancava,di cui più avevo bisogno in momenti come questo,era la melodia della sua voce,della sua risata che faceva schizzare il mio cuore fuori dal petto ogni qual volta accadeva.
Perché niente poteva tornare a quei giorni?Perché se n’era andata? Pensavo a tutte le volte che ero salito su quel palco,con in pugno il mio basso,con davanti a me migliaia di occhi che mi guardavano sorridenti,era tutto quello che volevo,tutto quello di cui le avevo sempre parlato nelle notti d’estate,sdraiati sopra un tetto,sotto il cielo luminoso e stellato di Montreal,in quei momenti persi in posti troppo lontani,sognati a gran voce,dove io capivo lei,e lei,come sempre,capiva me.Mi dava la forza di andare avanti,di sognare senza cadere dalla mia nuvoletta immaginaria,ma di rimanere sempre con i piedi sopra di essa,sognando come mai avevo fatto,perché lei credeva in me,più di quanto io credessi in me stesso.
Su quel palco,chiudevo gli occhi nelle canzoni più importanti,cantando quelle parole che in qualche modo erano,anche,dedicate a lei,e una volta riaperti la cercavo con lo sguardo,con il cuore,sperando di poter incontrare nuovamente i suoi occhi,vederli sorridere per me,vederli piangere dall’emozione,per me,ma ogni volta che li riaprivo trovavo solo volti nuovi,con emozioni diverse scritte nei loro volti,ma non vidi mai quegli occhi verdi!
La sera stava scendendo.
Le prime luci dei lampioni si accendevano lungo le strade.Lasciai una banconota da dieci dollari sul tavolo,una mancia per te Sharon,pensai mentre mi alzavo e uscivo da quel posto.Tornai svelto verso casa,senza mai fermarmi troppo sui particolari di quei ricordi,ne tanto meno sulle vie che stavo percorrendo,senza nemmeno rendermi conto.Provavo una sensazione di chiusura,di apatia,ma soprattutto di panico.Così aumentai il passo fino a ritrovarmi a correre,sbattendo contro le persone,senza nemmeno chiedere scusa.Questo non era di certo il David che la gente vedeva in televisione o nei nostri dvd.Era diverso,nuovo,o semplicemente un David che soffriva davanti a tutto questo,ma che riusciva sempre in qualche modo a nasconderlo e non farlo apparire,non volevo deludere nessuno,ne i miei fans,ne tanto meno i miei migliori amici,in teoria nemmeno me stesso,ma lo stavo facendo,eccome se lo stavo facendo!
Chiusi il portone del palazzo dove abitavo così forte da far vibrare il vetro delle finestre poste nell’atrio all’entrata.Mi sedetti sui gradini per qualche minuto con la testa fra le mani e le dita completamente sprofondate nei capelli.Cercai di respirare normalmente per non dare nell’occhio,nel caso qualcuno fosse entrato in quel momento.Mi tremavano le gambe,e sentivo le mani tra i miei capelli irrigidirsi ad ogni secondo che passava.Il panico stava crescendo,ma non potevo salire le scale in questo momento,avrei rischiato di cadere e rotolare fino a questo punto ancora una volta,così restai li per un tempo indefinito,senza che nessuno si accorgesse di me,senza che nessuno mi vedesse,ero solo con me stesso,solo col ricordo di lei,solo col panico dentro di me che mi scuoteva come un pazzo,come infondo lo ero io in questa situazione!

Spero che qualcuno la legga e mi dica che ne pensa,è uscita in una notte d'insonnia totale mentre per la duecentoquarantesima volta ascoltavo Dear God degli Avenged Sevenfold,quindi il consiglio è di ascoltarla con quella,Stavolta ci sono I Simple Plan o meglio il nostro bassista alle prese con l'amore,la delusione e il dolore.Non è molto lunga come storia,ma l'ho divisa comunque in capitoli!Beh fatemi sapere.baci baci
  
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