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Autore: milla4    31/05/2015    1 recensioni
E se Hansel e Gretel non fossero i due bambini spauriti, persi nel bosco che tutti conosciamo? E se invece fossero due ragazzi soli, ma uniti dalla tragedia per sopravvivere ad un mondo pieno di squali?
Storia partecipante al contest "Di immagini e trame" indetto da gnarly sul forum di Efp
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era paralizzata, non un solo muscolo del suo corpo accennava a muoversi neanche dopo che Margaret aveva fatto la sua comparsa, aprendo la porta dietro cui si trovavano.
Non sentiva Adam che la incitava ad andarsene, non sentiva la matrigna urlare i consueti insulti, non sentiva. E basta.
Qualcosa comunque si mosse dentro di lei così, presa la mano del fratello, entrò in casa senza degnare di uno sguardo alla donna che non smetteva di parlare. Salirono nella stanza di Adam poi, con una spinta, chiuse la porta e urlò.
- Deva… tutto ok?- Adam le era accanto preoccupato, non l’aveva mai vista così… così… sconvolta.
 - La stiamo per perdere… capisci? Questa casa, l’unica cosa che ci renda una vera famiglia, non ci sarà più- un sussurro le uscì dalle labbra, si girò verso il ragazzo e aspettò una sua reazione, che non arrivò.
Adam la guardava in silenzio, non riusciva a crederci, non poteva crederci, stava per perdere tutto di nuovo ed era troppo.
Una lacrima gli scese sul viso ma repentinamente la scacciò con la mano: non doveva essere debole, non questa volta.
- La società è in fallimento, Margaret ne stava parlando prima la telefono mentre stavamo entrando…  ecco perché papà  è sempre al lavoro. Sospettavo qualcosa non posso negarlo, ma non di così grande -  Le parole le uscirono tutte di un fiato, atone, senza vita. Si gettò sul letto a baldacchino accanto a lei, si sentiva stanca, stanca di combattere.
Adam la seguì e nuovamente i loro capelli si mischiarono.
Per entrambi la notizia era sconvolgente non tanto per la casa in sé ma per cosa rappresentava: una fine e un inizio.
Erano lì incollati l’uno all’altra, le loro mani si sfioravano, i loro respiri erano armonizzati ma non le loro menti.

Adelfa… nome assurdo per chiunque ma non per sua madre, lei era orgogliosa delle sue origini italiane e quel nome, anche se pomposo, le faceva sentire più vicino quel paese dall’altra parte del mondo.
Erano simili Deva e sua madre, entrambe castane, entrambe forti, entrambe testarde; l’una clone dell’altra più grande, almeno finché il suo modello non sparì.
Sua madre l’aveva lasciata sola, abbandonata con quel padre che adorava alla follia, ma troppo occupato a lavorare per accorgersi di lei.
 
Istintivamente afferrò la mano di Adam e la strinse, forte.
 
Mesi bui furono quelli, il suo carattere già non facilissimo divenne ancora più duro, acido, nessuno osava avvicinarla, non voleva essere toccata.
Era vuota, come la casa; non piangeva, non era il tipo, mai nessuno o l’avrebbe amata così credeva.

  Un sorriso sghembo le rallegrò il viso.

Deva ancora si ricordava quel piccolo bambino che, in una delle tanti notti di solitudine, si era ritrovata davanti con gli occhi pieni di lacrime ed il cuscino sotto al braccio.
Non sapeva chi fosse né cosa ci facesse in casa sua, ma in quel momento sentì un dolore molto simile al suo provenire da lui,  e questo stranamente le bastò.
 
Adam ricambiò la stretta.
 
 In seguito il padre le spiegò la triste storia di quel ragazzino la cui madre, una giovane donna di famiglia borghese, era stata ripudiata dai genitori per via del bambino che portava in grembo;  ella allora, ormai sola, fece ogni genere di lavoro pur di provvedere al suo piccolo, era una donna forte e decisa che non si lasciava abbattere da un no. I traslochi erano all’ordine del giorno finché, un giorno, non capitò proprio nella loro cittadina.
Il padre le disse che la conobbe per via del suo lavoro come cameriera nel bar vicino al suo ufficio, divennero se non amici ottimi conoscenti. Purtroppo si ammalò, di una grave malattia.
Il destino non voleva vederla felice, le tolse tutto: la famiglia, il lavoro ed infine la salute, ma mai l’affetto di quel figlio per cui aveva sacrificato tutto. Ormai, vicina alla fine decise di affidare il suo più grande tesoro all’unica persona che le era rimasta: suo padre appunto. Non rifiutò.
 
 
Un rumore sordo li ridestò dai loro pensieri: Margaret era entrata.
- Ragazzi, devo comunicarvi una cosa assai sgradevole, vostro padre ha perso tutto: casa, società, tutto. Perfino i vostri soldi, quelli destinati per l’università - Sospirò con aria melodrammatica-  Non voglio mentirvi, né la casa ne la società verranno vendute, non sono così sprovveduta da lasciare la mia vita nelle mani di un uomo, ho… come dire… fatto dei buoni acquisti in borsa- Sorrise, per quello che il botox le permetteva di fare – E ora è tutto mio!- Urlò quasi di gioia.
I due la guardarono come spaesati, ancora non riuscivano a comprendere fino in fondo le parole uscite da quella bocca di plastica. Lei se ne accorse, così continuò:
- Riguardo a voi due- li indicò -  Certamente non potrete andare a quel campo estivo che tanto vi piace, ormai è troppo costoso! No, ho convinto vostro padre a mandarvi a uno dei collegi cui per tanto tempo feci beneficenza, il Saint Morell.
Credo che sia il luogo perfetto per voi, magari riusciranno a raddrizzarvi un po’. Domani mattina alle nove vostro padre vi accompagnerà-
Così, senza lasciare il tempo di una replica, uscì dalla stanza portandosi dentro un senso di rivalsa per tutto quel tempo sprecato ad accudire dei figli mai voluti.
 
Spenti, ecco cos’erano. Persino Deva non aveva risposto a quelle velate provocazioni, non ne era stata capace. Era tutto finito, avevano perso tutto.
 
Senza guardare il fratello uscì dalla stanza e si diresse nella sua. Non si parlarono per tutto il resto del giorno, non avevano molto da dirsi.
   
 
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