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Autore: Madam Morgana    31/05/2015    6 recensioni
In una generazione all'avanguardia, il futuro dipende solo dalla tecnologia, ed alla famiglia Walker è appena arrivata la Scatola.
Quella che attendevano da tempo, quella che rivoluzionerà la loro vita.
Tutti sono entusiasti, eccetto la loro primogenita: Amira.
Perchè a lei, Ottocentodiciannove, non piace proprio, ed il fatto che i suoi fratelli abbiano deciso di dargli un nome diverso non l'entusiasma affatto.
I suoi occhi sono azzurri, la sua pelle perfettamente bianca, i capelli troppo biondi.
Non vuole avercelo per casa. Non osa immaginarsi la vita, da ora in poi, con lui tra i piedi.
Non osa immaginarsi la vita, d'ora in avanti, con un robot in giro per casa.
Dal testo:
«E' bellissimo papà!» esclama Edward, aggrappandosi alla gamba dell'androide.
«E' spaventoso» è l'unica cosa che riesce a dire Amira, guardando l'umanoide davanti a lei. Certo, è bello e questo non lo può escludere, ma la somiglianza ad un vero essere umano la spaventa tantissimo. Con quei capelli finti e biondi, le palpebre chiuse ed il bottoncino rosso sul lato sinistro del petto.
Genere: Malinconico, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Sentimenti.


 
Quando Amira varca la soglia della stanza di suo cugino, lo vede steso sul letto, con le gambe accavallate, intento a leggere l'ennesimo fumetto di qualche artista a lei sconosciuto.
Tossicchia, nella speranza di farsi sentire, e di fatti ci riesce notando come Ashton metta via, immediatamente, il giornalino.
«Ammy» il suono della sua voce, per un solo istante, sembra aver abbandonato quella perversione che di solito lo avvolge.
Amira incrocia le braccia al petto, perché proprio non riesce a dimenticare la crudeltà con cui ha trattato Luke.
Si morde le labbra, in procinto di sferrargli l'ennesimo cazzotto ma cerca di opprimere quella sensazione.
«Cosa vuoi, Ashton?» chiede, perché forse a lei piacerebbe pure avere un buon rapporto con suo cugino, ma è costretta a trattarlo brutalmente a causa del suo carattere strano; senza contare ch'è anche un lurido verme cafone. Insomma sarebbe l'ideale per un tipo come Michael Clifford!
Tuttavia Ashton scende dal letto, si avvicina a lei e poggia la mano sul suo braccio pallido e magro, sfiorandolo dolcemente. Amira alza il capo, con sguardo corrucciato incrocia gli occhi suoi smeraldi e poi attende la risposta. 'Ché se cerca di ammaliarla con quelle moine si sbaglia di grosso.
Vorrebbe tornare da Luke, e stare un po' più di tempo con lui, ma quello stupido l'ha chiamata e di certo non può sprecare tempo così, lei, con un cretino come Ashton che cerca sempre di sedurla.
«Mi dispiace per il tuo androide, non volevo. Non so cosa mi sia preso» lo dice tutto d'un fiato, nella speranza che le scuse appaiano più veritiere possibili. Non è solito abbassarsi a certi livelli, lui, ma lo fa perché Trevis l'ha rimproverato abbastanza e poi non vuole Amira contro, nonostante il loro rapporto non sia dei migliori.
«Luke. Si chiama Luke» lo riprende lei. Spera solo che lo chiami per nome, è stanca di sentire androide, automa, robot o umanoide. Senza contare che, come l'ha chiamato la prima volta, ovvero elettrodomestico, le ha procurato un bruciore al petto quasi come se avesse lingue di fuoco a solleticarle il cuore.
«Luke, allora. Mi dispiace per Luke» prova lui, incrociando le braccia al petto. Cerca lo sguardo comprensivo di sua cugina, ma non lo trova perché lei non lo perdonerà mai. E' cafone, spavaldo, pervertito ed anche stronzo!
«Io adesso andrei, ho troppe cose da fare» cerca di liquidarlo così, ma la presa di Ashton sul suo polso la blocca.
Si volta e gli occhi di suo cugino sono intenti a fissarla, forse per l'ennesima volta in quella giornata.
Serra la mascella, lo vede deglutire «Ti sei presa una cotta per lui, Amira?»
Amira sbarra gli occhi, incredula e,sì, anche stupita. Non aveva valutato l'idea che ad Ashton funzionasse il cervello, senza contare che quella domanda, così, posta senza alcun criterio non se l'aspettava.
Il mondo sembra vorticare velocemente, mentre sente il suolo sgretolarsi sotto ai suoi piedi. Avverte le braccia formicolare, e la presa di Ashton farsi più lenta. Non sa cosa rispondere, né quello che pensare. Perché, adesso, quella domanda le rimbomba in testa come un quesito da risolvere per se, e non per dar risposta a suo cugino.
Non sa che fare, Amira, che aveva conosciuto Luke solo come automa, o peggio, come Ottocentodiciannove.
Non sa cosa pensare di quella giornata, delle cose belle che lui ha fatto per lei, di quella sensazione di benessere che ha provato e che non sentiva sulla sua pelle da tantissimo tempo.
E' frustrata, combattuta, l'unica cosa che vuole fare è piangere senza un tangibile motivo.
Riesce a scrollare la presa dalla mano di Ashton, poi corre via, all'impazzata, sbattendo contro il corpo minuto di suo fratello Tyson che adesso impreca contro lei, perché gli ha rotto la miniatura della Ferrari.
Non appena è in camera, chiude la porta, perché non vuole vedere né sentire nessuno. Brama la solitudine ed un bagaglio di risposte alle domande che, ora, popolano la sua mente.
E pensa che, nel caso in cui Ashton avesse ragione, si ritroverebbe in un grosso guaio.
Cosa penserebbero i suoi genitori, poi?
Perché lo sa, che Luke non può invecchiare, che il tempo passa solo per lei e per i suoi genitori. Lui può solo ammaccarsi, rallentare i suoi processi, ma mai invecchiare.
Ecco perché è impossibile tutto quello.
Ed allora perché si sente così male? Perché vuole solo piangere pur sapendo che una relazione come quella sarebbe insostenibile?
Altre domande affollano la sua mente, quasi come se scalciassero per farsi sentire.
In preda ad un pianto isterico, urla.
Poi si accascia a letto, e continua il suo pianto. Ed in quel momento la porta si spalanca; Luke è lì, davanti alla soglia, con gli occhi cerulei completamente sbarrati e le mani strette a pugni.
L'ha sentita gridare a causa dei suoi sensori sviluppati «Miss, che succede?» chiede, avanzando verso lei.
Ma per Amira, in quel preciso istante, Luke è l'unica persona che non dovrebbe nemmeno vedere. Si tappa gli occhi, forse per non mostrarsi piangente o magari per non vedere Luke, «Vattene! Vattene via, ti prego Luke!» ma questi non le da ascolto.
Si siede ai bordi del suo letto e le stringe i polsi in maniera delicata, impercettibile «Miss, mi guardi» sussurra.
«Non posso, sono orribile quando piango e il trucco mi cola» singhiozza lei, completamente avvolta dai sussulti come fosse una cappa che l'avvolge.
«Miss, per me lei è bella anche con gli occhi rossi e il trucco sbavato» delicatamente Luke porta via le mani dal suo volto, e si perde ad osservare Amira ricoperta di cristalli sul viso. E' un pensiero egoista, quello che scava le viscere dell'automa, ma giura che vederla in quel modo, con le lacrime sul volto, la rendano più bella. Come una rosa bagnata dalla rugiada fresca mattutina.
Ed allora il cuore di Amira si accartoccia, perché non è giusto che lui le dica quelle cose, di certo non migliora la posizione dei suoi sentimenti, e non ha dato nemmeno risposte al suo cervello che l'affligge con domande.
Non è giusto, pensa Amira.
Non è giusto che Luke non sia umano.
«Ho paura, Luke» gli confida, perché sa che, comunque, l'altro non dirà mai quanto appena udito. Amira è preziosa ai suoi occhi e di svergognarla o spifferare i suoi segreti a tutti proprio non ha voglia, senza contare che c'entra anche lui, in quella situazione.
La stringe a se, ricordandosi che gli abbracci si danno nel momento in cui se ne avverte il maledettissimo bisogno, e crede che per la sua padroncina quel maledettissimo bisogno sia proprio in quell'esatto momento.
Infatti questa lo stringe di rimando, così forte come se avesse paura di perderlo.
Luke liscia i suoi capelli corvini, ed ascolta il respiro spossato dai sussulti causati dal pianto.
«Perché, Miss?»
«Ho paura del domani, del futuro in generale» continua lei, mentre stringe Luke ancora più forte, se possibile.
E lui non dice nulla, probabilmente dovrebbe consolarla e rassicurarla ma non ci riesce perché anche lui avverte qualcosa all'interno del suo corpo metallico. Una sensazione che non era stata programmata, una sensazione che il suo database non riconosce. Sembra un virus che si fa spazio dentro lui, infettando i suoi fili metallici ed i suoi ingranaggi, ma non ha la forza per ribellarsi perché forse, un po' gli piace pure.
«Oggi è il giorno che le faceva paura ieri, Miss. Non pensi al domani» Amira si sposta di poco per guardarlo, mentre i suoi occhi chiari si perdono nelle iridi dell'automa.
Questi abbozza un sorriso, spostando dal viso di lei alcune ciocche corvine intente ad incorniciarle il volto.
Poi si china di poco, e per la prima volta è Luke a baciarla di sua spontanea volontà. Amira si lascia guidare, mentre entrambi schiudono le labbra per permettere alle lingue di sfiorarsi in una danza dolce e suadente.
Le mani dell'androide si poggiano sui fianchi di lei, mentre quest'ultima arriccia qualche ciocca dei capelli biondo grano tra le sue dita.
E giura che tutte le paure sono andate via, tutti i dubbi, le insicurezze ed altro, sono sparite. Come nuvole che vengono spostate dal vento.
Si staccano solo perché ad Amira manca il fiato, poi poggia il capo nel petto di Luke ed immagina ancora una volta i battiti suoi, ama farlo dopo averlo baciato. La fa sentire giusta.
«Non urli più, Miss, la prego. Mi è preso un colpo»
Amira ridacchia, coprendosi le labbra con il palmo destro, annuisce e sospira. Ora è tranquilla «Non urlerò più, te lo prometto Luke» e lui le crede.

La famiglia Irwin ha deciso di non sostare dagli Walker più del dovuto, perché continuano ad essere mortificati dell'accaduto.
Di Luke catapultato fuori, dalla finestra, e dallo strano comportamento del figlio, che ancora non riescono a capire.
C'è che Ashton non ha mai detto a nessuno della sua strana infatuazione verso Amira 'ché verrebbe etichettato come strano, e poi il rapporto incestuoso non sarebbe visto con occhi consenzienti da qualcuno, dunque tace e basta 'ché forse è meglio lasciarsi etichettare strano e riservato.
Entrambi le famiglie stanno cenando, o meglio dire mangiando la pizza.
Trevis e Scott borbottano felici, con entrambi i nasi rossi come fossero due renne sperdute di Babbo Natale, allegri fino alla punta dei capelli, innalzando boccali di birra e ripassandosi qualche vecchia vicenda della vita giovanile.
Eleonor ed AnneMarie chiacchierano in sottofondo parlando di cosmetici e moda, perché sì sa, le signore parlano sempre delle stesse cose.
Ed i bambini giocano, come se non fossero nemmeno in tavola: giocare è l'unica cosa che li distrae.
E poi c'è Ashton, che nonostante tutto, nonostante sappia che quella sia l'ultima sera – o meglio dire le ultime ore – trascorsa con sua cugina, non dice nulla. Trangugia la sua pizza con fare nervoso mentre non batte ciglio per guardarla.
Amira è stressata, frustrata e, sì, anche pensierosa. Perché nonostante abbia frenato la crisi di pianto e di urla non riesce a non pensare alle parole del cugino, alla sua domanda a cui ancora non ha dato risposta.
Finisce la sua pizza, alzandosi da tavola, perché non vuole più rimanere. Fingerà di sentirsi stanca così da poter andarsene a letto, «Io andrei, ho finito la cena» espone. Si guarda intorno mentre gli occhi inquisitori dei parenti la scrutano.
«Ma Amira! I tuoi zii andranno via a momenti, non riesci a rimanere qualche istante in più?» farnetica suo padre, che secondo lui alzarsi da tavola per primi è segno di cattiva educazione.
Trevis scuote le mani in segno che, sì, è tutto okay. In fondo è giovane Amira, ha bisogno di staccare la spina un poco «Lasciala andare Scott, ci salutiamo adesso che ne dici tesoro?» e lei annuisce.
Si dirige verso suo zio per poi abbracciarlo, fa la stessa cosa con AnneMarie, Harry e Lauren. Quando poi arriva ad Ashton, è un tuffo al cuore.
Si morde le labbra, lo fissa con fare di chi non sa come muoversi, ma questi apre solo le braccia perché vuole solo stringerla.
E lei allora si decide ad abbracciarlo; timidamente si fionda su di lui, mentre il cugino le cinge le braccia ai fianchi. Nasconde il capo nell'incavo del collo di lei, e si permette anche di morderglielo delicatamente, senza però lasciare nessun marchio.
Poi schiude le labbra, e con voce roca sussurra «So che ti sei innamorata di Luke, ma fai meglio a ricordare che l'amore non può sempre trionfare» e lei lo scansa.
Lo fissa con odio, disprezzo e disgusto, mentre poggia le dita sulla zona da Ashton baciata. Digrigna i denti e poi va via, correndo verso le scale, ritrovandosi poi al piano superiore.
Si chiude in stanza, sbattendo la porta e spera che gli Irwin tornino il prossimo anno, o addirittura non tornino più.
Si stende, fissa il soffitto e respira. Respira, Amira, perché non può fare altro. Perché lei lo sa che c'è del vero nelle parole di quell'assurdo cugino, eppure non vuole credergli. Non vuole credere né ammettere a se stessa che quello che prova per Luke sia amore.
Non può essere vero, perché se così fosse la vita le avrebbe giocato un brutto tiro.

Quando si sveglia, nel cuore della notte, Michael fissa il soffitto e sbuffa. Sposta le coperte e poi si alza dal letto, trascina i piedi verso la finestra, l'apre e poi si affaccia notando quanto siano lucenti le stelle e quanta luce possa emanare una luna raggiante che si pavoneggia nel manto buio.
Michael fissa quel panorama con occhi stanchi, mentre distrattamente si passa le mani sul viso.
C'è che lui è stanco di comportarsi in quel modo ma, allo stesso tempo, comincia a non sopportare più Josh, 'ché ormai ha deciso di passare troppo tempo con Delia, e dunque si vedono poche volte.
E gli manca Calum, perché lui sì che era un amico importante. Uno che potevi chiamarlo a qualsiasi ora del giorno o della notte, ma era sempre pronto per qualche avventura.
Rimpiange i vecchi tempi, quelli dove ancora erano una comitiva felice, motivo per cui spinto dalla nostalgia afferra il cellulare dapprima posto sul comodino, sblocca lo schermo e guarda l'ora.
Sono le tre, ma a lui poco importa. Frettolosamente digita il suo numero e lascia partire la chiamata, attendendo la risposta di qualcuno che – vista l'ora – magari sta anche dormendo.
Eppure riceve la risposta, dopo un sonoro sbadiglio, simbolo che, sì, aveva ragione. Lui stava dormendo.
«Che vuoi Clifford?» Calum ha la voce impastata dal sonno, e Michael sorride, mentre passa l'indice sulla fessura della finestra, togliendo la polvere annidata agli angoli.
«Volevo sentirti» controbatte, senza troppi giri di parole. E poi il silenzio. C'è che Calum non si aspettava quella chiamata ma nemmeno quell'affermazione. Da uno come Michael, poi, che tutto è tranne che nostalgico.
Sospira, schiocca la lingua al palato e poi si rigira tra le coperte. «Alle tre del mattino?»
«Alle tre del mattino» e poi nulla più. Deglutisce, fissa il panorama e giura di sentire uno strano nodo partire dalla trachea, pronto a tradire la sua voce. Cerca d'ingoiarlo, mentre ode il rumore delle coperte di Calum che si spostano.
«Non siamo più amici, io e te» ma Michael ride, perché trova il falso nelle parole di Calum. E' impossibile che un'amicizia come la loro muoia per uno stupido come Josh Bellier. Loro non c'entrano nulla!
Michael torna a sedersi sul letto, fissa i suoi piedi cerei che vengono baciati dalla pallida luce lunare, poi si stende e fissa il soffitto.
Deglutisce, gli occhi che pizzicano e la consapevolezza che lui non può piangere, perché nonostante tutto lui è e resterà sempre un duro.
«Lo sai anche tu che non è così, Hood» e Calum lo sa, certo che lo sa. Sa che Michael è sempre stato un buon amico, forse un po' troppo strano ma sempre amico era.
E sa anche quante cazzate hanno fatto insieme, di come hanno riso prima che Josh entrasse nella loro cricca, prima che lui conoscesse Amira ch'era fidanzata con il loro amico, prima che scoprisse il tradimento di Josh nei riguardi di Amira.
«Invece è così» e cerca di convincere più se stesso che l'altro, perché, sul serio, Michael ormai è cambiato. Con quel fare arrogante di chi vuole portarsi una ragazza a letto giusto per il gusto di farlo.
Michael deglutisce, e non lo nasconde più. Non le nasconde più. Gli occhi pizzicano, poi diventano lucenti ed infine acquosi. Sorride nervosamente, passandosi una mano sui capelli, perché se solo Calum fosse lì, in quel preciso momento, lo prenderebbe a pugni. «Non è così, Calum! Non hai potuto dimenticare come stavamo bene prima. Come ci divertivamo a fare cazzate, insieme. E di come tua madre continuava ad essere una rompi cazzo e di come io e te la prendevamo per il culo. Di come al signor Handerson fottevamo le rose del suo giardino per poi venderle nel giorno di San Valentino. Non hai potuto dimenticare di quante volte abbiamo citofonato nel cuore della notte, per poi correre all'impazzata con la paura costante di ricevere una secchiata d'acqua in testa. Non puoi Calum, non puoi...» e Calum stringe i denti, sta piangendo ma nessuno può sentirlo, nemmeno Michael, perché soffoca i singhiozzi contro il cuscino.
Vorrebbe tornare indietro e vivere la vita una seconda volta, permettendo ad Amira di aggregarsi alla sua comitiva, senza però stare con Josh. Quello è l'unico sbaglio. E' stato il frutto marcio in un cesto pieno di frutta fresca.
«Calum?» continua Clifford, gli occhi acquosi che continuano a fissare il soffitto.
«Mh?» sussurra il moro, spera solo che l'altro – dall'altra parte della cornetta – abbia sentito il mugolio, che di aprire bocca per parlare senza piangere, proprio non ci riuscirebbe.
«Le stelle quanto luccicano?» chiede, quasi come se la discussione di prima si fosse distolta. E Calum sorride, perché quella frase l'avranno ripetuta un miliardo di volte, e la risposta è sempre quella.
Calum, le stelle quanto luccicano? L'aveva detta Michael, una volta, quando – entrambi – stremati per l'ennesima corsa notturna, si erano appartati in una panchina del parco, a fissare quel cielo che li accompagnava con le loro bravate.
E poi Michael aveva alzato il capo, e Calum aveva fatto altrettanto.
E Calum ma le stelle quanto luccicano?
Poco. La nostra amicizia brilla di più. Le aveva risposto il moro.
E da quel giorno la domanda la ripetevano spesso, dando sempre la stessa risposta.
Ed ora che Clifford l'ha chiesto, a Calum fa male il petto, e trema il cuore, la voglia di vivere, la consapevolezza che le cose cambiano e che le stelle possono luccicare di più, molto di più. D'altronde sono palle infuocate luminescenti.
«Mi manchi Calum» sussurra, prima di decidere che quella chiamata deve terminare in quel modo, senza la risposta del moro. Perché è giusto così. Riattacca la chiamata, e Calum guarda il suo cellulare come se, ancora, Clifford fosse in linea.
I suoi occhi color cioccolato fissano il vuoto, poi, mentre torna a rigirarsi nelle coperte.
Sa che Michael ormai non può più sentirlo, ma a lui poco importa, «Poco. La nostra amicizia brilla di più» poi chiude gli occhi, e si addormenta di nuovo.



SBAAAAAAAAAM

Tesorini! ç___ç
Lo so, lo so, dovete picchiarmi perché sono in un mega ritardo!
Megagalattico, direi, ma finalmente sono riuscita ad aggiornare.
Allora, che ve ne pare del capitolo? Francamente la parte che più
preferisco è quella tra Michael e Calum, oddio quanto sono cari...
Quel Josh ha rovinato tutto, non trovate? E' stato in grado di dividere
Calum e Michael, ma il moro tiene troppo ad Ammy, e non voleva farla soffrire.
E Michael? Vi sta ancora sulle scatole? Credo che, dopo questo capitolo, forse
l'odiate un po' di meno. Almeno sapere perché si comporta così, adesso, è solo
uno scudo, una maschera.
Comunque, passiamo ad Amira, invece, ed a ciò che Ashton le ha spiaccicato in faccia.
Che abbia ragione, suo cugino? Che si sia presa una cotta? In fin dei conti ha pianto ed urlato.
Secondo voi cosa sta succedendo?
Come sempre vi ringrazio per essere arrivati sin qui, siete i lettori migliori di sempre e tengo tantissimo
a voi ed ai vostri pareri.
Prometto e spero, di poter aggiornare presto!
Un bacione grande grande.


Madam Morgana.
   
 
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