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Autore: MadAka    31/05/2015    3 recensioni
Matthew Evans – il principe della situazione – è un celebre giocatore di rugby riconosciuto a livello internazionale.
Danielle Philips – la Cenerentola di turno – è una delle donne di servizio dello stadio in cui lui gioca insieme alla sua squadra.
A fare da sfondo Cardiff e il Galles, per una stessa passione raccontata da due punti di vista diametralmente opposti.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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– Due –

 

Danni

 

 

Mi sistemo nuovamente i capelli, rifacendomi una coda di cavallo per la terza volta in poco tempo. Quando devo stare piegata sul cesto dei palloni, cercando di afferrare quelli sul fondo senza tuffarmici dentro, i capelli legati mi infastidiscono sempre. Il loro non essere né lisci né ricci – ma, il più delle volte, orrendamente gonfi per via dell’umidità gallese di Cardiff – li rende fastidiosi da sopportare. Torno a concentrarmi sul lavoro; afferro anche l’ultima palla da rugby e la infilo nel sacco che ho con me, infine chiudo il tutto e mi avvio verso il campo da gioco. Quando arrivo fuori mi guardo un momento intorno, ascoltando il silenzio. Sul prato di Arms Park1 ci sono solo due degli allenatori della squadra under18 del Cardiff Blues, in attesa dell’arrivo dei ragazzi per l’allenamento in vista dell’imminente partita di domani. L’assenza dei giocatori si sente. Di solito questo prato è pieno di persone che si allenano, uomini che fanno mischie, raggruppamenti, passaggi e altri esercizi. Le loro voci si sovrastano sempre e rimanere a guardarli mentre pulisco gli spalti – insieme alle altre ragazze delle pulizie – è un piacere, soprattutto per me che amo il rugby e tifo Cardiff e Galles da quando avevo cinque anni – ossia vent’anni fa. Ma la squadra titolare oggi non è qui; è a Belfast a sfidare l’Ulster per il primo turno di Pro12. Una partita complicata che, a giudicare dall’orario, ormai sarà terminata.

Raggiungo l’allenatore e poso il sacco accanto a lui:

«Ecco i palloni» gli dico.

Annuisce con la testa, facendomi un cenno di ringraziamento, per poi tornare a parlare con il suo collega. Saluto entrambi a mezza voce e mi avvio. Torno negli spogliatoi e mi ricongiungo alle mie colleghe, intente a pulire da cima a fondo le docce.

«Ok, ci sono» dico appena le raggiungo.

Eleanor, la collega poco più grande di me e quella con cui vado più d’accordo, mi allunga una scopa:

«Se sistemi lì dall’uscita siamo a posto»

Annuisco, andando ad eseguire.

Mentre pulisco cerco di pensare a qualcosa, di distrarmi. Spero che concentrandomi su altro – lavoro o pensieri a caso – mi possa riprendere dal sonno che ormai mi attanaglia dalla mattina. Ho passato buona parte della notte a cercare di studiare, di approfondire e ripetere quello che dovrei sapere per l’esame di lunedì prossimo. Non so dire se mi sento preparata oppure no, di sicuro sono preoccupatissima. Mi sembra, come sempre, di non aver studiato abbastanza, che potrei approfondire di più, solo che spesso mi mancano tempo e voglia per provare a fare questo. Tuttavia è piuttosto complicato – specie per me – conciliare vita da single, università e lavoro; ma un lavoro mi serve altrimenti, oltre che per le rette dell’università, dovrei ammorbare i miei genitori chiedendo loro anche i soldi per affitto e spese varie. Non posso farlo e non voglio nemmeno. In fin dei conti fare la donna delle pulizie ad Arms Park, lo stadio dei Cardiff Blues, non è poi così male, pur non trattandosi di un lavoro molto ben retribuito. Inoltre, lavorando quattro giorni a settimana, solo il pomeriggio, ho anche il tempo di recuperare Jamie – il mio nipotino – quando ha gli allenamenti dell’under 12 qui allo stadio. E, come se non bastasse, le mie amiche – Jenna, la mia migliore amica soprattutto – mi ripetono costantemente che, lavorando qui, ho la perenne possibilità di vedere e conoscere i giocatori della prima squadra, quelli titolari, e alcuni anche nazionali.

Inutile dire che non ne ho mai conosciuto uno che sia uno. Io sono solo la donna delle pulizie, cosa gliene può importare a quelli di me? È già tanto se mi salutano quando ci incrociamo nei corridoi, il più delle volte sono perfettamente invisibile.

Finisco di spazzare e torno da Eleanor.

«Fatto» le dico.

Lei sorride:

«Allora direi che abbiamo finito. Facciamo una pausa?» domanda rivolgendosi a me e alle nostre due colleghe.

Annuiamo tutte e tre e ci avviamo verso una delle uscite sul retro. Appena siamo fuori due si accendono una sigaretta; Eleanor si sistema vicino a me, contro al muro. Mi nota mentre controllo rapidamente l’orario e prende immediatamente parola:

«Come pensi sia andata?» mi chiede.

Si riferisce alla partita Cardiff Blues – Ulster, a Belfast. Alzo le spalle senza rispondere.

Dire che spero che i Blues abbiano vinto è scontato. Tuttavia non so quante chance di vittoria avessero i ragazzi contro questa squadra, temo non molte.

In venti anni ho imparato ad analizzare in modo oggettivo le partite di rugby. Dopo il sei nazioni di quest’anno temo proprio che l’Ulster sia una delle squadre da battere, per quanto mi piacerebbe sbagliarmi.

«Non saprei. Spero che i ragazzi abbiano vinto, ovviamente» rispondo alla fine.

Eleanor si china fino al pavimento, intrecciando poi le mani sopra le ginocchia:

«Beh, questo direi chiunque. Che fregatura, però, non aver potuto vedere la partita»

Annuisco. Mezza Cardiff sarà rimasta sicuramente davanti ai televisori per assistere all’incontro. Questo è indubbiamente uno dei problemi del fatto di dover lavorare il sabato pomeriggio.

«Volete sapere il risultato?» ci chiede una delle nostre colleghe, smartphone alla mano.

«Spara» la incita Eleanor.

«Venti a ventidue per l’Ulster»

Subito io e Eleanor ci guardiamo:

«Stai scherzando?» esclama lei, alzandosi improvvisamente in piedi.

L’altra le allunga il telefonino:

«Controlla tu stessa se non ti fidi»

Ma lei non le dà ascolto e si volta verso di me:

«Venti a ventidue» dice: «Ti rendi conto? Avrebbero potuto vincere»

Annuisco, alzando impercettibilmente le spalle. Eleanor ha ragione, avrebbero potuto vincere. Tuttavia ci sono tutta una serie di fattori da tenere presenti. Dire che “avrebbero potuto vincere” è semplice; una sconfitta va analizzata sotto molti punti di vista. Può esserci una disfatta onorevole o una vittoria da poco. Bisogna vedere se il punteggio rispecchia davvero l’andamento totale della partita o se una delle due squadre è stata più fortunata, o meno, dell’altra. Un risultato può dipendere dal numero di falli commessi, da un intercetto fortuito, da una mischia ingaggiata male, da tutto. Per questo, per me, il risultato finale è buono solo ai fini della classifica.

Esprimo queste opinioni a Eleanor che mi ascolta e subito dopo mi guarda storta:

«Perché questi discorsi non li fai con i giocatori?»

Sbuffo:

«Sì, certo. Cosa ti fa pensare che potrebbero avere voglia di mettersi a parlare delle loro partite con me?»

«Non vedo perché no. Ne sai parecchie di robe sul rugby»

«Forse. Ma non penso che a loro interessi» concludo.

Eleanor continua a guardarmi, dubbiosa. Sta per ribattere, ma fortunatamente una nostra collega, rimasta in disparte a fumare finora, interviene:

«Ci conviene rimetterci al lavoro o non finiremo mai»

Annuiamo tutte e, in silenzio, rientriamo nella struttura. Ringrazio mentalmente la mia collega per aver interrotto il discoro; così facendo ha impedito ad Eleanor di ricordarmi che lavoro a stretto contatto con i giocatori della mia squadra del cuore: so che era sul punto di dirlo. Anche Jenna lo fa sempre; mi dice di farmi avanti, provare a salutarli, fare due chiacchiere con loro. Tuttavia per me è impossibile riuscirci. Sono sempre psicologicamente bloccata dalla posizione che ricopro, dal fatto di essere una delle ragazze che puliscono gli spogliatoi che poi loro andranno a sporcare nuovamente di erba e fango a fine partita. So che non dovrei ragionare così, lo so, ma purtroppo è più forte di me. Non frequento neanche il terzo tempo per questo stesso e stupido motivo.

Forse è ora che io cresca, che smetta di preoccuparmi per una cosa talmente priva di senso. In fin dei conti il mio lavoro qui mi serve per pagarmi gli studi; credo che questa sia una cosa da ammirare abbastanza, dopotutto.

Sospiro. Devo smetterla di prendermi in giro. Alcuni ragazzi che giocano in questa squadra sono anche gli stessi che giocano in nazionale. Molti di loro sono conosciuti a livello mondiale e sono in lizza per diventare future leggende del rugby gallese. Anche se riuscissi ad avvicinarli, anche se a loro non importasse più di tanto il fatto che sono una delle addette alle pulizie, non so in quanti possano essere realmente interessati alla mia storia.

Probabilmente nessuno.

 

 

 

 

Note:

1 Arms Park: stadio del rugby della squadra dei Cardiff Blues.

 

 

 

 

  
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