– Due –
Danni
Mi
sistemo nuovamente i capelli, rifacendomi una coda di cavallo per la terza
volta in poco tempo. Quando devo stare piegata sul cesto dei palloni, cercando
di afferrare quelli sul fondo senza tuffarmici dentro, i capelli legati mi infastidiscono
sempre. Il loro non essere né lisci né ricci – ma, il più delle volte,
orrendamente gonfi per via dell’umidità gallese di Cardiff – li rende
fastidiosi da sopportare. Torno a concentrarmi sul lavoro; afferro anche
l’ultima palla da rugby e la infilo nel sacco che ho con me, infine chiudo il
tutto e mi avvio verso il campo da gioco. Quando arrivo fuori mi guardo un
momento intorno, ascoltando il silenzio. Sul prato di Arms Park1 ci sono solo due degli
allenatori della squadra under18 del Cardiff Blues, in attesa dell’arrivo dei
ragazzi per l’allenamento in vista dell’imminente partita di domani. L’assenza
dei giocatori si sente. Di solito questo prato è pieno di persone che si
allenano, uomini che fanno mischie, raggruppamenti, passaggi e altri esercizi.
Le loro voci si sovrastano sempre e rimanere a guardarli mentre pulisco gli
spalti – insieme alle altre ragazze delle pulizie – è un piacere, soprattutto
per me che amo il rugby e tifo Cardiff e Galles da quando avevo cinque anni –
ossia vent’anni fa. Ma la squadra titolare oggi non è qui; è a Belfast a
sfidare l’Ulster per il primo turno di Pro12. Una partita complicata che, a
giudicare dall’orario, ormai sarà terminata.
Raggiungo
l’allenatore e poso il sacco accanto a lui:
«Ecco
i palloni» gli dico.
Annuisce
con la testa, facendomi un cenno di ringraziamento, per poi tornare a parlare
con il suo collega. Saluto entrambi a mezza voce e mi avvio. Torno negli
spogliatoi e mi ricongiungo alle mie colleghe, intente a pulire da cima a fondo
le docce.
«Ok,
ci sono» dico appena le raggiungo.
Eleanor,
la collega poco più grande di me e quella con cui vado più d’accordo, mi
allunga una scopa:
«Se
sistemi lì dall’uscita siamo a posto»
Annuisco,
andando ad eseguire.
Mentre
pulisco cerco di pensare a qualcosa, di distrarmi. Spero che concentrandomi su
altro – lavoro o pensieri a caso – mi possa riprendere dal sonno che ormai mi
attanaglia dalla mattina. Ho passato buona parte della notte a cercare di
studiare, di approfondire e ripetere quello che dovrei sapere per l’esame di
lunedì prossimo. Non so dire se mi sento preparata oppure no, di sicuro sono
preoccupatissima. Mi sembra, come sempre, di non aver studiato abbastanza, che
potrei approfondire di più, solo che spesso mi mancano tempo e voglia per
provare a fare questo. Tuttavia è piuttosto complicato – specie per me – conciliare
vita da single, università e lavoro; ma un lavoro mi serve altrimenti, oltre
che per le rette dell’università, dovrei ammorbare i miei genitori chiedendo
loro anche i soldi per affitto e spese varie. Non posso farlo e non voglio
nemmeno. In fin dei conti fare la donna delle pulizie ad Arms Park, lo stadio
dei Cardiff Blues, non è poi così male, pur non trattandosi di un lavoro molto
ben retribuito. Inoltre, lavorando quattro giorni a settimana, solo il
pomeriggio, ho anche il tempo di recuperare Jamie – il mio nipotino – quando ha
gli allenamenti dell’under 12 qui allo stadio. E, come se non bastasse, le mie
amiche – Jenna, la mia migliore amica soprattutto – mi ripetono costantemente
che, lavorando qui, ho la perenne possibilità di vedere e conoscere i giocatori
della prima squadra, quelli titolari, e alcuni anche nazionali.
Inutile
dire che non ne ho mai conosciuto uno che sia uno. Io sono solo la donna delle
pulizie, cosa gliene può importare a quelli di me? È già tanto se mi salutano
quando ci incrociamo nei corridoi, il più delle volte sono perfettamente
invisibile.
Finisco
di spazzare e torno da Eleanor.
«Fatto»
le dico.
Lei
sorride:
«Allora
direi che abbiamo finito. Facciamo una pausa?» domanda rivolgendosi a me e alle
nostre due colleghe.
Annuiamo
tutte e tre e ci avviamo verso una delle uscite sul retro. Appena siamo fuori
due si accendono una sigaretta; Eleanor si sistema vicino a me, contro al muro.
Mi nota mentre controllo rapidamente l’orario e prende immediatamente parola:
«Come
pensi sia andata?» mi chiede.
Si
riferisce alla partita Cardiff Blues – Ulster, a Belfast. Alzo le spalle senza
rispondere.
Dire
che spero che i Blues abbiano vinto è scontato. Tuttavia non so quante chance
di vittoria avessero i ragazzi contro questa squadra, temo non molte.
In
venti anni ho imparato ad analizzare in modo oggettivo le partite di rugby.
Dopo il sei nazioni di quest’anno temo proprio che l’Ulster sia una delle
squadre da battere, per quanto mi piacerebbe sbagliarmi.
«Non
saprei. Spero che i ragazzi abbiano vinto, ovviamente» rispondo alla fine.
Eleanor
si china fino al pavimento, intrecciando poi le mani sopra le ginocchia:
«Beh,
questo direi chiunque. Che fregatura, però, non aver potuto vedere la partita»
Annuisco.
Mezza Cardiff sarà rimasta sicuramente davanti ai televisori per assistere
all’incontro. Questo è indubbiamente uno dei problemi del fatto di dover
lavorare il sabato pomeriggio.
«Volete
sapere il risultato?» ci chiede una delle nostre colleghe, smartphone alla
mano.
«Spara»
la incita Eleanor.
«Venti
a ventidue per l’Ulster»
Subito
io e Eleanor ci guardiamo:
«Stai
scherzando?» esclama lei, alzandosi improvvisamente in piedi.
L’altra
le allunga il telefonino:
«Controlla
tu stessa se non ti fidi»
Ma
lei non le dà ascolto e si volta verso di me:
«Venti
a ventidue» dice: «Ti rendi conto? Avrebbero potuto vincere»
Annuisco,
alzando impercettibilmente le spalle. Eleanor ha ragione, avrebbero potuto
vincere. Tuttavia ci sono tutta una serie di fattori da tenere presenti. Dire
che “avrebbero potuto vincere” è semplice; una sconfitta va analizzata sotto
molti punti di vista. Può esserci una disfatta onorevole o una vittoria da
poco. Bisogna vedere se il punteggio rispecchia davvero l’andamento totale
della partita o se una delle due squadre è stata più fortunata, o meno,
dell’altra. Un risultato può dipendere dal numero di falli commessi, da un
intercetto fortuito, da una mischia ingaggiata male, da tutto. Per questo, per
me, il risultato finale è buono solo ai fini della classifica.
Esprimo
queste opinioni a Eleanor che mi ascolta e subito dopo mi guarda storta:
«Perché
questi discorsi non li fai con i giocatori?»
Sbuffo:
«Sì,
certo. Cosa ti fa pensare che potrebbero avere voglia di mettersi a parlare
delle loro partite con me?»
«Non
vedo perché no. Ne sai parecchie di robe sul rugby»
«Forse.
Ma non penso che a loro interessi» concludo.
Eleanor
continua a guardarmi, dubbiosa. Sta per ribattere, ma fortunatamente una nostra
collega, rimasta in disparte a fumare finora,
interviene:
«Ci
conviene rimetterci al lavoro o non finiremo mai»
Annuiamo
tutte e, in silenzio, rientriamo nella struttura. Ringrazio mentalmente la mia
collega per aver interrotto il discoro; così facendo ha impedito ad Eleanor di
ricordarmi che lavoro a stretto contatto con i giocatori della mia squadra del
cuore: so che era sul punto di dirlo. Anche Jenna lo fa sempre; mi dice di
farmi avanti, provare a salutarli, fare due chiacchiere con loro. Tuttavia per
me è impossibile riuscirci. Sono sempre psicologicamente bloccata dalla
posizione che ricopro, dal fatto di essere una delle ragazze che puliscono gli
spogliatoi che poi loro andranno a sporcare nuovamente di erba e fango a fine
partita. So che non dovrei ragionare così, lo so, ma purtroppo è più forte di
me. Non frequento neanche il terzo tempo per questo stesso e stupido motivo.
Forse
è ora che io cresca, che smetta di preoccuparmi per una cosa talmente priva di
senso. In fin dei conti il mio lavoro qui mi serve per pagarmi gli studi; credo
che questa sia una cosa da ammirare abbastanza, dopotutto.
Sospiro.
Devo smetterla di prendermi in giro. Alcuni ragazzi che giocano in questa
squadra sono anche gli stessi che giocano in nazionale. Molti di loro sono
conosciuti a livello mondiale e sono in lizza per diventare future leggende del
rugby gallese. Anche se riuscissi ad avvicinarli, anche se a loro non
importasse più di tanto il fatto che sono una delle addette alle pulizie, non
so in quanti possano essere realmente interessati alla mia storia.
Probabilmente
nessuno.
Note:
1 Arms Park: stadio del
rugby della squadra dei Cardiff Blues.