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Autore: CassandraBlackZone    31/05/2015    3 recensioni
AGGIORNAMENTO: 13° capitolo
[Jeff the Killer]
È impossibile. È una sua complice. L’ha tenuta in vita per uccidere più persone: è un’esca umana. Ci farà ammazzare tutti.
No, è inutile. Ogni giorno cerco di farmi coraggio e provare a raccontare la mia versione, così da smentire ogni sorta di voce, ma non ci riesco. Io vorrei davvero… raccontare cosa successe realmente quella notte di un anno fa. La notte in cui i miei genitori vennero uccisi.
Il mio nome è Elizabeth Grell. Sedici anni. E sono sopravissuta al tentato omicidio di Jeff the killer.
Genere: Azione, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jeff the Killer
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il mio nome è Benedict Scott. Tutto ciò che dovete sapere di me è che ho sedici anni, sono un amante dello sport, dei videogiochi, mi affascina la psicologia, in particolare quella dei criminali, e sono un amico di Elizabeth Grell.
Il motivo per cui sono qui è l’indisponibilità di Lizzie in questo momento. D’altronde, come darle torto? Come se la sorte non le avesse già reso la vita impossibile, tra la morte dei suoi genitori, l’emarginazione e la scioccante scoperta che la lega al loro assassino, quest’oggi ha voluto infierire nuovamente lasciando che Jordan, il suo migliore amico, venisse ucciso, guarda caso, da Jeff the Killer.
Jeff. Lo stesso serial killer a cui ho dedicato alcuni anni della mia vita, che da un’innocua curiosità è diventato oggetto di mie fantasie omicide nei suoi confronti.
Diversamente da Lizzie, mi è difficile esprimere nero su bianco tutto ciò che ho provato e tuttora sto provando. L’unica cosa che posso scrivere è ammettere la mia incapacità di poterla aiutare, soprattutto ora che è psicologicamente e fisicamente distrutta. Non le sono stato accanto come avrei dovuto, mi sento inutile stando qui ai piedi del suo letto, mentre lei piange sul guanciale per attutire le sue urla di dolore, ma purtroppo non mi è permesso avvicinarmi a lei per almeno una trentina di minuti, il tempo necessario per illustrarvi cosa successe questo pomeriggio.
Fu un’impresa scollarmi dalla donna e dalla folla di ipocriti attorno a me, ma perlomeno riuscii a non far avvicinare nessuno a quell’angolo. Tra loro nessuno sembrò aver capito cosa la spaventò, mentre io e Lizzie sì. Ciò che dedotti al locale, si rivelò essere in parte una verità: attraverso il suo modo di parlare e il suo comportamento, capii che Jordan stava, in un certo senso, mentendo, ma non potevo di certo immaginare che anche lui fosse collegato a Jeff.
Non appena svoltai l’angolo, l’unica cosa che attirò la mia attenzione era il rosso accesso del sangue sulla staccionata di legno, sui muri e sui bidoni della spazzatura e infine… i miei occhi si concentrarono sul corpo mutilato di Jordan.
«Oh Cristo… no. Non è possibile! Jordan!»
«È morto.» disse Lizzie con la voce strozzata, prima che potessi anche fare solo un passo, «Lui… è morto» ripeté ancora più sofferente.
La mia curiosità mi obbligò ad allungare l’occhio sulle ferite: orribili, un’opera degna della bestia che è Jeff.  Difficilmente non notai due pezzi di carta vicino al corpo. Erano una fotografia di Lizzie e un biglietto scritto con il sangue «Bastardo…»
«Sono stata io… Io li ho uccisi. Sono io l’assassina di Jordan e di Rose… SONO STATA IO!»
Quelle urla disperate rivolte verso il cielo, intente a ricevere una risposta, si dispersero nell’aria sotto gli occhi delusi di Lizzie, che si rassegnò, davanti all’indifferenza della mera illusione chiamata Dio.
A quel punto, la strinsi da dietro, bloccandole mani e braccia, cosicché non iniziasse a graffiarsi con le unghie «Lizzie, smettila! Calmati!»
«Guarda, Ben… Non va via! IL SANGUE DI JORDAN NON VA VIA! È SULLE MIE MANI!»
A malincuore, dovetti stringere più forte, onde evitare che continuasse anche a strofinare palmi e dorsi delle mani del tutto immacolate «Lizzie, non hai nulla! Non hai le mani sporche di sangue! Tu non lo hai ucciso, Jeff lo ha fatto! Non tu!». Inaspettatamente, la mia voce la raggiunse e la indusse a calmarsi, ma non a smettere di urlare «Lizzie, ti prego. Ora calmati. Non urlare o altrimenti ti sentiranno! Dobbiamo andarcene subito!»
«Ma… Jordan… non possiamo lasciarlo così!» singhiozzò lei.
«Se ci trovano qui saremo costretti a parlare!»
«NON VOGLIO!»
Pur dimenandosi, riuscii a bloccare Lizzie senza problemi, ma allentai poco per volta la presa non appena avvertii i suoi muscoli rilassarsi fino a lasciarla del tutto. Un imbarazzante silenzio divise me e Lizzie, un silenzio spezzato dai miei inutili tentativi di tranquillizzarla e convincerla ad allontanarsi con me prima che qualcuno si accorgesse del cadavere di Jordan.
Per esperienza personale, trovarmi nella scomoda posizione di dover prendere una decisione importante non era mai stata una novità, ma questo pomeriggio, per la prima volta, mi sentii disorientato sul da farsi.
Poiché il tempo stringeva, tentai nuovamente di parlarle, ma mi bloccai, o per meglio dire, qualcosa mi bloccò. Un odore intenso e maleodorante trasportato da una folata di vento, mi costrinse a chiudere la bocca.
Facendomi forza, cercai di deglutire senza pensare o anche solo immaginare a cosa era dovuto quel fetore, dopodiché tossii «Ma cos’è? Viene dalla  spazzatura? È disgustoso!»
«No» rispose Lizzie aggressiva  avvicinandosi al corpo di Jordan«È lui.»
«Lui?» non ricevendo risposta, decisi di avvicinarmi lentamente a lei «Lui chi, Lizzie?»
«È QUEL BASTARDO!»
Con tutta l’agilità di cui disponeva, Lizzie saltò sui bidoni di ferro per superare la staccionata.
«Lizzie!»
Un insolito crepitio, seguito da un fruscio che si allontanava sempre di più, mi invitarono a prendere al volo la fotografia di Lizzie e il biglietto e a saltare a mia volta.
Appena toccai terra, davanti a me si presentò una distesa di erba secca alta fino alle cosce e lunga quanto due campi da calcio a undici. Ne rimasi talmente affascinato, che dovetti restare a fissarla, mentre ondeggiava mossa dal vento, finché di nuovo quel tanfo non mi ricordò che dovevo inseguire Lizzie.
Adocchiata la sua felpa color cremisi, mi apprestai a raggiungerla, pregando che quegli anni passati a praticare atletica leggera mi sarebbero stati utili in quella occasione.
«Lizzie! Ti prego, fermati!» ogni mio vano tentativo di chiamarla venne ignorato da un fugace sguardo glaciale di lei, per nulla intenzionata a fermarsi. Intanto, potei sentire l’acido lattico accumularsi sempre di più.  «LIZZIE!»
Finalmente ( e per mia fortuna, aggiungerei ), la corsa sembrò esser giunta al termine, poiché la tanto fuggevole macchia rossa si arrestò tutt’a un tratto. Ero pronto a rimproverarla per la sua impulsività e testardaggine, quando un albero secolare su una collinetta a circa duecento metri da noi, non attirò la mia attenzione, ma più di ogni altra cosa, fu la silhouette di un uomo ai piedi dell’arbusto.
Socchiudendo gli occhi cercai di identificarlo, riuscendo a distinguere prima una felpa bianca e sudicia, poi dei capelli corvini spettinati  e… un volto altrettanto bianco con un ampio sorriso scarlatto. «Oddio, ma quello… Non può essere. È Jeff?» balbettai tra un misto di entusiasmo e terrore: Jeff the killer era davanti ai miei occhi.
«PERCHÉ LO HAI FATTO?!» urlò Lizzie con tutto il fiato che aveva in corpo, non curandosi minimamente con chi aveva a che fare. L’odio, in quel momento, predominava su ogni cosa, persino sulla paura «PERCHÉ HAI UCCISO JORDAN?! TU VUOI ME, GIUSTO?! ALLORA VIENI A PRENDERMI! SONO QUI!» Lizzie allargò le braccia battendo i pugni sul petto «AVANTI! CHE COSA ASPETTI?! VIENIMI A PRENDERE!»
«Lizzie, smettila! O verrà veramente!»
Un movimento improvviso del killer, mi indusse ad avvicinarmi a Lizzie per spostarla dietro di me. Per un attimo, mi aspettai uno scatto improvviso da parte sua o una folle risposta all’invocazione di Lizzie, ma tutto ciò che fece fu darci le spalle e allontanarsi indisturbato dalla collinetta.
Non nascondo il mio sollievo dopo che Jeff sparì dalla mia vista. Il mio cuore riprese il suo battito regolare e i miei muscoli poterono rilassarsi. Mai avrei immaginato di poterlo incontrare di persona, o per meglio dire, non lo avrei mai voluto.
«Perché?» la voce flebile di Lizzie e un leggero tonfo mi riportarono alla realtà. Davanti a lei, inginocchiata e in lacrime, non potei far altro se non essere impotente e mortificato.
«Lizzie…»
«PERCHÉ?!»
 
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New York Public Library, la terza più grande biblioteca dell’America del Nord a partire dal 1895, un edificio imponente che riproduce l’architettura di un tempio classico, che procura quella vertigine inconfondibile, spiazzante, che si trova di fronte a uno spettacolo meraviglioso. La facciata di marmo bianco in stile Beaux Arts;  le statue in marmo ai lati della gradinata che raffigurano due leoni, Pazienza e Forza, considerati da sempre i veri custodi della biblioteca; allegorie della verità, della bellezza, della filosofia, del romanzo, della religione, della poesia, del dramma e della storia, rappresentate da statue altrettanto raffinate e stupende.
Ancora prima di entrare, gli occhi del giovane ventenne brillano davanti a quell’arcana bellezza.
«Una vera dea, eh?»
Preso alla sprovvista, il biondo si volta di scatto, ma appena incrocia due piccoli occhi policromi dietro ad un paio di occhiali a mezzaluna, sorride «Curatore Maller. Mi ha fatto venire un colpo.»
Il cinquantenne soffoca una risata rispondendo al sorriso del giovane.
Pur essendo estate, l’uomo indossa il suo abituale completo in tweed color bordeaux con tanto di panciotto, mocassini in pelle e vernice nera, che gli conferiscono quell’aspetto sofisticato e inglese di cui va fiero, accompagnato dal suo fidato bastone da passeggio dal manico a forma di testa d’elefante.
«Allora. È arrivato il tuo momento, ragazzo. Ne sei felice?»
«Oh, altroché!» risponde entusiasta «Non vedevo proprio l’ora!»
«Sei stato fortunato. Il buon vecchio Sullivan si è proprio ammalato una settimana dopo dalla tua richiesta di lavoro nella biblioteca.»
«Già. Proprio una fortuna.»
«Credimi, giovanotto. Non appena lessi il tuo curriculum ne rimasi molto colpito! Hai tutti i requisiti necessari, nonostante tu sia così giovane.»
Il ragazzo allarga il sorriso lusingato «BÈ, mi sono dato da fare.»
«E lo vedo! Vogliamo entrare?»
Se l’esterno è una delizia per gli occhi, l’interno non è da meno. Un tripudio di emozioni si fanno largo nel biondo ad ogni passo: sia salire le meravigliose scale del secondo piano che ammirare gli splendidi affreschi dipinti sulle pareti, ma più di ogni altra cosa, la vera protagonista è l’immensa sala principale di lettura. Illuminata da splendidi lampadari di cristallo, sormontata da un soffitto ben lavorato e decorato da ulteriori affreschi, che ospita oltre seicento posti a sedere e incanta ogni visitatore e fa venir sete di cultura. Essa è imbottita di libri di ogni genere e arricchita di prodotti multimediali innovativi. È una fucina di idee inesauribili, dove il profumo un po’ polveroso delle pagine antiche incontra le luci e i colori della moderna creatività.
«È… davvero favolosa. Ogni volta che entro mi sento come un bambino. Sempre pronto a riscoprirla.»
«Oh, smettila giovanotto! Così finirò col premiarti per incarichi più importanti del semplice archiviare!» scherza il professore ridendo «Ammiro il tuo entusiasmo. Magari tutti i tuoi coetanei fossero come te.»
«In realtà ho ancora molto da imparare e spero che questo lavoro possa aiutarmi.»
«Non ne rimarrai deluso. Bene, mi è piaciuto fare due passi e chiacchierare con te, ma ora dobbiamo parlare di lavoro.»
A malincuore, curatore e sostituto temporaneo devono lasciare la Rose Main Reading Room per ritornare al primo piano per raggiungere la DeWitt Wallace Periodical Room.
«Che dire. Benvenuto nella sala dei periodici!» annuncia Maller allargando le braccia e indicando le moderne scaffalature mobili metalliche, che ospitano ben undicimila testate di periodici.
«Caspita. È davvero fantastico!»
«Puoi ben dirlo, ragazzo mio. Ora seguimi.» superate una decina di scaffalature, il curatore ne sposta una con il semplice comando elettronico «Vedi questa pila di giornali? Be’, puoi pure iniziare il tuo lavoro da questi.»
«Certo!»
«Bene. Ah, ti avverto. È probabile che di tanto in tanto passino per darti dei nuovi articoli da aggiungere al malloppo.»
«Oh, deve essere una testata importante.»
Maller ridacchia forzatamente cercando di nascondere la sua preoccupazione «Giudica tu stesso, vuoi?»
Il giovane ventenne si avvicina ai giornali e ne sfila uno. La foto in prima pagina lo sorprende a tal punto da farlo cadere.
«Ragazzo! Fa attenzione!» gli urla il curatore.
«M-mi scusi! Ecco… io non mi aspettavo di vedere qui…» balbetta il ragazzo mortificato «Questi riguardano tutti Jeff the killer?» dice tutto ad un fiato.
«Esattamente. In una biblioteca stimata come la nostra non poteva di certo mancare un soggetto come il caro Jeff. Senza contare che molti giovani in questi giorni richiedono molto materiale che lo riguardano.»
«Capisco…»
«Ragazzo mio, non ne sarai mica spaventato?» chiede Maller con tono rassicurante.
«Be’, ammetto… che mi inquieta un po’.»
«Non ti biasimo. Dopotutto ha una macabra reputazione che lo precede.»
«Già…»
«Mi dispiace, ma ora devo proprio tornare al terzo piano. Ho molte cose da fare e…»
«Non ci posso credere!» l’urlo improvviso del biondo fa sussultare l’uomo.
«C-che succede ora?!»
«Questo… è davvero quello che penso?» tra i quotidiani, il ragazzo intravede quello che a prima vista gli sembrò un libro nero, finché non lesse il titolo:Diario di una sopravvissuta.
«Temo di non capirti, ragazzo.» risponde Maller confuso.
«Non lo conosce? È stato pubblicato circa un mese fa da Elizabeth Grell!»
Maller lascia cadere il suo bastone da passeggio per togliere dalle mani del ragazzo il diario in pelle nera per esaminarlo «Grell? La ragazza sopravvissuta a Jeff the killer?! Non è possibile! Non ne ero al corrente! Che cosa ci fa qui?»
«Speravo che me lo spiegasse lei. In una settimana la sua storia ha avuto un enorme successo. Molti hanno richiesto una ripubblicazione, anche in altri paesi del mondo.»
«A giudicare dalle pagine sembra proprio un diario scritto a mano, ma non possiamo affermare con certezza che fosse di Elizabeth così su due piedi. Dobbiamo aspettare Greta. Se ne occuperà lei.»
«Non può farlo lei ora?»
«Ragazzo mio, ti ho già detto che degli impegni urgenti da sbrigare. Te lo lascio nelle tue mani, lei dovrebbe arrivare fra un’oretta. Intanto, occupati del resto.»
«Certo, signor Maller!»
«Bene. Allora, ci vediamo più tardi.» aggiustatosi cravatta e occhiali e raccolto il suo bastone, raggiunge la porta per uscire con un atteggiamento il più inglese possibile.
Sicuro di esser rimasto da solo, il ragazzo ne approfitta per sfogliare il diario. Pur non essendo un vero e proprio esperto, per qualche strano motivo è più che convinto che quello che aveva tra le mani era il vero diario di Elizabeth Grell: il giorno stesso dell’uscita del suo libro, lui lo comprò e lo lesse tutto con il fiato sospeso. Mai avrebbe immaginato che qualcuno potesse sopravvivere dalle grinfie di Jeff the killer.
«È incredibile. C’è una buona probabilità che questo sia il diario di Elizabeth! Non ci posso cred-… hm?» a tre quarti del diario, il ragazzo passa con un indice sulla data alquanto confuso: Giorno X.
Che cosa significa, si chiede lui; perché mettere una  X, quasi fosse un’incognita, quando il giorno prima è il quarantesimo? «Ok… evidentemente non è il suo diario. Infatti il libro finisce proprio con il quarantunesimo giorno. O forse… è il libro ad essere…» assicuratosi che non ci fosse nessun altro oltre a lui e ricordatosi che Greta sarebbe arrivata lì fra un’ora circa, il ragazzo ne approfitta per leggere quella ventina di pagine indisturbato.
«Forse… è successo qualcosa di più. O peggio: è successo qualcosa di completamente diverso quel giorno, al ballo scolastico del liceo di Elizabeth Grell.»
 
PREMESSA DELL’AUTRICE:
Finalmente… ce l’ho fatta… sono riuscita a pubblicare… uff… insomma, che dire se non la parola SCUOLA. Studio, studio e ancora studio… che qualcuno mi uccida, vi prego…
Ad ogni modo, ok… ho voluto apportare de cambiamenti. È evidente che ormai non ha più nulla a che fare con un diario ( forse l’ho già detto nei capitoli precendenti), ma… pazienza, spero che la storia possa comunque continuare a piacervi.
Punto due: ho fatto una fatica boia a descrivere la biblioteca pubblica di New York, visto che non ci sono mai stata… mi sono dovuta ingegnare attraverso una ricerca su internet. Se qualcosa non quadra, fatemelo sapere.
Ogni cosa ha il suo tempo, speravo di riuscire a scrivere di più, ma a quanto pare mi sono dovuta fermare qui… spero di non avervi annoiato ( se sì, mi dispiace, ma più avanti andrà meglio. I promise) e cercherò di aggiornare al più presto. Ciao!
 
Cassandra
 

 
   
 
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