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Autore: specchirotti    01/06/2015    1 recensioni
Zayn ha amato Frida accarezzandola, e l'ha amata ancor di più consumandosi dentro quando l'ha persa. Ed ora, darebbe tutto ciò che può per tornare indietro e amare Frida come si amano, invece, le cose che hai paura di perdere, come si amano le cose fragili. La maneggerebbe con cura, sfiorando gli avvallamenti del suo essere e riempiendoli con le sue sporgenze. Tornerebbe indietro, per non sbagliare ancora, e ancora. Ma non può. E Frida ora non c'è.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Protrusions and depressions.


 


 
Zayn Malik frequenta l'ultimo anno di liceo e ha tredici pagine di storia da studiare. Ed è nuovo nella sua scuola. Beve caffè amaro in vetro e fuma soltanto quando è da solo, una Philip Morris centos sempre poggiata sull'orecchio sinistro. Il sabato sera beve birra e sta quasi sempre in silenzio. In compenso disegna. Tutto quello che non dice è impresso sui muri di casa sua, sulle piastrelle del bagno della scuola, quello al terzo piano, dietro la copertina del libro di matematica, sul suo banco e dietro lo schienale della sedia del tipo seduto davanti a lui. È impresso nelle sue mani, tra le dita sempre sporche di carboncino. E scrive. Ha una grafia spigolosa, come i contorni del suo essere. Ai margini delle pagine di libri assurdi, dalle trame talmente intricate da non dormirci la notte. Appunti, pensieri o riflessioni. Per lo più cazzate con le quali, a rileggerle, non è mai d'accordo. È incoerente, Zayn. Pensa un foglio bianco, dice un minuscolo punto nero e poi disegna con sette sfumature dello stesso colore. Non ama la compagnia, ha pochi amici e i calzini quasi sempre spaiati nelle scarpe di tela decisamente vissute. Ama sua madre più di qualsiasi altro essere vivente sulla Terra e su qualunque altro pianeta nella galassia. Crede negli alieni e nella reincarnazione e mette la lingua tra i denti quando sorride. Non gli piace la luce, al buio respira piano, senza fare rumore. Si veste distrattamente e ha sempre con sé le cuffiette annodate in tasca. Non ha un cellulare, perché non esiste nulla di più asettico di una chiamata o di un sms. Le persone si vivono a pelle, con le mani, con gli occhi e il profumo che rimane stampato sui vestiti. I capelli gli cadono sugli occhi ma non li sposta e ha le ciglia lunghe a contornare gli occhi ambrati. Ha la barba sempre sfatta e troppe ragazzine che lo fissano impalate mentre cammina per i corridoi della scuola. È sempre assorto nei suoi problemi, quasi non esistesse null'altro al mondo che lo circonda. È estremamente pacato, riflessivo. Mangia poco e ha un mucchio di pacchetti di sigarette vuoti accumulati sulla scrivania. Aspetta sempre l'alba sveglio, appoggiato allo stipite della porta finestra della sua stanza. Non ha mai fumato erba e ha un poster a grandezza naturale di Megan Fox attaccato alla parete di fronte al suo letto. Non ha mai avuto una ragazza. Ma non vuol dire che non sappia amare. Anzi, al contrario. Zayn è uno di quelli che per aprirsi con una persona ci impiega millenni, figurarsi per amarla, una persona, e per farsi amare. Ma quando ha abbattuto i muri che pazientemente costruisce intorno alla sua anima di vetro per evitare che vada in frantumi, beh. Allora Zayn ama. Ed è capace di farti stare in Paradiso e all'Inferno nel medesimo istante. Ama perché graffia con gli spigoli del suo essere e consola con le mani grandi e callose, sporche di carboncino. E c'è quel suo sorriso che diventa così puro e innocente, e i silenzi che si riempiono di sguardi che, nel pieno dei cliché, valgono più di miliardi di inutili parole. Ha amato, Zayn. Fino a consumarsi, fino a corrodersi dentro ha amato la persona più sbagliata. Ma la persona più giusta per lui. Ha amato Frida come si amano le cose che si danno per scontate. Accorgendosi della loro importanza solo dopo averle perse. Come quando ti accorgi che hai finito i chewing gum dopo aver fumato diciassette sigarette prima di tornare a casa. O come quando succede che perdi le cuffiette aggrovigliate nella tasca dei jeans e le cerchi invano se sei annoiato sull'autobus. Zayn ha amato Frida accarezzandola, e l'ha amata ancor di più consumandosi dentro quando l'ha persa. Ed ora, darebbe tutto ciò che può per tornare indietro e amare Frida come si amano, invece, le cose che hai paura di perdere, come si amano le cose fragili. La maneggerebbe con cura, sfiorando gli avvallamenti del suo essere e riempiendoli con le sue sporgenze. Tornerebbe indietro, per non sbagliare ancora, e ancora. Ma non può. E Frida ora non c'è.
 
L'unica lezione che Zayn e Frida avevano in comune era quella di matematica applicata, tenuta dal signor Miller, un ometto sulla cinquantina con un palese tupè e gli occhiali poggiati sulla punta del naso aquilino. Nessuno, nell'aula accaldata, riusciva ad ascoltarlo o cercare di seguire la contorta dimostrazione del limite che tende ad infinito. Mancavano quattro minuti alla fine delle lezioni prima del pranzo e Zayn scarabocchiava frasi di una canzone dei Coldplay su un quaderno qualsiasi. Al sollevante suono stridulo della campanella aveva raccolto il suo Eastpack nero gettando dentro le sue cose e con il capo chino, pensieroso, aveva imboccato l'uscita dell'aula seguendo a ruota metà della classe. "Tu disegni" e non era una domanda quella che gli era stata rivolta. Occhiali dalla montatura decisamente spessa occupavano il viso di quella ragazza appoggiata alla parete tappezzata di volantini accanto all'aula di matematica. Zayn aveva prima cercato di capire da dove quella voce provenisse e dopo aveva guardato interrogativo quella ragazza con cui null'altro condivideva se una noiosissima lezione a settimana. Era rimasto lì impalato prima che la ragazza, che stringeva al petto i suoi libri, riprendesse a parlare. "Hai i polpastrelli perennemente neri" aveva spiegato allora Frida "e durante la lezione scarabocchi dovunque e in continuazione. Quindi ho dedotto che sei un artista" aveva dunque concluso con un'espressione soddisfatta e la testa leggermente inclinata. Zayn continuava a guardare Frida in maniera interrogativa, prima di risponderle con un semplice cenno del capo e un sorriso accennato su di un angolo della bocca. Allora si era voltato e aveva ripreso a camminare verso il cortile e la pista di atletica. Aveva già pronta la sua Philip Morris quando "Insegnami" gli aveva detto poi quella ragazza decisamente invadente che, a quanto sembrava, lo aveva osservato più del dovuto mentre lui si isolava dal resto del mondo. Proprio lui che nulla faceva per farsi notare. Quella voce sottile aveva bloccato il suo andare e dunque si era nuovamente voltato e "Non sono capace. Scusa, devo andare" le aveva risposto, cercando di liquidarla nella più veloce maniera possibile. Non rassegnandosi, Frida aveva continuato imperterrita presentandosi, pronunciando il suo nome mentre Zayn calpestava con le scarpe di tela consumate un disegno che gli era caduto dall'album senza che se ne accorgesse, voltando le spalle e imboccando l'uscita. Frida aveva raccolto quel disegno che ritraeva il profilo di una donna dal cipiglio malinconico, quasi triste, in primo piano, circondata da una distesa d'acqua e iceberg appuntiti. Lo aveva piegato con cura e infilato nel suo libro di matematica.
 
La settimana successiva era trascorsa inerme, senza nessun avvenimento particolare, eccetto che la squadra di baseball della scuola era stata per l'ennesima volta stracciata durante una partita amichevole e che il cibo della mensa tentava decisamente invano di diventare più commestibile. Quel venerdì sera, dopo aver lasciato Niall e Liam ad ubriacarsi nello storico pub del quartiere, Zayn era rientrato a casa e mentre, con la sigaretta pendente tra le labbra, segnava tratti casuali su uno dei pochi spazi rimasti liberi delle pareti della sua stanza, si era ritrovato a pensare a quella ragazza che lo aveva fermato dopo matematica applicata, di cui non ricordava neppure il nome, sicuramente non lo conosceva, o non l'aveva sentiva mentre lo pronunciava. Un sorrisetto gli era spuntato sul viso e aveva scosso leggermente la testa, annotando mentalmente che Liam si era fregato la sua clipper e che gliel'avrebbe fatta pagare.
 
Quando suona, Zayn, è un po' come quando disegna. Niente, di quello che lo circonda, può competere con ciò che ha dentro. Le dita si muovono leggere e veloci sui tasti bianchi e nera appena un po' scordati. La gamba destra tiene impercettibilmente il ritmo. Le labbra socchiuse a respirare quella musica che con forza si insinua tra l'immenso casino della sua stanza. Gli occhi chiusi e i capelli spettinati che gli ricadono scomposti sulla fronte. Ondeggia leggermente e di tanto in tanto sorride. A se stesso. Alla musica. A tutto quello che è capace di dire senza parole. È decisamente un artista, Zayn. Ce l'ha nel sangue, senza che nessuno gliel'abbia insegnato. Disegna, suona come se fosse la cosa più semplice e naturale del mondo. Come quando semplicemente respira e il cuore gli batte tra le costole. E quando suona è come se riuscisse ad avvicinarsi di un passo in più, ogni volta, al cielo, il suo cielo, che gli tiene compagnia, che sulla sua testa lo protegge, che tende ad infinito come i limiti che studia a matematica applicata.
 
Successe, un mercoledì mattina, che mentre il signor Miller tentava invano di sovrastare le voci confuse della classe, Zayn si sorprendeva a guardare la ragazza dagli occhiali enormi che, come una mosca bianca, ascoltava assorta la spiegazione prendendo frenetici e confusionari appunti. Una crocchia spettinata lasciava ricadere ciocche di capelli sulla fronte e sul collo e lo smalto rosso sbeccato risaltava sulla pelle diafana delle mani sottili. Si era trovato a guardare le ciglia che sbattevano di tanto in tanto, o la mano veloce che scriveva impugnando fermamente la matita, o i piedi incrociati sotto il banco singolo della terza fila a destra. E si era ritrovato a pensare che gli sarebbe piaciuto ritrarla, così mentre la luce artificiale dell'aula illuminava spudoratamente tutti i lineamenti di quel volto. Successe che la campanella era suonata distraendo Zayn da quel pensiero, che aveva sorpreso lui stesso, e lo aveva scacciato scuotendo leggermente la testa. Si era fermato più del necessario in aula e contava note bemolli sulle dita, credendo di essere solo. C'era Frida però nell'aula e inaspettatamente Zayn le si era avvicinato piano e quando si era trovato di fronte al suo banco, la ragazza era sobbalzata per la sorpresa. "Io non ti conosco, non potrei insegnarti a disegnare." Aveva esordito così, come se quella fosse stata la risposta ad una conversazione lasciata in sospeso. Frida l'aveva prima guardato interrogativa, non riuscendo a comprendere di cosa quel ragazzo stesse parlando. Poi aveva annuito sorridendo leggermente. Aveva alzato gli occhi e allungato il braccio verso di lui "Piacere, Frida. Ora mi conosci." Aveva allora detto lei, senza ricevere però nessuna risposta in cambio. La mano lasciata in sospeso e Zayn che continuava ad osservarla. "Suppongo che il piacere sia tutto mio" aveva dunque concluso, ritirando la mano, mostrando un'espressione ironica ma senza smettere di sorridere. Zayn aveva alzato appena gli angoli delle labbra in quella che pareva l'ombra di un sorriso e "Sono Zayn" aveva risposto "e tu hai il mio disegno, lo so." Aveva lasciato la frase in sospeso e si era voltato, mentre sentiva la voce sottile di Frida ridere mentre "Grazie per il regalo, allora" diceva e dopo qualche minuto lasciava l'aula.
 
Zayn è una di quelle persone che fa un passo avanti e poi ne fa altri due indietro, per timore di spezzarsi, di mandare la sua anima in frantumi. Frida, invece, fa sempre il passo più lungo della gamba, si affretta per paura di arrivare in ritardo. Non potevano essere più sbagliati insieme. Ma allo stesso tempo erano così completi, nelle loro sporgenze e nei loro avvallamenti. E se Zayn si avvicinava appena un po' perché con delicatezza aveva tirato via un mattoncino dalla sua muraglia, Frida era già pronta ad abbattere qualunque cosa le si fosse parata davanti. Allora Zayn ritornava immediatamente al punto di partenza e, oltre che pacato e riflessivo, diventava quasi schivo. Non l'avrebbe mai fatto apposta. È semplicemente fatto così, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Allora Frida tornava indietro e aspettava. Era impaziente ma sapeva aspettare. E aspettava. Così avevano, a poco a poco, imparato a conoscersi. Tra silenzi, sguardi nascosti e sfioramenti casuali che ad un occhio superficiale non avrebbero significato nulla. Ma ad uno più attento sarebbero sembrati i segni di una graduale evoluzione. Zayn e Frida erano come quello che studiavano. Un limite che tende ad infinito. Tra silenzi e incomprensioni, sguardi rubati e parole non dette. Sporgenze e avvallamenti. Limitavano loro stessi in quello che erano. Ma tendevano verso l'infinito di quello che sarebbero potuti essere incastrandosi nelle loro imperfezioni e diversità. Ogni giorno qualcosa di nuovo li sorprendeva sempre più affini e complici. Ogni giorno smussavano a vicenda gli spigoli di quel che erano.
 
Il sole primaverile aveva sostituito la luce artificiale e Zayn aveva costruito un altro muro intorno al suo mondo. Aveva paura. Frida semplicemente l'aveva capito e semplicemente l'aveva aspettato. Perché lei sapeva. Ormai scudi e difese stavano venendo meno davanti alla naturalezza con cui Frida scavalcava imperterrita quei muri, fregandosene dei silenzi. Sapeva che lui aveva paura. Di lei. Del fatto che avrebbe potuto scoprirla, e poi amarla. Ma soprattutto del fatto che avrebbe potuto lui stesso scoprirsi e riuscire a farsi amare tra difetti e mani ruvide. Se le dicesse di amarla, nell'esatto momento si morderebbe la lingua dopo essersi reso conto di quello che ha detto. Un passo avanti e due indietro. E allora, la sigaretta appena stretta tra le labbra carnose, le gambe incrociate e la schiena ricurva su se stesso, in silenzio disegnava quel volto che aveva osservato a lungo e del quale oramai conosceva a memoria tutti i lineamenti. Fuori il cielo imbruniva e il sole tramontava, lasciava spazio al buio interrotto dal tiepido chiarore della luna. Zayn continuava a disegnare.
 
Ormai non era più come prima. Lui si era quasi arreso e sarebbe stato impossibile ricominciare tutto daccapo. Lui era estenuante. E Frida non avrebbe mollato proprio ora che impercettibilmente, di tanto in tanto, le sorrideva, con la lingua tra i denti. Sapeva di dover fare qualcosa. Non ci pensò due volte che era già uscita di casa. In realtà, non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, ci avrebbe pensato poi. Ma, per nessuna ragione al mondo, avrebbe rinunciato a qualcosa che sarebbe potuto essere speciale.
 
Si erano fissati per minuti che sembrava non sarebbero terminati mai. Frida in piedi con alle spalle la porta semi aperta, Zayn dal lato opposto della stanza. Si erano guardati dentro. Si erano mancati. Avrebbe voluto sorridergli teneramente e avvicinarsi e prendergli la mano e accarezzarla, Frida. Ma rimase lì, mentre con movimenti serafici, impercettibili cominciava a sfilare dalle asole i bottoni della camicia leggera che indossava in quel giorno di primavera inoltrata. Un bottone dopo l'altro, si intravedeva il petto diafano della ragazza. Aveva lasciato cadere a terra quell'indumento ormai d'intralcio e aveva poi cominciato a tirare giù i jeans slavati strappati sulle ginocchia. Continuava a guardare Zayn fisso negli occhi. Lui deglutiva e aveva cominciato a stringere i pugni a tal punto che le nocche gli erano diventate completamente bianche. Non riusciva a mettere insieme un concetto ben definito. Non riusciva a pensare. Aveva respirato appena con la bocca socchiusa mentre Frida si voltava di spalle e lasciava cadere sul pavimento, tra il mucchio di altri vestiti, l'intimo semplice che indossava sotto. Aveva chiuso gli occhi per un brevissimo secondo. Probabilmente era una visione quella che stava avendo davanti agli occhi. Era un'allucinazione quella di  Frida in piedi davanti a lui, nella sua stanza, completamente nuda. Che lo fissava tranquilla, ma con occhi di sfida. Poi lei si era mossa. Aveva appena gironzolato per la stanza prima di trovare un foglio bianco e una stecca di carboncino. Gli si era avvicinata ed ora gli aveva preso realmente la mano, gli aveva porto l'occorrente e con estrema lentezza si era seduta sul letto. Non traspariva un minimo di malizia dai suoi movimenti. Frida era nuda, assolutamente, seduta sul letto di Zayn eppure la semplice purezza che trasudava dal suo corpo era disarmante. "Ci ho provato" ad un tratto aveva detto "ho provato in tutti i modi possibili a cercare di abbattere i muri di cui ti circondi. O almeno a creare un piccolo spiraglio per poterti spiare, anche in lontananza, anche in minima parte." La voce di Frida era flebile e mansueta. Aveva paura che lui scappasse. Aveva paura gli scivolasse dalle mani come sabbia. Zayn restava immobile, inchiodato al pavimento, senza riuscire a razionalizzare. "Ora sono io a non avere più difese, ostacoli. So che qualcosa, una minuscola e profonda parte di te ti spinge verso di me. Sono qui. Parlami nel modo che ti riesce meglio. Io ti ascolto." Si era avvolta in un lenzuolo e aveva aspettato paziente, lei che la pazienza riusciva a farla perdere a chiunque. Le gambe allungate sul pavimento, la schiena appena ricurva, le braccia sottili a tentare invano di coprire il piccolo seno. I capelli perennemente spettinati le ricadevano sulle spalle. La luce del sole che entrava dalla finestra creava su di lei giochi di ombre tra le ossa sottili e sporgenti. Finalmente dopo millenni Zayn si era mosso. Aveva semplicemente sistemato il foglio sulle gambe e aveva cominciato a tracciare linee sommarie di un corpo nuovo che gli si presentava davanti agli occhi. Frida era immobile e lo guardava con un'espressione quasi di divertimento. Zayn, nel contempo, a tratti imbarazzato, arrossiva ma restava concentrato ora sulla linea del collo del piede, ora sulla curva del seno, ora sugli spigoli dei gomiti. Aveva terminato il disegno quando il sole stava per concludere il suo percorso nel cielo e iniziava a tramontare. E poi si era avvicinato a lei di scatto e aveva fatto collidere le loro fronti. Si trovavano vicini ad un palmo di naso. Frida non aveva avuto il tempo neppure di pensare che sentiva sulle labbra il sapore di tabacco e sul viso il tocco ruvido e nero delle mani di lui. L'aveva baciata con desiderio e quando si era separato da lei sembrava non riuscisse ad avere la forza di lasciarla. L'aveva attirata a sé e l'aveva stretta forte, quasi avesse timore svanisse tra le sue stesse braccia. Era durato una manciata di secondi ma in quei pochi secondi il Paradiso e l'Inferno collidevano nel medesimo punto. Sorridevano entrambi. Frida aveva chiuso gli occhi, inspirando profondamente. Zayn si era morso il labbro inferiore e aveva continuato, con i pollici, a tracciare cerchi infiniti sugli zigomi di lei. Lo desideravano. Si desideravano. Frida una volta aveva sognato questo momento. Zayn l'aveva disegnato dietro il capitolo di storia sulla rivoluzione francese. Ora erano lì, realmente. Avvallamenti e sporgenze. Le loro labbra combaciavano.
 
È come quando hai quasi finito una sigaretta. L'ultimo tiro si consuma tra le labbra e carbonio, tabacco e nicotina scorrono nei polmoni e bruciano in gola ma ormai non ci fai più caso. La carta bianca brucia lenta tra la fiamma flebile ma ardente. La carta scompare e la cenere aumenta. E mentre soffi fuori l'ultima boccata di fumo, il mozzicone ormai completamente consumato cade alle tue spalle e la cenere, che ancora brucia, zampilla in piccole particelle colorate e il rosso ardente brucia ancora di più nell'oscurità della notte. Tutto ciò che Zayn e Frida rappresentavano era racchiuso in quel semplice, ultimo tiro di sigaretta. Consumarsi a vicenda, ardere fino all'ultimo estenuante respiro. E poi cadere giù, lasciarsi andare. Esplodere, farsi a pezzi. Era un amore talmente forte e intenso e nascosto che al solo parlarne si frantumavano le ossa e si aggrovigliavano le budella. Frida gli si era calcificata tra le costole e mai se ne sarebbe liberato. Si amavano fino a stare male, ma stavano lì, inermi a fare finta di niente. Finta che quello che sentivano non fosse reale, che fossero giunti a quella conclusione in maniera avventata, che quella fosse una conclusione errata. Che loro fossero sbagliati insieme. E stavano in silenzio. Si sfioravano per caso, o forse no. Le gambe di Frida tremavano e Zayn sorrideva appena. Si guardavano di sfuggita, o magari non solo. Si consumavano come l'ultimo tiro di sigaretta nel desiderio di esplodere insieme. Ma si frantumavano inesorabilmente in cenere e la luce del giorno nascondeva il luccichio di quel che formavano fondendosi insieme eppure restando separati. E parole non dette restavano bloccate lì, tra la gola e le corde vocali, mentre tentavano invano di trovare il coraggio di dire ciò che non avevano mai immaginato nemmeno di riuscire a provare.
 
Il venerdì sera in cui Zayn e Frida avevano fatto l'amore per la prima volta erano entrambi un po' brilli e innamorati. Avevano appena accompagnato Niall a casa, dopo che questo si era procurato una sbronza colossale a base di sola birra. Ridevano entrambi senza un motivo in particolare e si tenevano per mano. Si sfioravano, non per caso. Frida aveva i capelli spettinati e Zayn gli occhi lucidi. La guardava come se avesse tra le mani la cosa più bella e più forte dell'universo. Era orgoglioso e innamorato. Riusciva ad ammetterlo solo a se stesso. Ed erano quasi le due e loro erano gli unici a camminare in strada. Era successo tutto in un attimo. Erano esplosi e cadevano insieme. Casa di Zayn era dietro l'angolo ed era magicamente libera, la sua stanza esageratamente incasinata e l'alcol nel loro corpo diminuiva. Ma ciò che non diminuiva era il tremito delle mani di Zayn e delle gambe di Frida. Si volevano, ecco tutto. Si cercavano, tra sguardi e carezze. E, nessuno dei due sa come, ad un tratto si erano trovati con movimenti serafici e premurosi a spogliarsi e continuare ad abbracciarsi e baciarsi e non riuscire a separarsi. I loro vestiti, divenuti ormai d'intralcio, si erano sparsi tra i loro piedi. Zayn aveva fatto un passo indietro per evitare di calpestare il vestito a fiori di Frida ed era inciampato cadendo all'indietro sul letto. Aveva trascinato con sé anche Frida ed ora si trovavano distesi uno sopra l'altra mentre il sangue ribolliva nelle loro vene. Si erano baciati aggrappandosi l'uno all'altra per paura di cadere, sparire. Frida si era stretta alle spalle muscolose di Zayn, ricoperte di tatuaggi dei quali passava il contorno con l'indice. Un brivido l'aveva scossa quando Zayn aveva passato la sua mano sul punto in cui la sua spina dorsale sporgeva più del normale. Aveva sorriso e si era morsa il labbro inferiore. Un sussulto l'aveva poi  colpita quando aveva accolto Zayn dentro di sé e aveva risposto al suo sguardo preoccupato con un sorriso e un casto bacio sulla clavicola sporgente di lui. La testa piegata indietro e i capelli che le coprivano la fronte appena imperlata di sudore. Zayn aveva contratti i muscoli delle spalle mentre si reggeva sulle braccia. Frida gli circondava i fianchi con le gambe snelle e gli andava incontro col bacino. Seguivano un ritmo lento, cadenzato. Godevano entrambi dello spettacolo che veniva offerto, attenti a non perdersene nemmeno un particolare. Erano andati a fondo insieme e in quel preciso istante Zayn sentiva di essere completo, di non aver bisogno di null'altro per poter sopravvivere in questo mondo. Le si era affiancato mentre il petto si alzava e abbassava per lo sforzo. Le accarezzava il fianco con la mano. "Ti amo" le aveva detto in un sibilo, senza fiato e con una luce nuova negli occhi. Questa volta non poteva mordersi la lingua. Era fin troppo sicuro di quello che diceva. Di quello che provava. Lei aveva riso, allegra e felice, e "È troppo facile dirlo ora" aveva semplicemente risposto, prima di baciargli dolcemente le mani, gli zigomi, la fronte, gli occhi, le labbra.  Ora illuminavano l'oscurità. Ora esplodevano.
 
Eppure Zayn non aveva mai avuto una ragazza. Ed era vero. Aveva amato, si. Con tutto quello che poteva. Ma non era in grado di riuscire a reggere il filo sottile che legava due persone. Era già fin troppo impegnato a mantenere uniti i pezzi di se stesso e del suo essere con una colla decisamente scadente. Era stato così tra lui e Frida. Zayn e Frida. Non un "noi", non una coppia o un qualcosa che idealmente le si avvicinasse. Due estranei, magari conoscenti, che si attraevano, ora nel peggiore dei cliché, come calamite dai poli opposti. Che qualche volta un bacio ci scappava. E altre volte facevano l'amore perché si lasciavano andare, troppo. E sempre si amavano. E se anche avevano avuto il coraggio di confessarlo a qualcuno che non erano loro stessi, avevano lasciato che le cose andassero da sé. Ma non erano né andate davanti, né avevano fatto retromarcia. Semplicemente erano state. Ferme, inermi. Con il motore acceso, aspettando che venisse ingranata la marcia e spinto l'acceleratore. Stavano per. Erano sul punto di. Ma non andavano. Restavano. L'uno accanto all'altra. Ma separati. Zayn non era in grado di riuscire a reggere il filo sottile che legava due persone. Si sarebbe spezzato troppo facilmente lasciandolo a mani vuote. Non l'avrebbe sopportato. Non ne sarebbe stato mai capace. Almeno fino ad ora.
 
"Zayn" la voce di Frida era sottile mentre, sdraiati sul letto di Zayn con le sue gambe incastrate in quelle di lui, si stringevano le mani. Zayn aveva gli occhi socchiusi e sospirava piano. Fuori era buio. Aveva risposto con un mugugno indecifrato e aveva impercettibilmente voltato la testa. Frida aveva preso un respiro profondo e "cosa siamo io e te, noi?" aveva buttato fuori tutto d'un fiato. Era rimasta immobile, non un tremito, nulla. Però aveva stretto gli occhi fortissimo. Come quando sei sulle montagne russe e chiudi gli occhi più forte che puoi per non guardare quanto in alto sei e quanto veloce stai scendendo. Frida sperava solo che Zayn, da quella posizione, non riuscisse a vedere la sua espressione. Zayn, dal canto suo, aveva sospirato appena e aveva deglutito. Frida continuava a tenere gli occhi stretti. Fuori era sempre più buio. "Noi siamo noi. Zayn e Frida. Io e te e nessun altro. Due persone. Due persone che si amano e che insieme si amano ancora di più. Noi siamo." Aveva esalato una delle frasi più lunghe che avesse mai detto. Non ne era nemmeno convinto fino in fondo. Forse si, magari no. È indeciso e incoerente, Zayn. Non sa quello che vuole. E Frida se ne era accorta perché aveva cambiato posizione. Aveva sciolto le sue gambe da quelle di lui e si era alzata dal letto. Ora erano faccia a faccia, seppur a due livelli diversi. Ora Zayn poteva vedere l'espressione confusa di Frida a quelle parole, delle quali nemmeno lui conosceva appieno il significato. E Frida anche ora aveva taciuto e aspettato. Zayn allora, con più fatica rispetto a prima, si era alzato dal letto, aveva inumidito le labbra e si era passato una mano tra i capelli. "Frida, io non so cosa tu voglia o cosa ti aspetti che io dica. Non lo so, davvero. Ti amo, e lo sai. Ma questo è tutto quello che sono capace di offriti. So che non è molto e sei assolutamente libera di lasciarmi perdere perché..." Ma Zayn non aveva finito di parlare che Frida era già uscita dalla porta di casa sua e si avviava a passo svelto nemmeno lei sapeva dove. L'espressione esterrefatta e le scarpe ancora slacciate. Non riusciva assolutamente a credere che aveva davvero pronunciato quelle parole. Che veramente pensava quelle cose. Che non aveva alcuna intenzione di sforzarsi un minimo per vivere qualcosa che avrebbe potuto essere speciale. Per vivere qualcosa che avrebbe potuto renderlo felice. Ma lei non ci stava, assolutamente no. Non ci sarebbe stata in nessun caso. Lo amava si, ma aveva una dignità e non l'avrebbe sicuramente gettata via per una persona che non è disposta a mettere in discussione una minuscola parte di quello che era per qualcuno che aveva impiegato tutte le sue forse per amarlo. E in ogni caso il suo orgoglio, a volte troppo forte, gliel'avrebbe decisamente impedito. Aveva sceso le scale il più veloce che poteva e aveva rischiato di inciampare più di una volta. Era scesa in strada col fiatone e Zayn la guardava dalla finestra. Sembrava disorientata. Quasi piangeva. Ma no, avrebbe resistito. Aveva tirato su col naso, sistemato gli occhiali e si era diretta verso una direzione e una meta imprecise. Non si sarebbe mostrata debole. Non lo era. Si sentiva semplicemente vuota. Come se qualcuno le avesse portato via una parte di sé. Come se adesso non ci fosse nulla, nessuna sporgenza a riempire i suoi avvallamenti.
 
Magari avrebbe potuto essere più coraggioso, Zayn. Prendere in mano la situazione e affrontarla di petto. Avrebbe potuto farlo lui un passo in avanti e fare quello che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare. Perché era arrivato il momento. Perché non c'era via d'uscita. Perché era la cosa giusta da fare. La cosa giusta al momento giusto. Avrebbe potuto prendere la situazione in mano e afferrare Frida per mano. Quel piccolo e semplice e ingenuo gesto per farle capire che lui aveva deciso. Che lui aveva scelto lei. E l'aveva scelta al posto di tutta quella solitudine, dei silenzi, del carboncino e dei disegni accumulati. Al posto dei pentagrammi scarabocchiati e delle Philip Morris... Magari proprio quelle no, ma decisamente al posto di tutto il disordine della sua vita. Perché, lo sentiva, con Frida avrebbe potuto farcela. Niente in particolare. Avrebbe potuto farcela ad essere. Perché Frida tirava fuori gli aspetti e le sfaccettature più recondite del suo essere e faceva si che divenissero gli atteggiamenti suoi più naturali e spontanei. E, lo sentiva, ma magari si sbagliava, quando facevano l'amore e la luce del sole li riscaldava e Frida rideva e passava con le dita sui suoi tatuaggi, che quella era felicità e niente e nessuno avrebbe potuto sottrargliela, privarlo di quel bene introvabile. Ma magari sbagliava. Nessuno gliel'avrebbe portata via la sua felicità perché era stato lui stesso a privarsene senza che, dopo essersene reso conto, avesse potuto fare qualcosa per recuperarla. Gli era scivolata tra le dita come sabbia controvento. L'aveva persa. Perché l'aveva data per scontata. Aveva dato per scontato il suo amore, la sua presenza. Aveva dato per scontato la sua risata, i capelli spettinati, lo smalto sbeccato e i ritratti di lei. L'aveva amata tra sporgenze e avvallamenti. Si incastravano a perfezione eppure l'aveva persa. Avrebbe potuto essere più coraggioso. Magari ora lo sarebbe stato. Magari no. Magari. La prossima volta sarà più coraggioso. E se la prossima volta fosse ora? Se ora fosse davvero il momento di essere più coraggioso? Di prendere in mano la situazione? Di prendere per mano Frida? Così, senza rinunciare a niente del casino che fa di lui quello che è. Ma aggiungendo lei, fondendola e facendola calcificare tra le sue costole, facendo sì che si incastrasse con i suoi spigoli. L'avrebbe amata, adesso, con cura. Maneggiandola con delicatezza, come si fa con le cose fragili, come se si avesse paura di farle rompere e ritrovarsi poi a raccoglierne i cocci sul pavimento. Aveva deciso così, si. Ora sperava solo che Frida gli aprisse la porta.
 
Quella era la terza volta che bussava alla porta della casa di Frida. Un piccolo appartamento uguale a tutti gli altri di quel palazzo all'angolo tra l'edicola e un negozio di abbigliamento vintage. Zayn stava lì impalato da circa ventitré minuti ed era la terza volta che bussava alla porta di legno. Sperava vivamente non ce ne sarebbe dovuta essere una quarta o quella dannatissima porta sarebbe volata dalla parte opposta della casa. Aveva alzato di nuovo il pugno e stava per batterlo, ahimè per la porta, sul legno consumato. La mano era rimasta a mezz'aria perché Frida aveva aperto la porta e Zayn solo in quel momento si era accorto di quanto le fosse mancata in quel breve seppur interminabile lasso di tempo. Frida, dal canto suo, non avrebbe potuto essere più sorpresa e scioccata e felice e incazzata allo stesso tempo per quello che ora le si era parato davanti ai suoi occhi. Si era impercettibilmente mossa e stava per parlare. Ma era rimasta col fiato sospeso e le parole strette in gola perché Zayn l'aveva bloccata subito e aveva preso un respiro profondo. Aveva annuito impercettibilmente tra sé e sé e poi aveva cominciato a parlare. "Sono un disastro nella vita. Non riesco mai a concludere qualcosa né faccio mai quello che le persone si aspettano da me. Ho l'infallibile capacità di deludere costantemente tutti. Non sono capace a tenere vicino a me le persone che amo e che soprattutto riescono ad amarmi nonostante tutti i miei difetti. Respingo sempre tutti perché, diciamocela tutta, è molto più semplice essere soli e contare solo su se stessi che appoggiarsi a qualcun altro e rischiare di cadere. E più di tutto, non sono assolutamente capace di stare al fianco di una persona. Non riuscirei a reggere il filo sottile che potrebbe legarci. Ho troppa paura che possa spezzarsi. E restare da solo con quello che rimarrebbe di ciò che una volta eravamo noi mi farebbe troppo male. Non sono sicuro che riuscirei a sopportarlo. Anzi decisamente sarebbe così. In compenso sono sicuro di una cosa. Ti amo. Probabilmente sei la prima persona che amo con tutto quello che posso dare, senza remore e senza riserve. Non so se sarà così per sempre o se tra due mesi ci annoieremo l'uno dell'altra e non riusciremo nemmeno più a toccarci, a guardarci. Ed è proprio questo che mi frena. Più che il timore di perderti, ho una fottutissima paura che tu un giorno possa stancarti di me o che io possa essere capace di non riuscire più a toccarti come vorrei fare in questo preciso istante. Ma ho deciso. Ho deciso che ora, in questo esatto momento, qui davanti a te, non voglio avere paura di quello che potrebbe essere. Ho deciso che non voglio perdere la possibilità di vivermi appieno la cosa più bella che la vita mi sta offrendo. Ti sto chiedendo di accettarmi, perché così come sono sto mettendo in discussione il mio essere per te. E lo so che forse questa cosa sarà sdolcinata e storcerai il naso, ma magari potremmo essere un "noi" o magari no. Potremmo essere due rette parallele. Si, parallele, ma non così tanto. Così magari qualche volta ci incontriamo e magari chissà. Potremmo essere quello che vuoi, ma ti prego. Voglio che mi guardi e che mi prendi la mano e che ridi. Voglio starti affianco. Voglio te." Aveva tirato un sospiro di sollievo dopo quello che probabilmente era stato il discorso più lungo che qualcuno gli aveva mai sentito pronunciare. Non aveva staccato per un attimo i suoi occhi da quelli di Frida e aveva parlato con una determinazione tale che solo dopo aver finito di parlare si era accorto che aveva tenuto i pugni così stretti da aver inciso nei palmi le unghie rosicchiate delle mani. Frida, forse per la prima volta nella sua vita, era rimasta senza parole. Aveva gli occhi pieni di lacrime ma non abbassava lo sguardo. Non mostrava segni di cedimento. L'orgoglio e la forza dello sguardo che la contraddistinguevano non l'avevano di certo abbandonata. Certamente non avrebbe dato a Zayn subito la soddisfazione di ottenere ciò che voleva. Magari quelle erano le parole più belle che qualcuno le avesse mai detto, ma lui l'aveva data per scontata e non avrebbe dato per scontato anche il suo comportamento. "Perché?" Aveva poi esordito, riemersa dai pensieri che in quel momento le vorticavano nella mente. "Perché mi manchi." Aveva semplicemente risposto lui. Come se quella fosse stata la risposta più semplice è scontata del mondo. Ma in realtà loro due erano tutt'altro che semplici. "Perché non c'è posto al posto tuo. Perché se ci sei tu, o ci sei stata tu, non potrà mai esserci niente e nessun altro." Perché erano quel limite che tende ad infinito. Perché si incastravano alla perfezione. Sporgenze e avvallamenti. Perché erano estremamente diversi e non sarebbero potuti stare meglio. Perché sono Zayn e Frida e adesso, adesso sono un noi.
 




 
 


Della serie "prima o poi ritornano" yessss!
Un po', anzi un bel po' di tempo fa, ero autrice qui e avevo pubblicato qualcosa.
Poi ho deciso di eliminare tutto e non ho aperto efp per un'infinità di tempo smodatamente grande.
Poi ho fatto un nuovo account, perchè di quello vecchio avevo dimenticato nickname e password (complimenti a me!)
Un paio di settimane fa ho sentito l'impellente ed irrefrenabile bisogno di scrivere e tirare fuori quello che avevo dentro. E l'unico modo per farlo era proprio questo. Ho cominciato a scrivere su qualunque cosa mi passasse per la mente e probabilmente pubblicherò qualche altro scritto.
Comunque, ritornand a noi. Tra i primi testi è uscita fuori questa "cosa". Non avevo, all'inizio, alcuna intenzione di renderla pubblica, senza nessun motivo preciso. Ieri pomeriggio, però, mi sono detta che tentar non nuoce e anche se probabilmente nessuno mi considererà di striscio, dato il fatto che sono nuova, perchè
no?
Ora, dopo avervi raccontato revemente la storia della mia esistenza su efp, vi abbandono.
Spero di ricevere qualche parere.
Addio.
   
 
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