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Autore: firewalkwithme_2_53    01/06/2015    4 recensioni
What if?
Un nuovo personaggio arriva a Pasadena a sconvolgere la tranquilla vita lineare del dottor Sheldon Cooper.
Riuscirà il fisico teorico a sopportare la nuova intrusione? E come farà lei ad avvicinarsi al calore che il ragazzo non è neanche consapevole di avere?
Dal primo capitolo:
Mentre lei sorride con aria soddisfatta e comincia a rigirare le carote nel piatto di plastica, il ragazzo si riprende e scuote il capo.
“No, aspetta. Non funziona così.”
“Non funziona così…cosa?”
“Non puoi dire che sei un AMICO di qualcuno solo perché ci hai parlato per qualche minuto in una città sconosciuta.”
“E perché non posso?” Lei lo domanda in modo davvero interessato e mette in bocca una carota osservandolo con gli occhi nocciola.
“Perché la convenzione sociale richiede che l’amicizia sia fondata sulla conoscenza e la fiducia. Io non so neanche il tuo nome.”
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sheldon Cooper, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Seconda legge di Wyszkowski

Si riesce a far funzionare qualsiasi cosa, se ci si pasticcia abbastanza.

 

“Sei arrabbiato?” Amalie, tornata alla guida della macchina dopo aver lasciato il ricevimento organizzato da suo padre per trovare nuovi finanziamenti ai progetti del Caltech, lancia uno sguardo di sbieco a Sheldon, seduto accanto a lei sul sedile del passeggero.

“No. Perché mai dovrei essere arrabbiato?” Domanda retorico il ragazzo, gli occhi puntati a seguire luci della città che scorrono oltre l’auto prima di voltarsi a fissarla sollevando il mento. “A meno che tu non tema che io mi sia offeso per l’uso sgradevole, nonché scorretto, che hai fatto della semantica con l’unico scopo di radere al suolo la mia possibilità di porti le necessarie domande volte a comprendere quale incarico andrai ricoprire domani e, di conseguenza, vincere il gioco che hai voluto iniziare tu stessa prima di uscire di casa.”

Diversi secondi di silenzio servono alla Siebert per afferrare completamente il significato di ogni singola parola del discorso appena ascoltato e scuotere il capo con espressione ancora confusa. “Cosa?...no, un attimo! Non è andata come dici tu.”

“Oh ci puoi scommettere il gilet che è andata così, mia cara Soapy Smith dei giorni nostri.”

“No, invece. Per quanto mi riguarda eravamo in pausa dal gioco quando mi hai imbottito di domande sulla mia vita…e poi chi diavolo è Soapy Smith?!”

“Jefferson Randolph Smith II è stato uno dei più famosi truffatori statunitensi del XIX secolo. Il soprannome Soapy gli è valso perché il suo trucco più famoso consisteva nel far credere al pubblico di aver nascosto delle banconote, da uno a cento dollari, all’interno di alcune delle confezioni di sapone che egli vendeva da un banchetto appositamente preparato lungo una delle vie principali delle diverse città in cui si recava. Ovviamente Soapy sostituiva le saponette contenenti i soldi con altre ‘nullatenenti’ senza che nessuno se ne accorgesse e utilizzava dei complici, che si mescolavano alla folla, per far credere che qualche fortunato acquirente avesse davvero trovato dei dollari nell’incarto della merce e indurre gli altri all’acquisto.”

“Ok, a parte il fatto che mi lavo e quindi utilizzo anche io del sapone, non trovo propria alcuna similitudine tra me e questo Smith.”

“Mi sembra ovvia la similitudine invece: anche tu mi hai imbrogliato, così come faceva Soapy con i suoi clienti.”

“Ma dai…”

“Spero solo per te che non finirai come lui, ovvero freddata da un colpo di pistola sparato durante un agguato della polizia.”

Il semaforo all’incrocio appena diventato rosso fa premere il piede di Amalie sul freno e la macchina si ferma dolcemente.

“Ci sono rimasta male, tutto qua.” Ammette la ragazza, che finalmente può guardare Sheldon in viso. “Pensavo che ti interessasse davvero parlare con me e di me…”

“Ma mi interessava.”

“…indipendentemente dal gioco.” Precisa lei concedendosi un sospiro.

“Ah.”

Amalie assapora di nuovo quella boccata di sincerità stringendo le mani sul volante. “Hai mai mentito a qualcuno, Sheldon?”

“E’ capitato ovviamente, ma molto di rado e sempre se non c’erano altre alternative percorribili. Mentire non è una cosa che mi piace fare in genere.”

“Neanche a me piace farlo.” Con un mezzo sorriso amaro Amalie riesce ad evitare solo per un soffio una smorfia che altrimenti le avrebbe alterato in modo troppo evidente i bei lineamenti. “Eppure ho mentito per un sacco di tempo e ora mi sento davvero sfinita.”

“Posso capirlo.”

La ragazza sembra stupita dall’affermazione mentre torna a guardarlo negli occhi. “Davvero?”

“Certamente. Richiede uno sforzo davvero enorme dover pensare a tutte le possibili implicazioni per rendere una bugia il più credibile possibile, è per questo che non amo dirle. Il mio tempo è troppo prezioso per sprecarlo a fantasticare sul come o sul perché qualcuno potrebbe smascherarmi.”

La giovane Siebert osserva attentamente il fisico al suo fianco, poi scoppia a ridere di cuore.

“Non mi sembra di aver detto qualcosa di così divertente.” La fissa interessato Sheldon, tentando di capire cosa esattamente abbia generato quell’improvvisa ilarità. Persino piacevole, o non troppo spiacevole, nota con un certo sgomento interiore il ragazzo.

“No, no…lo so.” Amalie intercetta una lacrima che si è impigliata tra le ciglia prima che precipiti giù, sulla guancia. “In realtà hai detto una bella cosa, te lo assicuro.” Un respiro profondo mette fine al momento di spensieratezza e la rilassa un po’ proprio mentre il semaforo diventa di nuovo verde e lei innesca la prima, svoltando a destra dove gli indica Sheldon.

“Ecco, siamo praticamente arrivati. Fermati davanti a quel palazzo.”

“Quale palazzo?”

“Quello grigio chiaro, sulla destra.”

La Siebert torna a concentrarsi sulla strada e storce il naso. “Sheldon, sono tutti grigi qui i palazzi!”

“Ho detto grigio CHIARO.” Specifica lui riprendendola come se fosse una bambina. “Parcheggia tra l’auto rossa e quella gialla, anche se con il viola della tua diventa un tale trionfo di colori da tramutarsi in un pugno in un occhio.”

“Ah, ah, ah.” Amalie mette la freccia ed opera un parcheggio da manuale, spegnendo poi il motore dell’auto.

“Siamo arrivati!” Annuncia Sheldon voltandosi completamente con il busto verso il sedile posteriore.

Due secondi netti e la faccia smunta di Rajesh Koothrappali si solleva lentamente. “E’ forse questo il regno di Taraka? Il mondo sotterraneo dove il demone tentatore semina furia distruttrice nel mio corpo dilaniato dai dolori?”

“No, Raj, sei ancora vivo e vegeto e quei dolori che senti non sono opera di un demone, ma della tua cattiva idea di mischiare diversi tipi di alcolici a quanto sembra.”

“E di metterci sopra una sorprendente quantità di scampi anche.” Annuisce la ragazza, osservando l’indiano dallo specchietto retrovisore.

“Non so davvero se siete sinceri con me, ragazzi, o se questa è solo un’allucinazione. L’unica cosa di cui sono sicuro, in questo momento, è che il mio stomaco brucia come quello della Torcia Umana.”

“Ce la fai ad arrivare al tuo appartamento da solo?” Gli domanda preoccupata Amalie, ruotando anche lei il busto per guardarlo meglio.

“Ovvio che ce la fa. E poi abbiamo già dovuto deviare il percorso ottimale solo per riaccompagnarlo a casa, dopo che il rettore ci ha praticamente obbligato a portarcelo dietro mentre ci accomiatavamo. Non vorrei davvero perdere altro prezioso tempo a scostarlo in ascensore.”

“Sheldon!” La Siebert riprende il fisico teorico con un’occhiataccia indignata.

“Lascia che parli, ha ragione dopo tutto.” Raj, con voce rassegnata porta la mano davanti alla bocca per evitare che un conato risalga dall’esofago in fiamme. “Vado. Se non dovessi rivedervi mai più, spero possiate conservare di me un ricordo migliore di quello lasciato in questi ultimi attimi.”

Mentre saluta, il ragazzo afferra la maniglia dello sportello e la tira, ritrovandosi in pochi istante all’aria fresca della notte. Quello sembra un aiuto per lui e Raj alza la mano in direzione degli altri poco prima di scomparire all’interno del portone.

“Credi davvero sia stato giusto lasciarlo salire da solo? E se si sentisse male per le scale?”

“Ne dubito. Non è la prima volta che alza un po’ troppo il gomito e, come ogni altra volta, finirà per arrivare al bagno un istante prima di dare di stomaco e addormentarsi abbracciato al water.”

Amalie si concede una smorfia mentre riavvia il motore. “Che brutta immagine.”

“Oh non la più terribile che potrei evocare.” Assicura Sheldon sicuro. “Potrei, per esempio, parlarti di quella volta in cui…”

“No, grazie.” Lei lo interrompe secca e immette l’auto di nuovo in strada. “Sai pensavo…in fondo avevi ragione prima: non dovevo innervosirmi con te per le tue domande sulla mia vita.”

“Ah, finalmente cominci ad usare la materia grigia di cui sei fortunatamente fornita e a riflettere seriamente sulle mie parole.”

La ragazza lancia uno sguardo un po’ contrariato al suo accompagnatore. “Non tirare troppo la corda, Donnie.”

L’utilizzo di quel nomignolo incuriosisce Sheldon, che si volta di scatto verso di lei con espressione interrogativa.

“Donnie?”

“Sì, come Donatello…una delle Tartarughe Ninja.” Il silenzio dell’altro la rende incerta mentre pronuncia le ultime due parole “…sai di cosa parlo, vero?”

“Ovvio che so di cosa parli. Mi stupisce che TU le conosca, piuttosto.” Ammette il fisico, pensieroso. “Capisco che tu veda nelle capacità tecnologiche di Donatello un buon motivo per paragonarmi a lui, però io ho sempre ritenuto di essere molto più simile a Leonardo. Sai, per il suo carattere molto disciplinato e poi, soprattutto, per le capacità di leadership che gli sono intrinseche.”

Questa volta Amalie inarca il sopracciglio e il suo sguardo cerca di capire se il fisico stia in qualche modo usando del sarcasmo o, quanto meno, dell’ironia nella sua affermazione. Ma visto che sul viso del ragazzo non c’è alcuna traccia né dell’una né dell’altra, lei si limita ad annuire nel modo più convinto che le viene.

“…oh certo, capisco.”

“E comunque, ritornando a quello che è più rilevante in questa conversazione, ovvero che io ho ragione…” Sheldon sorride senza nascondere neanche minimante la propria soddisfazione “…nonostante i tuoi biechi tentativi di sabotaggio, ti farà comunque piacere sapere che mi sono fatto un’idea molto precisa sulla tua occupazione futura.”

“Ma vah?” Amalie gli lancia una nuova occhiata, questa volta molto incuriosita.

“Naturalmente.” Il fisico annuisce con convinzione. “Quando a unici anni dovevo scegliere la facoltà in cui iscrivermi…”

“Undici anni?!”

“Sì, esattamente. Allora ho…”

“Ma a undici anni si è praticamente all’inizio della pubertà!”

“E allora?” Domanda Sheldon un po’ irritato, visto che non capisce qualche sia il ‘punto’ che lo ha fatto interrompere per ben due volte.

“Allora? Un bambino che va all’università è…strano. A quell’età si deve passare il tempo a giocare e ad esplorare il mondo.”

“Cosa che io facevo, infatti, più che egregiamente attraverso la scienza.” Ribatte lui. “E adesso, se vuoi farmi finire il ragionamento…”

“Prego.”

“Grazie.” Un leggero inchino del capo anticipa le successive parole del fisico. “Quando a undici anni dovevo scegliere la facoltà in cui inscrivermi, ho preso in considerazioni molteplici possibilità, sia di corsi di studi che di istituti. Tra questi c’era, naturalmente, anche la New York University.”

“Interessante. E come mai l’hai scartata?”

“Essenzialmente per le prime due parole del nome. Come ho già avuto modo di dirti, infatti, non ritengo New York un posto in cui sia auspicabile vivere.”

“Giusto.” Annuisce lei condiscendente.

“E poi la NYU è apprezzata soprattutto per le scienze applicate.” Aggiunge pensieroso Sheldon, scuotendo il capo per tornare al ragionamento di base. “Conoscendo la struttura dell’istituto ed escludendo quello che mi hai già detto di non aver frequentato, ovvero il Politecnico, Legge, Medicina e la Tisch, non rimangono che tre alternative percorribili: il Courant Institute di Scienze Matematiche, la Stern School of Business e la Steinhardt School of Culture, Education and Human Development.”

“Tre alternative non sono poche.”

“No, ma da altri elementi che sono emersi dalla serata posso escluderne almeno due con una certa sicurezza.”

“Quali?” Amalie ferma l’auto davanti la palazzina in cui c’è l’appartamento che Sheldon condivide con Leonard e si volta verso di lui interessata.

“Innanzitutto, so che non sei una persona che si occupa di scienze applicate, anzi di scienze in generale, visto che l’hai ammesso proprio ieri a tavola. Quindi il Courant Institute viene depennato dalla lista.” Lei annuisce senza negare. “Inoltre ti ho osservata bene e, per quanto tu abbia indiscusse capacità nel relazionarti con gli altri, soprattutto se sono facoltosi possibili finanziatori, dai discorsi che ti ho sentito fare credo proprio che questa idoneità ti derivi direttamente dalla genetica piuttosto che da studi specifici fatti in materia di politica o di economia. Quindi depenno dalla lista anche la Stern, cosa che fa restare in lizza soltanto la Steinhardt School, che ipotizzo con ragionevole certezza sia quella che tu abbia frequentato a New York.”

“Sono impressionata.” Ammette Amalie, continuando ad annuire mentre un sorriso sempre più soddisfatto si allarga sul viso di Sheldon.

“Ma la mia analisi non finisce di certo qui. Alla Steinhardt ci sono parecchi dipartimenti specifici, che non sto qui ad elencare ritenendolo inutile ai fini della trattazione. Quello che importa, invece, è che posso escludere, di nuovo con una certa ragionevolezza, quelli legati agli studi del cibo, della leadership, della comunicazione…insomma per farla breve, rimangono gli studi sulle scienze sociali e quelli sull’insegnamento. ”

La ragazza cambia leggermente posizione. “Ripeto: sono impressionata.”

“Bene.”

“E, alla fine, quale pensi sia stato il mio corso di studi?”

Il sorriso di Sheldon si spegne leggermente mentre torna pensieroso. “Su questo sono stato molto indeciso, poi mi sono ricordato che tu hai detto di avere molta pazienza.”

“Sì, e allora?” Amalie alza le spalle. “Un sacco di gente è paziente.”

“Non così tanta come credi.” Precisa lui. “E comunque dovrebbe essere una delle caratteristiche principali…dell’insegnamento.”

Lo sguardo che Sheldon rivolge alla ragazza è talmente carico di autocompiacimento che lei non può fare a meno di sorridere. “Sì...potrebbe essere.” Ammette con espressione molto vaga, senza però dargliela vinta, proprio nel momento in cui lui ha già slacciato la cintura di sicurezza e poggiato un piede a terra.

“Come sarebbe a dire: ‘potrebbe’?” Sheldon sembra quasi sconvolto dall’ipotesi di non essere giunto ad una conclusione certa e rimane immobile.

“Vuol dire che potresti aver fatto il ragionamento giusto, oppure no.” La chiave nel cruscotto gira di nuovo ed Amalie mette in moto spingendolo in quel modo a scendere completamente dal mezzo. “Ti invierò una mail tra qualche giorno, quando mi sarò ambientata un po’, nella quale ti darò un nuovo appuntamento e ti porterò personalmente sul mio luogo di lavoro. Così potrai scoprire di persona se hai avuto DAVVERO ragione o no.” Una strizzata d’occhio e un bacio schioccato precedono il sorriso che Amalie riserva al fisico teorico mentre si sporge e richiude lo sportello prima di ripartire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aloha!

Ed eccoci alla conclusione del quarto capitolo! So che non è un granché a livello di ‘azione’ ma insomma…ho dovuto dare modo ai due protagonisti di conoscersi un po’ di più :)
Per il prossimo però Sheldon sarà portato in un luogo che, tendenzialmente, lo spaventa un bel po’ e ho in mente qualcosa di molto divertente. Speriamo mi riesca di renderlo bene come è nella mia testa.
Chi avrebbe scommesso sull’insegnamento, come lavoro, per Amalie? Ma soprattutto…Sheldon avrà fatto davvero il ragionamento corretto? Per ora è solo disturbato dal fatto di trovarsi in una sorta di ‘limbo’, cosa che come sappiamo tutti bene gli è alquanto fastidiosa. 

Un’informazione che volevo dare al volo è sul volto che ho in mente quando scrivo sulla protagonista di questa ff *rullo di tamburi*: la Raviva (ovvero Inbar Lavi) di Underemployment. Ho amato profondamente quel telefilm, perché divertente e anche diverso da quelli che in generale ci propongono, e ho amato ancora di più il personaggio di Raviva per la sua vitalità e la (giusta) incoerenza che a volte si concedeva.
Ed ecco svelato perché, quando descrivo Amalie, ha sempre occhi nocciola e riccioli scuri ;)

Ringrazio tantissimo chi legge questa storia, chi l’ha inserita tra le seguite\ricordate\preferite e, naturalmente, chi ha deciso di lasciare una recensione per farmi sapere come la pensa, spronandomi in questo modo a fare sempre meglio. 

Buona settimana e alla prossima con il capitolo che si intitolerà Terza legge di Clarke,
B.

  
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