Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Amor31    01/06/2015    3 recensioni
Una volta Jean aveva amato il silenzio.
Gli aveva dato la sensazione di avere la testa libera da qualsiasi pensiero, di essere fuori dal mondo.
Ora, invece, il silenzio era la cosa peggiore che ci potesse essere.
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- ATTENZIONE! MISSING MOMENT TRA I CAPITOLI 50/51 -
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jean Kirshtein, Mikasa Ackerman, Sasha Braus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Il sibilo del silenzio

 

Una volta Jean aveva amato il silenzio. Gli aveva dato la sensazione di avere la testa libera da qualsiasi pensiero, di essere fuori dal mondo. Quando si chiudeva nella propria stanza a leggere o disegnare, il silenzio era la sola musica che lo cullava e lo faceva sentire bene. Ancor più adorava i momenti in cui era solo in casa: gli sembrava di essere più adulto e responsabile, senza la preoccupazione di sentire l'eco del richiamo di sua madre, affacciata ai piedi delle scale.
Ora, invece, il silenzio era la cosa peggiore che ci potesse essere.
Gli opprimeva le orecchie, fischiando al loro interno e trapassandogli il cervello da parte a parte. Erano vibrazioni che gli urlavano nella testa e l'unico rimedio efficace per placare quella tortura era tappare i padiglioni auricolari con entrambe le mani, nel tentativo di far calmare quel mare di urla provenienti da gente invisibile. Per parecchi minuti era costretto a chiudere gli occhi e portare i pensieri lontano; poi le urla si attenuavano e scomparivano, fino a diventare un ricordo sbiadito. Se ne andavano così come erano venute, lasciandolo perplesso e spaventato.
Il silenzio era morte. Era sangue raggrumato, corpi freddi in via di decomposizione, volti distorti di Titani Anomali.
Il silenzio lo uccideva e Jean si chiedeva se ci potesse essere ancora qualcosa che potesse fargli cambiare idea in merito.
Poi si guardava rapidamente intorno e all'improvviso capiva che il silenzio poteva anche essere mistero e bellezza, riservatezza e coraggio.
Il silenzio si era incarnato in Mikasa Ackerman.

 

***

 

Prima o poi avrebbe dovuto dirglielo.
“Sei in gamba”.
“Rimarrai sempre la migliore tra di noi”.
“Nessuno sa utilizzare la Manovra Tridimensionale con la stessa facilità con cui l’adoperi tu”.
“Non ho mai visto dei capelli belli come i tuoi”.
“Combatterò con te e per te fino alla morte”.
Resta, Mikasa. Ho bisogno di te”.
Ma no, niente da fare.
Non riusciva ad esprimersi. Forse avrebbe dovuto arrendersi a quell’evidenza e mettersi il cuore in pace, ma diamine, i sentimenti che provava per lei continuavano a tormentarlo. Si odiava profondamente quando tentava di avvicinarla, deciso a parlarle, e poi finiva immancabilmente a balbettare o a dire qualcosa che non c’entrava nulla con quello che doveva riferirle. Si odiava perché non riusciva a mettere in fila due pure, semplici parole come “Mi piaci”. Ecco, sarebbe bastato quello. Mikasa avrebbe potuto rifiutarlo, non ascoltarlo… Ma almeno Jean non avrebbe più nutrito alcun rimpianto.
Follia.
Non c’era una sera in cui non si addormentava con il proposito di chiarire la faccenda una volta per tutte. L’indomani, aperti gli occhi, scattava in piedi, si vestiva e non appena la vedeva sentiva le parole morirgli in gola.
-Buon giorno, Mikasa-.
La compagna a malapena rispondeva a quel saluto. C’erano giorni in cui lo oltrepassava senza dir nulla, altri in cui gli rivolgeva un debole cenno della testa con il solo scopo di fargli sapere di averlo sentito, altri ancora in cui Jean doveva ritenersi molto fortunato nel captare un incoraggiante “Buon giorno anche a te”. Poi solo il silenzio. Non c’era altro.

 

***

 

-Come ti senti?-.
Era affacciato sulla soglia della sua camera, da cui erano appena usciti Armin e Historia. Mikasa era immobile a letto, costretta al riposo a causa delle fratture al costato riportate durante l’ultimo scontro con i Titani.
-Inutile-, rispose lei, chiudendo gli occhi e sospirando, mentre una smorfia di dolore le deformava il viso.
-Hai bisogno di qualcosa?-.
-Entra, per favore-.
Jean si richiuse la porta alle spalle e si avvicinò, rimanendo in piedi accanto al giaciglio della giovane.
-Siediti-, comandò ancora la compagna, indicandogli la sedia su cui Armin si era accomodato per tutta la durata della sua visita pomeridiana.
Seppur titubante, il ragazzo fece come gli era stato richiesto. Sedette e rimase ad osservarla per minuti che parvero lunghi un’eternità, complice il silenzio nuovamente calato nella stanza.
-Volevi dirmi qualcosa?-, domandò Jean, facendosi coraggio.
-No-, rispose lei con semplicità disarmante. -Ma avevo bisogno di stare in pace. Armin non ha fatto altro che parlare per tutto il tempo e Sasha mi ha anticipato cosa mangerò per cena-.
Con chiara espressione interrogativa, il ragazzo aspettò che finisse la frase per chiederle “E io come posso aiutarti?”.
-Non devi fare nulla-, spiegò Mikasa. -Ho bisogno della compagnia di chi sa ascoltare. Ho bisogno di una persona che sappia apprezzare il silenzio-.
Jean cercò con tutte le sue forze di non arrossire. Non era sicuro di essere riuscito nell’impresa e dunque non gli rimase che pregare che la ragazza non si fosse accorta del suo momento di imbarazzo.
-Gli altri non capiscono quante cose può mostrare la quiete-, continuò lei dopo qualche minuto. -Non si accorgono delle piccole cose. Pensano che parlare mi faccia sentire meglio, ma non si rendono conto che le loro chiacchiere mi fanno solo male. Sono relegata a letto da ormai dieci giorni e per me è una sofferenza non poter mettere piede fuori da questa stanza; quando mi parlano dei piani del Comandante Erwin e delle ricerche di Hanji, dei turni di guardia e degli ordini impartiti dal Capitano Levi, mi sento completamente sola. Sembra quasi che il tempo in questa camera smetta di passare, mentre il mondo, fuori dalla finestra, continua a girare vorticosamente-.
Mikasa si prese una pausa e Jean la vide prendere un bel respiro che però le causò una violenta fitta al fianco destro.
-Tutto bene?-, le domandò allarmato, chinandosi verso di lei.
-È solo un secondo-, fiatò la ragazza di rimando, provando a trattenere il gemito di dolore che altrimenti le sarebbe scappato dalle labbra. -Ora va meglio-, lo rassicurò.
Pur non essendo troppo convinto, il compagno riprese una posizione composta sulla sedia, incrociando le braccia ed esaminando attentamente il corpo celato dalle coperte. Notò il torace di Mikasa alzarsi ed abbassarsi con affanno, segno che le costole avrebbero impiegato ancora qualche settimana prima di saldarsi di nuovo, e sospirò.
-La tua unica preoccupazione è rimetterti, adesso-, le disse. -Se preferisci rimanere da sola, posso dire a Armin e agli altri…-.
-Ho paura della solitudine-, confidò la ragazza, abbassando lo sguardo sulle mani che teneva intrecciate sul petto. -Ecco perché voglio che tu stia qui con me-.
Jean inghiottì a vuoto. Erano quelli i momenti in cui avrebbe dato qualsiasi cosa per ottenere una briciola di coraggio in più, utile per confessare alla compagna ciò che provava per lei.
-Anche a te piace il silenzio. Con il tempo l’ho capito-, proseguì Mikasa. -Ti osservo, qualche volta; mentre sei al lavoro o riposi, quando siamo a tavola tutti insieme o quando il Capitano ci spiega i piani da attuare. Mi sono accorta che non ti fai mai scappare una parola di troppo; di solito preferisci stare ad ascoltare. In questo sei l’esatto opposto di Eren-.
La ragazza abbozzò quello che Jean dedusse essere un sorriso e continuò: -Forse siamo più simili di quanto potessi immaginare-.
Non avrebbe dovuto dirlo. Il compagno fremette, diviso tra il batticuore improvviso e il bisogno di uscire da quella stanza; temeva che, se fosse rimasto, le avrebbe davvero confessato a cuore aperto i suoi sentimenti.
-Ascolta-, Mikasa si portò un dito alle labbra. Non che ci fosse bisogno di ricondurlo al silenzio, visto che Jean era ammutolito da parecchi minuti. -Riesci a sentirlo?-.
Il ragazzo tese l’orecchio, ma non percepì nulla al di fuori dell’ordinario.
-Cosa…?-.
-Presta attenzione-, lo bloccò la ragazza. -Sta cantando anche adesso-.
Il compagno si sforzò nuovamente di captare il suono di cui Mikasa stava parlando; per un lungo minuto la quiete regnò sovrana nella stanza, poi qualcosa cambiò.
E Jean lo sentì.
-Questo è…-, iniziò a dire, ma la ragazza lo fermò nuovamente.
-Esatto-, annuì con un debole cenno della testa, continuando a tenere l’orecchio teso. -È il sibilo del silenzio-.
Ora l’udiva chiaramente. Era l’antica onda sonora che tante volte gli aveva fatto compagnia da bambino, quando se ne stava a giocare da solo nella propria camera, a casa. Era il suono che per anni aveva associato alla serenità, pensando di essere completamente al sicuro tra le braccia dei suoi genitori.
Non l’aveva più percepito dalla caduta di Trost, ma adesso, nella calma che avvolgeva la foresta in cui si trovavano, eccolo riempirgli di nuovo le orecchie.
-Credevo che fosse solo il frutto della mia immaginazione-, proferì pian piano, quasi avesse paura che le parole potessero scacciare e prendere di nuovo il posto di quel sibilo.
-È la voce del silenzio. È così che ci parla-, aggiunse Mikasa, chiudendo gli occhi e lasciando sprofondare ancor di più la testa nel cuscino.
-E cosa dice?-, domandò Jean, profondamente affascinato dalla sensibilità della compagna.
-Ci racconta del mondo. Ascolta bene; si sta rivolgendo proprio a te-.
Stavolta il ragazzo si concentrò particolarmente sul suono e sentì altri rumori accavallarsi ad esso.
Un cinguettio lontano raggiunse le sue orecchie. Immaginò dei pettirossi saltellare tra le cime degli alberi più vicini alla base e chiamarsi a vicenda, come per assicurarsi che nessuno mancasse all’appello. Una forte folata di vento batté contro il vetro della finestra e portò con sé il fruscio di foglie che, abbandonatesi ai voleri dell’autunno, adesso vorticavano senza sosta nell’aria.
-Capisci perché amo il silenzio?-, gli chiese Mikasa, vedendolo assorto.
Jean non emise una singola sillaba, in attesa della risposta.
-Perché svela i dettagli della vita. Ti ricorda che lì fuori c’è un mondo per cui devi lottare; ti fa percepire la bellezza della natura e ti invita a cogliere la libertà. Ecco perché ti ho chiesto di farmi compagnia: sapevo che avresti capito. Sapevo che le tue parole, al contrario di quelle di Eren e Armin, non avrebbero mai coperto il suo sibilo. E così gli abbiamo prestato ascolto; il silenzio per me è un canto di speranza-.
La ragazza tacque, mantenendo gli occhi fissi sul volto del compagno. Vide un rossore tingergli le guance, ma lo scambiò per il riflesso della luce aranciata del tramonto che trapelava dalla finestra.
-Potresti venire anche domani?-, gli domandò dopo qualche secondo, vedendo che l’altro non sembrava avere alcuna intenzione di spiccicare parola.
-Io…-.
La porta della stanza si spalancò con uno sgradevole stridio che interruppe il giovane.
-Jean, il Capitano ti cerca!-.
Sasha era entrata nella camera come una furia, chiamandolo a squarciagola. Rimase immobilizzata per alcuni istanti notando il compagno seduto accanto a Mikasa e con una mano tesa verso di lei, quasi a volerle sfiorare un braccio, poi tornò in sé: -Ho interrotto qualcosa?-, chiese con fare impacciato.
-Che succede?-.
-Stiamo stabilendo i turni di guardia per stanotte. Ci serve anche il tuo parere-.
-Arrivo subito-, le rispose lui, guardandola e aspettando pazientemente che se ne andasse. Ma evidentemente Sasha non aveva alcuna voglia di lasciare quella stanza e così Jean fu costretto ad alzarsi e a seguirla al piano di sotto, non senza mascherare un certo risentimento. Prima di uscire dalla camera lanciò un’ultima occhiata a Mikasa e la salutò con un cenno del capo, sperando di poter riprendere il prima possibile quella conversazione troncata a metà.
-Che ci facevi lì?-, domandò incuriosita Sasha, mentre scendevano le scale.
-Volevo sapere come si sentiva. È troppo strano, forse?-.
-No, no. Solo che… Ve ne stavate zitti zitti. Vi guardavate e basta. Deve essere stato molto imbarazzante… Mikasa non riesce a far sentire a proprio agio nemmeno i compagni di Squadra-.
Jean avrebbe desiderato dirle che si sbagliava di grosso, che non aveva capito nulla di quella ragazza; avrebbe voluto piantare in asso Sasha e tutti gli altri per tornare di sopra, in quella camera che per mezz’ora si era trasformata in un luogo sacro sia per lui sia per Mikasa. Invece si limitò a scuotere la testa e a mordersi le labbra, consapevole che nessuno avrebbe mai compreso.
“Era proprio quello, il bello”, si disse, entrando in cucina e prendendo posto alla sinistra del Capitano. “Rimanere fianco a fianco e farci cullare dal silenzio come se la guerra non ci fosse”.
Mentre Levi distribuiva a ciascuno di loro un compito da svolgere, Jean pensò che adesso aveva una ragione in più per lottare.
Il silenzio poteva essere ancora pace e lui avrebbe combattuto fino all’ultimo respiro per raggiungere entrambi gli obiettivi.
Il silenzio avrebbe sempre unito lui e Mikasa con legami invisibili per tutti gli altri, ma saldi e spessi ai loro occhi.

 

   
 
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