Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |      
Autore: Alexiel Mihawk    02/06/2015    5 recensioni
Non le hai mai chiesto il suo nome.
Te ne accorgi solo dopo qualche mese, perdendoti a osservare quella cascata di onde aranciate che le ricoprono le spalle e la nuca; non ti sei mai chiesto cosa venga a fare lì, in quello schifo di bar che puzza di birra e che è tutta la tua vita, e in fondo nemmeno ti importa. Il vostro è diventato un rituale, ogni sera, intorno alle nove, la ragazza entra dalla porta e si dirige al bancone, si siede su uno di quegli orrendi sgabelli sgangherati e traballanti che il tuo socio ha voluto ad ogni costo installare, poi accavalla le gambe e ti guarda, sorridendo appena.

(Zoro/Nami, modern!AU, pub!AU - in cui Zoro è il barista e Nami l'insolita cliente)
**Fanfiction partecipante alla settimana Zonami indetta dal Midori Mikan**
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Molti anni fa nel paese di Wa no Kuni viveva un bellissimo samurai dai capelli verdi. Era forte e valoroso, il miglior spadaccino di tutto il regno. Il samurai era innamorato della meravigliosa principessa Namizo, figlia del re del paese, e lei contraccambiava. Questo amore li consumava, perché entrambi sapevano che non potevano avere futuro data la differenza di rango…
- Ma che razza di storia è mai questa, Nami?! Ti avevo chiesto un racconto sui samurai, non una storia piena di sentimentalismi come piace a voi donne!-
- Questa è la storia di un samurai! E non interrompere sul più bello, buzzurro che non sei altro! Vogliamo tutti sapere come finisce la storia fra il samurai e la bella principessa!-
- Tutti chi?!-
- I lettori, no? Sì, dico proprio a voi che avete appena letto l’inizio di questo appassionante racconto. Volete sapere come continua? Allora andate sul Midori Mikan!-





Autrice: Alexiel Mihawk | alexiel_hamona
Titolo: The bartender
Fandom: One Piece
Personaggi: Roronoa Zoro, Nami
Coppia: Zoro/Nami
Rating: sfw
Genere: introspettivo
Warning: One shot, modern!AU, pub!AU
Parole: 1923
Prompt: 'You’re the bartender and you catch someone slipping something into my drink’ AU
Note: questa storia è stata scritta per la ZoNami week indetta dal Midori Mikan. Sono veramente molto soddisfatta da quello che è uscito; ho scelto di utilizzare uno stile diverso dal solito, molto descrittivo e molto introspettivo, come se fosse un dialogo con il protagonista o la voce della sua coscienza che descrive quello che accade. Mi sono molto divertita e ho cercato di limitare i dialoghi al minimo per vedere cosa ne sarebbe uscito. Btw, il tizio che ci prova con Nami è Absalom.
 

 
The bartender

 

 
Non le hai mai chiesto il suo nome.
Te ne accorgi solo dopo qualche mese, perdendoti a osservare quella cascata di onde aranciate che le ricoprono le spalle e la nuca; non ti sei mai chiesto cosa venga a fare lì, in quello schifo di bar che puzza di birra e che è tutta la tua vita, e in fondo nemmeno ti importa. Il vostro è diventato un rituale, ogni sera, intorno alle nove, la ragazza entra dalla porta e si dirige al bancone, si siede su uno di quegli orrendi sgabelli sgangherati e traballanti che il tuo socio ha voluto ad ogni costo installare, poi accavalla le gambe e ti guarda, sorridendo appena.
Ordina sempre la stessa cosa tanto che, dopo un po’, ci hai fatto l’abitudine e, due minuti alle nove, già cominci a pestare il ghiaccio e il lime per il mojito che sai dovrai servire a breve; quando le allunghi il bicchiere le vostre dita si sfiorano e capita, ogni tanto, che le sue unghie ti graffino leggermente la pelle.
È su un altro livello, non solo in confronto a te, con la tua divisa scura e il grembiule sporco, ma anche rispetto alla clientela media del locale: giovani in cerca di svago, ubriaconi e perditempo. Gente tranquilla, gente gentile e tu lo sai, ma dall’aspetto di scaricatori di porto; per non parlare dei travestiti che ogni tanto vengono a trovarvi, un gruppo di spostati dal cuore d’oro e l’aspetto poco raccomandabile.
No, quella ragazza, con i suoi capelli curati e il trucco sempre perfetto stona quasi all’interno di quel quadro composto da pennellate veloci e confuse, è una Ester di Veronese catapultata nella follia della Guernica, con le sue forme voluttuose e rotonde che si scontrano contro gli spigoli aspri dei vostri visi stanchi; non che tu sia in grado di fare un paragone simile, sia ben chiaro, dopo tutto sei solo il barista.
E poi ti va bene così, ti basta quello scambio di sguardi ogni volta che entra, le dita che si sfiorano, la sua voce delicata che ti ringrazia prima di uscire; è un rituale ed è solo vostro, tuo quanto suo, e non ha importanza quale sia il suo nome o cosa faccia per vivere o perché venga lì ogni sera.
Il giorno in cui tutto cambia è un lunedì. E tutti sanno che di lunedì sarebbe sempre meglio non alzarsi dal letto, tu, poi, lo sai meglio degli altri, soprattutto quando sei ancora sotto gli effetti della sbronza della sera prima. Pessima, pessima idea quella di seguire il tuo socio a bere: «Sarà divertente!» aveva esclamato Rufy, e tu, pollo, subito dietro a dargli retta. Non basta l’aspirina e non importa quante ore passino, nelle tempie rimane quel martellante fastidio che spesso assale chi non ha dormito abbastanza. Così quando arrivano le nove, la tua espressione è ancora imbronciata e forse hai spaccato il ghiaccio con più forza del solito, forse hai pestato il lime con maggiore rabbia, non ne sei certo, ma il suo risolino sommesso ti raggiunge da dietro e per la prima volta in quella giornata di merda, ti rendi conto che dopotutto c’è qualcosa che non ti infastidisca.
Sorridi, anche se più debolmente del solito, mentre le allunghi il drink e lasci che il calore delle sue dita si trasmetta alle tue, ancora fredde per via del ghiaccio;  la ragazza ti osserva per un istante, forse più a lungo del solito, poi senti la sua voce e questa volta non è un semplice grazie.
«Hai un aspetto orribile» le sue labbra si appoggiano sul bordo del bicchiere lasciando un alone di rossetto al loro passaggio.
Scoppi a ridere, a metà tra lo stupore e il divertimento, ma non fai in tempo a replicare; un tizio che non hai mai visto prima, lunghi capelli biondi e una smorfia leonina sul viso, le si avvicina, cominciando a parlare con voce strascicata e melliflua.
Decidi di dargli le spalle, irritato dalla sua presenza inopportuna e ancora di più dal fatto che non sia stato cacciato in malo modo; non capisci bene il perché, ma senti che quell’elemento stona più di qualsiasi altro, interrompendo qualcosa che dovrebbe essere unicamente tuo, anche se solo per pochi minuti al giorno.
«Facciamo così» la senti dire e la sua voce è atona e fredda, permeata da un tono graffiante che non ha mai usato con nessuno lì dentro, né con te, né con il tuo socio, né con il peggiore dei tuoi clienti «Io vado fino alla toilette a incipriarmi il naso, quando torno tu sei sparito».
Segui con lo sguardo le curve del suo corpo e anche se provi a non farlo, senti di esserne attirato, come una calamita; solo quando sparisce oltre la porta del bagno ti giri, finalmente, a guardare quell’intruso dai modi sgradevoli. Ed è questione di un istante; il secondo prima sei dietro al bancone, quello dopo l’hai scavalcato con un salto e il tuo pugno desto va a schiantarsi sul viso dell’uomo.
Lo vedi cadere a terra, tenendosi lo zigomo, e senza aspettare che si rialzi ti getti sopra di lui, scatenando le urla di incitamento dei clienti abituali; non ti accorgi della ragazza che al primo accenno di rissa emerge correndo dalla toilette delle signore, né di come i suoi occhi si sgranino, stupiti e, in parte, turbati.
È il tuo socio a superarla con passo deciso e a fermare il tuo pugno prima che si schianti ancora una volta sul naso di quel tale, ed è la sua voce che arriva alle tue orecchie, invitandoti a una calma che non possiedi.
«Ora basta, Zoro, finiscila».
Digrigni i denti, sollevandoti a fatica, le nocche delle mani escoriate e rigonfie, macchiate di sangue non tuo: «Questo figlio di puttana le ha versato qualcosa nel bicchiere».
Ora non sei solo tu a fremere dalla voglia di picchiarlo, è l’intero locale che è in subbuglio, attraversato da un mormorio concitato; percepisci gli sguardi di disprezzo e disgusto dei tuoi clienti abituali, capaci di farsi pestare a sangue per mezzo grammo d’erba, ma nessuno dei quali toccherebbe mai una donna contro la sua volontà.
«Non è vero! Non ho messo niente nel drink di quella sgualdrina!»
Senti la voglia di picchiarlo tornare a farsi pressante, ma una mano molto più minuta della tua si stringe attorno al tuo braccio trattenendoti indietro; senti le curve dei suoi seni premere contro il tuo bicipite e il sangue defluire dal tuo viso per ritornare a circolare normalmente. Il tuo cuore però non rallenta e non capisci se sia colpa della furia che ancora ti scorre in corpo, o per quel contatto non richiesto e, per i tuoi gusti, fin troppo intimo.
«Non c’è problema allora…» continua intanto Rufy di fronte a te, anche se non sei più così sicuro di quello che stia dicendo «Se lo finisci di bere tu, giusto?»
Qualcuno gli passa il cocktail, rimasto immobile sul bancone, con il ghiaccio quasi del tutto sciolto e alcune foglie di menta che navigano sulla superficie; e tu, immobile,  osservi mentre il tuo migliore amico lo rovescia completamente nella gola dell’uomo, tenendo il bordo del bicchiere così vicino alle labbra che l’altro non ha altra scelta che inghiottirne l’intero contenuto.
È Satch a buttarlo fuori dal locale, o forse Ace; non ci fai troppo caso, hai altro a cui pensare, come quegli occhi nocciola fissi su di te, che continuano a osservarti in un misto di gratitudine e disapprovazione. Ti siedi su uno sgabello, abbassando lo sguardo, interrompi di malavoglia il contatto tra i vostri corpi e azzardi una scusa, consapevole che probabilmente saranno le ultime parole che le rivolgerai prima di vederla uscire dalla porta del locale.
«Mi dispiace» borbotti piano, cercando giustificazioni che non trovi per motivare la violenza eccessiva con cui ti sei scaraventato contro di lui. La ragazza però non pare colpita, fa il giro del bancone e si piazza di fronte a te, là dove di solito ti trovi tu, ed è strano vedere le vostre posizioni invertite. È come osservarsi in uno specchio, come guardare con occhio estraneo la propria vita e non riconoscerla; eppure non provi fastidio, non ti senti a disagio, non ti irrita nemmeno il fatto che le sue mani sottili accarezzino il collo di quelle bottiglie che di solito solo tu puoi maneggiare. Ti versa da bere e non hai idea di cosa stia preparando, ma va bene così, e quando il sapore forte del whiskey scivola giù per la gola, quasi dimentichi il dolore acuto che senti alla mano.
Non che tu possa lamentarti, non ne avresti nemmeno il tempo; la ragazza si appoggia al piano e come tu depositi il bicchiere sul legno scuro, ti afferra saldamente le dita, osservandole con aria di chi sa bene quanto male possano fare; non ti domandi dove abbia trovato le bende e l’acqua ossigenata, forse ha scovato la cassetta di pronto soccorso sotto il lavello, forse è stato qualcuno a passargliela – non te ne saresti accorto comunque, troppo preso a osservare ogni suo movimento.
Con aria esperta e tocco gentile ti disinfetta le escoriazioni, dalle tue labbra non esce alcun suono, non una parola, non un gemito di protesta; hai quasi timore che parlando quel momento possa infrangersi, come colpito dal peso della realtà
«Non era necessario» le senti dire, mentre il calore delle sue mani si trasmette alle tue e avvolge le nocche in strette bende bianche, finché il sangue non è più visibile, finché il dolore non si attenua e tu torni a fissarla negli occhi «Ma grazie».
Lascia dieci dollari sul bancone e con passo veloce si sposta sul lato opposto, tornando a essere una dei numerosi clienti del locale, troppo ubriachi per prestarvi più alcuna attenzione; ti si avvicina e allunga il braccio oltre le tue gambe ad afferrare la sottile pochette che si porta dietro ogni volta. Avrebbe potuto fare il giro e passare dietro di te, ma non stai a soffermarti sui dettagli, senti solo che, per la seconda volta quella sera, è così vicina da poter sentire il profumo del suo shampoo, e senti il tuo cuore accelerare nuovamente.
«Mi dispiace per il tuo drink…» riesci solo a mormorare, senza sapere come continuare, ma ancora una volta è poco importante perché è lei a completare la frase per te.
«Nami. Mi chiamo Nami» ed è sempre troppo vicina, tanto che riesci a percepire il soffio caldo del suo respiro sulla guancia e non hai il coraggio di girarti a guardarla negli occhi, perché se dovessi arrossire che ne sarebbe della tua reputazione di grand’uomo? Perché alla fine la tua reputazione è tutto ciò che hai.
Quando senti le labbra carnose posarsi sul tuo viso, all’angolo della bocca, trattieni un sussulto, ma non riesci a evitare di voltarti di scatto verso di lei che, più veloce di quanto non avresti creduto possibile, è già due passi più in là, diretta verso l’uscita.
«Vorrà dire che domani ti toccherà offrirmene un altro» ti dice con voce ovattata, quindi scompare lasciando dietro di sé un silenzio irreale.
E tu non sai se essere confuso o felice, perché hai appena capito che nonostante lo spettacolo pietoso di quella sera, ha intenzione di tornare lo stesso; così rimani lì, seduto dalla parte sbagliata del bancone, a rimuginare sui tuoi pensieri, mentre sulla tua guancia resta il contorno rosso di un paio di labbra, là all’angolo della tua bocca, a ringraziarti per quello che hai fatto, come un marchio che scotta sulla tua pelle chiara.





   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Alexiel Mihawk