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Autore: francoise14    03/06/2015    4 recensioni
Novembre 1945. Il giovane Lele è quasi giunto alla fine del suo viaggio: dopo la guerra e i duri anni di prigionia, si avvicina il momento del ritorno a casa. Sotto gli occhi di questo giovane dalla vita spezzata, le macerie di un'Italia ferita come la sua anima; e nel cuore solo lei, Anna.
Ispirato a una storia vera.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Julia

Il treno si era fermato. Oltre quella stazione non si proseguiva, la rete ferroviaria era stata pesantemente danneggiata dai bombardamenti. Lele scese stancamente: la fortuna era durata poco, lo spazio di un breve riposo e di tanti ricordi. Intorno, solo sfacelo.
Chissà quanto ci vorrà a ricostruirla?E quanto ci vorrà a ricostruire questa nostra terra martoriata e offesa? Quanto ci vorrà a ricostruire me, a farmi ritornare la persona che ero?
Lele scosse la testa. No, quella persona non tornerà mai più.
Iniziò a incamminarsi lungo la strada polverosa, restando però indietro rispetto agli altri passeggeri. Non aveva voglia di compagnia. Non aveva voglia di parlare. Il cielo iniziava a tingersi di rosso: presto sarebbe calata la sera e ormai era autunno inoltrato per pensare di dormire all'aperto, tanto più che non c'era Giovanni a dividere con lui eventuali turni di guardia, mentre l'altro dormiva. No, troppo freddo e troppo rischioso. Il paese più vicino non distava molto, sicuramente avrebbe trovato un riparo per la notte.  Ringraziò mentalmente l'amico, che prima di abbracciarlo l'ultima volta, gli aveva infilato a forza nelle tasche il poco denaro che la moglie aveva con sé. Lele istintivamente aveva provato a rifiutare, ma Giovanni questa volta non aveva sentito ragioni.
- Serviranno più a te che a noi. Hai un lungo viaggio da fare, ancora: finora il più delle volte abbiamo incontrato gente di cuore, ma non è sempre così. E poi sei solo.
Lele aveva accampato ancora qualche protesta, ma l'amico alla fine aveva vinto. Almeno su quello.
Sorrise Lele, a quel ricordo. Caro, vecchio Giovanni! Lo assalì un'improvvisa tristezza... Quel "Resta con me, Lele" , quella richiesta accorata continuava a risuonargli nell'anima, ma la causa di tanta mestizia non era solo la nostalgia per il Professore. Pochi mesi prima, un'altra persona aveva pronunciato le stesse parole, quelle parole che in bocca a Giovanni gli avevano rammentato l'unica parte della sua vita di cui non andava fiero. Julia...
Lele si strinse nel pesante cappotto nero, così grande per lui, rabbrividendo... ma non era per il freddo. Il pensiero di Anna e l'amicizia di Giovanni gli avevano salvato l'anima, a Julia doveva la vita. Per un attimo ripensò a quella calda giornata di giugno, quando l'aveva vista per la prima volta all'ingresso della fabbrica con le valigie ancora in mano. Appena arrivata da Berlino dopo la morte della madre, per raggiungere quel padre lontano che dirigeva la fabbrica e si era trasformato, per Lele e i suoi disgraziati compagni, nell'ennesimo aguzzino. Lele aveva sentito su di sé lo sguardo di quella ragazza bionda dai tratti delicati e aveva alzato la testa in un moto di orgoglio, ma subito dopo non aveva potuto fare a meno di sussultare. In quegli occhi, di un celeste limpido come l'acqua, aveva riconosciuto il dolore della pietà. E per la prima volta, da quando era in quell'inferno, si era ricordato di essere un uomo, per la prima volta si era vergognato del suo aspetto, dei capelli rasati, del volto smunto.
Da quel giorno, quella giovane silenziosa, perfetto esemplare della razza ariana tanto decantata da Hitler, era diventata l'angelo custode del campo. Approfittando di qualsiasi momento di distrazione delle guardie preposte alla sorveglianza, mettendo a repentaglio la sua stessa vita, allungava a quanti poteva un tozzo di pane o qualche pezzo di formaggio. A Lele riusciva a far arrivare persino qualche biscotto o una fetta di torta, che il giovane nascondeva gelosamente e divideva poi la sera con il Professore, nel fetore della loro baracca. Ogni volta quel dono era accompagnato da un sorriso, che il giovane si scopriva ansioso di ricambiare. Era diventata ormai un'abitudine per lui, la mattina quando arrivava e la sera quando ripartiva, alzare lo sguardo verso la finestra degli uffici e cercare quello di lei.
- Stai giocando con il fuoco, amico mio. - lo aveva ammonito una sera Giovanni, scuotendo la testa.
Lele era arrossito violentemente, ma aveva cercato di eludere il discorso.
- Non capisco cosa vuoi dire.
Il Professore aveva sorriso amaramente.
- Sai bene a cosa mi riferisco... non sono cieco, Lele, lo vedo come ti guarda lei e... vedo come la guardi tu. Li vedo i sorrisi, le sento le poche parole che vi riuscite a scambiare tra il tuo tedesco stentato e il suo italiano da studentessa appassionata di lingue... e non mi piace, amico mio. Capisco che non c'è nulla di male in questa... chiamiamola "simpatia"... E poi lei è veramente bella, sembra una dea, ma...
- E' una Tedesca, Giovanni. E a me non piacciono le Tedesche. - lo aveva interrotto bruscamente l'amico, abbassando gli occhi grigi sulla piccola treccia di Anna. Non lo avrebbe ammesso mai di fronte a lui, ma si sentiva colpevole.
Giovanni era scoppiato a ridere
- Pensa allora se ti piacevano!
Poi, facendosi serio, aveva mormorato:
- Comunque io ti consiglio di darci un taglio. Hai detto bene, è una Tedesca. Ed è una donna, una donna innamorata, lo puoi negare quanto ti pare ma è così. La cosa ti si può ritorcere contro. Non la illudere, Lele... E' una brava ragazza, non se lo merita.
Lele non aveva osato replicare, ripromettendosi tuttavia di seguire il consiglio dell'amico. Non ne aveva però avuto il tempo, perché pochi giorni dopo erano arrivati i Russi: la fine di un incubo e l'inizio di un'odissea.
Lele e il Professore avevano deciso di partire da soli, senza aspettare. Era troppa la voglia di tornare a casa. Prima però Lele aveva voluto andare da Julia.
- La voglio salutare, Giovanni. Glielo devo. - aveva detto all'amico.
Il Professore aveva annuito e lo aveva accompagnato davanti la fabbrica, ma non lo aveva seguito.
Lele era entrato silenziosamente nell'ufficio di Julia e l'aveva trovata lì, seduta alla scrivania, i begli occhi cerulei lucidi di pianto. Alla sua vista, un sorriso le aveva illuminato il volto, e scansando bruscamente la sedia, si era alzata di scatto e gli si era buttata al collo. Lele, frastornato, l'aveva stretta forte, ricambiando quell'abbraccio disperato; quindi lei aveva avvicinato le labbra all'orecchio di lui e gli aveva sussurrato qualcosa in tedesco che non era riuscito a capire. Julia allora aveva ripetuto in italiano:
- Resta con me, Lele! Resta con me! - e aveva posato quelle labbra morbide su quelle di lui.
Per un attimo Lele non aveva capito più niente. Inebriato dal profumo di lei, stordito dal sapore della sua bocca, i sensi improvvisamente risvegliati da quel corpo flessuoso e morbido che si era stretto al suo. Poi, quel pensiero. Il fieno, la stalla. Lei, Anna. Anna, che aveva promesso. Anna, che l'aspettava. Anna, che sarebbe stata sua. Con la poca forza rimasta, Lele si staccò da lei.
- No, Julia, non fare così, ti prego...
Julia aveva continuato a implorarlo e a cercare di abbracciarlo, scivolando quindi ai suoi piedi e aggrappandosi piangente alle sue ginocchia.
- Resta con me, Lele, resta con me!
Una rabbia sorda e sconosciuta lo aveva assalito. Rabbia verso Julia e, avrebbe scoperto più avanti, soprattutto verso se stesso. Ma in quel momento era stato più facile sfogarsi su di lei. Una Tedesca. Non l'angelo che l'aveva protetto, non la donna che lo aveva amato nell'ombra. Solo una Tedesca. E che ne sapeva veramente, una Tedesca, di quello che aveva passato? Come poteva chiedergli di restare, di fare parte di quello stesso popolo che lo aveva ridotto a una larva, che lo aveva trasformato in una bestia? Che ne sapeva di lui, della sua vita prima, di Anna?
- Togliti!- gli aveva urlato in tedesco. - Togliti! - aveva ripetuto, cercando di liberare le gambe.
- No!
- Togliti, Julia!
- No!
L'aveva dunque afferrata, scaraventandola lontano, pentendosi subito dopo del suo gesto. Julia aveva alzato il capo, ferita, e l'aveva trafitto col muto rimprovero dei suoi occhi. Occhi di cielo in colpevoli occhi grigi. Non riuscendo a sostenere quello sguardo, Lele aveva abbassato la testa, e mormorando un addio si era diretto alla porta.
- Aspetta, Italiano! - lo aveva bloccato lei, in tedesco. Aveva pronunciato quelle parole in tono secco, asciutto, perentorio. Da degna figlia di Hitler.
Lele si era voltato ed era trasalito di fronte a quello sguardo diventato improvvisamente di ghiaccio.  Julia aveva aperto un piccolo armadio di noce posto alla destra della scrivania e ne aveva tirato fuori due pesanti cappotti di lana.
- Questo è per il tuo amico. E  questo è per te. - gli aveva detto freddamente. - Tieni, indossalo. Fuori fa freddo, Italiano. - e senza che Lele avesse osato fiatare, lo aveva aiutato ad indossarlo. Gli aveva quindi infilato alcune monete in tasca e, guardandolo fieramente per l'ultima volta, gli aveva detto semplicemente:
- Buona fortuna.
Quindi si era voltata, affinché egli non vedesse le lacrime che avevano ripreso a scorrerle sulle guance.
Lele era fuggito. Da vigliacco, senza dire niente, uscendo precipitosamente da quell'ufficio e quasi tirando il cappotto all'amico prima di incamminarsi rapidamente, da solo, lungo la strada che dalla fabbrica portava alla libertà. Giovanni non aveva avuto bisogno di fare domande e si era limitato a seguirlo in silenzio.
 
 
   
 
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