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Autore: Soul of Paper    03/06/2015    4 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 48: “Playing with fire – seconda parte”


 
Nota dell’autrice: mi scuso per il ritardo ma il capitolo è venuto mooolto più lungo del previsto. Lo so che i miei capitoli sono sempre lunghi, ma in confronto a questo sono brevi xD. È un po’ come una maratona: parte più lento ma verso metà c’è una bella accelerata per arrivare, al galoppo, all’esplosione finale ;). Non vi faccio perdere altro tempo e vi do appuntamento alle note di fine capitolo.


 
“Mmm… Potti… shh… sta buono!”
 
Nasconde la testa nel cuscino per cercare di attutire il rumore martellante dell’abbaiare del cane prima che lo svegli del tutto. Sente Camilla muoversi e stiracchiarsi tra le sue braccia, i capelli che gli solleticano il collo e il petto anche se… c’è qualcosa di strano.
 
“Chi è Potti?”
 
Apre gli occhi di scatto e cerca di mettersi a sedere, ma il peso sul petto e sullo stomaco glielo impedisce. Abbassa lo sguardo e incontra due occhi scuri da cerbiatta e un mare di capelli nerissimi.
 
La Venere del Botticelli.
 
Barbara.
 
Che cosa ho fatto? – è il primo pensiero, che gli trapana la mente come un martello pneumatico, peggio dei latrati che sembrano perforare le pareti, ma che evidentemente non appartengono affatto a…
 
“Po-Potti è il mio cane… anzi, no, in realtà è il cane di mia moglie,” balbetta, rispondendo alla domanda mentre il suo cervello cerca disperatamente di connettere, di capire cos’è successo.
 
Certo che lo so cos’è successo – si ammonisce tra sé e sé, come se la pelle nuda e vellutata a contatto con la sua, i vestiti buttati ovunque e, soprattutto, i ricordi della sera prima, che mano a mano ritornano vivi e nitidi davanti ai suoi occhi, non fossero prova più che sufficiente di quello che aveva fatto, che avevano fatto.
 
Quello che si chiede è perché l’ha fatto, perché sia successo, perché a quasi sessant’anni abbia fatto quello che non aveva mai fatto prima, nemmeno da ragazzino.
 
“Non ci riesci proprio a non nominarla e a non pensare a lei, eh?” gli domanda con una certa… rassegnazione nel tono di voce, ma senza rabbia o irritazione, anzi, con dolcezza, e a Renzo, anche se non sa bene perché, torna in mente il suo primo e unico disastroso appuntamento con Pamela. Solo che Barbara, a differenza di Pamela, ritorna subito a sorridere e aggiunge, indicando il muro, “comunque è solo il cane del vicino… è un cucciolo e… non sono ancora riusciti a fargli capire che non è un orologio sveglia e nemmeno un gallo e ci sveglia tutte le mattine più o meno a quest’ora.”
 
“Beh… almeno se uno avesse la sveglia rotta… è una garanzia… certo, magari nel weekend non è il massimo,” abbozza Renzo, in imbarazzo, prima di aggiungere, dopo aver preso un bel respiro per farsi forza, “scusami è che… è che… non è da molto che sono tornato… single e… non sono abituato a svegliarmi accanto a qualcuna che non sia-“
 
“Tua moglie,” completa la frase con un sospiro, per poi aggiungere, guardandolo negli occhi, stranamente seria, “questa è la prima volta che succede da quando vi siete lasciati, vero?”
 
“Sì… cioè, no, in realtà una volta mi sono preso una bella sbronza, proprio come te ieri sera e… e una mia… un’amica mi ha assistito mentre stavo male ma… è la prima volta che-“
 
“Che vai a letto con qualcuna che non sia tua moglie – e non solo per dormire,” deduce, pronunciando le parole come se stesse dicendo un’ovvietà.
 
“Si – si nota così tanto?” balbetta Renzo, sentendosi confuso e disorientato e, soprattutto, terribilmente in imbarazzo.
 
“Un po’… sei così imbarazzato e anche stanotte… all’inizio eri così timido ed esitante: sembrava quasi che fosse la tua prima volta in assoluto,” ammette con un sorriso, sollevando la mano per tracciargli la mandibola con le dita, facendolo trasalire.
 
“Scusami, mi – mi dispiace, io-“ tartaglia, arrossendo per la vergogna, non potendo evitare di sentire la sua autostima, il suo orgoglio già a dir poco barcollanti, dopo tutte le botte subite negli ultimi mesi, finire sotto la suola delle scarpe di fronte alla spietata consapevolezza di essere indubbiamente uscito per l’ennesima volta sconfitto dall’inevitabile paragone con il poliziotto-super-più e la sua Ars Amatoria. Non serve che la Venere lo dica espressamente, è così palese che-
 
“Guarda che non hai proprio niente di cui scusarti, anzi! Nessuno mi aveva mai trattata con così tanta dolcezza, e non solo a letto,” lo interrompe, distogliendolo dai suoi pensieri e sorprendendolo con un bacio delicato, quasi una carezza a fior di labbra, così diverso dai modi da fatalona sfoggiati la notte precedente, per poi aggiungere, con un sorrisetto ed uno sguardo invece decisamente maliziosi, “e poi… tu sei come un diesel, ci metti un po’ a carburare, ma quando ti accendi… diventi così passionale e focoso! Non pensavo fossi così e sono stata benissimo stanotte.”
 
“Su- sul serio?” farfuglia, incredulo, ma il sorriso e lo sguardo di lei sembrano così sinceri e lo fanno sentire così bene… come se i cocci, i frammenti del suo orgoglio ferito e sanguinante si ricomponessero, almeno per un istante.
 
Perché a quel senso momentaneo di benessere, subentra presto un’altra fitta pulsante, carica di sensi di colpa.
 
“Sì, certo. L’avrai visto e sentito anche tu quante volte sono stata bene, no?” gli sussurra con un altro sorriso malizioso ed un occhiolino, facendolo diventare bordeaux.
 
“No, cioè… sì… non lo so, io… la verità è che… è la prima volta in assoluto che mi capita di-“
 
“Di andare a letto con una che conosci appena?” gli chiede in quella che, di nuovo, sembra un’affermazione più che una domanda.
 
“Sì… e immagino che… che anche questo si noti molto, vero?” deduce, nello stesso identico tono.
 
“Sì,” conferma lei, semplicemente, per poi guardarlo negli occhi e domandargli a bruciapelo, un’espressione consapevolmente rassegnata sul viso, “pentito?”
 
“Io… non lo so, è che-“
 
“Non raccontarmi palle, per favore. Non ne posso più di uomini che mi riempiono di palle. È meglio se sei brutale ma sincero,” lo interrompe subito, prima che possa rispondere.
 
“Vuoi la verità?” le chiede con un sospiro, per poi aggiungere, quando lei annuisce, convinta, “la verità è che… sono confuso. Sono stato bene con te stanotte ma… la verità è che mi sento in colpa.”
 
“Ti senti in colpa per essere venuto a letto con me o perché ti è piaciuto?” gli chiede con un sopracciglio alzato.
 
“Forse… forse per entrambe le cose,” ammette, sentendosi il peggiore degli uomini, sia per quello che ha fatto, sia per quello che sta dicendo.
 
“E perché? Ci si dovrebbe sentire in colpa solo se si fa qualcosa di male. E tu non hai fatto proprio niente di male: non sei più impegnato, non hai tradito nessuno e non hai fatto del male a nessuno e-“
 
“Forse ne ho fatto a te, ne sto facendo a te e-“
 
“A me?” gli domanda con un mezzo sorriso ed un’espressione incredula, “sei davvero tenero, lo sai?”
 
“Tenero?” le chiede, altrettanto incredulo.
 
“Sì, tenero. Non mi hai mica sedotta e abbandonata, anzi, sono io che… che ci ho provato con te e pure di brutto e… la verità è che lo sapevo, l’ho sempre saputo che forse sarebbe stato solo per stanotte, che stamattina avresti reagito così ma… comunque andrà a finire, non mi pento di niente, ne è valsa la pena,” risponde, con un altro sorriso incredibilmente dolce, che di nuovo porta Renzo a chiedersi dove sia finita la panterona della sera prima, per poi sospirare e trafiggerlo con un’occhiata vulnerabile e decisa insieme, “l’unico modo in cui potresti farmi del male è… se non sei sincero con me adesso su… su che cosa succede ora.”
 
“Cosa succede ora? Intendi… tra me e te?” domanda, prima di darsi dell’idiota da solo e aggiungere, imbarazzato, “scusa, domanda stupida. È che… non lo so… non… per l’appunto non mi è mai capitato e… cosa succede di solito in questi casi?”
 
“Non lo so… non c’è una regola fissa, anzi, direi proprio che non ci sono regole,” risponde, continuando a guardarlo negli occhi, per poi chiarire, dopo un attimo di esitazione, “potremmo… potremmo dirci che è stato bello ma finisce qui e chi si è visto si è visto, oppure potremmo… potremmo continuare a vederci così, senza impegno, quando… quando ne abbiamo voglia, o potremmo perfino decidere di recuperare tutte le cenette a lume di candela e le passeggiate romantiche mano nella mano che abbiamo saltato e… iniziare una… una storia vera. Devi dirmelo tu: tu cosa vuoi? Cosa vuoi davvero?” gli chiede, continuando a guardarlo negli occhi.
 
“Io?” domanda di rimando, completamente spiazzato da lei, dalla situazione, da questa conversazione, è tutto così diverso da quello a cui è abituato, lei è così diversa dalle altre donne con cui ha avuto una storia, forse perché, in effetti, non c’è stata nessuna storia.
 
“Sì, tu. Vedi altri qui?” conferma con un sorriso divertito.
 
“No… è che… è che non sono più abituato a-“
 
“Ad andare a letto con qualcuna che non sia tua moglie, l’ho capito,” sbuffa, scuotendo il capo con un mezzo sorriso esasperato.
 
“No, cioè, anche, ma veramente, intendevo dire che… non sono più abituato che qualcuno mi chieda… cosa voglio fare io. Ultimamente sono sempre stati gli altri a decidere per me…” ammette Renzo, quasi più tra sé e sé che con lei.
 
“Come tua moglie quando… ti ha lasciato per Gaetano?” intuisce Barbara, colpendo nel segno.
 
“Anche…” mormora Renzo, la gratitudine e la sorpresa che si mischiano all’imbarazzo e al disagio per la situazione e la piega che ha preso la conversazione.
 
“Lei può avere deciso che… che il vostro matrimonio era finito. Ma dall’altro lato ti ha lasciato libero di scegliere che cosa vuoi fare, non ci hai pensato? È uno dei vantaggi di essere single: puoi decidere tu cosa vuoi fare della tua vita, sei indipendente, quindi te lo chiedo di nuovo: che cosa vuoi fare? A me basta che sei sincero, non mi offendo.”
 
“Io sinceramente… non ne ho idea… e poi… non dipende solo da me… insomma, per fare certe cose bisogna essere in due e… tu cosa vorresti fare?” rimpalla, ricambiando l’occhiata penetrante di lei.
 
“Eh no, mi dispiace ma io ho già fatto molto più che il primo passo e non deciderò anche io per te… forse l’ho già fatto ieri sera e… sono stufa di fregature, quindi… non voglio di sicuro costringerti ad avere una storia con me. Adesso tocca a te decidere,” chiarisce, continuando a fissarlo in quel modo serio, deciso, così distante dalla seduttrice un po’ svampita della sera prima.
 
“Non vuoi costringermi ad avere una storia con te? Quindi tu… tu la vorresti una storia con me?” evince, sempre più stupito e confuso da tutto quello che è successo nelle ultime dodici ore, da lei, da se stesso.
 
“Diciamo che… sono stata benissimo con te e… mi piacerebbe rivederti e… e provare a… a frequentarci. Non ho mai conosciuto nessuno come te, sei molto diverso dagli uomini che… che frequento di solito, in meglio,” proclama con un sorriso ed uno sguardo che lo fanno sentire desiderato, voluto, affascinante, attraente e… gli sembra di essere ringiovanito di non sa quanti anni.
 
Ma, di nuovo, allo stesso tempo, avverte una fitta di quel senso di colpa sottile e strisciante che non lo lascia andare e che ha, stranamente, il volto e la voce di sua figlia.
 
“Anche io sono stato bene con te e anche… anche tu sei molto diversa dalle donne che frequento di solito… anche se poi non è che ne abbia frequentate così tante in questi ultimi anni…” farfuglia, cercando disperatamente le parole per spiegarsi senza ferirla, perché non se lo merita affatto.
 
“Già… perché eri devoto e fedele a tua moglie, giusto?” gli domanda con tono ed un mezzo sorriso rassegnati e che sembrano anche inaspettatamente inteneriti.
 
“Sì, cioè… non sono sempre stato un santo… insomma… è complicato, però… io sono uno che nella vita ha avuto poche relazioni, sempre abbastanza lunghe e stabili e… tu sei bellissima e mi piaci molto ma… non mi aspettavo che succedesse… quello che è successo e… visto che vuoi la verità… la verità è che non so se sono… se sono pronto a provare ad avere un’altra storia. Come avrai capito… la… la botta è ancora calda e-“
 
“Sì, ho capito, tranquillo, non-“
 
“No, no, cioè, non voglio che tu pensi che sia stata una… una – dio mio come odio questo termine! – una botta e via, perché… con te stanotte sono stato bene e… mi hai fatto sentire vivo per la prima volta da tanto, da troppo tempo, però sono in un periodo difficile della mia vita e… ho un rapporto con mia figlia da ricostruire e una separazione a dir poco incasinata e… non so cosa fare, sono confuso e non voglio prenderti in giro e-“
 
“Ehi, shhh, tranquillo, ti ho detto che ho capito,” lo rassicura, dopo averlo zittito posandogli un dito sulle labbra, “come ti ho già detto sono… sono stata io a provarci con te e… lo sapevo che poteva finire così. Mi è già capitato e forse mi capiterà ancora e preferisco la tua sincerità ad uno di quegli squallidi – ti richiamerò – che si dicono giusto per scappare via senza troppo imbarazzo. E anche questo te l’ho già detto e te lo ripeto: non mi pento di niente e… ti ringrazio per questa notte, anche se… anche se probabilmente non ti rivedrò più.”
 
Renzo cerca di rispondere ma ogni suono gli muore in gola quando le labbra di lei sulle sue lo sorprendono quasi quanto la sera prima, una scossa elettrica che lo attraversa da parte a parte, il suo corpo che, di nuovo, lo tradisce, non può evitare di stringerla a sé e di ricambiare quel bacio dolce e appassionato che ha il sapore di un bacio di addio.
 
“Facciamo così…” gli sussurra sulle labbra, col fiatone, quando infine si staccano, “io adesso vado a farmi una doccia. Se vuoi raggiungermi sei il benvenuto, altrimenti… dove li ho messi? Ah, eccoli.”
 
Renzo, ancora scosso e scombussolato, la osserva frugare nella borsetta raccolta dal pavimento dove era stata buttata la sera prima e afferra in maniera quasi automatica il cartoncino che lei gli porge.
 
Barbara Olivieri – organizzatrice di eventi
 
“Questo è il mio numero… se… ti va di rivedermi e di… insomma… di vedere come potrebbe andare tra di noi, giorno dopo giorno, senza… senza promesse, che tanto non servono a niente, e sono solo una fregatura,” chiarisce con un mezzo sorriso amaro, quasi cinico, “se… se non ti sento entro un paio di giorni… insomma, saprò comunque qual è la tua risposta, quindi non devi chiamarmi per forza, non ti preoccupare.”
 
Lo travolge con un altro bacio, ancora più dolce del precedente ma molto più breve: si stacca quasi bruscamente da lui e, con un ultimo sorriso, si alza in piedi, scostando le lenzuola dal suo corpo nudo e scultoreo e si avvia verso il bagno, così, senza imbarazzi, senza pudore, con naturalezza, come se fosse la cosa più normale del mondo.
 
Renzo rimane come paralizzato ad osservarla, il cuore a mille, mentre il suo corpo, ancora in subbuglio dopo quei baci, reagisce in maniera prepotente e lancinante di fronte a quel panorama, gridandogli, insieme al suo istinto e a parte del suo cervello di seguirla, di raggiungerla, di non lasciarsela sfuggire, di perdersi di nuovo in lei fino a non sentire altro che quel benessere, quella leggerezza, quell’oblio così seducente ed inebriante, dopo la pesantezza e il senso di soffocamento, di fallimento degli ultimi mesi, forse degli ultimi anni.
 
Ma un’altra parte della sua mente, gli dice di fermarsi a riflettere su che cosa sta facendo, che lui non è mai stato tipo da storie leggere, ha sempre messo il cuore prima dell’istinto e dell’attrazione, ha amato profondamente ogni donna con cui è stato e poi… e poi c’è Livietta e deve pensare solo a lei, non può permettersi distrazioni, per quanto piacevoli. E sa benissimo che iniziare una storia con Barbara ora non gli farebbe certo guadagnare punti con sua figlia, anzi.
 
Ma dall’altro lato si sente in colpa anche verso Barbara, dopo quello che c’è stato, dopo quello che gli ha detto, che gli ha dato, senza chiedere niente in cambio, dopo quello che gli ha fatto provare. Lui non è tipo da storie di una notte, da chi si è visto si è visto, altro giro altra corsa. E se si è lasciato sedurre da lei, non è solo per la sua bellezza ma… perché almeno per un istante si è sentito capito, voluto, apprezzato come uomo, in tutti i sensi. C’era stata passione ma anche tenerezza, dolcezza, affetto… non era stata una notte d’amore nel senso tradizionale del termine, nel modo in cui lui era abituato a concepirla, a definirla, ma c’era stato amore, in qualche forma, verso se stesso e verso di lei… verso quella fragilità che aveva rivisto e riconosciuto in lei, come se fosse davanti ad uno specchio.
 
Si sente scisso a metà, una parte che lotta contro l’altra, mentre non sa più che cosa sia giusto e sbagliato, cosa sia bene o male, ha solo una grandissima confusione in testa. Si alza mille volte e mille volte si rimette a sedere.
 
Alla fine fa l’unica cosa che sente di essere in grado di fare: in fretta, prima di cambiare idea, raccoglie e si infila i vestiti, pantaloni, camicia, scarpe, giacca, chiudendoli e sistemandoli alla bell’e meglio. Quasi in automatico afferra il cartoncino bianco sul lenzuolo, se lo ficca in tasca e sparisce oltre la porta, senza voltarsi indietro.
 
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“Mmm… Potti… shhh… sta buono! Così rovini la porta e sveglierai tutto il vicinato!”
 
Prende in braccio il batuffolo di pelo, che continua ad agitarsi e ad abbaiare di fronte alla porta chiusa della stanza di sua madre, forse perché deve uscire a fare i suoi bisogni, o forse perché è abituato ad avere campo libero per casa e a darle la sveglia la mattina.
 
Prova a girare la maniglia, ma la trova chiusa a chiave. Sta per bussare quando sente il rumore inconfondibile della chiave che gira nella toppa e vede la porta aprirsi.
 
“Mamma, perché hai chiuso a chia-“
 
La domanda le muore in gola quando vede uscire sua madre in camicia da notte e Gaetano con addosso i vestiti della sera prima, evidentemente infilati in fretta e furia.
 
“Gaetano… non pensavo fossi rimasto qui stanotte,” lo saluta con un sopracciglio alzato, per poi rivolgersi alla madre ed aggiungere con tono grato e ironico, “mamma, ti ringrazio dal profondo del cuore per aver chiuso la porta a chiave ed avermi evitato scene traumatizzanti, anche se Potti invece non ha apprezzato.”
 
“Spiritosa!” ribatte Camilla, cercando di mascherare l’imbarazzo, venendo distratta però ben presto dal cagnolino che continua ad abbaiare, il muso puntato verso Gaetano.
 
“Mi sa che nemmeno Potti si aspettava che ci fosse… un intruso,” ironizza lui, ancora imbarazzato, mentre Camilla si fa passare il cane dalla figlia e lo prende in braccio, cercando di tranquillizzarlo.
 
“Prima di tutto non voglio mai più sentire quella parola, nemmeno per scherzo: tu qui non sei e non sarai mai un intruso,” precisa Camilla, guardandolo negli occhi prima di sporgersi per posargli un bacio sulla guancia. Per tutta risposta, Potti inizia ad abbaiare ancora più furiosamente.
 
“Mi sa che qualcuno è geloso…” commenta Livietta con un sorriso, “era abituato ad essere lui il maschio più importante della casa e ora… viene spodestato dal trono e dal lettone per due notti di fila. Che probabilmente diventeranno tre, visto che stasera non ci sono: mi sa che devi metterti l’anima in pace, Potti.”
 
“Ma no… Potti si è solo agitato perché sorpreso di vedere Gaetano, vero Potti? Anzi, Potti vuole molto bene a Gaetano, giusto Potti?” gli domanda, continuando ad accarezzarlo, ma Potti seguita ad abbaiare senza un attimo di sosta, puntando sempre verso Gaetano.
 
“Mi sa che mi stai confondendo con Tommy e-“
 
Non appena Gaetano nomina suo figlio, Potti abbaia fortissimo un paio di volte, e poi comincia a guaire in un modo quasi disperato.
 
Camilla e Gaetano si guardano, deglutendo all’unisono il nodo in gola, intuendo che anche l’altro ha capito, senza bisogno di parole, come spesso accade durante le loro indagini.
 
Perché questa è la prima volta da quando è partito Tommy che dormono insieme con Livietta presente a casa e quindi la prima volta in cui chiudono la porta a chiave, come facevano praticamente sempre durante il loro periodo di convivenza a quattro, per evitare che Tommy o Livietta potessero sorprenderli in un momento imbarazzante. A Roma la porta era rimasta chiusa un paio di volte negli ultimi giorni di “vacanza”, dopo che si erano finalmente ritrovati, ma probabilmente Potti non associava Roma, l’appartamento di Andreina, con Tommy.
 
Torino e l’appartamento di Camilla, la stanza di Camilla invece sì.
 
“Tommy non c’è, ma torna presto. Manca tanto anche a me, sai?” proclama Gaetano, accarezzando la testa di Potti che dopo poco smette di guaire e lo guarda negli occhi, sembrando capire. E la cosa non lo sorprende affatto: Potti ha già dimostrato fin troppe volte di avere un’intelligenza decisamente fuori dal comune e a volte quasi umana – forse merito del rapporto simbiotico con Camilla.
 
“Vuoi prenderlo in braccio tu per un po’? Mentre preparo colazione…” propone Camilla e questa volta Gaetano si sorprende e molto, visto che è la prima volta in assoluto che succede: l’aveva tenuto un paio di volte al guinzaglio, di solito quando Livietta o Camilla avevano le mani impegnate o dovevano entrare in un negozio, durante una delle passeggiate mattutine o serali, ma niente di più di questo, “solo se ti va, ovvio…”
 
“Sì, certo che mi va… ma non so se va a lui,” risponde Gaetano con un sorriso ancora leggermente commosso.
 
“C’è solo un modo per scoprirlo… Potti, ti va di stare un po’ con Gaetano mentre preparo la pappa anche per te?” gli chiede con un sorriso e Potti alla parola pappa, sembra ringalluzzirsi e abbaia nuovamente, ma questa volta scodinzolando.
 
Piano piano, con delicatezza, lo passa tra le braccia di Gaetano, mostrandogli come tenerlo. Potti si agita per qualche attimo, protestando con un paio di latrati, ma poi inizia ad annusare la camicia di Gaetano e si tranquillizza tra le sue braccia, lasciandosi coccolare.
 
Si guardano ed, un'altra volta, sanno di stare pensando la stessa cosa: evidentemente Potti ha sentito il profumo di Camilla su quella camicia, mischiato indelebilmente a quello di Gaetano dopo la notte precedente.
 
“Bene, allora se fai un attimo il bravo con Gaetano, vado a preparare la pappa, ok?” ribadisce, accarezzandolo dietro alle orecchie, prima di dare un altro bacio sulla guancia a Gaetano e voltarsi per avviarsi a preparare la colazione.
 
“Non è che… non è che c’è un altro o un’altra mini impiastro in arrivo, vero?”
 
La domanda a bruciapelo di Livietta li coglie completamente di sorpresa e Gaetano, dallo shock, per poco non lascia cadere Potti. Recuperando appena in tempo la presa, lo stringe a sé ancora più saldamente, forse troppo, visto che Potti protesta sonoramente con un paio di latrati da cavare l’udito, prima di tornare a tranquillizzarsi.
 
“No, no, cioè… credo di… no, vero?” balbetta Gaetano dopo qualche istante di silenzio tombale, rivolgendosi a Camilla, che sembra scioccata quanto lui.
 
“Ma certo che no! E lo sai,” replica Camilla con un’occhiata eloquente, “prima di tutto perché prendo la pillola, e lo sai anche tu, Livietta, visto che di questi argomenti abbiamo parlato abbondantemente qualche tempo fa.”
 
“Non farmici pensare, ti prego,” replica la ragazza, ricordando ancora con imbarazzo tutto il discorso fattole dalla madre sui metodi anticoncezionali quando si era fidanzata con Ricky. Non sapeva cosa fosse stato peggio… se parlare di certe cose con sua madre, quando oltretutto, sinceramente, l’idea di andare a letto con Ricky non le era mai nemmeno passata per la testa e anzi, un po’ la spaventava, o il dover discutere, anche se indirettamente, dell’intimità tra i suoi genitori.
 
“E poi, scusami Gaetano, ma da investigatore quale sei… secondo te ieri sera mi sarei bevuta due cocktail, oltre al vino a cena, se avessi anche solo il minimo dubbio di poter essere incinta? A parte che alla mia età probabilmente è più facile vincere alla lotteria,” commenta con un mezzo sorriso autoironico ma che tradisce una certa malinconia.
 
E Gaetano deve ammettere che non sa se si sente più sollevato o più… deluso, lo sapeva ovviamente che non era possibile, e razionalmente è forse meglio così, ma per un attimo quell’immagine mentale di Camilla con un bimbo o una bimba in braccio, di lui con un bimbo o una bimba in braccio, coi capelli ricci e quei bellissimi occhioni scuri… era stata come un breve tuffo in un sogno ad occhi aperti. Un sogno che, lo sa benissimo, probabilmente non si realizzerà mai. Non può quindi evitare di ricambiare lo sguardo malinconico di lei, sapendo di nuovo che stanno pensando esattamente la stessa cosa.
 
“Si può sapere come ti è venuta in mente una cosa del genere, signorina?” chiede Camilla alla figlia, con tono ironico, spezzando l’atmosfera tesa e carica di emozione.
 
“Beh… ultimamente siete ancora più da diabete del solito e poi… e poi tutto il quadretto tra voi e Potti, vi mancavano giusto i pannolini e il biberon… mi è venuto il dubbio che magari stavate facendo le prove e-“
 
Il suono del campanello la interrompe prima che possa finire la frase. Si guardano stupiti per un attimo ed infine Camilla si schioda dalla posizione in cui era rimasta paralizzata dopo la domanda di Livietta e va ad aprire la porta d’ingresso.
 
“Renzo?” domanda stupita, sia per l’orario – sono le nove e mezza del mattino di sabato – sia per il sacchetto di carta che regge in mano.
 
“Cornetti? Ho visto che ormai sono una tradizione in questa casa e c’è un bar vicino al mio residence che li fa niente male,” annuncia, come se fosse la cosa più naturale del mondo, per poi aggiungere, quando Camilla rimane ancora bloccata sulla porta, “posso entrare?”
 
“Ah, sì, sì, certo,” conferma Camilla, facendosi da parte e lasciandolo passare.
 
Renzo entra con un sorriso che gli muore sulle labbra non appena vede il poliziotto-super-più con Potti in braccio. Sa benissimo che Camilla è molto gelosa e protettiva nei confronti del suo cane – sentimento pienamente ricambiato – e che difficilmente permette una cosa del genere a… a chi non è di famiglia.
 
E questo è un gesto che anche lui stesso non ha quasi mai fatto: non che non fosse molto affezionato a Potti ma… non era mai stato affettuoso in quel modo con lui, non l’aveva mai umanizzato come faceva Camilla.
 
“Renzo… buongiorno…”
 
“Se il buongiorno si vede dal mattino…” mormora Renzo, tra sé e sé, prima di rispondere ad alta voce, con tono fintamente gentile, “Gaetano, che sorpresa trovarti qui! E che eleganza di primo mattino… noto che questo completo ti piace proprio tanto, visto che è lo stesso di ieri. Però mi sa che hai fatto un po’ di macello con i bottoni…”
 
Gaetano abbassa lo sguardo e nota per la prima volta che, in effetti, nella fretta di rivestirsi per aprire la porta a Potti, aveva infilato il secondo bottone nella terza asola e la camicia, di conseguenza, pendeva sul lato destro.
 
Guarda poi negli occhi Renzo, che è invece perfetto ed impeccabile in un completo appena indossato e perfettamente stirato, fresco di rasatura e di doccia, a giudicare dal profumo di bagnoschiuma e shampoo che lo circonda, e si sente inevitabilmente a disagio. Continua a coccolare Potti, facendosi quasi inconsciamente scudo con il cane.
 
“Gaetano si è fermato qui a dormire, sì, non credo ci sia bisogno di fare tutto questo sarcasmo, Renzo,” interviene Camilla, togliendo le castagne dal fuoco a Gaetano, “tu, piuttosto, sono felice di vedere che sei tutto intero e mi sembri anche riposato. Com’è andata poi con la Venere? Tutto bene?”
 
“Con – con la Venere?” balbetta Renzo e Gaetano nota immediatamente come deglutisce e cambia radicalmente espressione, sembrando a disagio.
 
“Sì, insomma, ti ha dato problemi? Sei riuscito a riportarla a casa sana e salva, senza conseguenze spiacevoli per te o per la tua macchina o per lei?” gli domanda con quella che sembra essere sincera preoccupazione, senza sottotesti.
 
Del resto, Renzo lo sa bene, Camilla non penserebbe mai che lui possa aver approfittato di una donna ubriaca – ed, in effetti, non l’ha fatto – come, probabilmente, non lo ritiene nemmeno capace di andare a letto con una quasi sconosciuta.
 
“Nessuna conseguenza per la macchina e… sì, quando l’ho lasciata sembrava… sembrava stare bene, considerate le circostanze,” abbozza e, in fondo, sta solo dicendo la verità, anche se sta omettendo almeno il novanta percento di quanto è successo.
 
“Sì, cioè che si è tirata più nera dei suoi capelli tinti,” ribatte Livietta, sarcastica, quasi dura, per poi aggiungere, con tono neutro, rivolta prima a Renzo e poi a Gaetano, “ma poi sei riuscito a capire perché si è conciata in quel modo? O lo faceva spesso?”
 
“No, io in realtà non l’ho mai vista ubriaca… cioè le piaceva bere ma in dosi normali,” replica Gaetano, guadagnandosi un’occhiata di Camilla, l’occhiata un pochino gelosa ma fintamente indifferente che adora da impazzire.
 
“Da… da quello che ho capito è stata mollata su due piedi dal fidanzato, dopo che l’aveva fatta aspettare per più di due ore, oltretutto. Un vero gentiluomo, insomma, il vostro istruttore, non c’è che dire,” commenta Renzo, beffardo quasi quanto la figlia.
 
“Beh, non sarà stato un gentiluomo ma posso pure capirlo: quella è la regina delle gattemorte, per non dire di peggio. In una sola sera ha puntato te, Gaetano, oltre che lui… sarà anche bella, ma non so quale uomo potrebbe essere così idiota da volerci avere una storia. Presenti esclusi, ovvio,” proclama Livietta, che si era fatta raccontare da Camilla e da Gaetano durante il viaggio di ritorno esattamente chi fosse Barbara e perché si era piazzata al loro tavolo. Era sicura di averla già vista e aveva finalmente capito dove. Quello che non riesce proprio a capire è perché uno come Lorenzo o uno come Gaetano potessero aver perso anche solo cinque minuti appresso ad una così, che definire leggera e vuota è farle un complimento, per quanto oggettivamente bellissima.
 
Alle parole della figlia, a Renzo va di traverso la saliva ed inizia a tossire furiosamente.
 
“Ehi, respira, respira,” lo incoraggia Camilla, dandogli un paio di pacche sulla schiena.
 
“Scusate, mi è andato di traverso,” bofonchia, guardando la figlia con apprensione, temendo che abbia capito tutto, temendo la sua disapprovazione, il suo disgusto. Ma Livietta, accertatosi che suo padre è tornato a respirare, rivolge nuovamente la sua attenzione a Gaetano.
 
“Non ti sei offeso, vero?” gli domanda Livietta, avendo realizzato di avere forse esagerato un po’, dandogli praticamente dell’idiota nella foga, ma il solo pensiero di… di quella, le provoca un’irritazione che non sa spiegare. O meglio, che sa spiegare fin troppo bene, purtroppo.
 
“No, figurati, anzi hai ragione. Cioè, in realtà Barbara ieri ha dato più del peggio di sé e di solito non era così… esagerata, ma… diciamo che il mio buongusto in campo femminile si è praticamente tutto concentrato su tua madre. Le altre donne che ho avuto, soprattutto quelle che ho avuto dopo la mia separazione, non sono minimamente paragonabili a lei, ma neanche da lontano,” replica Gaetano, guardando Camilla dritto negli occhi e godendosi il modo in cui sembrano illuminarsi, lo sguardo di una bambina la mattina di Natale. Uno dei tanti sguardi che l’hanno fatto innamorare perdutamente di lei.
 
Renzo, da un lato, si sente incredibilmente sollevato nel realizzare che, ovviamente, sua figlia non si riferiva a lui ma a Gaetano, quando parlava di presenti esclusi. Dall’altro lato però non può evitare di provare una fitta di indignazione e di fastidio nel sentirli parlare così di Barbara, come se fosse una specie di… di mignotta e pure lobotomizzata. Avverte uno strano senso di protezione nei suoi confronti che gli ruggisce nel petto e freme per salirgli dalla gola.
 
“Scusami, Gaetano, ma non hai mai pensato che magari lei potrebbe dire esattamente lo stesso di te? Che se si comporta così è perché ha sempre avuto a che fare con uomini che l’hanno trattata come l’avrai trattata tu, oltre a quel gran cavaliere del tuo collega? Se si è quasi distrutta il fegato ieri sera e l’ho dovuta trascinare a casa, un motivo ci sarà, no?” sbotta, senza riuscire a trattenersi, “e pure voi due… cos’è? L’uomo che cambia una donna a sera è un gran figo, mentre la donna è una poco di buono? Anni di femminismo buttati al vento! O secondo voi le conversioni miracolose da Casanova a perfetto padre di famiglia valgono solo per gli uomini, uno in particolare?”
 
“Renzo!” esplode Camilla, più che stufa dell’ennesima frecciata rivolta a Gaetano.
 
“No, Camilla, non ti preoccupare, anzi, Renzo non ha tutti i torti: io non sono stato un santo in questi anni e il modo in cui mi sono comportato è biasimabile esattamente quanto quello di Barbara e di tante altre donne che ho frequentato. Ma proprio per questo credo che né io ho fatto del male a loro, né loro hanno fatto del male a me. Ci siamo usati a vicenda, anche se non è bello da dire, ma è la verità,” ammette Gaetano, guardandola negli occhi come per rassicurarla che va tutto bene.
 
“No, scusami, ma il fatto che tu non sia stato un santo non riabilita lei, anzi, al limite vi metterebbe sullo stesso piano, ma non è così, perché c’è un’enorme differenza, per non dire un abisso. Innanzitutto non ti ho mai visto comportati come lei ieri sera, nemmeno quando eri nei tuoi – chiamiamoli periodi d’oro – da playboy. E poi, soprattutto, tu oltre all’aspetto fisico hai anche molto altro, dei contenuti da un punto di vista intellettuale ed umano, e hai dimostrato con i fatti che quando ti innamori sai essere una persona diversa, anzi, sai essere la persona che sei sempre stato e che non… non potevi essere e non solo per colpa tua, forse per colpa di nessuno,” replica Camilla, ricambiando lo sguardo e sentendosi di nuovo in colpa per tutti gli anni in cui gli ha fatto del male, in cui ha fatto del male a se stessa, a Renzo, a Livietta, accanendosi a portare avanti qualcosa che non poteva più essere salvato, “mentre di questa Barbara non ho visto molto e quindi non posso più di tanto giudicare, a parte la pessima impressione di ieri sera, ma parecchie delle tue donne che ho conosciuto qui a Torino erano sicuramente furbe ma… in quanto ad intelligenza, lasciamo stare, e l’unica condizione in cui potevano accettare di fingere una conversione miracolosa in perfette madri di famiglia, era per trovare un pollo da sposare e poi spennare con gli alimenti, per loro stessa ammissione. Per questo non accetto che tu ti metta sul loro stesso piano o che qualcun altro lo faccia.”
 
“Appunto, tu non conosci quella ragazza e non puoi giudicarla, anche perché forse prima di ergersi a modelli di virtù, bisognerebbe… com’è che era? Non guardare la pagliuzza nell’occhio del vicino se non vedi la trave nel tuo occhio?” si inserisce Renzo, non riuscendo di nuovo a trattenersi, “oppure, di nuovo, se tu o Gaetano seguite il vostro – chiamiamolo cuore – fregandovene di tutto e di tutti, allora tutto è lecito e concesso e comprensibile, mentre se lo fanno gli altri no?”
 
“Renzo…” sibila Camilla, incredula e a dir poco furiosa per la piega che ha preso questa conversazione, di fronte a Livietta oltretutto, “guarda che potrei dire esattamente lo stesso di te, e non vado oltre, ma lo sai a cosa mi riferisco. Quindi o ti comporti in maniera civile e rispettosa nei confronti miei e soprattutto di Gaetano, o quella è la porta e non sto scherzando.”
 
“Non serve: me ne vado io. Mi dispiace di avere fatto quel commento e di avere scatenato tutto questo… ma sembra che non vedete l’ora di trovare l’occasione per scannarvi! Ed ero così contenta di ieri, del fatto che per una volta eravate riusciti a stare tutti insieme ed essere civili!” esclama Livietta, sentendosi uno schifo, sentendosi anche in colpa, volendo solo andarsene da lì prima di scoppiare a piangere.
 
“No, no, ti prego, aspetta! Tu non c’entri, Livietta, scusami,” la blocca Renzo, rendendosi conto di avere nuovamente esagerato, spinto sia dal risentimento nei confronti di Gaetano e Camilla, che fatica ancora a soffocare, sia da questo senso quasi inspiegabile di protezione nei confronti di Barbara, “scusatemi, non ero venuto qui per… per litigare e… mi dispiace, ma-”
 
“Livietta, io e tuo padre abbiamo… abbiamo ancora parecchie cose da risolvere e anche a me dispiace che… che ci rimani in mezzo tu, ma, come dice lui, i problemi che abbiamo non riguardano te e non è colpa tua. Ti vogliamo bene entrambi e…”
 
“Non è solo il fatto dello scannarvi, non lo capisci? Forse da un lato è meglio che vi scannate piuttosto che fare finta di andare d’amore e d’accordo ma… è che vorrei che… lo so che non è facile, ma vorrei che queste cose da risolvere le risolveste una volta per tutte e che trovaste un modo di andare d’accordo. Dopo la prima separazione ad un certo punto c’eravate riusciti, no? O era tutta una finta anche allora?” domanda, fulminandoli con un’occhiata così vulnerabile che provoca ad entrambi un dolore allo stomaco e al cuore.
 
“Non era una finta… cioè… a volte non era facile andare d’accordo, ma personalmente credo che in generale andassimo più d’accordo allora di quando siamo tornati insieme,” risponde Camilla, avvicinandosi alla figlia e mettendole una mano sulla spalla, “però devo ammettere che non è stato per niente semplice per me… agli inizi soprattutto… abituarmi a… ad una nuova vita, senza tuo padre… e capisco che non sia facile per lui adesso. Ci vuole un po’ di tempo, ma ci stiamo lavorando. Non è vero, Renzo?”
 
“Sì… anche se, come dici tu, non è facile. E mi dispiace, Livietta, se questo ti fa soffrire, perché io e tua madre non andiamo d’accordo su un sacco di cose, è vero, ma su una cosa so di sicuro che concordiamo entrambi, cioè sul fatto che ti vogliamo molto bene, tutti e due, e non vorremmo mai farti star male, anche se… anche se spesso purtroppo non ci riusciamo,” risponde Renzo, replicando il gesto di Camilla e mettendo a sua volta la mano destra sull’altra spalla di Livietta, “puoi perdonarmi?”
 
Livietta lo guarda negli occhi per qualche secondo, sorpresa da questo gesto del padre, dal fatto che… che non sia scappato, ma che anzi, l’abbia fermata, le abbia parlato, si sia scusato con lei, ammettendo di aver sbagliato. Insomma, che l’abbia affrontata, che abbia affrontato la verità, per una volta, senza rinchiudersi nei suoi silenzi o andarsene o mettere su una maschera, una recita, come faceva sempre più spesso negli ultimi anni.
 
Padre e figlia continuano a guardarsi, come se cercassero non solo di studiare, di capire l’altro, ma soprattutto di far capire all’altro tutto quello che provano, che tengono dentro e che hanno tenuto dentro in questi anni, tutto quello che non riescono a dire, ad esprimere con le parole.
 
Senza rendersene quasi conto, si trovano stretti in un abbraccio, le lacrime che sfuggono senza poterle trattenere.
 
Camilla e Gaetano rimangono a guardarli per qualche istante, tra il commosso, il sollevato e l’imbarazzato, soprattutto Gaetano, che si sente di nuovo quasi un intruso, di troppo, di fronte ad una scena così intima.
 
“Senti… vado a… vado a cambiarmi, ci sentiamo dopo, ok?” sussurra, avvicinandosi a Camilla per restituirle Potti, che tiene ancora in braccio.
 
“Sei… sei meraviglioso, lo sai?” sussurra Camilla di rimando, toccata e colpita per l’ennesima volta dall’incredibile sensibilità di Gaetano, da come sappia essere straordinariamente comprensivo, senza mai recriminare o pretendere qualcosa in cambio. Non sa cosa abbia fatto di buono nella vita per meritarsi un uomo come lui e spera di poter ricambiare in qualche modo tutto quello che sta facendo per lei e per sua figlia.
 
“Mai quanto te,” mormora, cercando di metterle Potti tra le braccia.
 
Wof! Wof! Wof!
 
È proprio l’abbaiare del cane che ridesta Renzo e Livietta dall’abbraccio. Asciugandosi rapidamente gli occhi, guardano verso Gaetano che, dopo aver lasciato Potti a Camilla, si sta avviando verso la porta.
 
“Dove vai?” gli domanda Livietta, con tono e sguardo dispiaciuti e che sembrano quasi… in apprensione.
 
“A casa… mi faccio una doccia, mi cambio… mi rendo un po’ più presentabile insomma. Ci vediamo dopo…” risponde con un sorriso ed un tono rassicurante, per farle capire che va tutto bene, avendo notato il modo in cui lo guarda, come se temesse di averlo offeso.
 
Si volta ma, prima che possa fare un solo metro, un’altra voce lo sorprende e lo porta a bloccarsi e ritornare sui suoi passi.
 
“Non… non serve che tu te ne vada… c’è un cornetto in più… l’avevo preso nel dubbio che ci fossi anche tu a colazione…” offre Renzo con un tono neutro e apparente nonchalance, anche se le pause tradiscono lo sforzo compiuto nel pronunciare questo invito.
 
Aveva comprato quella brioche extra in un impulso, per essere precisi mentre veniva assalito da un’altra fitta di sensi di colpa dopo aver aperto il portafogli ed essersi trovato di fronte ad una foto di Livietta bambina, immortalata in occasione di uno dei tanti saggi di danza, che faceva capolino dalla finestrella trasparente. In quel momento si era sentito un verme: lui che aveva sempre criticato Gaetano e la sua vita da libertino, Camilla e la sua passione per “la polizia” e alla prima occasione aveva fatto di peggio. Si era chiesto cosa avrebbe pensato Livietta di lui, se l’avesse saputo, e gli occhioni innocenti di sua figlia, cristallizzati per sempre in quella foto, sembravano seguirlo e scrutargli dentro.
 
Gaetano guarda negli occhi il rivale di una vita e capisce che più che un croissant, gli sta presentando un calumet della pace, per quanto temporaneo, e che probabilmente questa è la cosa più vicina a delle scuse che avrà mai dall’architetto. Ma, anche se nulla giustifica le sue insinuazioni pesantissime degli ultimi mesi, considerati i pregressi tra loro, e dopo quello che è successo a Roma con Marco e, soprattutto, con De Matteis, in fondo in fondo riesce a comprendere il risentimento di Renzo nei suoi confronti e i motivi per cui Renzo pensa e probabilmente penserà sempre il peggio di lui.
 
“Beh, d’accordo… allora di fronte al cornetto… la doccia può aspettare,” risponde con tono neutro e cauto, notando l’occhiata incredula e felice che si scambiano Livietta e Camilla e che poi rivolgono a lui e a Renzo.
 
La colazione procede nel quasi più completo silenzio: Gaetano che prepara il caffè, mentre Camilla monta la schiuma di latte e Renzo e Livietta preparano il tavolo, visto che l’isola non basta per tutti. Consumano cappuccino e brioche scambiando qualche battuta di circostanza, in un’apparente tranquillità.
 
“Ascoltami, Livietta… sono passato anche per chiederti… insomma, ti andrebbe di fare qualcosa con me oggi? Magari andiamo a cena e poi al cinema o…” propone Renzo, dopo un attimo di esitazione, non appena ha terminato la sua colazione.
 
“Papà… veramente stasera vado in discoteca con Cristina e Lucrezia – prima che me lo chiedi, ci accompagna la mamma di Cristina e rimane con noi e poi stiamo a dormire da lei…”
 
“E allora domani hai impegni?” rilancia, non arrendendosi.
 
“Veramente sì… c’è un festival a piazza San Carlo, un festival di musica rock e c’è una band che Lucrezia adora e-“
 
“Ma non è possibile! Ma dovete proprio uscire tutte le sere?” sbotta, chiaramente frustrato da tutti questi muri ed impedimenti.
 
“Lo so, ma è che… è che lunedì Cristina e sua madre partono per le vacanze e… e poi Lucrezia rimarrà da sola, soprattutto se magari poi vengo a Londra con te settimana prossima…” spiega Livietta e sul volto di Renzo si dipinge nuovamente un sorriso.
 
“Vuoi dirmi che… che verrai con me?” le domanda, una sensazione di felicità che sembra volergli scoppiare nel petto.
 
“Voglio dire che ci sto pensando, papà,” chiarisce Livietta, sembrando però colpita dall’evidente gioia del padre all’idea di averla con sé.
 
“D’accordo. E allora mentre ci pensi… domani sera con chi vai a questo festival? Non andate da sole, vero?” chiede, lanciando un’occhiata a Camilla.

“No, la mamma di Cristina deve preparare le valige e riposarsi in previsione del viaggio, visto che dovrà guidare, quindi pensavamo di accompagnarle io e Gaetano…”
 
“Allora… ti dispiacerebbe se le accompagnassi io? Potrei andarle a prendere a casa di Cristina, poi riporto Cristina e Lucrezia a casa e… e Livietta potrebbe dormire da me. E lunedì mattina te la riporto sana e salva, che ne dite?” domanda Renzo, con un’aria speranzosa che intenerisce entrambe.
 
“Per me va bene… anche a Gaetano immagino non dispiacerà riposarsi visto che lunedì deve alzarsi presto…” suppone Camilla, lanciando uno sguardo d’intesa a Gaetano che annuisce, “tu Livietta che ne pensi?”
 
“Per me… per me potrebbe andare bene, però… papà la musica è hard rock alternativo… ieri sera non mi sembravi proprio entusiasta, a giudicare dalle tue espressioni e da quanto velocemente sei voluto tornare a casa, anche se devo riconoscere che almeno hai resistito. E la musica di domani sera sarà ancora più… più dura e più rumorosa. Sei sicuro di voler venire? Anche perché non voglio fare figuracce con le mie amiche e vorranno rimanere fino alla fine e-“
 
“Ehi, non ti preoccupare, te l’ho già detto: a me basta che siamo insieme e… ti prometto che non mi lamenterò e rimarremo quanto vorrai, tanto lunedì mattina possiamo dormire un po’ di più…” la rassicura con lo sguardo più convincente ed irresistibile che possiede, quello che Camilla conosce bene e che Livietta ha ereditato dal padre, lo sguardo che mille volte l’ha fregata durante i loro anni di matrimonio.
 
“Va bene… d’accordo… allora vada per il concerto,” concede Livietta, prima di bere l’ultimo sorso di cappuccino, alzarsi da tavola e annunciare, “adesso però vado a cambiarmi… volevo andare a fare una corsetta. Voi venite o-?”
 
“Io in realtà dovrei fare la spesa e delle commissioni, così faccio fare anche il giretto mattutino a Potti…”
 
“Potremmo andare a correre insieme, se vuoi: ho giusto bisogno di un po’ di movimento,” si inserisce Renzo con aria apparentemente tranquilla, non volendo affatto che la figlia e il poliziotto trascorrano di nuovo la mattinata insieme da soli.
 
“Papà, per favore, ma se saranno… quanti anni saranno che non corri?”
 
“Almeno otto anni,” precisa Camilla, ricordando benissimo la passione temporanea di Renzo per il jogging, nata, guarda caso, proprio nel periodo in cui si era anche appassionato di danze latinoamericane, “e ricordo che la tua schiena e le tue ginocchia non ne avevano affatto giovato, anzi.”
 
“Sì, ma-“
 
“E poi vorresti correre così? Con i mocassini, i pantaloni eleganti e la camicia?” gli fa nuovamente notare Livietta, con un sopracciglio alzato.
 
“Livietta, in realtà… mi dispiace doverti dare buca ma anche io dovrei fare un po’ di spesa e devo anche fare un salto in questura per terminare un lavoro noiosissimo che purtroppo ieri sera non ho fatto in tempo a finire, o avrei dovuto far aspettare troppo tua madre. Perché non fate un allenamento insieme voi due, qualcosa di più leggero e senza carico, magari, tipo il nuoto? E poi galleggiare un po’, senza nuotare, ti farebbe bene: ieri ti ho vista parecchio contratta, anche se stamattina mi sembra che vada meglio…” si inserisce Gaetano con un sorriso gentile e aria dispiaciuta.
 
“Sì… in effetti è vero… sia che ero contratta e sia che… va meglio stamattina. Ma come fai a saperlo?” gli domanda, sorpresa, toccandosi inconsciamente la spalla che Lorenzo le aveva massaggiato.
 
“Lo vedo dalla postura… ho l’occhio abbastanza allenato, sia per via dello sport e degli allenamenti, sia per lavoro… essere in grado di leggere e comprendere il linguaggio del corpo è fondamentale, e, come potrai immaginare, capire se una persona è tesa o meno mentre ti parla o risponde alle tue domande… può essere molto utile.”
 
“Certo, immagino quanta gente rilassata ti sarai trovato davanti durante gli interrogatori. A parte Camilla, magari, visto che è una delle poche persone al mondo per cui una convocazione in questura è come un invito a nozze,” ironizza Renzo, sarcastico, per nulla felice di sapere che il poliziotto studia sua figlia con tanta attenzione, “va beh, allora, Livietta, ti andrebbe di andare in piscina? Io dovrei solo passare da casa a cambiarmi ma-“
 
“D’accordo, va bene… vada per la piscina,” sospira Livietta, volendo solo tagliare corto ed evitare una nuova discussione tra suo padre e Gaetano, “ce n’è una qui vicino davvero molto bella… perché non vai a cambiarti e mi passi a prendere, che ne dici? Io intanto mi preparo e preparo anche il borsone per stasera, così poi mi porti direttamente a casa di Cristina, altrimenti rischio di fare tardi.”
 
“Va bene… dopo la piscina ci mangiamo un boccone insieme e ti porto dalle tue amiche… Camilla, per te va bene?” le domanda, di nuovo con quello sguardo quasi implorante.
 
“Certo, nessun problema. Dammi solo conferma quando la lasci da Cristina e quando la vai a riprendere domani… e anche domani sera, quando tornate dal concerto. E tu Livietta per favore, mi mandi un messaggio quando tornate dalla discoteca e sei di nuovo a casa di Cristina, a qualsiasi orario, ok?” risponde, poggiando di nuovo una mano sulla spalla della figlia e guardandola negli occhi.
 
“Ok, ok, promesso, sei sicura che non ti disturbo? Faremo molto tardi, magari ti sveglio e-“
 
“Tu non disturbi mai,” la rassicura Camilla, abbracciandola, per poi sussurrarle nell’orecchio, “divertiti con papà, ok? E ricordati quello che ci siamo dette.”
 
“Certo che non la disturba, tanto mica dormiranno stanotte…” mormora Renzo, tra sé e sé, immaginando già come i due piccioncini sfrutteranno il weekend di libera uscita.
 
“Hai detto qualcosa, Renzo?” domanda Camilla, avendolo sentito farfugliare.
 
“Che penso sia meglio che io vada: prima vado e prima torno. A tra poco, Livietta, ti faccio uno squillo quando sono qui sotto. Camilla, Gaetano,” li saluta con un cenno del capo, avviandosi verso la porta e richiudendola dietro di sé.
 
“Allora vado a prepararmi anch’io…” proclama Livietta, ritirandosi nella sua stanza.
 
“Insomma… a quanto pare per questo weekend siamo solo io e te…” sussurra Gaetano, avvicinandosi a Camilla e fulminandola con un’occhiata che le fa correre un brivido lungo la schiena.
 
“Già…” conferma lei con un sorriso, allacciandogli le braccia intorno al collo mentre lui le cinge la vita, “ti ringrazio, Gaetano.”
 
“Di già? Sulla fiducia? Mi sento lusingato,” la provoca, beccandosi un pizzicotto sul collo.
 
“Quanto sei scemo! E presuntuoso!” sorride, accarezzando il naso di lui con il suo, per poi ritrarre lievemente il capo per guardarlo negli occhi e sussurrare, “grazie per… per la storia della spesa e del lavoro urgente da finire in questura. Lo so che l’hai fatto per… per non esacerbare la situazione con Renzo e non metterti in competizione con lui in un’attività in cui sicuramente non avrebbe brillato e retto il confronto con te, non essendo allenato. Oltre che per dargli modo di passare finalmente del tempo da solo con Livietta. Lo apprezzo davvero tanto, credimi.”
 
“In realtà è vero che devo fare la spesa, se no avrete tutti i motivi di deridere il mio frigo. Ammetto che gli impegni in questura sono rinviabili e… la verità è che non mi va di dire di no a Livietta o di… di dirle una bugia, ma… credo che nel profondo, anche se non lo ammetterebbe mai, preferisca anche lei passare qualche ora in piscina con suo padre, piuttosto che fare una corsa con me,” risponde, ricambiando lo sguardo ed accarezzandole il viso.
 
“Credo che in realtà l’abbia capito anche lei, sai? E se ha lasciato correre, in tutti i sensi, un motivo c’è,” ribatte Camilla, appoggiandosi alla sua mano e godendosi quel contatto.
 
“Lo so che a voi donne di casa Baudino non sfugge niente, che sapete essere molto pericolose, e che devo quindi essere grato di essere ancora tutto intero,” ironizza, facendola sorridere, “quindi, visto che le cose tra Renzo e Livietta sembrano andare leggermente meglio e che noi due saremo soli soletti… idee, programmi per il weekend?”
 
“Molte idee e molti programmi…” mormora, mordendosi il labbro, con aria sensuale, per poi proseguire, ironica, “la prima delle quali è andare a fare la spesa. Anche a me serve sul serio: ho il frigo praticamente vuoto.”
 
“Allora, visto che tu devi fare la spesa e io devo fare la spesa… potremmo andarci insieme, cosi facciamo in fretta e poi-“
 
“Frena, frena… devo fare la spesa è vero, ma… non puoi venire con me,” precisa, con un tono enigmatico.
 
“E perché no?” chiede lui, confuso e stupito.

“Prima di tutto perché so che insisteresti fino allo sfinimento per pagare tu il conto, e non è giusto,” precisa, bloccandolo prima che possa protestare, posandogli l’indice sulle labbra, “e poi… diciamo che ho alcune… commissioni da sbrigare. Da sola.”
 
“Ah, sì? Cos’è tutto questo mistero? Mi devo preoccupare?” le domanda, dopo averle baciato il polpastrello, guardandola negli occhi.
 
“Forse…” replica con un mezzo sorriso e gli occhi che le brillano.
 
“Che cosa hai in mente stavolta, professoressa?” le domanda, non potendo evitare di sorridere di rimando.
 
“Se vieni qui stasera… diciamo verso le diciotto... lo scoprirai… forse,” sussurra, con un tono di voce carico di promesse che Gaetano ormai ricollega ai momenti più belli e più folli della sua vita.
 
“Alle diciotto? E che cosa farò fino ad allora? Solo, abbandonato…” si lamenta, prendendosi un altro pizzicotto, questa volta sulla guancia.
 
“Povero… sono sicura che troverai qualcosa da fare nel frattempo, oltre che la spesa…”
 
“Oh, sì, credo che mi verranno molte idee…” promette, con voce roca, afferrando la mano che gli stava pizzicando la guancia nella sua e baciandole il palmo, “e la prima è che… stasera vorrei invitarti a cena. E mi chiedo se questa idea sia compatibile con le tue.”
 
“Le ultime volte hai sempre organizzato tu, quindi stavolta tocca a me. Magari le tue idee le riserviamo per domani, che ne dici? Per oggi… sei nelle mie mani, dottor Berardi,” proclama, con tono altrettanto roco.
 
“È l’unico posto in cui vorrei essere,” mormora Gaetano, prima di ridurre l’ultimo centimetro di distanza tra le loro labbra e suggellare la promessa con un bacio rovente.
 
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La porta si apre e il fiato gli si mozza in gola: Camilla lo scruta, appoggiata allo stipite della porta, con indosso solo un babydoll cortissimo e trasparente.
 
Non l’aveva mai vista così… così sensuale, provocante, sicura di sé. Si sente afferrare per la camicia e le permette di condurlo dentro al corridoio, lasciandosi guidare, irretire, conquistare da questa sirena in pizzo nero.
 
Senza sapere come, si ritrova in camera da letto e, con una spinta, finisce seduto sul materasso. Nel giro di un secondo, Camilla è a cavalcioni su di lui e gli sembra di impazzire: sente di non averla mai desiderata tanto come in questo momento.
 
Le mani di lei gli accarezzano la nuca, un brivido ed una scossa elettrica che lo trapassano da parte a parte, la vede avvicinarsi lentamente, lentamente, le labbra ad un millimetro dalle sue, e gli sussurra…
 
Gaetano…
 
È come se un coltello gli trapassasse il cuore, la scosta da sé, bruscamente, e il suo sguardo incontra lo specchio, lo specchio sul comò.
 
Gli occhi che lo guardano di rimando sono azzurri, sì, ma… il viso che si tinge di un sorriso beffardo, mentre vede e sente Camilla baciargli il collo non è il suo, è… è…
 
“Gaetano!”
 
Apre gli occhi di scatto e si ritrova seduto nel letto, il viso e la schiena madide di sudore. È sicuro di aver gridato quel nome, quel nome che ha maledetto mille volte negli ultimi mesi, negli ultimi anni.
 
Si volta verso l’armadio, verso l’anta a specchio, cercando la sua immagine, quasi febbrilmente, e si ritrova: gli occhi azzurri – i suoi questa volta – i capelli bianchi e due occhiaie profonde…
 
Tornato dalla piscina con Livietta – non avevano parlato granché, ma almeno sua figlia non sembrava essersi annoiata ed era rimasta anche a pranzo con lui senza protestare, anche se più che un pranzo era stata una merenda, visto che erano le già tre del pomeriggio – si era sentito improvvisamente esausto, come se tutta la tensione accumulata fosse evaporata e avesse iniziato a sentire gli effetti di due notti quasi insonni.
 
Si era coricato a letto ma… questo era il risultato: risvegliato da un incubo orribile dopo appena un’ora di sonno. Si sentiva più stanco di prima e, soprattutto, si sentiva furioso con se stesso per… per non riuscire a non pensare a lei, a loro, a come si staranno sicuramente godendo la serata in quel momento. Perché, anche nei suoi sogni, Camilla gli preferiva sempre lui, il dannato poliziotto-super-più.
 
Non può evitare di chiedersi, per l’ennesima volta, quante volte avesse stretto Camilla tra le braccia, mentre lei in realtà pensava a lui, quante volte avesse fatto l’amore con una donna che immaginava un altro, desiderava un altro, che era già di un altro, anche se, formalmente, avrebbe dovuto essere sua.
 
Scuote il capo, cercando di scacciare questi pensieri che gli corrodono il cuore e l’anima. Si alza, intenzionato ad andare in bagno a lavarsi il viso, ma una macchia bianca sul comodino attira la sua attenzione, accanto alle poche monete recuperate dalle tasche dei pantaloni indossati la sera prima e che aveva messo subito a lavare, non appena rientrato a casa, come se fossero le prove di un peccato infamante.
 
Lo afferra e lo guarda, rigirandoselo tra le dita, continuando a chiedersi – perché no?.
 
La voce che gli sussurra all’orecchio ha il tono suadente di Barbara.
 
E la verità è che, per quanto si sforzi, non ce l’ha una risposta.
 
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La porta si apre e il fiato gli si mozza in gola: Camilla lo scruta, appoggiata allo stipite della porta, con indosso… quasi non riesce a credere ai suoi occhi e li chiude e riapre un paio di volte, per accertarsi di non stare sognando.
 
“Che c’è?” gli domanda con il sorriso di chi ha capito benissimo che cosa c’è, prima di fare una giravolta su se stessa e domandargli, provocatoriamente, “non ti piaccio? Perché altrimenti vado subito a cambiarmi e-”
 
“Dove pensi di andare?!” la agguanta per un braccio, facendola sorridere divertita, per poi ammirarla di nuovo, dalla testa ai piedi, cercando disperatamente le parole, “sei… sei…”
 
“Sono?” lo incoraggia, vedendolo in evidente difficoltà.
 
“Sei… un po’ geisha,” ironizza, perché la verità è che qualsiasi aggettivo sarebbe riduttivo per descrivere quanto è dannatamente, incredibilmente bella e sensuale con quell’abito di seta rossa in stile cinese, attillato, i bottoncini che dal colletto le tracciano in obliquo la linea del seno, per poi scendere lungo il fianco destro e, soprattutto, i due lunghi spacchi laterali che, quando si muove un po’ di più, lasciano scoperte le gambe fino a metà coscia.
 
“Prima di tutto, questo è un abito cinese, mentre le geishe sono giapponesi… anche perché di negozi cinesi è piena Torino, mentre trovare un kimono qui… non è facile,” precisa, un angolo della bocca e un sopracciglio sollevato, avendo riconosciuto benissimo la battuta, fatta ormai dieci anni orsono in una galleria d’arte, quando ancora cercava di illudersi di non provare niente per lui e si ostinava a non voler capire perché l’idea di lui e della sua amica Bettina insieme le provocasse acidità di stomaco, “e poi, comunque… non lo sai che l’abito non fa il monaco?””
 
“Eccola la mia prof.!” sorride, divertito e compiaciuto che anche lei, come lui, si ricordi praticamente tutto dei loro primi incontri, quando ancora cercava di illudersi di non provare nulla per lei, quando ancora si ripeteva che, se la pensava continuamente e la desiderava anche quando stava con un’altra, era solo perché non poteva averla, “e comunque dipende da chi lo indossa!”
 
“E quindi io ti sembro una geisha?” gli chiede, con uno sguardo pericoloso, che preannuncia guai. Deliziosi guai.
 
“No… tu sei una donna forte, indipendente, sei un’amazzone, una guerriera, ma… la verità è che… sei talmente forte ed indipendente che puoi fare qualsiasi cosa, essere qualsiasi cosa, anche una geisha, ma solo quando, come, dove e con chi lo scegli e lo decidi tu,” risponde, guardandola negli occhi, improvvisamente serio.
 
“Risposta esatta, dottor Berardi!” proclama con un sorriso quasi felino, per poi sussurrargli all’orecchio, “meriti una ricompensa…”
 
“Per questa risposta?”
 
“No, per tutto… per tutto quello che hai fatto in queste settimane, in questi giorni e per tutto quello che so che farai. Ti ho sempre ammirato, Gaetano, fin da quando ci siamo conosciuti, per la tua intelligenza, ma soprattutto per la tua grande umanità, nonostante il lavoro che fai e che… renderebbe cinico chiunque. E negli anni ho capito sempre di più che uomo meraviglioso e… e fuori dal comune sei, ma in questi mesi, da quando stiamo insieme e ho potuto conoscerti ancora meglio, ho scoperto ancora di più il tuo lato più intimo, più dolce e sei… sei molto ma molto di più di quanto avrei mai osato sperare, Gaetano,” ammette, accarezzandogli una guancia e godendosi il modo in cui lui sembra rintanarsi nel suo tocco, “amo la tua sensibilità, la tua generosità, la tua pazienza e il modo in cui non mi fai mai pesare niente di quello che fai. Non so se riuscirò mai ad esprimerti quanto tutto questo significhi per me, a ripagarti almeno in parte, a ricompensarti per… per tutto quello che mi dai, ma… ci posso provare e-“
 
“Tu non mi devi alcuna ricompensa, Camilla: io lo faccio volentieri, perché ti amo e voglio bene a Livietta e vedervi felici, rendervi felici, mi rende felice. E poi… quello che mi dai, quello che mi date è molto più grande di qualsiasi cosa potrei mai darvi io…” confessa, ricambiando il gesto.
 
“Potrei dire esattamente la stessa cosa di te. E... non è che ti devo una ricompensa, è che voglio ricompensarti, Gaetano, perché anche per me… renderti felice mi rende felice. È una cosa che fino a qualche mese fa non avrei mai sperato e pensato di poter fare, anche se lo desideravo così tanto. Tu non hai idea di… di quanto mi facesse male doverti tenere a distanza, rifiutarti, vederti stare male. Mi sentivo… mi sentivo uno schifo e… ho cercato di starti vicino come potevo, di aiutarti come potevo, ma non era mai abbastanza, non solo per te, ma nemmeno per me e-“
 
“Camilla…” mormora, abbracciandola più forte che può, accarezzandole i capelli e la seta che le copre la schiena. Dopo qualche istante, allenta lievemente la stretta per guardarla negli occhi, “come mi disse una donna incredibilmente saggia ed intelligente, non serve che tu faccia niente di speciale, niente di più di quello che già fai, perché tu… tu mi rendi già felice, come non avrei mai pensato di poter essere. Ho scoperto con te cosa sia la felicità, quella vera e… e poi tu sei incredibilmente sexy, sei la donna più sensuale che abbia mai conosciuto, in qualunque modo tu sia vestita o non vestita e-“
 
“Allora si vede proprio che questo abito non ti piace… d’accordo vado a cambiarmi,” proclama con un mezzo sorriso, che contrasta con gli occhi lucidi.
 
“Dove vai?!” la blocca di nuovo con un sorriso, stringendola a sé, “puoi levarti quel vestito solo ad una condizione: che sia io a togliertelo.”
 
“Ah, sì?” chiede, divertita, per poi aggiungere, maliziosa, “sei fortunato, sai? Perché, anche se di solito non sono una geisha, per le prossime trentasei ore ho deciso che farò un’eccezione, solo per te. Quindi, fino a lunedì mattina… ogni tuo desiderio è un ordine.”
 
“Camilla…” sussurra, un mix di emozioni nel petto tra cui prevalgono la commozione ed un desiderio quasi lancinante, “te lo ripeto, lo sai che non è necessario, vero?”
 
“Lo so… ma… diciamo che esaudire i tuoi desideri non è un dovere, ma è anche e soprattutto un piacere,” sussurra di rimando, in un modo incredibilmente seducente, “allora, dottor Berardi, qual è il suo primo desiderio?”
 
“Lo sai benissimo cosa desidero, chi desidero,” le soffia nell’orecchio, sentendola tremare tra le sue braccia, “e non so perché… ma credo che tu abbia già qualcosa in mente.”
 
“Ah, sì?” domanda di nuovo, scostandosi giusto il necessario per guardarlo negli occhi, “e come fai a dirlo?”
 
“Perché tu hai sempre qualcosa in mente, professoressa,” ribatte, posandole un bacio sulla punta del naso.
 
“Hai ragione: soprattutto un certo funzionario di polizia… sono dieci anni che ce l’ho in mente e mai come nell’ultimo periodo…” sussurra, afferrando le mani di lui, ancora poggiate sui suoi fianchi e iniziando ad indietreggiare lungo il corridoio.
 
“Ah, sì?” chiede lui, facendole eco.
 
“Sì. E siccome ce l’ho sempre in mente e lo osservo molto attentamente… diciamo che mi è sembrato anche lui un po’ stanco, un po’ affaticato, un po’ contratto dopo questa lunga settimana. Così mi sono ricordata una promessa che gli avevo fatto e non ho ancora avuto modo di mantenere… e ho deciso di rimediare…” proclama, appoggiando le loro mani unite sugli occhi di lui.
 
“Camilla, dove mi stai portando?!” chiede, non riuscendo a trattenere un sorriso, mentre avanza alla cieca, guidato solo da lei.
 
“Puoi aprire gli occhi e scoprirlo…” gli mormora nell’orecchio, lasciando cadere le loro mani.
 
Gaetano apre gli occhi e rimane a bocca aperta: sono in camera da letto, la loro camera da letto – ormai è questo per lui – ma sembra trasformata nella sala massaggi di una SPA: il letto è coperto da asciugamani color porpora, sul comodino campeggiano boccette di oli da massaggio, le tapparelle sono abbassate, l’unica luce della stanza è quella soffusa emanata da alcune candele profumate.
 
“Ma è… è…” balbetta, senza parole, incredulo ed emozionato, agguantandola per la vita e stringendola a sé.
 
“Ti avevo promesso che… una fisioterapista molto pericolosa si sarebbe occupata di te, una volta che il tuo collo si fosse un po’ sistemato, no?” gli ricorda con un sorriso, accarezzandogli proprio la pelle sottile e sensibilissima del collo e della nuca, “e poi… e poi la nostra vacanza a Roma è stata tutto tranne che una vacanza, anche se il finale è stato bellissimo e… non mi dimenticherò mai quello che abbiamo vissuto insieme, e rifarei tutto. Ma tu… non ti sei riposato un attimo e poi anche tornato qui ti sono toccati gli straordinari, non hai avuto un momento di tregua e… volevo regalarti trentasei ore di vacanza e di… di benessere.”
 
“Sei tu il mio benessere, sempre: sei… sei…” farfuglia, perché le parole non bastano, non servono, non esistono, la travolge in un bacio dolcissimo, implacabile e struggente, staccandosi solo quando l’assenza di ossigeno si fa insopportabile, per sussurrarle sulle labbra, “amore mio…”
 
Rimangono così, fronte a fronte, in un silenzio carico di emozione, giusto il tempo per riprendersi da quel bacio. Camilla pian piano ritorna a sentire la forza nelle gambe, che le tremano peggio che se fossero fatte di gelatina.
 
“Ne deduco che l’idea del massaggio è approvata?” scherza, con voce roca, mentre lui, per tutta risposta, annuisce, ancora senza fiato, ma con un sorriso sornione sulla labbra. Camilla si stacca da lui a fatica, fa tre passi indietro e proclama, con tono fintamente professionale, squadrandolo da capo a piedi, “allora si spogli, dottor Berardi.”
 
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“Arrivo!! Chi è?! …Tu?!”
 
“Ciao…” la saluta timidamente, aggiungendo, quando la vede nascondersi dietro la porta, “ti… ti disturbo?”
 
“No… è che… non mi aspettavo di vederti stasera, cioè non mi aspettavo proprio di rivederti dopo stamattina,” ammette, con tono che sembra davvero molto sorpreso, continuando a farsi scudo con l’anta in legno.
 
“Ho capito… scusami, non volevo disturbarti e… buona serata,” risponde, mortificato, dandosi dell’idiota, pensando che probabilmente non è sola: del resto una ragazza come lei di sicuro non rimane da sola di sabato sera.
 
“No, aspetta!” una mano lo afferra per il gomito non appena ha fatto due passi. Si volta e la vede per la prima volta: un paio di shorts e una canotta dal taglio sportivo, ciabatte infradito, i capelli legati in una coda alta, il viso senza un filo di trucco.
 
“È che non aspettavo nessuno stasera e… non pensavo di uscire e… sono un po’ conciata,” si giustifica, imbarazzata ed evidentemente a disagio, abbassando lo sguardo.
 
“Guarda che stai benissimo, forse sei ancora più bella cosi,” ammette Renzo e non è una bugia o una frase fatta per farla sentire meglio, “del resto, giovane e bella come sei non hai bisogno del trucco o di abiti appariscenti. Anzi, così sembri ancora più giovane e… e io sembro ancora più vecchio. Forse il cerone servirebbe sì, ma a me…”
 
“Guarda che anche tu stai benissimo, vestito così, tutto elegante, e non sei affatto vecchio,” risponde Barbara, passando in rassegna la giacca, la camicia e i pantaloni del suo miglior completo tra quelli estivi, guardandolo in un modo che lo fa sentire davvero affascinante e desiderabile, desiderato, “e per quanto mi riguarda… sei sempre troppo gentile tu, anche se, non so perché, ma sembri sempre sincero.”
 
“Perché sono sincero. E poi che sei bellissima è un dato di fatto e lo sai anche tu,” ribatte, provando un moto di tenerezza e compiacimento quando la vede arrossire.
 
“Senti… come mai sei venuto qui, vestito così? Che cos’avevi in mente?” gli domanda con un sorriso decisamente più simile a quelli da panterona provocante della sera prima, cambiando discorso.
 
“Volevo… volevo invitarti a cena. Lo so, lo so che avrei dovuto chiamarti prima, ma… insomma, è che-“
 
“Temevi di cambiare idea? O non ne avevi il coraggio?” gli chiede, con sguardo nuovamente intenerito, dimostrandogli che, anche se si conoscono solo da poche ore, Barbara comincia a capirlo fin troppo bene.
 
“Sì… qualcosa del genere…” confessa, toccandosi i capelli, imbarazzato.
 
“D’accordo… se hai solo un attimo di pazienza vado a cambiarmi e a sistemarmi un po’ e-“
 
“No, aspetta, aspetta. Ho un’idea migliore: tu rimani esattamente così come sei, che sei perfetta, e io torno subito,” proclama con un sorriso, facendo due passi per avviarsi verso la macchina ma poi tornare indietro, colto da un dubbio, “ascoltami, so che ti piace il sushi ma, a parte quello, il pesce in generale ti piace? E i frutti di mare? C’è qualcosa che invece non puoi mangiare o non sopporti?”
 
“Il pesce mi piace e anche i frutti di mare… non mi piacciono cose strane tipo… trippa, fegato, insomma, hai capito, no? E… in generale preferisco i cibi leggeri, ci tengo alla linea, anche se a volte faccio delle eccezioni,” spiega, prima di chiedergli, confusa, “che cos’hai in mente? Vuoi ordinare al take-away?”
 
“Dammi un… venti minuti e lo scoprirai,” chiarisce Renzo, con un altro sorriso, prima di avviarsi nuovamente alla macchina, lasciandola lì sulla porta, ancora incredula e scombussolata, con uno sguardo interrogativo sul viso.
 
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“Mi sembra che tu non ti stia rilassando un granché…”
 
La voce nell’orecchio, il lieve fiato sul collo sono sufficienti a farlo tremare dalla testa ai piedi. Dopo minuti interminabili di massaggio, la tortura più dolce che avesse mai provato – ancora più di rimanere legato insieme a lei nell’armadio senza potersi liberare – è ormai al punto di ebollizione: sente un fuoco propagarsi dalla schiena, le braccia, le spalle, i fianchi –  insomma, ogni centimetro di pelle che lei tocca – e raggiungere ogni fibra del suo corpo, come se fosse un incendio inarrestabile.
 
Un incendio che si alimenta e si intensifica ad ogni secondo che passa. Le dita sinuose che seguono con un’inattesa maestria le linee dei suoi muscoli, sciogliendo nodi, tensioni e creando al contempo una tensione ben diversa, carica di elettricità statica, come un temporale pronto a scoppiare in ogni momento. L’olio profumato di agrumi – riconosce lime, limone, arancia – e una traccia d’uva, come un cocktail estivo, con cui Camilla traccia scie invisibili sul suo corpo, alimentando ed imprigionando il calore, bruciando in modo piacevole sulla sua pelle, come quando si sta vicino ad un caminetto acceso o si mangia un cibo deliziosamente piccante. E poi sentirla a cavalcioni su di lui: le gambe nude che gli cingono i fianchi, coperti solo da un asciugamano – come da migliore tradizione dei massaggi – e la seta del vestito che gli solletica le gambe.
 
“Lo sai benissimo perché non posso rilassarmi, Camilla,” esala, con voce arrochita, voltando il capo per guardarla, cogliendo, anche se di sbieco, il sorriso di lei. Quel sorriso soddisfatto, felino, che gli ha sempre provocato un desiderio lancinante di cancellare dalle labbra di lei con le sue. E oggi non fa eccezione, anzi.
 
“Ah, beh, certo, hai ragione: manca ancora metà del massaggio, la zona frontale,” ribatte, il sorriso che si amplia, una luce negli occhi quasi ferale, prima di sollevarsi sulle ginocchia e ordinare, “si metta a pancia in su, dottor Berardi.”
 
Gaetano obbedisce, ricambiando il sorriso, il sorriso del gatto che gioca con il topo, non facendo nulla per evitare che, nel movimento, l’asciugamano si sposti e cada sul pavimento.
 
Momenti interminabili a fissarsi in perfetto silenzio, con gli occhi che brillano, le guance arrossate, il respiro corto. Gaetano allunga le mani per afferrarle la vita ma lei le intercetta e le intrappola nelle sue.
 
“Ah. Ah. Non ho ancora finito, dottor Berardi: in effetti… mi sembra ancora molto contratto, molto ma molto rigido,” dichiara con voce ironica e sensuale, prima di mordersi il labbro e aggiungere, in un sussurro basso, “ma non si preoccupi, so esattamente come risolvere il suo problema.”
 
“Ah, sì?” soffia con voce strozzata, mordendosi a sua volta il labbro per trattenere un sorriso, il sangue che gli rimbomba nelle orecchie, il calore che è ormai quasi insopportabile.
 
“Sì,” conferma, lasciandogli le mani in modo da avere campo libero per appoggiare i palmi sul petto, appena sotto il collo, tracciando con i pollici la linea tra i pettorali, per poi scendere lentamente, languidamente oltre lo sterno, lungo gli addominali, sempre più giù.
 
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“Ma cosa sono tutti questi sacchetti? Ci sarà cibo per una settimana!”
 
Lo osserva entrare, carico di buste della spesa piene, due per lato.
 
“Dov’è la cucina?” le domanda con un sorriso, “e comunque no, è tutto per stasera… è voluminoso da crudo e poi ci sono cose da pulire… vedrai.”
 
“Vuoi dirmi che… che hai preso cose da cucinare?” gli chiede, sorpresa, aggiungendo, preoccupata, “io però ai fornelli non sono proprio un granché. So giusto cucinare le cose di base, per sopravvivenza.”
 
“Non ti preoccupare: ovviamente cucino io, ci mancherebbe,” la rassicura con un sorriso, per poi indicare di nuovo le buste e domandare, “dov’è la cucina? Sai com’è… sono un po’ pesanti…”
 
Barbara, sempre più incredula, gli fa strada fino alla cucina abitabile che funge anche da sala da pranzo.
 
“La cucina è piccola e non… non ho molte cose… ho qualche pentola, un paio di teglie, un mixer e poco altro…”
 
“Non ti preoccupare: basteranno. Adesso ti spiego cosa mi serve, così dopo puoi rilassarti e fare quello che preferisci nell’attesa…”
 
Barbara, guardandolo come se fosse un alieno venuto da un altro pianeta, segue le sue indicazioni ed estrae dai cassetti le pentole e le teglie necessarie. Si piazza poi su uno degli sgabelli dell’isola della cucina e rimane ad osservarlo, come ipnotizzata, mentre pulisce le verdure, alcuni molluschi in conchiglia e dei crostacei.
 
“Che c’è?” le domanda, sentendo lo sguardo di lei fisso su di lui.
 
“Niente… non posso fare molto per aiutarti perché non ci capisco niente, ma… posso restare a guardarti?” gli chiede di rimando con uno sguardo che gli sembra per un attimo quello di Livietta bambina quando fissava Camilla o Carmen mentre si truccavano, probabilmente immaginando il momento in cui avrebbe potuto farlo anche lei.
 
“Certo. Anzi, ti andrebbe di provare a pulirne qualcuno? Se ti metti i guanti ti faccio vedere come si fa. Non è forse molto piacevole ma è facile,” offre, sorprendendosi, nonostante tutto, quando la vede sorridere, scendere dallo sgabello e raggiungerlo, come se le avesse proposto l’attività più appassionante del mondo e non di pulire due gamberoni e una capasanta.
 
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“A che pensi?”
 
Il lieve soffio caldo sul collo lo fa sobbalzare: è come se il suo corpo, i suoi nervi, i suoi sensi, fossero andati in overdose e stessero cercando di riprendersi. Ogni centimetro del suo corpo è ancora sensibilissimo a qualsiasi stimolo, anche il più delicato, reagendo con un’intensità sconvolgente.
 
“Al fatto che… sei incredibile… è stato incredibile, non… non avevo mai provato niente del genere in vita mia,” mormora a fatica, con voce cavernosa, sollevando leggermente il capo per guardarla negli occhi, sentendola muoversi leggermente su di lui per fare lo stesso, scatenando altre scosse elettriche ed altri fuochi d’artificio. Lo sguardo appagato e compiaciuto, il sorriso lievemente malizioso, le guance arrossate, la bocca ancora turgida per effetto dei baci...
 
“Sei così assurdamente bella…” non può trattenersi dall’esprimere ad alta voce quello che sta pensando, “lo so che te lo dico spesso, ma… diventi davvero sempre più bella ad ogni giorno che passa, sei sempre più luminosa, più… più consapevole della tua bellezza e-“
 
“E questo è per merito tuo, Gaetano, perché tu mi fai sentire bella e soprattutto mi rendi felice, felice e appagata come non credo di essere mai stata. E sicura di me: con te mi sento libera di essere quello che sono e che non ho mai osato essere, di essere me stessa fino in fondo, senza… senza imbarazzi, senza dovermi vergognare di quello che desidero, di quello che provo,” confessa, posandogli un bacio sul petto, all’altezza del cuore.
 
“Camilla…” esala, i battiti che accelerano nuovamente, il cuore e il petto che sembrano scoppiare non solo di piacere, di desiderio, ma anche e soprattutto di tenerezza, di… amore, non c’è altro modo di definirlo. Le solleva il viso per guardarla di nuovo negli occhi, “tu non devi vergognarti di niente, anzi, devi essere orgogliosa di te stessa: non solo della tua forza e della tua intelligenza, del tuo cuore, ma anche della tua passionalità, della tua sensualità. Tu sei una forza della natura, sei appassionata e passionale e generosa in tutto ciò che fai e che vivi e non c’è niente di male in questo. Non so come fai ma… quando abbiamo fatto l’amore per la prima volta, è stata un’esperienza sconvolgente, che non riuscirò mai a definire a parole, ma ricordo di aver pensato che non poteva esistere niente di meglio, niente di più forte, niente di più grande. Che non era fisicamente e mentalmente possibile sentirsi meglio di così, provare un piacere superiore a quello. E invece ogni volta che facciamo l’amore, continui a sorprendermi, e… oggi è stato… mi hai quasi fatto diventare matto, letteralmente… sto ancora diventando matto… sento ancora le tue dita, le tue mani dappertutto e-“
 
“Gaetano!” lo interrompe, diventando paonazza, il rossore che si diffonde dal volto al collo, al décolleté, anche mentre un sorriso le sfugge dalle labbra e non riesce a trattenersi dal riappropriarsi di quelle labbra che la fanno sempre sentire incredibilmente bene, da quando le parlano a quando la accarezzano, la amano.
 
“Lo sai che posso dire anche io esattamente lo stesso di te, vero? Non mi sono mai sentita tanto amata da qualcuno… in tutti i sensi,” gli sussurra quando si stacca per prendere aria, accarezzandogli la fronte e i capelli madidi di sudore, esattamente quanto i suoi, “è come se fossi nella mia testa, se potessi sentire, capire, leggere e soddisfare ogni mio desiderio, ogni mia necessità, senza bisogno di parlare.”
 
“Anche io posso dire esattamente lo stesso di te e poi… come ha detto qualcuno di molto saggio proprio poco tempo fa, soddisfare i tuoi desideri è anche e soprattutto un enorme piacere per me,” la provoca, solleticandole il collo con il naso e con le labbra, sentendola ridere e contorcersi tra le sue braccia mentre, di nuovo, si sente pervaso da continue microscosse elettriche, “e adesso… è il mio turno, professoressa.”
 
“Uh, uh,” scuote il capo, sollevandosi a sedere, a cavalcioni sulla sua vita, per sfuggire ai suoi assalti, “questo weekend è solo per te, te l’ho già detto e-“
 
“Appunto. Mi hai detto che ogni mio desiderio sarebbe stato un ordine, no?” le domanda, afferrandola per la vita e ributtandola delicatamente sul materasso, per poi intrappolarla sotto di lui, mentre lei non riesce a trattenere un gridolino per la sorpresa, ribadendo, guardandola negli occhi che brillano divertiti, “questo è quello che desidero. Vuoi rimangiarti la parola data, professoressa?”
 
“Non ci penso nemmeno…” riesce ad articolare con voce strozzata, prima di arrendersi, abbandonandosi a lui, lasciandosi andare, lasciandosi amare.
 
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“Ce l’ho fatta!” proclama felice ed orgogliosa, brandendo la capa santa aperta e pulita come se fosse un trofeo. C’è qualcosa di quasi infantile in lei, nel suo entusiasmo contagioso, nel suo essere senza filtri, senza mezze misure, senza pudore, in tutto. E, non sa come sia possibile, ma questo la rende non solo straordinariamente provocante, ma anche straordinariamente innocente, di quell’innocenza data dall’inconsapevolezza. Come Eva prima di mangiare la mela, sembra non avere la conoscenza, la cognizione del bene e del male.
 
“Brava! Hai visto che non era difficile?” la incoraggia sorridente, prendendole la conchiglia dalle mani per iniziare la preparazione vera e propria. Preparazione che aveva lasciato per ultima, visto che Barbara aveva fatto parecchia fatica con le capesante ed aveva invece avuto decisamente più fortuna con i gamberoni.
 
“Che profumino…” commenta lei, alzando il coperchio della padella dove si stanno aprendo le vongole veraci per il sugo degli spaghetti, “sei davvero bravissimo! E poi non ho mai avuto uno chef a domicilio: nessuno aveva mai cucinato per me.”
 
“Non mi stupisce, visto chi frequentavi, a meno che non volessi rischiare un’intossicazione alimentare,” ironizza sarcastico, non potendo evitare di pensare alla polizia.
 
“Ti va se ti offro qualcosa da bere?” chiede lei, non raccogliendo – forse volutamente? – la provocazione e cambiando discorso.
 
“Il vino che ho preso deve raffreddarsi ancora un po’, non sarà sicuramente alla temperatura giusta. Mi va bene anche un bicchier d’acqua…”
 
“Ho in mente qualcosa di meglio dell’acqua. Lo so che tu sei un gourmet e ti piacciono solo i vini e le birre migliori, ma… mi sembra che il cocktail di ieri sera non ti sia poi dispiaciuto. Ti va un margarita? Non so cucinare ma con i drink me la cavo bene…”
 
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“Margarita?” domanda sorpreso, riconoscendo l’inconfondibile aroma di lime, alcol e sale.
 
“Ti ho mai detto che nominare il nome di un’altra donna, soprattutto qui e in questo contesto, può nuocere molto gravemente alla salute?” gli chiede con tono fintamente minaccioso e un’occhiataccia, mordendosi il labbro per trattenersi dal ridere.
 
“Ah, ah, molto spiritosa!” ribatte, pizzicandole i fianchi e baciandole la fronte dopo averla sentita sussultare tra le sue braccia. Sono distesi languidamente sul letto a farsi le coccole e a riprendersi dopo il secondo round, “c’è odore di margarita qui. Non sei tu, sono-“
 
“Le candele,” chiarisce lei, aggiungendo, con un sorrisetto, “te ne sei accorto solo adesso?”
 
“Diciamo che prima ero distratto da… altri stimoli sensoriali…” le sussurra all’orecchio, con quel tono ironico e sexy che le ha sempre fatto perdere la ragione, da ben prima che stessero insieme.
 
“Ah, sì? Beh… sai, le candele al vermouth ancora non le producono e… questo profumo dicono che sia rilassante ma anche… energizzante,” ribatte Camilla, con un sopracciglio alzato e tono altrettanto suggestivo.
 
“Dovrei dedurne che mi serviranno molte energie, professoressa?” la provoca, sentendo il desiderio risvegliarsi in lui. Nemmeno a vent’anni gli era mai successo, ma con lei… sembra non bastargli mai e, se potesse, passerebbe non giorni ma settimane intere a fare l’amore.
 
“Deduci be-“ cerca di pronunciare ma un rumore improvviso li distrae: un guaito che da sommesso si fa più forte, seguito da un paio di latrati e da unghie che sfregano la porta.
 
“Mi sa che qualcuno è di nuovo geloso e richiama la tua attenzione,” scherza, mentre Camilla rifugia il viso nel suo petto per un secondo, prima di mettersi a sedere.
 
“È l’ora della cena di Potti… mi sa che anche il suo stomaco ha bisogno di energie,” ironizza, facendo per scendere dal letto, quando un altro rumore, un ruggito questa volta, la ferma.
 
Si guardano per un secondo e scoppiano a ridere.
 
“Mi sa che anche il tuo stomaco reclama energie,” lo canzona, pungendogli gli addominali con l’indice e il medio – o almeno provandoci, data la muscolatura, “ci penso io.”
 
“No, aspetta. Ordiniamo qualcosa: non mi va che tu ti metta a cucinare e-“ si blocca, riconoscendo lo sguardo di lei, “hai già cucinato, vero?”
 
“Deduzione brillante, dottor Berardi, quindi-“
 
“Allora vengo con te. Posso almeno apparecchiare tavola o-?”
 
“Non serve. Rimani esattamente dove sei. Ho pensato a tutto… se no che geisha sarei?” lo stuzzica con un mezzo sorriso felino, alzandosi in piedi, aprendo l’armadio ed estraendone una vestaglia corta di seta rossa e nera, perfettamente in tinta con il vestito di prima, che, anche chiusa, le copre le gambe solo fino a metà coscia.
 
“È proprio vero che l’abito non fa il monaco,” commenta Gaetano divertito, tra sé e sé, dopo che lei ha preso Potti in braccio, offrendogli uno spettacolo da mozzare il fiato e si è avviata verso la cucina: Camilla riesce a dominare e ad essere una generalessa anche nei panni di una geisha.
 
Per fortuna.
 
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“Questi tortini con i fiori di zucca e i gamberoni sono pazzeschi! Se il catering con cui collaboro avesse un cuoco bravo come te, come minimo avrei il doppio degli ingaggi!”
 
“Adesso sei tu che sei troppo buona… ma ti ringrazio,” si schermisce, imbarazzato e compiaciuto, per poi sollevare il bicchiere, quasi vuoto, e proclamare, “e comunque anche tu non scherzi: questo margarita non è niente male. Potresti quasi riuscire a convertirmi ai cocktail, lo sai?”
 
“Se vuoi posso preparartene un altro,” offre con un sorriso luminoso, sembrando altrettanto compiaciuta.
 
“Meglio di no: c’è anche il vino e… poco alcol stasera! Per me e per te,” sottolinea, con un’occhiata eloquente, indicando nuovamente il bicchiere, “invece sono curioso, dove hai imparato a farli così? Anche il modo in cui muovevi lo shaker, sembravi una vera professionista.”
 
Il fatto che fosse anche incredibilmente sexy mentre shakerava i liquori, il ghiaccio e il lime, invece, preferisce tenerlo per sé.
 
“Perché lo sono stata… ho lavorato un paio d’anni come barista nei locali, nelle discoteche, a matrimoni e feste per pagarmi gli studi. Prima facevo anche la hostess a fiere, eventi, e per un periodo ho fatto la cubista, ma poi ho preferito passare a fare la barista e la PR. Guadagnavo meno ma… era tutta un’altra vita. E girando per locali e lavorando con organizzatori di eventi e varie aziende di catering, mi sono fatta un sacco di contatti che mi sono poi serviti per iniziare la mia attività, oltre ai soldi per avviarla.”
 
“Che cosa studiavi?” le domanda, sorpreso.
 
“Danza… da piccola facevo classica ma per gli istruttori ero troppo formosa e non avevo belle linee e-”
 
“Dovevano essere dei matti!” commenta Renzo, facendola sorridere.
 
“Beh, per i parametri della danza classica purtroppo è vero. Quindi ho iniziato a fare contemporanea, moderna… ho fatto anche un po’ di recitazione e canto, speravo magari di trovare lavoro in un musical, altrimenti i teatri qui ormai in Italia non se li fila quasi più nessuno. E nel musical non conta così tanto rispettare certi canoni di perfezione. È per quello che ho iniziato a lavorare come cubista… mi sono detta – ti piace ballare, prendi due piccioni con una fava. Ma il mondo reale non è come flashdance, purtroppo,” spiega con un sospiro, bevendo l’ultimo sorso del suo drink.
 
“Hai… hai avuto problemi?” le chiede, provando di nuovo quello strano istinto di protezione nei confronti di lei, soprattutto quando nota il suo viso rabbuiarsi.
 
“Ero più giovane e più ingenua e… mettiamola così: avrai capito anche tu che non sono una santa e, come ti ho già detto, se qualcuno mi piace non mi faccio tutti questi problemi ad andarci a letto. Non capisco perché voi uomini lo potete fare e noi donne invece no, o che male c’è, soprattutto se sono libera e vado con uomini non impegnati. Ma anche se so di piacere e questo mi piace, anche se non mi faccio troppi problemi con gli uomini, è solo alle mie condizioni, con chi scelgo io. Non trovarmi circondata da bavosi ubriachi che si sentono autorizzati a toccarmi il culo, o peggio, per non parlare di alcuni proprietari che, siccome ti davano cento euro a serata, con tutto quello che gli facevamo guadagnare oltretutto – tutti gli incassi dei bavosi ubriachi – si sentivano autorizzati a fare proposte di ogni tipo. Mi sono sempre rifiutata e ho chiuso con quei locali e poi con quel lavoro. Almeno dietro al bar avevo un bancone in mezzo e c’era sempre un buttafuori a tener d’occhio, non che si fregassero gli alcolici.”
 
“E la danza? Hai chiuso anche con quella? O balli ancora?” le chiede, curioso, mentre non può evitare di notare che le ballerine amanti di sushi, evidentemente, sono una categoria che gli piace parecchio.
 
“Alla mia età? Sono vecchia anche per la danza, ormai e-“
 
“Tu vecchia? E io cosa sarei invece? Decrepito?” le domanda, incredulo.
 
“Nel mondo della danza se non sei qualcuno a vent’anni è già tardi, a più di venticinque… sono fuori tempo massimo per poterlo fare come lavoro. Continuo a ballare per hobby ma… ad un certo punto bisogna guardare in faccia la realtà, e la realtà è che non avevo abbastanza talento per vivere di danza. E fare la ballerina di quinta fila o il tappabuchi per pochi euro al mese e fare la fame, dover fare mille lavori extra per sbarcare il lunario, senza nemmeno la gloria? No grazie!” afferma, decisa, per poi domandargli, notando lo sguardo stupito di lui, “che c’è?”
 
“C’è che… non ti facevo così...” ammette, sorpreso da questa donna che sembra sfuggire ad ogni canone, ad ogni definizione, ad ogni regola, ma che eppure ha delle regole, degli standard, un codice morale tutto suo ma che esiste ed è pure ben definito nella sua testa. Che è leggera, sì, ma non è vuota, che sembra spensierata ma non è realmente senza pensieri.
 
“Così come?” gli chiede, studiandolo con occhi socchiusi, e Renzo sa di dover soppesare bene le parole, per non offenderla.
 
“Pragmatica e decisa, su quello che vuoi e che non vuoi,” pronuncia infine, aggiungendo, dopo un attimo di riflessione, “anche un po’ cinica, a volte.”
 
“Per forza: nella vita ho preso un sacco di fregature. E, sì, so quello che voglio e di solito riesco sempre ad ottenerlo. Il problema è che non riesco mai a… a tenermi a lungo ciò che voglio. Soprattutto con gli uomini: tutti mi vogliono, ci provano con me e poi dopo poco mi mollano o mi riempiono di corna. Eppure dovrei essere il sogno di ogni uomo: non pretendo amore eterno, promesse di matrimonio o di fidanzamento, se sto con un uomo non sto a farmi desiderare nemmeno ce l’avessi d’oro, non pretendo chiamate continue, messaggi e continue attenzioni, chiedo solo sincerità. Non so dove sbaglio…”
 
“Secondo me se sbagli è a non pretendere di più, te l’ho già detto ieri sera. Posso essere sincero?” le chiede, prendendo un respiro, ma di nuovo quel senso di protezione che sente nei confronti di Barbara lo spinge ad esserlo.
 
“Ti ho già detto che devi essere sincero…”
 
“La verità è che… spesso noi uomini pensiamo che se una donna ci si… concede con così tanta facilità, come l’ha fatto con noi, lo farà con un altro. E quindi… gli uomini che vogliono una relazione seria o comunque duratura, magari si spaventano ed evitano, temono fregature, anche perché sei così bella e sanno benissimo che sarai molto corteggiata dagli uomini. Quindi ti rimangono quelli a cui l’idea che tu possa piantarli in asso dopo poco non crea problemi, anzi, perché anche loro sono così,” spiega, temendo una sua reazione arrabbiata e sorprendendosi di nuovo quando lei sembra solo continuare a studiarlo, come incuriosita, spingendolo a continuare a spiegare, “vedi ad esempio il nostro Gaetano, escludendo per ora mia moglie, che però, a quanto dice – e devo dire che le credo pure – gli ha dato due di picche per quasi dieci anni, istigando il suo senso di competizione da macho e il suo ego ipertrofico. Quindi mia moglie, almeno per ora, è diventata la donna della sua vita, il grande amore della sua vita, almeno finché dura. E probabilmente durerà un po’ di più delle altre poverette che hanno avuto la sfortuna di credere alla miracolosa redenzione del playboy impenitente. Capisci come funziona?”
 
“Forse… di sicuro capisco che non puoi evitare di pensare e parlare di tua moglie e di Gaetano. Ma almeno sei sincero e hai il coraggio di dirmi in faccia quello che tutti pensano,” commenta con un sospiro e un mezzo sorriso esasperato, per poi aggiungere, seria, “a me invece di Gaetano non interessa niente. Mi interessi tu: sembri completamente diverso dagli altri uomini che ho frequentato ma… mi chiedo se sei anche tu qui stasera perché… perché pensi che scaricandomi non ne soffrirò, che mi troverò subito un rimpiazzo e che… insomma… non posso evitarmi di chiedermi se ti rivedrò quando finirà questa serata.”
 
“Vuoi la verità? Ovviamente anche io non posso non chiedermi tra quanto ti stancherai di me. Ho probabilmente più del doppio dei tuoi anni, non sono un… un fusto, insomma, non sono il genere di uomo che ti attrae di solito. Ma non sono qui per questo, perché spero che ti stancherai di me. Non lo so esattamente perché sono qui stasera, ma non so nemmeno perché non dovrei essere qui stasera. Non cerco altre donne, di questo puoi stare tranquilla, non pensavo di volere nemmeno una donna, una relazione… è un periodo che non so cosa farò oggi, cosa riuscirò a fare oggi, figuriamoci domani. E non lo sopporto: ho sempre programmato la mia vita, fatto progetti e… non mi è rimasto niente. Tu sei stata una… una bella sorpresa e… mi piace passare del tempo con te. Mi fai sentire bene e in questo periodo per me è tantissimo…”
 
“D’accordo, a me basta. Anche a me piace passare del tempo con te. E anche tu mi fai sentire bene,” proclama, accorciando le distanze tra loro per accarezzargli il viso. Renzo si rende conto, con stupore, che è il primo contatto in assoluto tra loro quella sera. Tanto era stata espansiva durante la loro notte insieme e al risveglio, tanto sembrava ora quasi trattenuta, intimidita.
 
“Ti ho detto che forse dovresti iniziare a pretendere di più…” mormora, ricambiando il gesto, accarezzando quella pelle morbida e liscia, soda, senza trucco, senza rughe, prova lampante di quanto siano enormemente diversi, di due mondi diversi, due generazioni diverse e distanti.
 
“E io ti ho già detto che è quello che sto facendo,” sussurra di rimando, sedendoglisi in grembo e baciandolo.

Lo stesso gesto della sera prima. Ma se la sera prima era una mossa sensuale, spregiudicata, ora è invece un contatto dolce, tenero, quasi… romantico, che gli fa bene e male al cuore e gli ingarbuglia ancora di più i pensieri.
 
Ma non è una sensazione spiacevole, tutt’altro.
 
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“Certo che hai davvero pensato proprio a tutto, fin nei minimi dettagli… e in un solo giorno!”
 
Sono seduti sul lettone, sopra al lenzuolo, con indosso solo quella vestaglietta leggera ed un paio di boxer aderenti. Il minimo indispensabile per riuscire a mangiare resistendo alla tentazione di saltarsi addosso.
 
Sul vassoio campeggiano i pochi resti del tagliere di salumi e formaggi con crackers, finger food freddi a dir poco deliziosi e bocconcini di frutta estiva. Tutto cibo perfetto per essere consumato anche a letto, imboccandosi a vicenda, in qualsiasi momento, senza dover riscaldare, senza dover aspettare, senza rischio di fare disastri. Un’idea a dir poco geniale, degna della sua professoressa-detective preferita. Entrambi hanno un bicchiere in mano, in cui Camilla ha appena versato un’altra generosa dose di vermouth.
 
Il paradiso insomma, il loro paradiso.
 
“Lo sai che quando mi metto in testa una cosa e ho una… giusta motivazione… sono inarrestabile ed implacabile. E riesco perfino ad abbandonare il mio amato caos e diventare una persona organizzata,” si schernisce Camilla, facendogli l’occhiolino.
 
“Il tuo amato caos? Mi sembrava di ricordare – e cito testuali parole – che a te il caos non piace. O non piaceva,” la canzona affettuosamente, anche se sulle ultime tre parole, il tono si fa decisamente più sensuale.
 
“Se ti riferisci al caos in generale… mi tocca ammettere che sono sempre stata parecchio caotica e disordinata di natura, purtroppo o per fortuna, anche se dicono che il disordine sia sinonimo di creatività. Ma negli anni ho imparato a controllarmi e a darmi una regolata, perché non mi piace vivere in una casa in cui sembra sempre essere appena scoppiata una bomba,” confessa, autoironica, per poi aggiungere, più seria, “e se invece intendi un caos in particolare… un bellissimo caos con gli occhi azzurri, i capelli biondi, un sorriso incredibile ed un’espressione da schiaffi… devo confessare che mi è sempre piaciuto, sempre, anche se non potevo e volevo ammetterlo. Quindi sì… confesso di aver mentito, dottor Berardi.”
 
“Lo sa che per questo verrà severamente punita, professoressa Baudino?” proclama con tono fintamente marziale ed inflessibile, appoggiando quasi inconsciamente il bicchiere di vermouth sul comodino.
 
“Ci conto, dottor Berardi,” sussurra, mordendosi il labbro, ritraendosi però prima che possa afferrarle il bicchiere dalle mani, “ma prima di emettere la sentenza, ho ancora una cosa da confessare…”
 
“Cioè?” le domanda, stupito, chiedendosi dove vorrà andare a parare questa volta.
 
“Cioè che quando finalmente ho smesso di combattere e mi sono arresa al caos… mi ha sconvolto la vita, sì, come avevo sempre pensato, temuto e forse un po’ sperato, ma allo stesso tempo, incredibilmente l’ha rimessa in ordine. È come se ogni tassello del puzzle fosse andato a posto, Gaetano… certo abbiamo ancora parecchi problemi da risolvere ma… ma non riguardano me come persona, come mi sento. E non riguardano nemmeno noi due. Perché mi sento in pace, in equilibrio, come non credo di essere mai stata.”
 
In un impulso irrefrenabile, la attira a sé e la abbraccia più stretto che può. Qualche secondo, il tempo necessario perché i suoi recettori nervosi, decisamente sovrasollecitati nelle ultime ore, registrino un senso di bagnato e di freddo che gli corre lungo la spina dorsale. Volta il capo, stupito, e si rende conto solo in quell’istante che, nella foga, non aveva tenuto conto del bicchiere di vermouth che lei teneva ancora in mano. Vermouth che è ormai colato a cascata sulla sua schiena, arrivando fino al lenzuolo.
 
Mortificato, cerca lo sguardo di Camilla, che ricambia con occhi stranamente brillanti, mordendosi il labbro. Altri due secondi e scoppiano a ridere in contemporanea, senza potersi trattenere.
 
“Sei davvero il caos!” lo canzona Camilla, tra una risata e l’altra, appoggiando il bicchiere ormai vuoto sul comodino, “capisco sempre di più da chi ha preso Tommy…”
 
“Beh… visto che non c’erano le candele al vermouth… ho inventato le lenzuola al vermouth. Il caos è creatività, l’hai detto tu stessa,” ironizza, per poi guardarla con uno sguardo contrito degno di suo figlio e domandarle, serio, “mi perdoni?”
 
“Non lo so… dipende…” replica con un sorrisetto enigmatico.
 
“Da che cosa?”
 
“Da qual è la mia punizione, dottor Berardi,”
 
“Dopo le sue ultime confessioni, professoressa, credo che la condanna per lei sia ormai segnata: l’ergastolo,” sentenzia, severo ed irremovibile, come un giudice.
 
“L’ergastolo?”
 
“Sì… una vita intera nel caos, con cucine ad alto rischio di incendio, allagamenti in bagno, lenzuola al vermouth, cani gelosi ed affamati che tentano di sfondare le porte in assetto antisommossa…” prospetta, prendendosi in giro, per poi prenderle il mento tra due dita e affermare, più serio, “ovviamente può sempre presentare appello, se le sembra una condanna iniqua.”
 
“Non ci penso neanche!” proclama decisa, cingendolo con le braccia ed accarezzandogli la schiena ancora umida di vermouth, “anzi, voglio sperare che la sentenza sia immediatamente esecutiva.”
 
“È già passata in giudicato,” mormora, prima di attirarla a sé e sconvolgerla con un altro bacio, cappottando insieme sulle lenzuola intrise di vermouth, senza sentire né il bagnato, né il freddo, immersi nel calore del loro mondo.
 
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“Ma non hai mai pensato di fare lo chef? Anche questa pasta era buonissima, cotta alla perfezione. Per lavoro di ristoranti ne giro tanti, quindi so cosa dico,” si complimenta, dopo l’ultima forchettata di spaghetti con le vongole.
 
“Ti ringrazio,” sorride, compiaciuto, arrossendo leggermente, “e sì, in realtà da giovane ci avevo pensato ma… adesso c’è la moda degli chef, ma ai tempi fare il cuoco era considerato un mestiere per poveri. E poi i cuochi viaggiano, fanno orari impossibili e… io praticamente avevo solo mia madre, mia madre aveva solo me e non volevo abbandonarla per andare a lavorare chissà dove. E lei era orgogliosa e voleva che studiassi, mi laureassi. Stavamo a Civitavecchia, lei mi ha convinto a prendere un appartamento a Roma, per studiare ed essere indipendente. Sono rimasto impressionato dalle bellezze, dai capolavori e… mi piaceva la matematica, i numeri, ma anche la creatività e l’arte… all’inizio volevo fare economia, spinto da mamma, e mi sono anche iscritto. Ma poi quando ho preso il mio appartamento insieme ad altri ragazzi e ci è toccato arredarlo al millimetro, ho capito che mi piaceva, ho fatto tutto io e mi sono proprio appassionato. E ho capito che fare l’architetto era un giusto compromesso tra i numeri e la creatività.”
 
“Si sente che sei intelligente… che hai cultura… che hai studiato… parli così bene,” pronuncia dopo un attimo di esitazione, come se non fosse quello che voleva realmente dirgli.
 
“Che c’è?” le chiede, guardandola negli occhi.
 
“Anche tu hai perso tuo padre quando eri giovane?” domanda dopo un altro attimo di pausa, sembrando colpita, “il mio è morto quando avevo dodici anni… un aneurisma. E il bello è che sembrava il ritratto della salute, sportivo e invece… era nato con una bomba ad orologeria nel cervello. Se ne è andato così… da un momento all’altro.”
 
“Mi dispiace…” sussurra Renzo, colpito, e sempre più sorpreso da quello che scopre di questa donna, sentendosi quasi in colpa quando chiarisce, “mio padre era vivo, è ancora vivo, ma era come se non ci fosse. Riempiva mia madre di corna, non era un padre, non voleva e non sapeva fare il padre. È per questo che detesto e disprezzo gli uomini come lui  e come-“
 
“Come Gaetano?” intuisce lei, dimostrando di nuovo di non essere affatto stupida.
 
“Sì… e mi sono giurato che non sarei mai stato come mio padre, che sarei stato un padre perfetto e un marito perfetto e-“
 
“Beh, direi che ci sei riuscito, no? Ami ancora tua moglie dopo tutti questi anni… non è colpa tua se lei si è fatta conquistare da Gaetano…” lo interrompe Barbara, parlando di lui con un tono ammirato che gli fa male, perché sa di non meritarlo.
 
“Non… non è così semplice. Non sono stato un santo e ho sbagliato tanto, forse in tutto… è una storia lunga ma… non so se ho voglia di parlarne stasera. Ti dispiace se-“
 
“Se non parliamo di tua moglie e Gaetano? Secondo te?” gli chiede, ironica e retorica, facendolo sorridere di nuovo.
 
“Perché non mi parli di te adesso, invece? Organizzi eventi, giusto? Feste…”
 
“Feste, inaugurazioni, eventi culturali, eventi aziendali, sfilate, concerti. Di solito cerco di evitare i matrimoni, visto che li detesto e sembra di stare in una gabbia di pazze isteriche, tra le spose e le madri degli sposi soprattutto. Certo, sono anche tra gli eventi più redditizi e se sei nel giro giusto ogni anno hai un business garantito… ma ultimamente sto riuscendo a selezionare clientela e lavori che mi piacciono…”
 
“Guarda, io non faccio testo visto che, se posso essere sincero, odio praticamente tutti gli eventi mondani e tutte le feste,” ammette Renzo, prima di aggiungere, “senza offesa.”
 
“No, figurati. Poi, organizzandole, le vivo come un lavoro, non posso divertirmi. A me la mondanità invece piace e partecipo volentieri ad eventi non organizzati da me, se sono belli o particolari o interessanti ma… è quasi tutta una commedia. Di gente che si diverte davvero ce n’è poca… è quasi come stare a teatro e recitare a soggetto. Forse mi diverto anche per questo, ora che ci penso: mi sembra di tornare sul palcoscenico, anche se quelli veri li ho dovuti abbandonare,” commenta, tra l’ironico e il malinconico.
 
“A me invece mette tristezza… vedere tutta questa gente che finge, recita, mente a se stessa e agli altri. Ho sempre odiato la vita di società e ho sempre preferito una serata casalinga ad andarmi ad infilare in uno di quei baracconi mondani. E lo sai qual è stata la beffa peggiore? Quando mi sono reso conto che… che la recita si era spostata dentro le mura di casa, che non avevo quindi più una casa, un rifugio, ma… che stavo sempre su un palcoscenico e che avevo cominciato anche io a mentire a me stesso e agli altri. Alle persone a cui tenevo di più. Ironico, no?” pronuncia, di nuovo quasi come se stesse parlando più a se stesso che a lei. Il dolore e il sollievo nel prendere coscienza completamente di ciò che erano stati gli ultimi anni di agonia del suo rapporto con Camilla sono tanto forti quanto indefinibili e inscindibili. Solleva infine lo sguardo, quando nota che il silenzio si sta prolungando sempre di più, che dall’altra parte non c’è alcuna reazione, e legge nello sguardo di lei un’amarezza e una disillusione che lo colpiscono.
 
“Scusami… continuo a tornare su… su Camilla e… sono uno stupido, scusami,” balbetta, imbarazzato, chiedendosi come mai lei non l’abbia ancora invitato ad andarsene. La mente gli torna di nuovo a quell’appuntamento con Pamela, quando lei gli aveva intimato di ritornarsene dalla moglie, dopo che lui l’aveva nominata una volta di troppo.
 
“No… non è per quello, non solo… è che… hai ragione tu: a me piace stare su un palcoscenico ma… quando ti accorgi che tutta la tua vita è una recita, un baraccone, come lo chiami tu, che non c’è niente di vero, di sincero, che… che non puoi mai smettere di recitare e che… che nessuno smette mai di recitare con te, nessuno ti vede davvero per come sei… ma ti giudica e basta per il ruolo che interpreti anche quando fino a cinque minuti prima si divertiva a starci sul carrozzone insieme a te… non è più divertente, nemmeno per me,” ammette, sembrando anche lei riflettere ad alta voce, più che parlare con lui.
 
“C’entra con quello che è successo ieri sera?” non può evitare di chiedere, vedendola incupirsi, se possibile, ancora di più.
 
“Sì,” conferma con un sospiro ciò che era già evidente, “ma non… non mi va di parlarne. Ti dispiace?”
 
“Se non parliamo di quel galantuomo del tuo ex? Secondo te?” le chiede, facendo il verso alla domanda che lei gli aveva posto poco prima, provando una strana sensazione piacevole quando la vede sorridere di rimando e rilassarsi, “anzi, per toglierci l’amaro di bocca… che ne dici se passiamo al dessert?”
 
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“Dio, quanto sei bella…” sussurra, tracciandole le labbra con il pollice e sentendola dischiuderle in un sorriso, per poi baciargli e mordicchiargli lievemente il polpastrello.
 
Sono distesi l’uno accanto all’altra a riprendere un attimo le forze ed il fiato dopo tanta passione, tanto amore.
 
La vede sollevarsi leggermente su un gomito e sono di nuovo labbra contro labbra, in un bacio leggero e morbido. Si lascia poi cadere sul materasso, trascinandola con sé in un abbraccio, sentendola rifugiarsi nel suo petto, mentre le accarezza la schiena ed i capelli.
 
“Mmmm… sai di vermouth,” la sente mormorare nell’incavo del suo collo, prima di posargli un bacio sulla clavicola.
 
“Se ti fa questo effetto, mi sa che abbandono il mio solito profumo e mi rovescio addosso un goccio di vermouth ogni mattina,” scherza, avvertendo le labbra di lei sul collo tendersi in un altro sorriso.

“Sì, mi immagino già i titoli dei giornali: vicequestore sospeso dal servizio per sospetto alcolismo!” ribatte, guadagnandosi un pizzicotto sul fianco che la fa sobbalzare e lanciare un gridolino di protesta.
 
Gaetano sorride e sta per lanciarsi in un vero e proprio attacco a base di solletico, quando il suono del cellulare di Camilla li interrompe, segnalando l’arrivo di un messaggio e di uno squillo.
 
“Deve essere Livietta…” deduce Camilla, mettendosi a sedere su di lui e sporgendosi per afferrare il cellulare dal comodino.
 
Siamo arrivate in disco. Tutto bene ma qui c’è casino quindi non chiamarmi che non sento. Ti avviso quando siamo a casa di Cri. Baci,” legge ad alta voce, aggiungendo, ironica, “addirittura baci? Si vede che oggi è di buonumore, anche se è telegrafica come sempre.”
 
“Chissà da chi avrà preso, eh? Ricordo ancora i tuoi sms, professoressa, che sembravano davvero dei telegrammi, talmente erano sintetici e spesso quasi marziali,” la punzecchia, mentre lei si sporge nuovamente per riporre il cellulare sul comodino, “mentre da quando stiamo insieme... non solo usi più parole, ma soprattutto usi tutt’altro tipo di parole… si vede che anche tu sei di buonumore?”
 
“Chissà…” pronuncia, appoggiando la mano sinistra sul suo petto per tendersi in avanti e accarezzargli la guancia con la mano destra, facendogli l’occhiolino.
 
Gaetano sorride e sta per ricambiare il gesto, quando sente qualcosa tra le labbra, qualcosa di lievemente freddo e dal sapore metallico. Abbassa lo sguardo, lasciando per un attimo gli occhi di Camilla e capisce che si tratta del ciondolo della collanina che lei indossa. Lo solleva tra due dita, notandolo realmente per la prima volta: è a forma di chiave, una piccola chiave dorata.
 
“È… è nuovo?” non può evitare di chiedere, sollevando nuovamente lo sguardo verso di lei, che sembra studiarlo intensamente.
 
“Lo noti solo adesso?” replica con un sorrisetto enigmatico.
 
“Prima ero… concentrato su altro. E comunque non si risponde ad una domanda con un’altra domanda,” ribatte, deciso ad avere una risposta, anche se in realtà gli sembra di averlo già visto prima in qualche occasione, ma non ricorda quando. Camilla non porta quasi mai collane.
 
“Non proprio… diciamo che ce l’ho da un po’, ma non l’ho mai indossato,” risponde lei, rimanendo sempre sul vago.
 
“L’hai… l’hai comprato tu?” non riesce a trattenersi dall’indagare.
 
“Non proprio…” ripete, senza aggiungere altri dettagli.
 
“È… è un regalo?” domanda avvertendo quel lieve senso di oppressione al petto che ormai riconosce benissimo.
 
“Non dirmi che sei geloso…” pronuncia Camilla, sempre con quel sorrisetto, sembrando leggergli nel pensiero e nel cuore e dimostrando di conoscere la risposta.
 
“Beh… regalare un ciondolo a forma di chiave… può… può avere un certo significato, no? Una certa importanza…” le fa notare, cercando di capire chi possa aver fatto un regalo del genere a Camilla e perché lei l’abbia indossato proprio oggi.
 
“E infatti ce l’ha,” conferma, con il tono di chi sta pronunciando un’ovvietà, mentre il sorriso le si fa sempre più ampio.
 
“Eh?” chiede, confuso, non capendoci più niente, nemmeno quando la vede sollevare le braccia dietro al collo – rimanendo per qualche istante in una posa da mozzare il fiato – aprire la catenina, sfilare il ciondolo, lasciandoglielo cadere sul petto.
 
“È per te…” chiarisce con un altro sorriso, quando vede che lui non reagisce e continua a fissarla come stordito.
 
“Per me? Una collana?” le chiede, sorpreso, non solo perché la foggia è decisamente femminile, ma soprattutto perché lui non indossa gioielli.
 
“Non è una collana, è-“
 
“Un ciondolo, sì, ma è lo stesso…” ribatte, prendendolo di nuovo tra due dita e studiandolo meglio. Improvvisamente, viene colpito da un’intuizione, “non è… non è un ciondolo, vero? Non ha… non ha l’occhiello.”
 
“Brillante deduzione, dottor Berardi,” conferma, continuando a sorridere e facendogli l’occhiolino.
 
“E… e l’ho già vista da qualche parte, ma… ma dove? E che significa?” le chiede, ormai decisamente incuriosito ed intrigato.
 
“Il poliziotto sei tu…” lo provoca, quell’espressione soddisfatta e felina che lo fa impazzire.
 
Chiude gli occhi, cercando mentalmente il ricordo, l’immagine giusta, senza trovarla. Li riapre e si guarda intorno, cercando un qualsiasi appiglio visivo ed è a quel punto che gli occhi gli cadono sull’armadio e lì si bloccano.
 
L’armadio… quei due bastardi che li avevano legati e rinchiusi… chiusi a chiave nell’armadio. E la metà di sinistra del guardaroba, proprio quella in cui erano stati imprigionati, non ha alcuna chiave nella toppa, mentre quella di destra…
 
Guarda Camilla e, dal modo in cui gli sorride e si solleva dal suo grembo, mettendosi a sedere accanto a lui, capisce di aver capito e sa che cosa deve fare.
 
Si mette a sua volta a sedere e scende dal letto, chiedendosi che cosa si sia inventata questa volta la sua imprevedibile professoressa. Infila la chiavetta nella toppa, la gira e apre le ante, non sapendo bene che cosa aspettarsi.
 
Quello che trova è un armadio completamente vuoto, tranne che sul fondo, dove scorge una scatola di scarpe, una bustina di plastica e pochi vestiti ordinatamente piegati ed impilati.
 
Vestiti da uomo.
 
Si inginocchia e li prende in mano per studiarli, uno a uno. Una camicia bianca a maniche lunghe, una maglietta bianca, un paio di jeans, un paio di pantaloni da tuta ed un paio di pantaloncini sportivi, entrambi grigio scuro. Tutti nuovi di zecca, tutti della taglia che indossa abitualmente.
 
E, in fondo alla pila, un maglione grigio che invece non è nuovo e che riconosce benissimo. Il maglione che aveva indosso la sera in cui tutto era cambiato tra di loro, il maglione che le aveva prestato per scaldarsi nella fredda casa di Madame e che lei non gli aveva mai più restituito.
 
Riesce a percepire chiaramente il profumo inconfondibile di Camilla che impregna ancora il maglione, segno che quel maglione è stato indossato da lei, forse anche recentemente.
 
Sentendosi come un bambino la mattina di natale, apre la scatola delle scarpe e ci trova un paio di ciabatte infradito nere, anche queste della sua misura.
 
Nel necessaire, invece, solo uno spazzolino nuovo ed un bigliettino bianco con scritto, nella grafia inconfondibile di Camilla, “portami al mio posto e troverai il resto…
 
Solleva lo sguardo verso Camilla che lo osserva, lì in piedi, completamente nuda, come lui del resto, con un’aria tra il compiaciuto e il timoroso. Ha in testa mille domande, mille pensieri e il cuore in tumulto ma, quasi in automatico, decide di seguire ancora una volta l’indizio.
 
Si incammina verso il bagno, sentendo i passi delicati di lei che seguono i suoi. Aperta la porta, si guarda intorno e nota per la prima volta qualcosa che spunta dal portaspazzolini, accanto al dentifricio e allo spazzolino di Camilla. Un altro bigliettino con solo tre parole: “armadietto di sinistra”.
 
Non potendo trattenere un sorriso, apre l’anta indicata dal biglietto e si ritrova di fronte ad un rasoio classico, schiuma da barba, rasoio elettrico, bagnoschiuma, shampoo. Se non fosse tutto nuovo, penserebbe che Camilla abbia fatto un raid nel suo bagno, perché è tutto esattamente uguale a ciò che usa abitualmente. Ma del resto dovrebbe saperlo che la memoria di Camilla è assolutamente incredibile ed infallibile.
 
Si volta ed incrocia gli occhi scuri di lei, che lo osservano di rimando. Per qualche secondo nessuno apre bocca: continuano a studiarsi nel più totale silenzio, come a voler leggere nei pensieri dell’altro.
 
“Che… che significa tutto questo, Camilla?” ha finalmente il coraggio di domandarle, il cuore in gola, non osando pensare a niente, per non rischiare di illudersi, “ti prego, non chiedermi di dedurlo, perché ho bisogno di sentirtelo dire.”
 
“Significa che… se vuoi, questo è il tuo armadietto e… quello è il tuo armadio. Così… quando ti fermi qui per la notte non devi più tornare a casa a cambiarti, a prepararti. Ti ho preso un po’ di cose per… per cominciare, spero di averci azzeccato, ma… ovviamente puoi portare qui quello che preferisci. Lo spazio è tuo… solo se ti va, ovvio,” gli spiega con un tono di voce quasi timido, timoroso, che lo intenerisce profondamente.
 
Per un attimo una parte di lui aveva sperato che questo fosse il suo modo di chiedergli di convivere stabilmente, ma sa benissimo che è troppo presto e che sarebbe da irresponsabili farlo, con tutto quello che sta accadendo con Renzo e con Eva.
 
Ma ora sa, è sicuro, che è solo questione di tempo, che lei lo desidera tanto quanto lo desidera lui e che questo è un primo, piccolo, ma importantissimo passo in quella direzione.
 
E il fatto che lei abbia organizzato tutto questo, che abbia progettato tutto questo, fin nei minimi particolari, il modo in cui lo guarda, attendendo la sua risposta, mordendosi nervosamente il labbro, nuda, in tutti i sensi, di fronte a lui, gli fa scoppiare il petto di dolcezza, di amore, di gratitudine, di orgoglio e di desiderio.
 
In un attimo la raggiunge e se la carica in braccio, soffocando il suo grido di sorpresa con un bacio, si siede, con lei ancora avvinghiata a lui sul bordo della vasca e, a tentoni, apre l’acqua, continuando a baciarla, fino a che è proprio lei a staccarsi.
 
“Devo prenderlo come un sì?” gli sussurra sulle labbra, mentre lui annuisce sorridendo, per poi lanciare uno sguardo al rubinetto aperto, ritrovandolo sul livello più freddo possibile, sospirare e sporgersi per regolarlo, punzecchiandolo con un, “va beh che forse abbiamo bisogno entrambi di una doccia fredda, anzi, gelida, ma non voglio rischiare una polmonite.”
 
“Vuoi dirmi che non basto io a scaldarti, professoressa?” la provoca di rimando, immergendo le dita nell’acqua gelata accumulatasi sul fondo della vasca per qualche secondo, prima di appoggiarle sulla caviglia sinistra di lei e cominciare a tracciare righe invisibili lungo il polpaccio, risalendo sempre di più, sentendola rabbrividire e ricoprirsi di pelle d’oca.
 
“Dovrai impegnarti davvero molto per riuscire a scaldarmi adesso, lo sai?” pronuncia lei con voce roca, quasi senza fiato, non appena si riprende un attimo dall’esplosione di sensazioni, come se avesse ghiaccio bollente sulla pelle.
 
“Non chiedo di meglio, professoressa.”
 
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“Dopo queste pesche ripiene, credo che dovrò fare ginnastica per due giorni di fila. Ma ne è valsa la pena: non ho mai mangiato una cena così buona in vita mia!” proclama con un sorriso, allungandosi verso di lui per accarezzargli il viso e stampargli un bacio sulle labbra, un bacio che sa di pesca, cioccolato ed amaretto, e sussurrargli, “grazie mille.”
 
“Fi- figurati… sono contento che qualcuno apprezzi la mia cucina…” minimizza, imbarazzato e compiaciuto.
 
“Non so come qualcuno potrebbe non apprezzare la tua cucina, come potrebbe non apprezzarti: sei bravissimo e non solo ai fornelli. Nessuno aveva mai fatto una cosa simile per me, mai,” dichiara con tono addolcito e toccato, aggiungendo poi con un sorriso ed un’occhiata eloquente, “quindi fingerò di non aver colto il possibile riferimento alla tua ex che, te lo ripeto, è una pazza completa ad essersi lasciata scappare un uomo come te.”
 
“Scusami,” mormora, passandosi una mano tra i capelli, rendendosi conto dell’ennesima gaffe commessa, “e ti ringrazio, ma credo che tu mi veda molto meglio di come sono in realtà. In tutti i sensi.”
 
“No, ti garantisco che ho undici decimi, vista perfetta,” ribatte con un sorriso, posandogli un altro bacio sull’angolo della bocca.
 
“A-ah… ok… bene, che ne dici se ti aiuto a ritirare qui e poi-“
 
“Non mi serve una mano per ritirare: c’è la lavastoviglie e posso farlo domani mattina. Sai in cosa potresti aiutarmi invece?”
 
“N-no,” deglutisce, sentendosi avvampare quando la vede farsi sempre più vicina, lo sguardo da pantera che è ritornato a tingerle il volto.
 
“A smaltire le calorie… nell’unico modo più piacevole ancora di come le abbiamo accumulate,” ironizza, prima di sedersi sulle sue ginocchia e travolgerlo in un bacio appassionato e famelico.
 
“A- aspetta,” la blocca, sbilanciato sulla sedia, sul punto quasi di cadere.
 
“Ancora?! Ti piace davvero giocare allora…” lo punzecchia, mordicchiandogli il labbro, prima di tentare di nuovo di baciarlo, ma lui si scosta.
 
“Che c’è?” gli domanda con un sospiro, più seria, spingendosi indietro fino a lasciarsi cadere sulla sedia che aveva occupato per tutta la cena, lasciandogli lo spazio per ricomporsi, la femme fatale che lascia il posto alla ragazza, alla donna che ha incominciato a conoscere ed intravedere stasera, “ti giuro che non ti capisco: prima vieni qui, organizzi tutto questo, mi corteggi e poi-“
 
“Ecco, appunto. Non… non voglio che… che pensi che ho fatto tutto questo solo per portarti a letto perché non è così. Lo so che… che è già successo, ma non deve succedere per forza di nuovo anche stasera, se-“
 
“Shhh,” lo zittisce, tappandogli le labbra con un dito, “lo so che non l’hai fatto per portarmi a letto, anche perché non serviva. E non è che deve succedere per forza, io voglio farlo perché mi piaci, perché mi piace come mi fai sentire e non solo a letto: con te sto benissimo. Ma solo se lo vuoi anche tu, quindi stasera non insisto: sei tu che devi fare la prossima mossa adesso. Decidi tu se andare o restare.”
 
Renzo la guarda per un attimo: seduta su quella sedia, i capelli leggermente scarmigliati, che cercano di sfuggire dall’elastico della coda, il viso pulito, le labbra lievemente gonfie per il loro bacio. È così bella, così stranamente angelica e tentatrice insieme.
 
Non aveva molto meditato su cosa sarebbe successo prima di cedere all’impulso di andare da lei ed invitarla a cena fuori, ma in un angolo della mente si immaginava di riaccompagnarla a casa, darle il bacio della buonanotte ed andare via, magari farle recapitare un mazzo di fiori la mattina dopo ed invitarla di nuovo fuori per conoscerla meglio. Fare le cose con calma dopo quell’inizio in cui avevano bruciato tutte le tappe.
 
Il vecchio Renzo avrebbe fatto così, ha sempre fatto così. Perfino con Carmen, anche se la loro relazione era nata nella clandestinità, avevano avuto alcune uscite non propriamente di lavoro, non propriamente private, sul filo del rasoio tra qualcosa di lecito tra due colleghi entrambi sposati e qualcosa che andava oltre al consentito, prima di cedere e baciarsi per la prima volta. Prima di lasciarsi andare alla passione, mettendo a tacere i sensi di colpa.
 
Già i sensi di colpa… perché allora con Carmen stavano entrambi facendo qualcosa di male e lo sapevano, stavano tradendo la fiducia di qualcuno, comunque si volevano vedere le cose.
 
Ma ora… che c’è di male? – si chiede quella vocina insistente nella sua testa. Si chiede ancora perché no. Perché dovrebbe seguire degli schemi e tornare in un appartamento vuoto e freddo quando la serata è andata così bene, quando con lei sta così bene.
 
D’istinto, si alza in piedi. La osserva per un attimo guardarlo, ancora seduta, un’espressione delusa che le si dipinge sul volto, provocandogli un’altra ondata di tenerezza e di orgoglio.
 
Le porge la mano, semplicemente, il palmo rivolto verso l’alto e quando lei, confusa ed incuriosita, ricambia il gesto appoggiandovi la sua, la tira in piedi e la attira a sé, baciandola.
 
Senza bisogno di altre parole, sentendola sorridere sulle sue labbra, aggrappati l’uno all’altra, si muovono a tentoni verso la camera da letto.
 
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“Mmm… che succede? Chi ti manda messaggi a quest’ora?”
 
“Sei gelosa?” le domanda con un sorriso, compiaciuto non solo dalla reazione di lei, ma anche dal messaggio, sebbene lo abbia svegliato alle cinque del mattino.
 
Sebbene siano le cinque del mattino e non gli piace che Livietta faccia l’alba. Ma quelle poche parole – siamo a casa di Cri e andiamo a dormire. Buonanotte o buongiorno – gli sembrano quasi un miraggio, gli sembra un sogno che abbia pensato a scrivere anche a lui, oltre che a Camilla.
 
“Se lo fossi?” gli chiede di rimando, con il tono di chi non vuole sbilanciarsi ma che gli fa capire che sì, è indiscutibilmente gelosa.
 
Sta per risponderle quando arriva un altro messaggio e non può evitare di sorridere ancora leggendolo, anche se non è certo dei più dolci o affettuosi, ma non gli importa, perché gli sembra di essere tornato ai tempi prima della seconda separazione  – ps. papà, lo so che sei mattiniero ma non ti azzardare a venire qui prima di mezzogiorno, che vogliamo dormire. Ci vediamo dopo pranzo, ok? Anzi, riposati anche tu che almeno stasera al concerto non inizi a brontolare alle dieci, come al tuo solito ;)…
 
“Senti, te l’ho detto: non voglio promesse d’amore eterno ma la sincerità sì. Quindi se hai qualche altra corteggiatrice che ti ronza intorno, visto che ti scrive nel cuore della notte, e che evidentemente ti interessa, visto come sorridi quando leggi i suoi messaggini, basta che me lo dici e-“
 
“È mia figlia,” chiarisce, mostrandole il display, continuando a sorridere orgoglioso, “è appena tornata dalla discoteca con le sue amiche e mi ha mandato un messaggio per avvisarmi.”
 
“Ah, è la ragazza che c’era anche l’altra sera al pub, giusto? È molto carina, anche perché ti assomiglia moltissimo,” risponde con tono e sguardo addolciti e tranquillizzati, indicando la foto del profilo di Livietta, per poi aggiungere, con tono decisamente curioso, “andate ad un concerto stasera?”
 
“Sì… ad una specie di festival rock a piazza San Carlo… un’amica di mia figlia a quanto pare è fan sfegatata di una delle band,” conferma, trattenendo un sospiro perché, se l’idea di passare un po’ di tempo solo con Livietta è un sogno che si realizza, l’idea di andare in mezzo a quel casino con Betty Boop e i suoi urletti, oltretutto…
 
“Ah, sì, ho capito… e non è che a questa amica e magari pure a tua figlia, piacerebbe conoscerla la band e vedere il concerto dal backstage, invece che in mezzo alla folla?” gli chiede con un mezzo sorrisetto.
 
“Magari! E sinceramente evitarmi il bagno di folla non mi dispiacerebbe per niente ma… davvero si può?” le domanda, capendo dal modo compiaciuto in cui gli sorride, che ha un asso nella manica.
 
“Diciamo che l’evento lo organizza la società di un collega che mi deve più di un favore… quindi… posso fargli un paio di telefonate, chiaramente non adesso se no mi manda a stendere, e… credo non ci siano problemi. Se mi dai il tuo numero ti avviso quando ho fatto e come fare per ritirare i pass e-”
 
Un bacio dolce e delicato la zittisce prima che possa finire la frase. La tenerezza lascia ben presto di nuovo spazio alla passione e si ritrovano sotto le lenzuola, il telefono dimenticato ed abbandonato in un angolo del letto.
 
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“Papà, ma dove stai andando?! La fila parte di là!”
 
“E infatti noi non dobbiamo fare la fila,” replica, voltandosi per guardare negli occhi Livietta, che lo osserva tra il dubbioso, l’incredulo e l’esasperato.
 
“Sì, e cosa vorresti fare? Sfondare le transenne?” gli chiede, sarcastica, avendo visto benissimo lo spiegamento di security che c’è, anche perché l’evento è ad ingresso libero e quindi devono gestire una folla molto numerosa.
 
“Fidati per una volta del tuo vecchio e vedrai,” ribatte, con un’ironia ed un buonumore che sorprendono tantissimo Livietta.
 
Era così da quando era venuto a prendere lei e le sue amiche. Aveva sopportato anche la musica a palla che Lucrezia aveva insistito per mettere in auto per “prepararsi al concerto”, le battute di Lucrezia, tutto, senza protestare, senza brontolare, anzi, con un’aria serena e tranquilla sul volto.
 
Erano secoli che non lo vedeva così tranquillo, scherzoso, forse da quando stava ancora con Carmen.
 
Non potendo fare altro, lo segue, scambiandosi un paio di occhiate con le sue amiche, Lucrezia che si porta un dito alla tempia, come a dire “tuo padre è impazzito”.
 
Si ritrovano davanti ad un avamposto della security, con la scritta “accesso al backstage – solo autorizzati” e tre energumeni vestiti di nero, più grossi di un armadio a quattro ante.
 
“Renzo Ferrero più tre,” pronuncia con nonchalance, come se fosse la cosa più normale del mondo, e Livietta osserva incredula mentre uno degli energumeni – il più grosso – controlla una lista di nomi e annuisce, passando a suo padre quattro pass da appendere al collo.
 
A bocca spalancata, si ritrovano, senza quasi sapere come, dietro al palco, Lucrezia che lancia un gridolino ad ultrasuoni alla vista, in lontananza, del cantante della sua band preferita.
 
“Ma… ma come hai fatto?” gli domanda, incredula, dandosi un pizzicotto, convinta di essere finita dentro un sogno a dir poco bizzarro.
 
“Diciamo che quando si hanno i contatti giusti…” replica con tono misterioso ma soddisfatto, facendole l’occhiolino.
 
L’occhiolino? – pensa, sempre più sbalordita, dato che erano secoli che suo padre non era così giocoso con lei, così spensierato e leggero, e non quella specie di palla al piede che era diventato negli ultimi tempi, al cui confronto sua nonna sembrava una ventenne.
 
“I contatti giusti? Nell’ambiente dei concerti rock? Chi sei tu e cosa hai fatto a mio padre?” gli chiede, per la seconda volta in poche ore, ma gli sembra davvero surreale.
 
“Guarda che il tuo vecchio non è vecchio quanto pensi. Ho ancora i miei assi nella manica,” ribatte – ed eccolo di nuovo l’occhiolino – per poi aggiungere, indicando Lucrezia che sembra non stare più nella pelle, “che ne dici adesso di andare a chiedere gli autografi alla band, prima che la tua amica si surriscaldi ed esploda qui?”
 
Scuotendo il capo, si avvicinano al cantante, affiancato da due ragazzi dello staff della band.
 
“Do you need something, gorgeous?” chiede, con accento americano, squadrando Lucrezia che gli si para davanti.
 
“I – I”, balbetta, emozionata e rossa dalla punta dei capelli alle dita dei piedi, come Livietta non l’ha mai vista.
 
“Well, we…” prova a dire Livietta, ma quando il cantante punta su di lei quegli occhi azzurro ghiaccio, che lo rendono quasi simile ad un lupo, si blocca, dimenticando le nozioni di inglese imparate a scuola.
 
“The girls would like to have an autograph,” si inserisce Renzo all’improvviso, di nuovo con nonchalance, sfoderando invece un accento british quasi invidiabile, frutto probabilmente di tutti i viaggi di lavoro e dei recenti soggiorni a Londra.
 
“Sure… are these all your daughters?” gli chiede il cantante con un sorriso, facendo un cenno ad uno dei due ragazzi accanto a lui, che gli consegna alcune cartoline prestampate della band.
 
“No, you see…”
 
“Wow, you da man!” ribatte il cantante, ridendo e dandogli una pacca sul braccio, mentre Renzo arrossisce e prova una voglia matta di strozzarlo per permettersi di guardare tre sedicenni in quel modo – tra cui sua figlia – e per poter anche solo pensare che lui sia una specie di vecchio satiro bavoso che se la intende con tutte e tre.
 
She is my daughter. Those are her friends,” chiarisce, con un tono ed uno sguardo che portano mister Capellone Con Gli Occhi Azzurri a deglutire e smettere bruscamente di ridere.
 
“Sorry, man. No hard feelings, ok? You have a beautiful daughter: keep her close! It is full of bad boys here,” consiglia, facendo loro l’occhiolino, mascherando l’imbarazzo con l’ironia, mentre Renzo pensa che, dipendesse da lui, non perderebbe mai d’occhio Livietta, nemmeno per un istante, e di sicuro non la porterebbe in un posto come questo.
 
Peccato che, così facendo, le sue speranze di recuperare un rapporto con lei sarebbero pari a zero.
 
“My daughter can take care of herself: she is taking self-defense classes and is very good at them, from what I hear. She threw her instructor to the ground the other day, and I would say he is twice your size,” ribatte con nonchalance, sull’istinto del momento, vedendolo deglutire di nuovo, prima di scoppiare a ridere nervosamente e firmare l’autografo per Livietta, dopo essersi fatto fare lo spelling del nome.
 
“Non posso credere che gliel’hai detto davvero,” sussurra Livietta, incredula ed orgogliosa al sentire quelle parole da suo padre: mia figlia se la sa cavare da sola. Mentre la dipingeva come una specie di Hulk in gonnella, oltretutto.
 
Lo sa che l’ha fatto solo per destabilizzare il cantante, dopo quelle battute su lei e sulle sue amiche ma… è tantissimo che non sentiva suo padre parlare di lei con orgoglio. Ed è tantissimo che non lo vedeva usare il suo umorismo, il suo sarcasmo, in questo modo e non per continuare soltanto ad infilare una lamentela dietro l’altra.
 
“Here you are,” proclama il cantante, porgendole l’autografo con aria quasi cauta, che la fa sorridere.
 
Sotto la foto la scritta – To Livia, who kicks ass – please spare mine ;) xoxo – ed una specie di scarabocchio per firma.
 
“Grazie,” sussurra a suo padre, scambiando con lui uno sguardo complice, mentre le sue amiche sono distratte dai loro autografi.
 
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“Grazie papà: mi sono divertita tantissimo!”
 
Renzo sente il cuore esplodergli nel petto ed un senso di incredulità e di sollievo quando si ritrova stretto nell’abbraccio della figlia.
 
Un abbraccio molto diverso da quello del giorno prima: quello era pieno di disperazione, di dolore, ora invece sente affetto, amore, gratitudine, pace.
 
“Ehi, figurati… non… non ho fatto niente di che… mi è andata bene che avevo le conoscenze giuste,” minimizza, orgoglioso ed imbarazzato, sentendosi assurdamente felice, sentendo che il mondo sta cominciando finalmente a girare per il verso giusto e, allo stesso tempo, temendo di svegliarsi e che sia tutto solo un sogno.
 
“Non per… per i pass, per il backstage, ma per tutto il resto, per come ti sei comportato. Sembrava quasi che… che ti divertissi,” risponde Livietta, ancora meravigliata dall’atteggiamento che il padre aveva tenuto per tutta la sera.
 
Non si era lamentato una sola volta, non aveva mai nemmeno avuto un’aria scocciata o assente, era restato con loro ad ascoltare tutto il concerto di buon grado, tanto che alla fine era stata proprio lei stessa a dire che era ora di andare. E quando Lucrezia aveva proposto di fermarsi a prendere un bombolone caldo, prima di tornare a casa – evidentemente volendo rimandare il più possibile il momento dei saluti, visto che poi probabilmente non si sarebbero viste per un bel po’ – non aveva sbuffato come al suo solito, ma anzi se ne era mangiato uno anche lui, e per ora non era ancora corso a buttarsi sul boccione di bicarbonato.
 
“Perché quando ci sei tu mi diverto, Livietta. Te l’ho detto: a me basta che stiamo insieme,” risponde con un sorriso soddisfatto, dovendo anche ammettere, tra sé e sé, che in fondo la musica non era poi così male, potendola ascoltare senza essere stretti in mezzo ad una fiumana di gente od in mezzo ad un locale buio e fumoso. E, soprattutto, senza poliziotti-super-più ed ex mogli tra i piedi, avvinghiati come polipi l’uno all’altra.
 
“Questa è la tua stanza…” annuncia, aprendo la porta e mostrandole il divano letto a due posti, già aperto e rifatto di fresco. Erano secoli che desiderava che lei passasse almeno una notte qui e finalmente il momento tanto atteso è arrivato, “lo so che non è molto grande, ma questo residence è una soluzione temporanea e poi-“
 
“Non ti preoccupare: la stanza va benissimo, però…”
 
“Però?” le chiede, in apprensione, temendo di aver sbagliato qualcosa.
 
“Perché non dormiamo insieme, come ai vecchi tempi?” gli propone, lasciandolo a dir poco di stucco.
 
“Su- sul serio ti va?” balbetta, visto che sono anni che non succede, da quando stava ancora con Carmen a Roma, una volta che Livietta era andata a trovarlo e Carmen era dovuta tornare a Barcellona per un paio di giorni.
 
“A Londra hai detto che dovremo dividere una stanza, no? Quindi meglio farci l’abitudine…” ironizza e, quando Renzo realizza del tutto quello che ha appena detto, sente gli occhi pungergli dall’emozione.
 
“Vuoi dirmi che… che verrai a Londra con me?” chiede conferma, cercando di contenere la commozione.
 
“Se ti comporti sempre come stasera… anzi, diciamo almeno come una via di mezzo tra stasera e il tuo solito, sì,” conferma, ritrovandosi stretta in un abbraccio e sollevata in aria.
 
“Papà… la tua schiena!” esclama, non potendo evitare di ridere.
 
“Sai che mi frega della schiena?” proclama di rimando, sentendosi forte, invincibile e allo stesso tempo incredibilmente leggero, facendola ruotare una volta, prima di posarla nuovamente a terra ed esclamare un “ahi” quando si rimette in piedi.
 
“Ecco, lo sapevo!” sospira Livietta, vedendo il modo in cui si tiene la schiena e il modo in cui è mezzo curvato in avanti, chinandosi verso di lui e domandandogli, preoccupata, “ti sei fatto male?”
 
Per tutta risposta, riceve un pizzicotto con due dita sul naso e suo padre si rimette in piedi e si avvia, come se niente fosse, verso la sua stanza da letto.
 
“Papà!” esclama, divertita ed esasperata, afferrando il cuscino ed inseguendolo, decisa a vendicarsi.
 
Sta per colpirlo con una cuscinata alle spalle, quando sente un telefono squillare e vede suo padre estrarre il cellulare dalla tasca.
 
“Chi è che ti manda messaggi a quest’ora?” gli domanda, sorpresa e, deve ammetterlo, leggermente infastidita.
 
Suo padre quasi fa un salto e si gira verso di lei, probabilmente non essendosi accorto che è alle sue spalle.
 
“È… è Carmen… è a New York e ogni tanto si dimentica del fuso orario,” risponde, inventandosi la prima scusa che gli viene in mente, ed affrettandosi a chiudere il messaggio di Barbara, un semplice – com’è andato il concerto? Baci – seguito però da una sfilza di disegnini di labbra rosse da vamp corrugate in un bacio. Anche perché la foto del suo profilo – lei di tre quarti con un sorriso da gatta – è assolutamente inconfondibile e sa che Livietta la riconoscerebbe sicuramente.
 
E non è pronto per dire a Livietta di Barbara, non ora, soprattutto dopo quello che aveva detto il giorno di prima su di lei. Sa che non approverebbe mai.
 
“Carmen? Non è che – non è che avete di nuovo una relazione?” gli chiede, sorpresa, per via dell’orario e del buonumore improvviso – e forse un po’ sospetto – di suo padre, oltre che per il modo in cui balbetta e il fatto che non le ha mostrato il messaggio. Magari Carmen non è affatto a New York anche se, nella stanza da letto, non c’è alcuna traccia del passaggio di una donna.
 
“No, no, io e Carmen non abbiamo una relazione. Lei è felice a New York con il suo Jack,” ribadisce, deciso, e in fondo non sta dicendo una bugia.
 
Livietta annuisce, soddisfatta dalla risposta, sentendo che è sincero, avviandosi quasi automaticamente verso il lato destro del letto, dato che sa che suo padre occupa sempre il sinistro.
 
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“Vedo che la spalla va meglio, e non solo la spalla: oggi mi sembri di buonumore e piena di energie! E molto concentrata, visto il numero di volte che mi hai messo al tappeto!”
 
Sorride, imbarazzata e compiaciuta, mentre lui si sta, per l’appunto, rialzando dopo che lei ha eseguito correttamente il quarto esercizio di fila, buttandolo a terra, come previsto.
 
“Sì… devo dire che la spalla va meglio, grazie a te, e… il weekend è andato bene, quindi sono di buonumore,” conferma con un altro sorriso. Deve ammettere che si è divertita con suo padre sia ieri sera che stamattina.
 
Avevano fatto il bagno nella piscina del residence prima che la riportasse a casa nel primo pomeriggio, giusto in tempo per fare un rapido resoconto alla madre e annunciarle che sarebbe andata a Londra con il padre, e poi uscire di nuovo con la scusa di andare a fare una corsa e un po’ di allenamento al percorso fitness del parco.
 
Sua madre sembrava aver preso bene la notizia del viaggio in Inghilterra, forse anche perché aveva gli occhi che brillavano in un modo talmente intenso da essere quasi abbaglianti ed un mezzo sorriso ebete perennemente sul volto, che le facevano capire che il weekend con Gaetano doveva esserle andato molto bene. Come se non fossero bastate, come conferma dell’evidenza, il mazzo gigante di rose rosse che strabordava dal vaso a centrotavola o l’aroma delle candele profumate che aveva ritrovato in bagno, quasi del tutto consumate, e che impregnava ancora tutto l’appartamento, o, soprattutto, lo spazzolino in più ed il rasoio che aveva notato vicino al lavello nel bagno della madre, quando ci era andata per riempire la lavatrice con i panni sporchi degli ultimi due giorni.
 
Non aveva ancora tirato fuori l’argomento con sua madre, non ce n’era stato il tempo, ma l’idea che Gaetano – e l’impiastro – possano venire a vivere stabilmente con loro non è spiacevole, anzi, anche se teme la reazione di suo padre, proprio ora che le cose sembrano cominciare ad aggiustarsi.
 
“Fammi indovinare… c’entra un ragazzo?” le chiede con nonchalance, afferrando l’asciugamano e lanciandoglielo, per poi prenderne uno anche lui, segnalando un time-out.
 
“C’entra un uomo,” risponde Livietta con un mezzo sorriso, vedendolo bloccarsi, chiaramente sorpreso, una strana espressione sul volto che non riesce a definire, prima di chiarirgli, ampliando il sorriso, “mio padre.”
 
“Ah!” esclama Lorenzo, sembrando stranamente… sollevato?
 
“L’ho incontrato tuo padre, l’altra sera al pub…” esordisce, esitante, come se non sapesse bene cosa dire, “è un tipo molto…”
 
“Molto?” lo incita, immaginando e temendo come abbia potuto comportarsi suo padre con Lorenzo, vista la pessima opinione che sembrava avere di lui, per via di quello che era successo con quella sciroccata della sua ex.
 
“Diciamo… un po’ severo…? Senza offesa, eh, ma mi ha squadrato come se fossi un serial killer. Potremmo assumerlo in polizia per intimorire i sospettati,” ironizza, facendole l’occhiolino per sdrammatizzare, e a Livietta, di nuovo, sembra mancare un battito.
 
“Sì… lo so è che… l’altra sera non l’hai preso in un bel momento. I miei si sono separati da poco e… credo che non fosse proprio felice di uscire con mia madre e con Gaetano. E poi… beh, diciamo che stava parlando con… con la tua ragazza e… lei gli aveva detto che ti stava aspettando da ore, quindi…” chiarisce Livietta, vincendo il senso di disagio, guardandolo negli occhi e prendendo fiato, per trovare il coraggio di aggiungere, “anzi, forse dovrei dire… ex ragazza? Quindi non ti chiedo come è andato il tuo di weekend.”
 
“Come…?” mormora, guardandola meravigliato, colto alla sprovvista.
 
“Come faccio a saperlo? Ce la siamo ritrovata, ubriaca persa, a fine serata. Mio padre l’ha dovuta accompagnare, anzi, sarebbe meglio dire trascinare a casa. E lei gli ha detto di essere stata mollata dal suo ragazzo… per quanto potesse parlare, tra i fumi dell’alcol,” spiega, trafiggendolo con un’occhiata eloquente, vedendolo impallidire per un secondo e poi diventare rosso.
 
“Pen- penserai che sono uno stronzo, vero?” le chiede con un tono che le suona quasi preoccupato, apprensivo, come se una sua risposta affermativa gli dispiacerebbe davvero.
 
“Diciamo che, vista la tipa in questione, ti potrei dare qualche attenuante, forse. Ma te la sei scelta tu, quindi…” ribatte, non potendosi trattenere, osservandolo deglutire e fare una strana espressione, rendendosi conto di aver forse esagerato e tentando di correggere il tiro aggiungendo, “scusa, ora penserai che sono io una stronza, ma-“
 
“No, sei sincera e… in realtà è proprio questo che ho cercato di fare sabato: essere sincero. Ma sono stato anche un po’ stronzo, io. Non pensavo che… che si sarebbe ridotta in quel modo però, non l’ho mai vista bere così tanto… le ho anche detto che l’avrei riaccompagnata a casa ma non ha voluto e-“
 
“Beh, su quello la capisco: dopo essere stata mollata… che ti aspettavi?” gli chiede con un sopracciglio alzato: uomini, “avresti anche potuto aspettare, riportarla a casa e poi mollarla, no? Soprattutto dato che ti aveva aspettato per tutto quel tempo, anche se intrattenendosi con mio padre.”
 
“Sì, hai ragione…” ammette con un mezzo sorriso amaro, “la verità è che… sono stato molto tentato di annullare la serata e darle buca: non avevo proprio voglia di vederla, ma quando sono arrivato a casa dopo averti riaccompagnata era troppo tardi per farlo e quindi alla fine sono uscito lo stesso. E non lo so cosa mi è preso… non so se puoi capirmi, ma… forse mi sono reso conto che alla soglia dei trent’anni non posso… che non posso e non voglio più perdere tempo a fare cose che non mi interessano con persone che non mi interessano davvero.”
 
“Beh, io non ho trent’anni, anzi, non ne ho nemmeno venti ma… in effetti non capisco perché uno dovrebbe passare il suo tempo libero a fare cose che non vuole fare? A parte magari agli eventi di famiglia, che quelli toccano sempre, purtroppo o per fortuna,” ironizza, strappandogli un sorriso.
 
“E… come stava Barbara? Cioè… è arrivata a casa sana e salva, immagino?” le chiede, cambiando argomento.
 
“Sì… sana e salva. Non sarà stata proprio bene, immagino, sia per la sbronza che per il resto…”
 
“Meno male che c’era tuo padre! Certo che, se già mi guardava come se fossi un pluriomicida, non oso immaginare che bella opinione avrà di me adesso…” sospira, massaggiandosi gli occhi.
 
“Tanto con mio padre sarebbe stata comunque una causa persa: sia perché non ha molto in simpatia i poliziotti, soprattutto quelli muscolosi e con gli occhi azzurri,” scherza, facendolo sorridere di nuovo, “e poi... non ha mai avuto molto in simpatia i ragazzi che frequento, in generale-“
 
“Ah, quindi noi ci frequentiamo?” le domanda, alzando un sopracciglio e mordendosi leggermente il labbro, guardandola con un’espressione da schiaffi.
 
“N-no, cioè,” balbetta, sentendo il viso avvampare e il sangue rimbombarle nelle orecchie. Prende un respiro e prova ad abbozzare, “cioè… volevo dire… che se sapesse che ci vediamo per… per queste lezioni extra… chissà che film si farebbe…”
 
“Del tipo?” incalza, sembrando sempre più divertito.
 
“Ma no è che… è che lui pensa che ogni individuo di sesso maschile che mi si avvicina a meno di un metro di distanza sia una specie di potenziale maniaco o comunque che ci proverà con me. Lo so che è assurdo ma… diciamo che è molto protettivo e… fatica ad accettare che non sono più una bambina anche se… anche se sta migliorando ultimamente.”
 
“Sì, l’ho notato, visto che ti chiama Livietta,” risponde e Livietta, se possibile, sente il viso diventare ancora più bollente, pervasa dall’improvviso desiderio di sprofondare nel pavimento e poi di uccidere suo padre.
 
“Sì… è che… quando ero piccola i miei hanno iniziato a chiamarmi così e-“
 
“Lo trovo un nomignolo molto carino e molto dolce, anche se non molto adatto ad una capace di mettermi al tappeto quattro volte in un quarto d’ora,” ribatte con un sorriso, facendole di nuovo l’occhiolino e Livietta ringrazia paradossalmente il cielo di essere già rossa e di non poterlo quindi diventare più di così, “anzi, a proposito, sarà meglio che adesso riprendiamo, perché altrimenti rischiamo di rimanere qui a parlare fino alla chiusura della palestra.”
 
“S-sì,” balbetta, tirando un sospiro di sollievo quando lo vede rialzarsi e avviarsi di nuovo verso il centro del materasso: salvata in corner.
 
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“Basta, mi arrendo: mi hai distrutto! Ma quante energie hai oggi?”
 
Sorride, afferrando al volo l’asciugamano, asciugandosi rapidamente ed infilandosi la t-shirt sopra alla canotta usata in allenamento. Prende poi lo zaino dalla panca, avviandosi con lui verso l’uscita della palestra. Guarda l’ora: è già tardi, sono rimasti quasi un’ora e mezza ad allenarsi. Però avevano recuperato praticamente tutto il programma da lei perso e questo, se da un lato la rende orgogliosa e soddisfatta di se stessa, dall’altro le provoca anche un senso di malinconia.
 
Perché sa che questa è la loro ultima lezione privata e che ha ancora due lezioni del corso e poi… e poi molto probabilmente non lo vedrà mai più.
 
“Come non detto… come mai adesso sembri giù di corda? Problemi?” le chiede, avendo sicuramente notato la sua espressione.
 
“No, comincio solo a sentire un po’ di stanchezza: se tu sei distrutto figurati io,” mente, sorridendogli in un modo che spera sia convincente, “ci siamo allenati quasi il doppio del previsto.”
 
“Beh, ma ne è valsa la pena, no? Sei davvero molto portata, Livia! Hai mai pensato di riprendere seriamente a fare arti marziali? O di fare un corso di difesa più approfondito?” le chiede, sorridendole di rimando.
 
“No… non lo so… e poi… mi sa che sarà difficile trovare un altro istruttore bravo come te,” ammette, cercando di non arrossire di nuovo come una stupida.
 
“Non credo, sai: ci sono un sacco di istruttori più bravi di me, anche solo in questa palestra. Invece io sono convinto che difficilmente troverò un’altra allieva al tuo livello: sei la migliore in assoluto che mi sia capitata al corso della polizia, finora,” proclama, e questa volta Livietta non può evitare di diventare color pomodoro.
 
“Ah, beh, grazie: l’età media è dai cinquanta in su. Sai te che sforzo!” minimizza Livietta, guadagnandosi una mezza risata.
 
“No, non credere: mi sono capitate anche allieve giovani, sai?” la rassicura, prima di aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “anzi… se ti va potremmo vederci ancora un’ultima volta qui, magari mercoledì. Così ti presento ad uno dei migliori istruttori qui dentro e ti facciamo fare un test di livello e vedrai che ho ragione. Poi deciderai tu se vuoi proseguire o meno, ovviamente. Che ne dici?”
 
“Magari!” esclama lei, sorpresa, sentendo quella cappa opprimente che l’aveva circondata negli ultimi minuti sparire improvvisamente. Perché avrà ancora un’ultima occasione per stare con lui, anche se sa benissimo che purtroppo due ore non saranno mai abbastanza, ma sono sempre meglio di niente.
 
E poi dovrà darsi da fare per toglierselo il più rapidamente possibile dalla testa, ma fino ad allora può ancora sognare e-
 
“Terra chiama Livia: mi ascolti?” la raggiunge la sua voce, ridestandola bruscamente dai suoi pensieri.
 
“Scusa, scusa, ero… ero sovrappensiero… per me mercoledì va bene, ok,” bofonchia, mortificata.
 
“Ok, ma ti stavo chiedendo come sei venuta qui. Con i mezzi?” precisa con un’espressione divertita.
 
“Sì, sì, esatto… anzi, devo scappare o mi tocca aspettare mezz’ora in più. Allora a domani e-“
 
“E se invece ti accompagnassi io?” le domanda, sempre con quel sorriso e quell’espressione così… così gentile, così aperta, che le fa andare il cuore a mille.
 
“No, dai, non serve, cioè, casa mia non è proprio dietro l’angolo: sta quasi in centro e-“
 
“Appunto! Almeno farai prima…”
 
“Con il traffico di quest’ora? Non credo e non voglio costringerti a fare code e poi-“
 
“Niente code per chi usa questa,” controbatte, indicandole una bellissima moto, talmente lucida e pulita da sembrare nuova di zecca, “allora? Guarda che non accetto un no come risposta, anche perché mi piacerebbe che tu avessi delle moto – e di chi le guida – un ricordo un po’ meno spiacevole.”
 
Livietta si porta una mano alle labbra, incredula, sentendo come una morsa al cuore e allo stomaco, al pensiero che… che se ne sia ricordato. Che si sia ricordato di quello che gli aveva detto e che… e che voglia fare questo per lei, insieme a lei.
 
“Grazie…” sussurra, accettando il casco che lui le porge e che ha appena estratto dallo scomparto sotto il sedile della moto, senza provare nemmeno a protestare.
 
“Ti conviene metterti la giacca della tuta: in moto si sente l’aria, anche in città,” le consiglia, prima di infilarsi a sua volta un giubbetto in pelle ed il casco, e inforcare la moto, “dai, che aspetti? Salta su.”
 
Livietta, che ha appena finito di chiudere il casco, annuisce e si siede dietro di lui, facendo di tutto per non toccarlo, tastando sotto il sedile e guardandosi indietro per cercare una maniglia posteriore, non trovandola.
 
“Guarda che ti devi reggere a me, se non vuoi fare un volo: non ho mai installato le maniglie dietro perché le trovo troppo pericolose in caso di frenata brusca o accelerata improvvisa,” chiarisce, voltandosi. Riesce ad intravedere solo i suoi occhi azzurri sotto il casco, ma è più che sufficiente per vederlo fare un altro occhiolino, “e anche se tuo padre non ha una grande opinione di me, non sono davvero un maniaco o un serial killer.”
 
“S- scusa,” balbetta, prendendo coraggio, alzando le braccia ed aggrappandosi a lui per la vita, prima di ripensarci. Impresa tutt’altro che facile, vista la sua mole: riesce a malapena a toccare le punte delle sue dita e si ritrova completamente appoggiata a lui. Abbassa il capo, per nascondere il volto paonazzo e sente il motore ruggire sotto di lei, prima che la moto si avvii.
 
“Tutto bene?” lo sente domandarle dopo un po’, le parole che gli rimbombano nella cassa toracica, insieme alle vibrazioni della moto. Livietta non saprebbe onestamente che rispondere, anche se potesse essere sincera con lui: non sa se si trovi in paradiso o all’inferno.
 
“Sì, sì,” mente infine, continuando a tenere il capo basso.
 
“Sicura? Non stare sempre a capo chino… lo so che ti devi abituare alla velocità ma… cerca di guardati un po’ in giro: è questo il bello della moto, è… è come volare. Lo so che non possiamo andare molto veloci e che ci sono parecchie manovre da fare e… la campagna è meglio della città, ma stasera non c’è tempo di fare deviazioni o tua madre ti darà per dispersa,” grida quando si fermano ad un semaforo e Livietta solleva il capo, sorpresa, incontrando i suoi occhi azzurri, dato che è voltato verso di lei.
 
Stasera – quella parola le rimbomba nelle orecchie e nella mente. Lo sa che è stupido e che sicuramente lui non intendeva nient’altro ma… ma a lei suona quasi come un invito, come a dire che ci sarà un’altra occasione, un’altra sera.
 
Piantala Livietta, sei patetica! – si ammonisce, rendendosi conto da sola che non le fa bene illudersi così, ingigantire ogni parola, leggerci significati che non esistono, se non nei suoi sogni.
 
La moto riparte e questa volta cerca di guardarsi intorno, rimanendo aggrappata a lui, godendosi ogni minuto, ogni istante, sapendo che non ci sarà più un’altra opportunità di stargli così vicino, di toccarlo, di sentire il suo calore ed il suo profumo. E non le importa se anche questo è patetico: per il ritorno alla realtà ci sarà tempo, molto tempo, purtroppo.
 
E, molto più in fretta di quanto vorrebbe, riconosce l’incrocio del suo isolato e sa che è arrivata l’ora di scendere. Che non può arrivare sotto casa con lui in moto, di fronte a quel pettegolo del portiere oltretutto.
 
“Fermati, per favore, io scendo qui,” urla, dandogli una lieve pacca sullo stomaco che sembra fatto di acciaio, per quanto è tonico.
 
Dopo pochi secondi la moto rallenta e si ferma e lui si volta di nuovo verso di lei.
 
“Abito a pochi metri da qui ma… non è il caso che qualcuno ti veda,” chiarisce, cercando di smontare dalla moto, con gambe tremanti.
 
“Non so perché… ma ho l’impressione che tu non ti sia molto divertita. Tutto bene? Hai la nausea?” le chiede, togliendosi il casco e guardandola preoccupato. Livietta non sa come sia possibile ma le sembra ancora più bello con i capelli bagnati e tutti spettinati, mezzi incollati alla testa.
 
“No, no, tranquillo…” lo rassicura, togliendosi a sua volta il casco e restituendoglielo, “forse hai ragione tu: mi devo… mi devo un po’ abituare alla moto. Di solito vado al massimo in motorino e… è tutta un’altra cosa.”
 
“In questo caso… che ne dici se la prossima volta ci troviamo un po’ prima? Tipo verso le sedici… così, finito l’allenamento, ti porto a fare un giro serio, in un posto un po’ più bello e un po’ meno grigio e trafficato di questo. Ti prometto che ti riporto a casa in tempo per cena,” propone, guardandola con un’espressione indefinibile ma che le sembra in apprensione, affrettandosi a precisare, quando non la sente rispondere, “se non ti va, non c’è problema, io-“
 
“No, no, cioè sì, cioè, certo che mi va,” balbetta, il cuore che ormai pare volerle uscire dal petto, e adesso sì che le gira la testa, eccome se gira, “però… non vorrei disturbarti e-“
 
“Se non mi facesse piacere, non te l’avrei proposto,” ribatte lui, semplicemente, con un altro sorriso.
 
“Ah, giusto. Mi ero dimenticata che ormai hai trent’anni e non vuoi più perdere tempo a fare cose che non ti interessano,” replica, ironica, scimmiottandolo per cercare di smascherare l’imbarazzo.
 
Con persone che non mi interessano,” completa la frase, guardandola dritto negli occhi e Livietta, tra i battiti e il capogiro, teme per un secondo di svenire come una di quelle decerebrate che popolano i romanzi rosa.
 
“Va beh… allora… ci vediamo domani a lezione,” farfuglia, dopo un attimo di silenzio imbarazzato, decidendo di cambiare discorso perché… perché non sa come rispondere ad una frase del genere. Fa per voltarsi, ma la sua voce la richiama.
 
“Aspetta! Fammi uno squillo, così ho il tuo numero e ti avviso se il mio collega non fosse disponibile per le sedici di mercoledì e al limite rinviamo, ok?” suggerisce e Livietta ormai sente il mare in tempesta nelle orecchie, da quanto il cuore le martella nel petto.
 
“Sì, va bene, ti faccio uno squillo quando arrivo a casa. Però se non è mercoledì…  venerdì parto per Londra e starò via per due settimane, quindi…” chiarisce, sapendo benissimo che o sarà mercoledì o probabilmente non ci sarà un’altra occasione.
 
“A Londra? Beata te: potessi andarci io in vacanza per due settimane! Vai con le tue amiche?” le domanda con tono casual, come se stesse facendo semplicemente conversazione.
 
“No, ci vado con un uomo,” precisa, vedendolo di nuovo fare quella faccia strana che le sembra tra lo sconcertato e – il turbato? – anche se forse è solo una sua impressione, la proiezione dei suoi desideri.
 
“E tuo padre è d’accordo? O non lo sa?” le chiede dopo un attimo di silenzio, il tono che le fa dubitare che forse suo padre non è l’unico che avrebbe qualcosa da obiettare.
 
“Certo che è d’accordo, visto che l’uomo è lui,” chiarisce e Lorenzo cambia nuovamente espressione, e questa volta Livietta è quasi sicura che quello che legge nei suoi occhi sia sollievo.
 
“Quindi niente maniaci e niente serial killer?” ironizza con un mezzo sorriso.
 
“E niente poliziotti,” precisa, facendogli l’occhiolino, prima di voltarsi ed avviarsi con studiata indifferenza verso casa.
 
In fondo, se lui può dispensare occhiolini e battutine come se niente fosse, perché non posso farlo io? E poi almeno non passo tutto il tempo a balbettare ed arrossire come una stupida! – si giustifica Livietta tra sé e sé, anche se una parte di lei non sa nemmeno da dove le sia venuto l’impulso e l’audacia di fare una cosa del genere.
 
Fatti cinque passi, si volta indietro, non sentendo rumori, e lo vede ancora lì, fermo, imbambolato ad osservarla, tra l’incredulo e l’inebetito. Quando incrocia il suo sguardo, si affretta a rimettere il casco e a cercare di riavviare la moto.
 
Si gira e riprende a camminare verso casa, un sorriso soddisfatto sul volto.
 
Arriva al cancello, saluta quasi automaticamente il portiere che è sempre di vedetta, quando una voce la blocca.
 
“Livietta, aspetta!”
 
“Gaetano!” esclama, spaventata, non dall’improvvisata, ma da quello che potrebbe comportare.
 
Lo osserva compiere i pochi passi che li dividono, vestito di tutto punto: sicuramente è appena arrivato dalla questura.
 
“Tutto bene?” le chiede, con tono lievemente preoccupato.
 
“Eh?”
 
“Hai una faccia… sembra che hai visto un fantasma…” spiega e Livietta, internamente, tira un sospiro di sollievo: non ha visto niente, per fortuna.
 
“Sì, sì, sono solo un po’ stanca: sono andata ad allenarmi al parco. E mi hai preso di sorpresa.”
 
“Eh, lo vedo: sei tutta scarmigliata e sudata e sei rossa come un peperone, sembri uscita dalla centrifuga! Cioè mi fa piacere vederti così appassionata, ma non è che stai esagerando di nuovo con gli allenamenti, vero?” le chiede e Livietta ringrazia il cielo che gli effetti del giro in moto con casco più l’imbarazzo totale siano facilmente confondibili con quelli dell’esercizio fisico intenso.
 
“No, no, tranquillo… è solo che… ho le ultime due lezioni e poi sarò a Londra e quindi… voglio rimettermi in pari e tenermi in forma,” chiarisce e, in fondo, sta dicendo la verità.
 
“Allora hai deciso di partire con tuo padre?” le chiede, incamminandosi con lei verso l’ascensore, “ne sono contento e immagino quanto sarà contento lui.”
 
“Sì, mio padre non sta nella pelle. E mi sa anche tu e mamma, perché avrete la casa tutta per voi per due settimane!” lo punzecchia, affrettandosi ad aggiungere, quando lo vede impallidire e poi arrossire e cercare di giustificarsi, “e dai, guarda che scherzo! Dopo tutto quello che hai sopportato nelle scorse settimane, lo so che non ti dispiace avermi tra i piedi.”
 
“Anzi, lo sai che mi piace molto averti tra i piedi, vero?” le chiede, con ancora una leggera apprensione sul volto.
 
“E tu lo sai che la cosa è reciproca, vero?” gli domanda di rimando, vedendolo sorridere ed annuire, “per fortuna, perché mi sa che ti avrò tra i piedi ancora più spesso in futuro…”
 
“Eh?” le domanda, sembrando di nuovo confuso.
 
“Ho visto lo spazzolino e il rasoio nel bagno di mamma… quindi, a meno che a mia madre stia crescendo la barba…”
 
“Certo che non ti sfugge niente, signorina… chissà da chi hai preso…” commenta, scuotendo il capo con un sorriso, “comunque, se questo è un modo indiretto per chiedermi se io e tua madre vogliamo convivere stabilmente… non abbiamo deciso niente e non credo sarà nell’immediato. Abbiamo un po’ di cose da sistemare prima. Semplicemente ha voluto risparmiarmi la corsa a casa e la processione in cortile quelle volte che mi fermo a dormire qui.”
 
“Immagino che tra le cose da sistemare ci siano mio padre e la tua ex moglie che non farebbero i salti di gioia,” sospira Livietta, bloccandolo quando scendono dall’ascensore, prima di arrivare alla porta, “se invece c’entriamo anche io e Tommy… non posso parlare per l’impiastro, anche se credo che sarebbe felicissimo, ma per me non c’è alcun problema, anzi, a volte mi chiedo perché fate questa processione avanti e indietro tutte le sere. E poi siamo stati bene tutti insieme, quando c’è stato l’incendio a casa tua, no?”
 
“Mi stai dicendo che avrei la tua benedizione?” le domanda, con un tono improvvisamente rauco, che tradisce l’emozione.
 
“Sì, a patto che tu continui a rendere felice mia madre e l’impiastro,” risponde, serissima, avvertendo a sua volta uno strano nodo in gola.
 
“Promesso,” garantisce, la mano sul cuore in un giuramento solenne ed un sorriso sul volto.
 
Si guardano per un attimo e, senza quasi rendersene conto, si trovano stretti in un abbraccio commosso, come a suggellare un patto tra loro.
 
“Livietta? Gaetano?” sentono la voce di Camilla chiamarli, sorpresa è dire poco.
 
“Mamma…”
 
“Camilla…” mormora, sciogliendo l’abbraccio.
 
“Potti si è messo a grattare la porta e fare un casino terribile, pensavo avesse bisogno di… fare un bisogno e invece evidentemente vi ha sentito arrivare. Che succede?” chiede, meravigliata dalla scena che si è trovata davanti, anche se non è la prima volta che li vede o li sorprende abbracciati.
 
“Niente… io vado a lavarmi e cambiarmi. E tu, mi raccomando!” pronuncia Livietta, rivolta a Gaetano, prima di superare la madre e sparire in camera sua.
 
“Allora?” gli domanda, sinceramente incuriosita e anche un po’ preoccupata, “è successo qualcosa? Livietta ha qualche problema?”
 
“No, no, anzi… se hai due minuti ti spiego tutto…” la rassicura, anche se una parte di lui non vorrebbe, perché teme che Camilla possa sentirsi in un certo senso pressata ad accelerare i tempi di una possibile convivenza. E lui non vuole forzarla o metterle fretta.
 
“Considerato quanto Livietta ci impiega di solito in bagno… abbiamo tutto il tempo che vuoi,” scherza, una punta di apprensione ancora nella voce, prima di richiudere la porta dietro di lui ed avviarsi verso la cucina.
 
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“Allora è andata bene? Tua figlia si è divertita?”
 
“Moltissimo! Ed è andata benissimo. È un periodo un po’ complicato con mia figlia e credo che… credo di aver guadagnato molti punti, ed è anche merito tuo. Quindi grazie mille,” la rassicura con un sorriso.
 
Sono in un ristorante giapponese a mangiare sushi e sashimi e bere un buon bianco frizzante.
 
“Figurati. È che… siccome hai aspettato fino ad oggi pomeriggio per rispondere al mio messaggio… mi è venuto il dubbio che magari c’erano stati dei problemi…” chiarisce Barbara, con un tono ed uno sguardo che sottintendono un interrogativo.
 
“Hai ragione, scusami, è che… ero con mia figlia e… mi ha subito chiesto chi mi scriveva a quell’ora e ho dovuto inventare una scusa. Non voglio che fraintendi,” si affretta a specificare, leggendo sul volto di lei un’espressione che tradisce delusione, “però… per un po’ preferirei che non sapesse di… di noi due.”
 
“Ti vergogni di me?” gli chiede, guardandolo dritto negli occhi, “perché tua figlia mi ha vista ubriaca e-“
 
“No, no, non è questo,” nega, anche se, deve ammettere a se stesso, Barbara non ha del tutto torto. Non sul fatto che si vergogni di lei, ma sul fatto che Renzo sa benissimo che Livietta ha dei grossi pregiudizi su di lei e quindi in parte gli tocca mentire quando afferma, “non è per te, non c’entri tu. È che… è che io e sua madre ci siamo lasciati da poco, è un periodo complicato con Livietta e con Camilla e… insomma, vorrei sistemare un po’ le cose prima di… di pensare di fare presentazioni. E poi è da così poco che abbiamo una relazione e-“
 
“Quindi abbiamo una relazione?” domanda con un sorriso, apparendo decisamente sollevata e soddisfatta.
 
“Beh, sì, direi di sì… tu come la definiresti?” le chiede di rimando, ricevendo, per tutta risposta, un bacio dolce sulle labbra che è lui stesso a dover interrompere, anche se a malincuore: fare certe cose in pubblico l’ha sempre imbarazzato.
 
“E per questo weekend hai programmi con tua figlia o sei libero?” esordisce, dopo un attimo di silenzio, trascorso a mangiare sushi e lanciarsi occhiate, “perché io avrei in mente di-“
 
“Questo weekend non ci sono e nemmeno il prossimo e forse nemmeno quello dopo ancora,” ammette, notando immediatamente come Barbara si scurisca in volto, “vado a Londra con mia figlia per due settimane, partiamo venerdì. È stata durissima convincerla e… se ci sono riuscito è anche grazie alla tua idea del backstage.”
 
“Ah, una vacanza quindi? E… sarete solo voi due?” gli chiede con apparente nonchalance, anche se lo squadra in un modo strano, come per cogliere ogni possibile menzogna.
 
“No, in realtà è un viaggio di lavoro e… ne approfitto per fare anche un po’ di vacanza con lei. Saremo noi due e… e l’architetto che collabora con me,” precisa, esitando un attimo prima di dare una definizione a Carmen. Non sa bene perché abbia deciso di rimanere proprio sul neutro architetto, ma sente che non sarebbe una buona idea parlare a Barbara di Carmen in questo momento.
 
“Beato te… mi piacerebbe una vacanza a Londra. Ci ho vissuto per un periodo, sai? E ho ancora parecchi amici lì, ma è quasi un anno che non ci vado…” risponde con un tono neutro, non sembrando completamente delusa, ma neanche realmente entusiasta all’idea di non vederlo per due settimane. E questo da un lato gli fa ovviamente piacere, dall’altro però… non è così entusiasta all’idea di dover di nuovo dare giustificazioni a qualcuno sui suoi viaggi di lavoro.
 
“Beh, magari ci sarà un’altra occasione, no?” concede, rimanendo sul vago, perché l’idea che Barbara e Carmen si incontrino non lo fa proprio impazzire.
 
“Magari…” conferma lei con un sorriso più luminoso, stampandogli un altro bacio sulle labbra.
 
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“Benissimo dai! Un paio di esercizi e abbiamo finito. Ce la fai ancora per un quarto d’ora?”
 
“Certo,” conferma con un sorriso, asciugandosi la fronte con il dorso della mano.
 
Sono in palestra, l’amico di Lorenzo, un istruttore sulla cinquantina, dai capelli brizzolati, muscoloso ma non gonfio e robusto come il classico palestrato, prende appunti mentre loro eseguono gli esercizi.
 
“Questo è uno degli esercizi più complicati, anche per via della componente psicologica, quindi se ti senti a disagio in qualsiasi momento me lo devi dire, ok?” le chiede, guardandola dritto negli occhi.
 
“Cioè?”
 
“Cioè come liberarsi da un… da un tentativo di aggressione, quando sei già immobilizzata a terra,” chiarisce, sembrando lui stesso in difficoltà.
 
“Stiamo… stiamo parlando di un’aggressione… insomma… di uno che tenta di…”
 
“Si tratta anche di tecniche antistupro, sì, ma servono in caso di aggressione fisica in generale,”  si inserisce l’altro istruttore, con un tono decisamente più sicuro e professionale, “è per questo che, come dice Lorenzo, c’è una componente psicologica di cui tenere conto quando le si insegna: è una posizione in cui è probabile che l’allieva non si senta a proprio agio.”
 
“Capisco…” annuisce Livietta, sentendosi sì a disagio ma forse non per i motivi che pensano loro, “d’accordo, proviamo.”
 
Seguendo le istruzioni si mette a terra, supina, e dopo poco Lorenzo si piazza in ginocchio accanto a lei, immobilizzandole le braccia, spiegandole come liberarsi usando le gambe e i piedi per spingere via il busto dell’aggressore e farlo cadere a terra, lasciando anche l’apertura per un colpo alle parti basse e per darle il tempo di scappare.
 
Arriva poi il momento dell’esercizio più delicato: quello in cui l’aggressore si è già piazzato in mezzo alle gambe dell’aggredita.
 
Col cuore in gola, Livietta, supina, le gambe sollevate e piegate, allarga le ginocchia, vedendo e sentendo Lorenzo mettersi in posizione. Si scambiano un’occhiata e Livietta si sente avvampare, non tanto per il disagio – non ha certo paura di lui – ma perché averlo così vicino, in quel modo poi, le provoca tutta una serie di reazioni, simili a quelle che ha provato il giorno del massaggio e che la turbano profondamente, anche se non sono sensazioni spiacevoli.
 
“Tutto bene?” le domanda, preoccupato, aggiungendo, anche dopo che la vede annuire, “in qualsiasi momento basta un tuo cenno e ci fermiamo, ok? Non devi aver paura di dirmelo se ti senti a disagio, ok?”
 
Livietta annuisce di nuovo e gli sorride, cercando di rassicurarlo.
 
Quando lo sente afferrarle la gamba per mimare il movimento da eseguire e l’angolazione giusta, il cuore comincia a galopparle nel petto.
 
Situazione che non migliora di certo, anzi, quando Lorenzo la blocca di nuovo per le braccia, piegandosi su di lei. Livietta, cerca di stringere i denti e vincere il battiti a mille, di concentrarsi, nonostante il viso di lui sia così maledettamente vicino. Come le ha mostrato, piega verso l’esterno la gamba sinistra e con il piede cerca di spingergli il bacino verso destra per sbilanciarlo e farlo cadere prono alla sua sinistra.
 
Ma, forse per l’agitazione, finisce per spingere in avanti e, nel giro di un paio di secondi, si ritrova con il corpo di lui completamente spalmato sopra di lei, il collo di lui nell’incavo del suo, la lieve barba che le solletica la guancia sinistra: solo per pura fortuna non si erano dati una testata colossale.
 
“Ti… ti sei fatta male?” lo sente bofonchiare, allarmato, nel suo orecchio, mentre lo sente muoversi leggermente sopra di lei, probabilmente per cercare di sollevarsi. E ogni movimento sembra alimentare quella sensazione di fuoco, di combustione che la pervade fin nelle viscere.
 
“No, anzi, scusami, io-“ prova a dire, voltando istintivamente il viso verso il suo, bloccandosi bruscamente quando si ritrova con due occhi azzurri e, soprattutto, due labbra carnose a due centimetri dalle sue.
 
Occhi negli occhi, come paralizzati, si guardano per istanti che sembrano scorrere in slow-motion. All'improvviso, Livietta avverte come una corrente magnetica che la spinge verso di lui, a sollevare il viso e raggiungere, toccare quelle labbra che la ipnotizzano quasi quanto quegli occhi celesti, che sembrano fissarsi alternativamente nei suoi e sulla sua bocca.
 
Il cervello che non connette più, pronta a fare una pazzia, chiude gli occhi e-
 
“Ehm, ehm!”
 
Il suono li fa sobbalzare e rompe quella specie di trance ipnotica. Con una spinta, Lorenzo rotola alla sua sinistra, lasciandola libera di rialzarsi. Il cuore in gola, la tremarella nelle gambe, lancia un’occhiata all’altro istruttore che li guarda con un’aria tra il severo e l’imbarazzato.
 
“A meno che non sia una tecnica per far abbassare la guardia all’aggressore, direi che non ci siamo: devi respingere l’assalitore, non incoraggiarlo,” ironizza l’uomo, mentre Livietta sente tutto il sangue andarle alla testa, che le inizia a girare a tal punto da darle la nausea.
 
“Giuseppe!” lo ammonisce Lorenzo, bordeaux tanto quanto lei, lanciandogli un’occhiataccia.
 
“No, non fa niente… è che…” balbetta, non sapendo bene cosa dire.
 
“E dai, che la nostra Livia qui è una tipa tosta! Quindi non fare il marpione, che se la alleno per qualche mese, come minimo ti concia per le feste e ti spedisce a cantare con i soprani al Regio,” lo sfotte amichevolmente, prima di assumere un tono nuovamente professionale ed intimare, più serio, “dai forza, rimettetevi in posizione, che abbiamo quasi finito e alle sei ho un altro appuntamento.”
 
“Tutto ok? Sei sicura che vuoi continuare?” le domanda Lorenzo, sembrando quasi più in imbarazzo di lei.
 
“Sì, certo, tranquillo,” lo rassicura, anche se in realtà si sente tutto tranne che tranquilla.
 
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“Ti… ti va ancora il giro in moto o sei… o sei troppo stanca?”
 
La domanda la coglie di sorpresa: sono appena usciti dalla palestra e Livietta stava per aprire lo zaino ed estrarre il giubbino in pelle che si era portata dietro per l’occasione.
 
“Sì, cioè… non sono troppo stanca, se invece… insomma… se non va a te, non fa niente, io…” farfuglia, temendo che, dopo quello che è successo, Lorenzo si sia reso conto di piacerle e voglia quindi smarcarsi.
 
“No, no, cioè certo che mi va,” balbetta anche lui, rassicurandola e sembrando, di nuovo, imbarazzato anche più di lei, “è che… dopo quello che è successo e le battute di quel cretino di Giuseppe… non voglio che ti senti a disagio, ecco.”
 
“No, figurati, e poi… cioè, in fondo non è successo niente, sono… incidenti che capitano, no?” minimizza, non sa se per rassicurare lui o se stessa, sapendo che è l’unico modo per evitare di fare la figura della stupida ingenua, “e il tuo amico mi ha detto delle belle cose su… sulle mie capacità e su dove posso arrivare con l’autodifesa e le arti marziali. E poi… non è che un aggressore mi metterà a mio agio, quindi forse è meglio se imparo a non imbarazzarmi per… per così poco e a mantenere il sangue freddo.”
 
“Forse sì… non so perché ma ho la sensazione di avere appena creato un mostro,” scherza, sembrando stranamente sollevato e – deluso? – al tempo stesso.
 
“Quindi sarei un mostro?” gli chiede, incrociando le braccia e fingendosi offesa, raccogliendo il tentativo di stemperare la tensione con l’ironia.
 
“No, per niente, anzi, tutto il contrario. Soprattutto quando arrossisci,” ribatte, facendole l’occhiolino, e Livietta si ritrova in un secondo con le guance bollenti, “ecco, proprio come adesso.”
 
“Te possino! Ti diverti a prendermi in giro, eh?” sbotta, esasperata, maledicendosi per la sua debolezza.
 
“Guarda che sono serissimo,” ribadisce, fulminandola con un’altra occhiata che le provoca un brivido lungo la schiena ed un desiderio folle di levargli quel sorrisetto con un bacio.
 
Scuote il capo, come per scacciarlo e ritornare a pensare razionalmente, concentrandosi sull’aprire lo zaino e prendere il giubbetto in pelle.
 
Gli lancia un’occhiata di soppiatto e lo trova ancora intento ad osservarla. Dopo qualche istante però, Lorenzo si volta ed inizia ad estrarre i caschi dallo scomparto sotto il sedile. Sta per porgergliene uno quando una voce li arresta.
 
“Livietta?!”
 
Oh merda…!
 
“Gaetano!” esclama, il cuore in gola, voltandosi e trovandoselo a pochi metri, che li squadra in un modo tra l’incredulo, il preoccupato e l’arrabbiato, che non promette niente di buono.
 
“Do- dottor Berardi…” balbetta Lorenzo, l’aria di chi sta vedendo la morte in faccia.
 
“Che – che ci fai qui?” farfuglia Livietta, cercando di prendere tempo perché il suo cervello è in tilt.
 
“Che ci faccio io qui? Che ci fate voi qui, insieme?!” chiede, rivolgendosi soprattutto verso l’altro uomo ed il tono conferma l’occhiata: una specie di misto tra incredulità e rabbia trattenuta. Per un secondo le sembra di avere di fronte suo padre, una volta che l’aveva beccata a baciarsi con Ricky sotto casa a Roma.
 
“Noi – noi…”
 
“E comunque ero venuto qui per informarmi su un corso per te, avendoti vista così… appassionata. Ma vedo che qualcuno mi ha preceduto, contravvenendo il regolamento, oltretutto,” pronuncia, squadrando l’altro uomo da capo a piedi, avendo evidentemente notato l’abbigliamento sportivo di entrambi e l’aria di chi ha appena terminato un lungo allenamento.
 
“È colpa mia, Gaetano, lui non… non c’entra niente!” si affretta a precisare Livietta, mollando lo zaino e piazzandosi tra Gaetano e l’istruttore, “gli ho chiesto io di farmi delle lezioni di recupero… visto che ne avevamo saltate tante mentre eravamo a Roma e... e ti garantisco che non mi ha chiesto un euro.“
 
“E ci mancava pure altro! E comunque le lezioni di recupero potevi farle con me, anzi, ne abbiamo anche fatte,” ribatte Gaetano, con un’occhiata eloquente.

“Sì, ma, insomma… tu hai sempre paura di farmi male e…”
 
“E lui invece no?” domanda, rivolgendosi di nuovo solamente all’altro uomo, un tono ed uno sguardo che raggelerebbero chiunque. Livietta non l’ha mai visto così e si chiede se è così che diventa quando ha di fronte un sospettato da far confessare, “e comunque non penso che tu l’abbia costretto, no?”
 
“No, certo che no, dottor Berardi, anzi, è tutta colpa mia,” interviene Lorenzo, deciso, sembrando aver riacquistato la parola, “lo so che è contro il regolamento e me ne assumo ogni responsabilità ma… Livia è molto portata, ci siamo trovati un giorno per caso in palestra e… ho accettato di farle un paio di lezioni extra. E visto che si è molto appassionata, come dice lei, oggi le ho fatto fare una verifica con l’istruttore più anziano per valutare la possibilità di seguire un corso con lui a settembre.”
 
“A parte il regolamento della polizia, Ferri, Livia Ferrero ha sedici anni ed è quindi minorenne. Immagino che lei sappia perfettamente che per farle fare qualsiasi attività sportiva, oltre al certificato medico, è necessaria la firma o quantomeno il consenso dei suoi genitori, non è vero?” incalza, per nulla ammorbidito, “quindi, anche ipotizzando di chiudere un occhio sul regolamento – e va bene, forse ci poteva anche stare per un paio di ripetizioni – il minimo che lei avrebbe non potuto, ma dovuto fare, era parlarne con sua madre, dato che, oltretutto, vi vedete due volte la settimana al corso. Mentre invece ha fatto tutto di nascosto. Ora, mi viene da chiedermi il motivo di tutto questo mistero…”
 
“È stata… è stata una mia idea, Gaetano! Lui aveva paura che… che se tu l’avessi saputo o se qualcun altro l’avesse saputo, avresti pensato che… che mi faceva questo favore per… per corromperti o per-“
 
“Livia, no, la responsabilità è mia e sono io che ho sbagliato. Dottor Berardi, lo so che… che non avrei dovuto ma… sono in ballo per una promozione e non volevo che lei pensasse che… ero in cerca di appoggi, ecco,” si inserisce di nuovo Lorenzo, guardando il superiore negli occhi, rispettoso ma risoluto.
 
“Sinceramente, Ferri, avrei preferito di gran lunga quell’ipotesi, a quella che sto formulando adesso,” ribatte, fulminandolo con un’altra occhiata, prima di aggiungere, sarcastico, “vedo ad esempio che stavate per fare un giro in moto. Cos’è, oltre ai corsi di autodifesa si diletta anche a dare corsi di educazione stradale?”
 
“No, no, però-“
 
“Si è solo offerto di accompagnarmi a casa per non farmi prendere i mezzi! Gaetano, maledizione, non ha fatto niente di male!” sbotta Livietta, cominciando ad irritarsi, frapponendosi di nuovo fisicamente fra i due uomini.
 
“D’accordo… diciamo che gliela do per buona, agente,” sospira Gaetano, con un tono ed uno sguardo che fanno dubitare a Livietta che sia realmente finita lì, “la ringrazio della sua premura, ma il passaggio non serve più, visto che io e Livia abitiamo nello stesso stabile. Andiamo?”
 
“Non se ne parla, io non vengo proprio da nessuna parte!” esclama Livietta, non riuscendo a trattenersi, mortificata e non più solo irritata ma proprio arrabbiata, fulminando Gaetano con un’occhiataccia che incenerirebbe chiunque, “non sono un pacco postale e tu non sei mio padre e non puoi costringermi a venire con te! Piuttosto vado a piedi! O vuoi arrestarmi per aver istigato un agente a violare il tuo prezioso regolamento e per aver osato fare due ore di sport senza la firma in carta bollata dei miei genitori?!”
 
Capisce subito dal modo in cui Gaetano la guarda, come se gli avesse dato uno schiaffo, di avere esagerato. Rimangono così a guardarsi, senza parlare, per qualche lunghissimo istante.
 
“Sì, hai ragione, non sono tuo padre, per tua fortuna, perché tuo padre avrebbe reagito molto, ma molto peggio. E anche tua madre, credimi,” pronuncia Gaetano, sembrando sinceramente ferito e dispiaciuto, “non con te, ma con lui, perché non ce l’ho con te Livietta e lo so benissimo che tu non hai fatto niente di male, se escludiamo un paio di bugie ed omissioni a tua madre e pure a me, ovviamente. Ma per la carità, a sedici anni ci può stare, no? Mentre a trent’anni, da un istruttore di polizia, oltretutto, mi aspetterei un comportamento diverso.”
 
“Dottor Berardi, io-“ prova ad intervenire Lorenzo ma Livietta lo interrompe.
 
“Maledizione, Gaetano, non sono una bambina e lo sai anche tu! O tutti quei discorsi sul fatto che sono matura per la mia età erano tanto per riempirti la bocca?!” chiede, altrettanto ferita, arrabbiata e delusa, ma non sa se con lui o con se stessa.
 
“No, lo pensavo sul serio e lo so che non sei una bambina, quindi non voglio certo costringerti a venire con me, o a fare qualcosa che non vuoi fare. Hai ragione, sei grande, sei indipendente, sei matura, quindi, vuoi andare in moto con lui? Benissimo, vai in moto con lui. Ma con la stessa identica maturità ed indipendenza, stasera, quando torni a casa, racconti a tua madre come hai passato il pomeriggio e la serata. Perché essere maturi, essere adulti, significa prendersi le responsabilità delle proprie scelte e delle proprie decisioni. E non si può essere maturi e adulti solo quando fa comodo a noi, purtroppo,” ribadisce Gaetano, categorico, per poi aggiungere, con un tono decisamente più dolce e preoccupato, “sii prudente, ok? In tutti i sensi.”
 
Senza altre parole, si volta e si avvia verso la macchina, dopo aver lanciato un’ultima occhiata eloquente ad entrambi.
 
Livietta incrocia per un attimo lo sguardo di Lorenzo e sa benissimo cosa deve fare.
 
“Gaetano, Gaetano, aspetta!” lo chiama, correndogli dietro e raggiungendolo quando è ormai alla macchina.
 
“Scusami, hai ragione, ho esagerato…” ammette, sentendosi sinceramente uno schifo, “però… è che… non ti avevo mai visto così e… mi è sembrato… mi è sembrato di ritrovarmi di fronte a mio padre e…”
 
“E di padre ce ne hai già uno e ti basta e avanza, giusto?” le chiede, guardandola in modo malinconico ma non sembra arrabbiato, solo davvero impensierito, “ti garantisco che lo so che non sono tuo padre e non voglio prendermi un ruolo che non è il mio, ma non puoi impedirmi di preoccuparmi per te, perché ti voglio bene.”
 
“Lo so, e te ne voglio anche io,” risponde, ricambiando lo sguardo, “vengo con te, però… possiamo parlare per favore?”
 
“D’accordo,” acconsente, salendo al posto di guida, mentre Livietta si avvia verso il posto del passeggero.
 
Mette in moto e si allontana rapidamente da lì, fermandosi dopo un paio di isolati, quasi per un tacito accordo.
 
“Allora? Che cosa volevi dirmi?” le domanda, voltandosi verso di lei.
 
“Che… che mi dispiace, però… lo so che ho sbagliato a fare le cose di nascosto, ma non volevo mettere L – l’istruttore nei guai,” si corregge, prima di usare il suo nome di battesimo, “perché lo sapevo che stava violando il regolamento, ma, ti prego, non voglio che finisca nei guai: l’ha fatto davvero solo per farmi un favore, è stato così gentile e ti garantisco che non ha fatto niente di male e-“
 
“Livietta, non lo capisci che non me ne frega niente del regolamento?!” la interrompe, guardandola esasperato, scuotendo il capo, “certo, non è che mi faccia piacere, ma lo sai benissimo anche tu che pure io non è che segua il regolamento alla lettera. E se me ne avessi parlato, ovviamente avrei voluto discutere con Ferri e mettere in chiaro un paio di cose con lui, ma sarebbe finita lì. Il punto non è che ti ha fatto un favore e ti ha dato lezioni, ma che ha accettato di farlo di nascosto. E questo mi preoccupa, ma non è la cosa che mi preoccupa di più, e lo sai.”
 
“Che vuoi dire?” gli domanda, anche se teme di conoscere la risposta.
 
“Livietta, per favore, non sono nato ieri e… ho visto con quanta confidenza vi parlavate, scherzavate. Ho visto come lo guardavi e-“ si interrompe, prima di aggiungere – e come ti guardava – sapendo che farlo sarebbe una pessima idea.
 
“E?” gli chiede, il cuore in gola, avendo avuto la conferma che Gaetano ha capito tutto.
 
“E… è evidente che ti piace e molto. Vuoi forse negarlo?” le domanda, correggendosi in corner.
 
“No…” sussurra, chiudendo gli occhi, per poi riaprirli e guardarlo negli occhi, “è vero, mi piace, cioè… è bellissimo, atletico, a chi non piacerebbe, però-“
 
“Livietta, non intendo dire che ti piace solo fisicamente. Dimentichi che ti ho vista ai tempi di Bobo?” le ricorda, con un sospiro, “provi qualcosa per lui.”
 
“Si: è bello, è gentile e… parlandogli queste due volte che abbiamo fatto lezione… ho scoperto che è simpatico e interessante e… sì, mi piace. Però lo so che… che è una cosa impossibile, che lui è tanto più grande di me, che ha un sacco di corteggiatrici e che… che di sicuro non si interesserà mai a me,” ammette, anche se le fa male.
 
“Livietta, non è questo il punto. Perché, se si interessasse a te-“
 
“No, ti garantisco che è sempre stato correttissimo con me, cioè non ha mai fatto niente di male, non ci ha mai provato, se è questo che intendi,” lo interrompe, e in fondo è la verità. È vero, c’era stata qualche battutina, ma lui era gentile con tutte e… tra fare due battutine e provarci o essere davvero interessati c’è un abisso e lo sa anche lei. E per due battute Lorenzo non merita di finire nei guai.
 
“Livietta, ascoltami, d’accordo, posso crederci e posso credere che lui abbia sempre avuto le migliori intenzioni. Ma non è questo il punto. Il punto è che… lo so che sei una ragazza intelligente e matura per la tua età, Livietta, e che quindi i sedicenni ti possono sembrare magari noiosi o immaturi – e indubbiamente molti lo sono – però, per quanto tu sia matura per la tua età, non hai la maturità di una trentenne o di un trentenne. Non perché sei stupida ma… perché non hai ancora avuto modo di fare esperienza.”
 
“Cioè di prendermi ancora più fregature di quelle che ho già preso? Credo che quelle che ho avuto mi bastano e avanzano ancora per almeno altri quattordici anni,” protesta, vedendolo sorridere.
 
“Livietta… un trentenne ha esigenze ed aspettative molto diverse da una sedicenne e non sto solo parlando di-“
 
“Di sesso?” gli chiede, non riuscendo a trattenere un mezzo sorriso quando lo vede arrossire ed imbarazzarsi.
 
“Sì, cioè… un trentenne di solito sta per… sta pensando a farsi una famiglia e-“
 
“Vuoi dirmi che tu a trent’anni pensavi a una famiglia?” lo punzecchia, anche se purtroppo ha capito benissimo quello che vuole dire.
 
“No, ma l’hai detto tu pochi giorni fa che non tutti sono playboy stronzi come me, no?” la punzecchia di rimando, per poi aggiungere, più serio, “quello che voglio dire è che, in generale, a trent’anni si ha un lavoro, si comincia ad avere una stabilità e a fare progetti, a volersi sistemare. Tu… tu hai tutto un mondo davanti a te da scoprire. E, se bruci le tappe, potresti farti molto male e pentirtene amaramente un giorno.”
 
“D’accordo, ho capito,” concede con un altro sospiro, “certo che… i sedicenni non vanno bene perché pensano solo a una cosa, i trentenni non vanno bene perché pensano al matrimonio. Io con chi dovrei uscire?”
 
“Un ventenne?” scherza, facendola sorridere.
 
“Gaetano, ti garantisco che ho capito, però… senti, non è colpa di… di Ferri se mi sono presa questa cotta e-“
 
“Su questo avrei da ridire ma-“
 
“E non è successo e non succederà mai niente tra di noi. Questa era la nostra ultima lezione di recupero, domani il corso finirà e non lo rivedrò mai più. Quindi ti prego: non voglio che lui abbia problemi perché io mi sono presa una cotta!” lo implora, prendendogli le mani tra le sue, “e soprattutto… ti prego, lo so che ti chiedo tanto ma… lo sai anche tu cosa succederebbe se mio padre lo venisse a sapere. Ne farebbe una tragedia, si immaginerebbe chissà che cosa, come minimo andrebbe a fare una scenata a lui e… e non mi lascerebbe più respirare. E dobbiamo stare via insieme due settimane e… le cose tra me e lui cominciano adesso ad andare un po’ meglio e… per favore, Gaetano, può rimanere tra noi?”
 
“Livietta, posso capire con tuo padre, ma non puoi chiedermi di mentire a tua madre e-“
 
“Non è una bugia, è solo un’omissione e-“
 
“E di fronte alla legge è la stessa cosa,” ribatte, pensando che Livietta ha proprio preso tanto da sua madre, per fortuna o purtroppo.
 
“Lo so ma… hai già tenuto un segreto per me, no?”
 
“Sì, ma-“
 
“Gaetano, per favore, perché fare preoccupare mamma per una cosa che non è mai successa e che non succederà mai? Insomma, non hai mai avuto un amore impossibile? – scusami, domanda stupida,” ammette, facendolo sorridere, “mi sono presa una cotta e mi passerà, non è un dramma, no?”
 
“D’accordo… va bene, mi hai convinto,” acconsente, dopo qualche attimo di silenzio, ritrovandosi immediatamente con due braccia buttate al collo.
 
“Grazie, Gaetano! Sei il migliore!” proclama Livietta, stringendolo a sé, incredibilmente sollevata.
 
“Non farmene pentire, ok?” le chiede, staccandosi per guardarla dritto negli occhi, sperando davvero di aver fatto la scelta giusta.
 
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“Dottor Berardi? Come mai qui? Il corso non è ancora cominciato e-“
 
“E infatti cercavo  lei, ha un minuto?” gli chiede, con il tono di chi non ammette un rifiuto, iniziando ad incamminarsi verso una sala vuota della palestra senza attendere risposta e richiudendo la porta dietro a lui e all’altro uomo.
 
“Senta, lo so cosa mi deve dire e lo so che ho sbagliato e se vuole farmi rapporto la capisco, ma-“
 
“No, non credo che lei sappia cosa voglio dirle, Ferri,” lo interrompe Gaetano, facendogli cenno di sedersi su una panca, mentre lui rimane, volutamente in piedi, “certo, il fatto che lei contravvenga il regolamento con tanta leggerezza, con un minore, oltretutto, non le fa di certo onore e le garantisco che può scordarsi appoggi o aiuti da parte mia. E sul farle rapporto, sto valutando, in effetti, non fosse altro che la mia principale preoccupazione in questo momento è Livia e non voglio creare un polverone, a meno che lei non me lo renda necessario, Ferri.”
 
“Che… che cosa vuol dire?” balbetta, sorpreso.
 
“Che sinceramente, le lezioni extra sono l’ultimo dei miei pensieri, Ferri. Ho fatto qualche ricerca su di lei e… che piace alle donne me ne ero già accorto venendo a prendere la mia compagna e sua figlia al corso. E ho scoperto che le donne le piacciono parecchio: si dice che abbia una sfilza di ex lunga come l’elenco del telefono – per la carità, non la giudico, perché anche io non sono sempre stato un santo – anche se, a quanto pare, con le allieve del suo corso finora ha sempre rigato dritto, o è sempre stato bravo a tenere tutto nascosto.”
 
“Dottor Berardi, le garantisco che non ho mai approfittato del mio ruolo e non capisco cosa voglia insinuare,” protesta, alzandosi in piedi, indignato, “io-“
 
“Ma mi prende per un idiota?! Ho visto benissimo il modo in cui guardava Livia, Ferri,” lo interrompe, durissimo, “che non solo è una sua allieva, ma ha sedici anni. Sedici anni. E le lezioni, e il giro in moto… da manuale!”
 
“Livia è una bella ragazza, sì, e… e mi piace passare del tempo con lei, mi diverto con lei perché è molto intelligente, è spiritosa, è interessante e potrei parlare con lei per ore. C’è qualcosa di male in questo?” gli chiede, tenendogli testa, faccia a faccia.
 
“No, se finisce qui e non va oltre… ma non so perché, ma dubito che non sarebbe andato oltre, Ferri. Ripeto, ho visto come la guardava. E sì, Livia è matura per la sua età, forse non dimostra l’età che ha e… ha preso il carattere di sua madre, quindi può immaginare che posso capire benissimo perché… possa essere attratto da lei. Ma, anche se è matura per la sua età, ha sedici anni e lo sa benissimo anche lei che parte avvantaggiato, Ferri, che non è un confronto ad armi pari il vostro, se mi consente l’espressione. O le piace il vincere facile?”
 
“Vincere facile? Ma è sicuro di conoscerla sul serio? Guardi che non ho mai incontrato nessuna che mi ha tenuto testa quanto lei!” protesta, affrettandosi ad aggiungere, quando lo vede scurirsi in volto, “non mi fraintenda, non ci ho mai provato con lei e non… non mi approfitterei mai di lei o del mio ruolo e non… non le farei mai del male, glielo giuro. Ci tengo davvero a lei. Però… Livia si sa difendere da sola e pure molto bene, senza neanche bisogno delle lezioni di difesa.”
 
“Legga questo,” lo invita, porgendogli una cartellina marrone.
 
“Che cos’è?” domanda, in evidente apprensione.
 
“Legga e lo scoprirà…”
 
Gaetano lo osserva sospirare ed annuire. Lo studia mentre lui, a sua volta, studia i documenti che gli ha portato. Vede sorpresa, indignazione, rabbia, molta rabbia, a giudicare dal modo in cui stringe i pugni e quasi accartoccia la cartellina.
 
Ha avuto la sua risposta, ancora prima di sentirlo sussurrare, “che bastardo!”
 
“Questo… questo… questo è il famoso Bobo, vero?” gli domanda, alzando gli occhi ed incontrando il suo sguardo.
 
“Livia gliene ha parlato?” domanda, sorpreso, avendo un’ulteriore conferma del fatto che i due non si siano limitati a fare lezione.
 
“Sì… me ne ha accennato… mi ha detto che… che questo… meglio che non lo definisco, si era approfittato di lei e del fatto che ne fosse innamorata. Ma non pensavo che… che fosse qualcosa di così grave,” ammette, il tono tra lo scosso e l’indignato, l’aria di chi vorrebbe accartocciare non solo la cartellina, ma anche Bobo in carne ed ossa.
 
“Capisce perché gliel’ho fatta leggere, vero?” gli domanda Gaetano, più ammorbidito.
 
“Sì, ho capito, ma le ripeto che non le farei mai del male, piuttosto mi farei ammazzare,” ribadisce, con un tono che Gaetano riconosce come sincero.
 
“Le credo, Ferri. Ma Livia sta uscendo da un periodo molto difficile e si è appena ripresa da questa storia. È convinta di attirare tutte le fregature e… non prenderebbe l’ennesima storia finita male come… come la prenderebbe la maggior parte delle ragazze della sua età o delle donne in generale. Capisce cosa intendo?”
 
“Sì,” annuisce, l’aria di chi ha davvero capito, fino in fondo.
 
“Bene, la ringrazio per avermi ascoltato, Ferri. E voglio fidarmi di lei,” proclama, guardandolo un’ultima volta dritto negli occhi, riprendendosi la cartellina ed uscendo dalla sala, senza guardarsi indietro.
 
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“E con questo si chiude il nostro corso: spero vi sia stato utile e che magari per molte di voi sia solo il primo passo e decidiate di approfondire le tematiche qui trattate con corsi più specifici ed approfonditi. Vi ringrazio per la vostra grande attenzione e partecipazione: è stato un piacere lavorare con voi. Grazie!”
 
L’applauso è scrosciante e Livietta attende pazientemente che il codazzo di signore si smaltisca.
 
“Andiamo? O vuoi salutare l’istruttore?” le chiede sua madre con aria tranquilla, da cui Livietta ha l’ennesima conferma che Gaetano ha mantenuto la promessa.
 
“Veramente vorrei chiedere un ultimo chiarimento all’istruttore… ti dispiace se…? Magari puoi avviare la macchina intanto e uscire dal parcheggio, io arrivo subito,” la rassicura con un sorriso.
 
“D’accordo, allora ti aspetto fuori. Salutalo e ringrazialo anche da parte mia, ok?” le chiede, avviandosi fuori dalla palestra.
 
Ancora attimi, attimi interminabili e, finalmente, l’ultima delle irriducibili si allontana.
 
“Mi scusi!” lo chiama, sforzandosi di dargli del lei, vedendolo girarsi, sorpreso.
 
“Livia…”
 
“Volevo ringraziarla anche da parte di mia madre per il corso: ci è piaciuto molto, anche se abbiamo perso un po’ di lezioni,” proclama ad alta voce, visto che accanto a lui c’è il suo collega, che saluta con un sorriso.
 
Un secondo e vede l’assistente allontanarsi e girarsi dall’altra parte. Prende coraggio e sussurra, “mi dispiace tanto… non volevo crearti problemi e…”
 
“Tranquilla, non ce ne sono stati e non credo che ce ne saranno: il dottor Berardi è un uomo intelligente e corretto. E poi la colpa è stata soprattutto mia,” le sussurra di rimando, rassicurandola con un sorriso, guardandola in un modo strano – forse malinconico? – prima di aggiungere, dopo un attimo di pausa, “è stato davvero un piacere farti lezione, Livia, e spero che continuerai a studiare difesa e arti marziali perché hai grandissime potenzialità. Buona fortuna, ti auguro il meglio, te lo meriti.”
 
Livietta annuisce, sentendo un nodo alla gola, sapendo benissimo che questo è un addio – e del resto è l’unica cosa logica da fare, è la cosa migliore per tutti, non c’è alternativa. Lo vede porgerle la mano e la stringe, prima di prendere coraggio, sporgersi in avanti e salutarlo con i canonici due baci sulla guancia, anche se vorrebbe tanto potergli dare tutt’altro genere di bacio d’addio.
 
Le loro mani si stringono fortissimo per qualche secondo e poi lascia la presa, si volta e si avvia verso l’uscita, cercando di soffocare la voglia di piangere, anche perché c’è sua madre che la aspetta e farebbe domande, troppe domande, se la vedesse triste.
 
Il sogno è finito, è ora di tornare con i piedi per terra.
 
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“Livietta, posso entrare?”
 
“Certo mamma, vieni, sempre se riesci ad entrare…” ironizza, visto che sta preparando il bagaglio per la partenza dell’indomani e la sua camera sembra un campo di battaglia. Due settimane sono un periodo abbastanza lungo e sta faticando non poco a stipare tutto il necessario in una valigia, per quanto grande.
 
“Vuoi una mano?” si offre sua madre e lei annuisce, non sollevando lo sguardo e continuando a lavorare imperterrita, cercando di distrarsi e di non pensare.
 
“Livietta… Livietta!” sente all’improvviso, una mano sulla spalla che la scuote dai suoi pensieri, “sei sicura che vada tutto bene?”
 
“Eh?” domanda, facendo la finta tonta, maledicendo la perspicacia di sua madre.
 
“Mi sembri giù di corda… già da ieri eri un po’ strana, ma stasera ti vedo proprio triste. È per via del viaggio? Sono sicura che ti divertirai con tuo padre e spero che tu parta con lui, ma… se hai cambiato idea e non vuoi andare non sei obbligata a farlo,” la rassicura, posandole le mani sulle spalle e guardandola negli occhi.
 
“No, no, cioè… ho voglia di stare con papà e di vedere Londra, è che… mi mancheranno le mie amiche e mi mancherai tu,” ammette e in fondo non è una bugia, anche se non certo è tutta la verità, nemmeno alla lontana.
 
“Vieni qui,” mormora sua madre e Livietta si ritrova stretta in un abbraccio fortissimo che le fa bene e le fa male allo stesso tempo, perché deve fare uno sforzo quasi sovrumano per non scoppiare a piangere come un’idiota, “lo sai che in qualsiasi momento, per qualsiasi cosa, basta che mi chiami e puoi tornare qui o ti raggiungo, ok?”
 
Livietta si limita ad annuire e a godersi l’abbraccio.
 
“Ascoltami,” le sussurra dopo un po’ Camilla, staccandosi leggermente da lei, sedendosi ai piedi del letto e facendole segno di fare altrettanto, “c’è una cosa di cui volevo parlarti… Gaetano mi ha detto che… che hai notato i… i cambiamenti in bagno.”
 
“Mamma, guarda che non c’è problema: come ho già detto a Gaetano, io sono contenta per voi se decidete di convivere. Anche domani,” la rassicura con un sorriso, stringendole una mano.
 
“Lo so ma… vorrei che tu capissi che… qualsiasi decisione importante che ci sarà, ne parlerò prima con te, ok? Che sia la convivenza, o… la possibilità di… di un altro impiastro, come dici tu, o qualsiasi altra decisione. Tu sei la persona più importante della mia vita, Livietta, e questa è casa tua e non ci sono segreti, ok?” proclama, accarezzandole una guancia e Livietta, anche se non lo ammetterà mai con sua madre, deve riconoscere che prova un profondo senso di sollievo, “e in tal proposito… volevo dirti che, visto che sarai via per due settimane, ho intenzione di chiedere a Gaetano di rimanere qui con me, fino a che non torni. È un problema per te?”
 
“Mamma, in che lingua te lo devo dire? No, enne o, non c’è nessun problema!” ribadisce, prima di aggiungere, con tono canzonatorio, “però ti sono grata per l’avvertimento, così ti chiamerò in anticipo prima di rientrare a casa, che non vorrei trovarmi di fronte a scene traumatizzanti!”
 
Un pizzico sul fianco e, senza quasi sapere come, si trovano riverse sul letto, sopra i vestiti sparsi, impegnate in una gara di solletico senza esclusione di colpi, come ai vecchi tempi.
 
E, finalmente, Livietta non deve trattenere più le lacrime.
 
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“I signori gradiscono ancora qualcosa da bere, prima che serviamo il dolce? Posso consigliare un ottimo passito di Pantelleria, Ben Ryé, Donnafugata e-“
 
“No grazie!” “Sì, grazie” pronunciano quasi in contemporanea.
 
“Capisco, vi lascio un attimo per decidere,” dichiara il cameriere con un sorriso, prima di voltarsi ed avviarsi verso un altro tavolo.
 
“Dai, professoressa, non si può gustare il dolce senza il vino adatto!” proclama con il suo miglior sorriso, cercando di convincerla.
 
“Sì, che si può, soprattutto in un posto dove il conto è come minimo a due zeri e il vino non ne parliamo!” ribatte lei a bassa voce, con l’aria di chi non ammette repliche, sapendo benissimo che Gaetano non le lascerà mai pagare il conto.
 
“Eddai… per una volta che veniamo in un ristorante un po’ più caro… te l’ho già detto: permettimi di coccolarti almeno ogni tanto, professoressa,” controbatte, stringendole la mano, appoggiata sopra la tovaglia, nella sua ed accarezzandole il palmo con il pollice.
 
“Per quanto mi riguarda puoi coccolarmi ogni volta che vuoi, ma nella nostra camera da letto, gratis,” controreplica in un sussurro, sporgendosi in avanti per fare in modo che lui la senta anche con i rumori di fondo della sala.
 
“Nostra?” le chiede con un sorriso, mordendosi il labro e vedendola arrossire.
 
“Sì, beh… cioè… è che in realtà… ho una proposta da farti,” ammette, prendendo fiato, prima di esordire, “come sai Livietta è partita oggi e sarò sola soletta a casa per due settimane quindi-“
 
“Vuoi venire a stare da me?” pronunciano in perfetto unisono. Si guardano per un secondo e scoppiano a ridere.
 
“Beh, direi che la proposta è approvata, ci tocca solo decidere in quale appartamento…” deduce Camilla, riflettendo un attimo, prima di far notare, “certo… nel mio ci sono già alcune cose tue.”
 
“Guarda che nel mio se vuoi puoi avere un bagno intero tutto per te e prenderti pure tutto il mio armadio,” rilancia Gaetano con un sorriso, come se stessero giocando a poker, prima di sussurrarle, maliziosamente, “anche se non credo ti serviranno tanti vestiti.”
 
“Neanche a te, se è solo per questo, ma io ho anche un cane da trasferire. Come la mettiamo?” gli chiede, con lo stesso medesimo tono.
 
“Ah giusto, c’è Potti-Otello a cui pensare. Non vorrei che si ingelosisse troppo, hai ragione,” scherza, facendole l’occhiolino, prima di aggiungere, più serio, “per me va benissimo se stiamo a casa tua, ma, in ogni caso, vorrei che accettassi questo.”
 
Camilla osserva, stupita, mentre estrae dalla tasca e posa sul tavolo un astuccio di velluto blu scuro. Un astuccio da gioielleria.
 
“Ma… co – cos’è?” balbetta, curiosa quanto dubbiosa, toccando la superficie morbida, quasi con reverenza.
 
“C’è un solo modo per scoprirlo, no?” la incita, con un altro occhiolino.
 
Con mani tremanti, Camilla apre l’astuccio e spalanca la bocca incredula, quando ci trova una catenina d’oro bianco con tre piccoli ciondoli a forma di chiave, della stessa identica foggia di quella dell’armadio. Solo che non sono d’ottone dorato, ma una di oro bianco, una di oro giallo e una di oro rosa.
 
“Rosa per l’amore, giallo per la fedeltà, bianco per l’amicizia. O così sostiene il gioielliere,” chiarisce Gaetano, ripetendole quello che si ricorda dalle nozioni sul linguaggio dei fiori e dei gioielli e delle pietre insegnatogli da sua madre, che a queste cose aveva sempre tenuto molto, anche se poi, in realtà, praticamente indossava quasi sempre la stessa collana e gli stessi anelli.
 
“È… è bellissima ma… ma sei matto? Chissà quanto ti sarà costata!” pronuncia, commossa, guardandolo negli occhi.
 
“Camilla, se pronunci ancora parole come prezzo, costo, soldi, giuro che mi offendo!” ribatte, serio, allungando una mano per accarezzarle il viso, “e poi non ti ho mai regalato niente, nemmeno un gioiello e quando ti ho visto quella chiavetta addosso, ho capito che dovevo assolutamente rimediare.”
 
“Non mi hai mai regalato niente?” gli domanda, non potendo credere alle sue orecchie, “guarda che se lo dici ancora sono io ad offendermi! Gaetano: nessuno mi ha mai fatto tanti regali quanti me ne hai fatti tu da quando stiamo insieme! Non mi avrai regalato gioielli o oggetti materiali, d’accordo, ma mi hai riempita di attenzioni, mi hai coccolata e viziata in ogni modo. Mi hai regalato il tuo tempo, il tuo impegno, la tua pazienza, il tuo amore, tutto quello che mi serve ad essere felice e che i soldi non possono comprare. La collana è bellissima e il significato è bellissimo, ma non serviva, ok?”
 
“Ok,” concede, commosso come e più di lei, indicando il gioiello e dicendole, “posso aiutarti a metterlo?”
 
Camilla annuisce ed estrae dall’astuccio il cuscino che tiene la catenina saldamente bloccata, per sganciarla e quasi la lascia cadere quando vede che sotto il cuscino ci sono tre chiavi vere, infilate in un portachiavi d’argento con incisa la lettera C.
 
“Ma che…”
 
“Sono le chiavi di casa mia… ne ho fatta una copia per te e… insomma, mi sembra assurdo che devi continuare a suonare e a bussare ogni volta che mi vieni a trovare e… perché mi guardi in quel modo?” le chiede, notando come il viso di lei passi dall’emozionato, per non dire scosso, ad un sorrisetto stranamente divertito.
 
“Perché anche io ho qualcosa per te,” rivela, abbandonando per un attimo chiavi e collana, per estrarre dalla borsa una scatoletta di cartone, chiusa con un nastro.
 
Avendo un presentimento e non potendo crederci, prende in mano la scatolina, si libera come meglio riesce del nastro e la apre, trovandosi di fronte ad un astuccio di pelle nera. Un portachiavi. Lo apre e trova tre chiavi, praticamente identiche alle sue.
 
“Non ci credo…” sussurra, guardandola negli occhi, che brillano di una luce quasi abbagliante, “sono le…”
 
“Le mie chiavi di casa,” conferma, la voce roca per la commozione, prima di ritrovarsi trascinata in un bacio che le fa dimenticare tutto: la collana, le chiavi, l’ennesima prova della loro straordinaria intesa, ai limiti della telepatia, il ristorante e perfino i colpi di tosse di altri avventori facilmente scandalizzabili.
 
Il mondo potrebbe crollarle addosso e non se ne accorgerebbe.
 
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“Allora, ti è piaciuto!”
 
“Tantissimo: ho sempre sognato di vedere il Fantasma dell’Opera dal vivo. Grazie papà!” esclama Livietta, felice ed esaltata per lo spettacolo a dir poco pazzesco a cui ha appena assistito, abbracciando il padre, mentre Carmen, che li ha accompagnati, li osserva leggermente in disparte.
 
Renzo fa mente locale di ringraziare Camilla per la dritta, visto che ignorava questa passione della figlia, nata a seguito di ripetute visioni con la nonna del DVD del film del 2004. Certo che solo Andreina poteva fare vedere ad una bimba un film del genere, ma a quanto pare Livietta non solo non ne era rimasta traumatizzata, ma anzi, tutto il contrario.
 
“E adesso possiamo andare in un locale a mangiare, se vuoi. Mi hanno consigliato un posto bellissimo che a quanto pare è di gran moda tra i giovani londinesi: è ristorante ma fanno cocktail e c’è musica dal vivo per ballare,” propone Renzo, prendendola a braccetto.
 
“Sì, però, Renzo, se è un locale in faranno selezione. E, se chiedono i documenti, Livietta non può entrare perché bisogna avere diciott’anni,” interviene Carmen, avendo girato parecchi locali durante le sue permanenze solitarie a Londra.
 
“Non gliel’hai consigliato tu?” chiede Livietta, stupita, sapendo bene che, mentre Carmen ama la movida, suo padre è un super pantofolaio.
 
“No, credo di no…” ammette Carmen, stupita quanto lei.
 
“Vi ringrazio per la fiducia: guardate che anche io ho le mie fonti e le mie conoscenze. Non ho mica cento anni!” protesta Renzo, facendo questa volta mente locale di ringraziare Barbara, che gli ha suggerito un locale gestito da un suo amico, “e ho già prenotato e siamo in lista, quindi vedrete che ci faranno passare!”
 
Livietta e Carmen si scambiano uno sguardo stupito come a dire “quello che sta parlando è davvero Renzo?” ma, con una scrollata di spalle, si rassegnano a seguirlo fino al taxi.
 
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“Ti piace?”
 
“Sì, è tutto buonissimo!” grida Livietta, gustandosi soddisfatta la sua metà d’hamburger, il migliore che abbia mai mangiato, dopo aver fatto metà di un’aragosta con suo padre, visto che si erano divisi le ordinazioni.
 
Carmen invece, come sempre più salutista, si era presa un’insalatona.
 
Il locale è veramente particolarissimo: è un misto tra il set di un film western e un locale americano anni ’40 alla The Great Gatsby. A quanto pare gli arredi sono stati curati da un vero scenografo che lavora sui set hollywoodiani.
 
“C’è uno chef stellato e i cocktail dovrebbero essere tra i migliori della città. Però solo uno, intesi?” si raccomanda con la figlia, che in teoria non potrebbe nemmeno bere, per legge.
 
“Sì, papà,” annuisce, sapendo che è già un miracolo che gliene abbia concesso uno.
 
“Qui è pieno di VIP…” constata Carmen, guardandosi in giro e riconoscendo parecchie celebrità londinesi, tra calciatori, attori, cantanti, protagonisti di reality show, mentre fa mentalmente il conto di quanto costerà a Renzo questa serata, visto che anche il conto è stellato, “e abbiamo uno dei tavoli migliori e ci stanno pure servendo in fretta rispetto ad altri tavoli. Ma come hai fatto? Sei amico della regina e non me l’hai mai detto?”
 
“Ma quello… quello è il principe Harry?” esclama Livietta, sbigottita, vedendo un ragazzo dai capelli e dai lineamenti inconfondibili, scortato da un paio di energumeni e circondato da uno stuolo di ragazzetti e ragazzette che più che vestite sono svestite, che sparisce oltre una porta, che conduce probabilmente al privé più esclusivo, “non è che conosci sul serio la regina, vero?”
 
“No, ma… ognuno ha le sue armi segrete…” ribatte, rimanendo misterioso e sul vago, anche se non può evitare di chiedersi in che genere di rapporti possa essere Barbara con il proprietario del locale per avere un trattamento simile in un posto così esclusivo.
 
Quasi come se l’avesse invocato con il pensiero, un uomo sulla trentacinquina, alto, biondo, elegantemente vestito e, deve ammetterlo, molto piacente, si avvicina al loro tavolo.
 
“You must be Renzo, right?” gli chiede, rivolgendosi a lui in un accento londinese posh, che, lo sa bene, significa soldi, molti soldi.
 
“Yes, and you are?”
 
“Nick, the owner of the place,” spiega il tipo con un mezzo sorriso ed aria fiera, sicura di sé, porgendogli la mano, “any friend of Barbara is a friend of mine: we go way back!”
 
Renzo ricambia la stretta e abbozza un sorriso, mentre quel nome, pronunciato dalle labbra dell’inglesino, gli fa gelare il sangue nelle vene. Spera e prega che Livietta non colleghi.
 
Si lancia quindi in una serie di ringraziamenti ed elogi al locale, al cibo e al bere degno del peggior leccapiedi, tutto pur di cambiare argomento ed evitare che quel nome venga menzionato di nuovo.
 
“Well, I don’t want to take up too much of your time. You have been very kind. Great place!” lo ringrazia, infine, cercando di smarcarsi.
 
“No, you have been too kind. Tell you what? If you are staying here in the City for a while, come again, and I’ll let you in the backroom. I am sure the ladies will love it,” gli risponde, facendogli l’occhiolino e Renzo ha l’impressione che, qualsiasi cosa ci sia in questo benedetto privé, magari piacerà anche a Livietta, ma di sicuro non piacerà a lui.
 
Perché sa benissimo cosa vogliono questi ragazzotti famosi e pieni di soldi: le famose ss. Sesso e soldi, soldi e sesso. E sua figlia è meglio che stia alla larga da ogni s il più a lungo possibile.
 
“Say hi to Barbara for me, ok? Maybe the next time you can come together!” si commiata, allontanandosi dal tavolo con l’aria di un re che passa in rassegna i poveri mortali che popolano il suo regno.
 
“Chi è questa Barbara?” chiedono all’unisono Livietta e Carmen, guardandolo con un’aria degna di un interrogatorio, di cui Camilla e il poliziotto-super-più sarebbero molto orgogliosi.
 
“Ehm… non Barbara, Barberi. L’architetto, te lo ricordi no? Quello che ha fatto quell’edificio pazzesco vicino alla ruota panoramica, che abbiamo incontrato il mese scorso…” improvvisa, sparando la prima cosa che gli viene in mente, ringraziando il cielo per il nome del collega, “sai come pronunciano questi inglesi, no? La i diventa ai eccetera eccetera…”
 
“Ah, sì, ma… non pensavo che Barberi girasse per night, c’ha quasi sessant’anni pure lui, a occhio e croce,” risponde Carmen, non molto convinta, prima di aggiungere, dopo un attimo di riflessione, “non è che è gay? Per come ne ha parlato questo Nick…”
 
“Non credo… da quello che ho capito gli ha dato una mano a progettare non so che locale insomma, sono amici, ecco. Insomma, poi non è che mi faccio gli affari degli altri…” replica Renzo, imbarazzato, mentre Livietta lo osserva divertito.
 
“Beh, se ti ha fatto un favore simile – oltretutto non mi sembravate così amici – guarda che… potrebbe essere. E poi la prossima volta potete venire qui insieme,” lo punzecchia Carmen con tono fintamente romantico e suggestivo, citando le parole di Nick, facendolo arrossire, e scoppiando poi a ridere insieme a Livietta.
 
“Ma la piantate di fare comunella voi due e di prendermi in giro?!” sbotta fintamente offeso, anche se internamente tira un sospiro di sollievo: l’ha scampata per un soffio.
 
“Papà, ti vibra il cellulare!” grida ad un certo punto Livitta, indicando il telefono che ha appoggiato sul tavolo con la vibrazione, perché altrimenti, in mezzo al casino della musica live, chi lo sente?
 
Renzo lo afferra quasi automaticamente e vede il segnale di un messaggio in arrivo su whatsapp. Lo apre, senza troppo pensarci, e legge il nome di Barbara: parli del diavolo…
 
Come va al locale? Ti stai divertendo con tua figlia?
 
Le risponde affermativamente, ringraziandola per la dritta e quasi subito gli arriva un secondo messaggio.
 
Mi raccomando di non divertirti troppo ;). E stai lontano dalle ragazze ubriache ;). Ma nel caso fossi tentato di aiutare qualche altra fanciulla indifesa…
 
Gli scappa un lieve sorriso all’ovvia battutina, che gli si congela sul viso quando al messaggio segue una foto.
 
Un autoscatto di Barbara in un mini babydoll ipertrasparente che gli lancia un bacio con uno sguardo a dir poco provocante.
 
Per poco il telefono non gli cade di mano.
 
“Papà, tutto bene? Chi ti scrive a quest’ora?” domanda Livietta e Renzo si affretta a chiudere l’immagine, pregando che non si siano accorte di niente e che soprattutto non si accorgano del fatto che ha le guance in fiamme.
 
“L- l’architetto Barberi, appunto. Voleva sapere come stava andando al locale…” improvvisa, chiedendosi quando è diventato così bravo a raccontare frottole e sentendosi in colpa, come se fosse tornato ai tempi in cui tradiva Camilla con Carmen e doveva fare tutto di nascosto.
 
Ecco quando aveva imparato a mentire così bene, ma odiava farlo: quei mesi di doppia vita l’avevano completamente distrutto, tanto che era stato molto, ma molto sollevato quando aveva messo fine al rapporto con Camilla e alla clandestinità.
 
“Che ti dicevo? Il tuo amico è gay!” lo punzecchia di nuovo Carmen, dandosi una gomitata con Livietta.
 
“Sì, va beh, se avete finito di mangiare e di chiacchierare, perché non andiamo a ballare?” propone Renzo, ansioso di cambiare di nuovo argomento e di togliersi di lì, trovando la prima distrazione plausibile.
 
Si alza e, sotto gli sguardi increduli di Carmen e Livietta si avvia verso la pista da ballo.
 
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“Si può sapere che cos’hai?”
 
“In che senso?” le chiede, sorpreso da questo interrogativo: Livietta sta ballando in mezzo alla pista e Renzo nota, con sollievo, come si tenga lontano dai bellimbusti e si sia invece unita ad un gruppo di ragazze che ballano da sole.
 
Lui e Carmen hanno deciso di fare una pausa per salvaguardare piedi e polmoni e sono andati a prendersi un drink al bar, pur tenendo costantemente d’occhio Livietta.
 
“Nel senso che… sembri un’altra persona: sei venuto volentieri a teatro, poi pure il locale figo, ti sei messo anche a ballare… ordini i cocktail che hai sempre considerato una schifezza colorata. Non è da te,” chiarisce Carmen che, in anni di relazione, era riuscita a farlo uscire solo molto raramente e in cambio di promesse di un’ottima ricompensa a fine serata. E per una soirée a teatro a cui lui non voleva assolutamente partecipare, se lo ricorda bene, avevano fatto una litigata pazzesca.
 
“Niente… sto solo cercando di recuperare un po’ il rapporto con mia figlia e poi… e poi sto cercando di cambiare, in meglio, di diventare un nuovo Renzo,” spiega, sorseggiando il suo margarita. Deve ammettere che ormai ci ha fatto l’abitudine, anche se continua a preferire quello di Barbara.
 
“Un nuovo Renzo?” gli chiede, guardandolo preoccupata, “se con il vecchio Renzo intendi il brontolone depresso che ho trovato a Torino, posso capire. Ma se invece intendi il vecchio Renzo che ho conosciuto a Barcellona, a Roma, insomma... tu quando non passi la vita a compiangerti… non c’era niente che non andava con quel Renzo, anche se era un po’ un pantofolaio. E sono sicura che anche Livietta la pensa allo stesso modo.”
 
“Se lo dici tu…” sospira Renzo, non sembrando per nulla convinto, prima di bere quello che rimane del suo drink e farle segno di tornare in pista.
 
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“Sì, mi sto divertendo tantissimo. Papà mi ha portato in un sacco di posti pazzeschi, poi ti racconto quando torno.”
 
Renzo, soddisfatto, origlia, anche se sa che non si dovrebbe, la conversazione che Livietta sta avendo al cellulare con Camilla.
 
È in bagno, ha appena finito la doccia e stava per rientrare nella camera da letto che condivide con la figlia, quando, sentendola parlare, si è bloccato ad ascoltare.
 
“Sì, tranquilla, mamma, va tutto bene, sì. Un bacio e salutami Gaetano: fate i bravi,” la sente raccomandarsi e non può evitare la fitta dolorosa al petto che prova nel sentirle pronunciare quel nome, nel sentirla scherzare con tanta naturalezza, con tanta nonchalance su… su un argomento del genere.
 
Ma è meno forte di qualche tempo fa, di qualche giorno fa, mitigata dal fatto che finalmente tra lui e Livietta le cose sembrano cominciare a girare per il verso giusto.
 
Quando capisce che ha chiuso la conversazione, fa passare un paio di minuti e rientra in stanza, trovandola a sua volta pronta per la doccia.
 
“Ci metterò una mezzoretta: devo lavarmi i capelli,” spiega, avviandosi con l’accappatoio e un cambio pulito verso il bagno.
 
“Tranquilla: io intanto sbrigo alcune cose di lavoro e poi scendiamo a colazione insieme,” replica con un sorriso, vedendola sparire dietro la porta del bagno.
 
Si riveste e si prepara con calma e poi, una volta soddisfatto del risultato, cerca il suo portatile per mandare un paio di mail urgenti di lavoro.
 
Dopo cinque minuti di ricerca per tutta la stanza si rende conto, dandosi del cretino, di averlo lasciato nella macchina a noleggio di Carmen.
 
Che quella mattina è fuori con due dei committenti.
 
Sa benissimo che, tra disegni e grafici, non se la caverà mai con il cellulare.
 
Ed è in quel momento che il portatile di Livietta, posizionato sulla piccola scrivania della stanza, lo attira come le Sirene attirarono Ulisse.
 
Lo sa che non si potrebbe ma, in fondo, come gli disse una volta Camilla, se Livietta non lo sa…
 
Prima di cambiare idea, si siede alla scrivania e lo riattiva dalla modalità di stand-by in cui Livietta lo aveva messo.
 
Per fortuna ancora niente password: Livietta evidentemente si fida del fatto che rispetteranno la sua privacy.
 
Un po’ si sente in colpa, ma è un emergenza…
 
Cerca nella borsa la chiavetta con i file che gli servono ma si rende conto, dandosi del cretino per la seconda volta, che file e chiavetta sono insieme al computer nell’auto di Carmen.
 
Sta per desistere quando, ricordandosi della pignoleria tecnologica di Carmen, gli viene in mente di contattarla e chiedere se per caso abbia fatto il backup dei progetti in cloud.
 
Qualche minuto e Carmen risponde di sì, con tutte le indicazioni di dove li ha messi.
 
Sentendosi sollevato, apre il browser e cerca “google dri”, il browser non solo gli suggerisce in automatico “google drive” ma lo rimanda già a degli indirizzi completi, ci clicca su e, dopo un attimo di spaesamento, si rende conto di essere entrato in automatico con l’account di Livietta, non solo, ma di essere entrato in un file specifico, un file di word, forse l’ultimo che Livietta ha usato.
 
Sta per cliccare il mouse per uscire quando le parole “Gaetano” e “confessargli ciò che provo”, che il suo cervello ha captato in mezzo al foglio scritto fitto-fitto, lo bloccano, come se fosse paralizzato.
 
La salivazione azzerata, un dolore al petto che lo porta a chiedersi se gli stia per venire un infarto, un ronzio nella testa e nelle orecchie, legge quello che non avrebbe mai voluto leggere. Ma è tutto lì, nero su bianco.
 
Gaetano ha capito tutto, si è accorto di come lo guardavo… e ho dovuto confessargli ciò che provo. A lui ovviamente stava per venire un colpo e voleva dire tutto a mamma ma per fortuna sono riuscita a convincerlo a mantenere il segreto, perché a mamma e soprattutto a papà verrebbe un infarto se sapessero.
 
Mi ha detto che devo togliermelo dalla testa, che è troppo grande per me e lo so che ha ragione, lo so che il mio è un amore impossibile, che lui non si interesserà mai a me… ma… ma che ci posso fare se mi piace da morire? Gli ho promesso che la mia è una cotta e mi passerà in fretta, ma la verità è che non so se passerà.
 
Speravo che il viaggio a Londra mi aiutasse e papà sta facendo davvero di tutto per farmi divertire, ho visto un sacco di bei ragazzi, ma quando provano ad avvicinarsi li evito tutti – e non solo perché c’è sempre papà che li guarda come se volesse ucciderli (almeno alcune cose non cambiano mai per fortuna, se no penserei che un alieno ha rapito papà!).
 
Il fatto è che mi manca da morire lui: vorrei vederlo, parlargli, chiamarlo, ma non posso. Continuo a sognarlo, a sognare-
 
Un rumore improvviso dal bagno lo fa sobbalzare: la porta si sta riaprendo.
 
Con velocità fulminea, spinto da non sa quale istinto, fa uno screenshot della pagina e la chiude di corsa. Non fa però in tempo ad alzarsi dalla sedia o richiudere il computer: Livietta è già tornata nella stanza.
 
“Ho dimenticato il phon e-“ pronuncia, uscendo avvolta solo da due asciugamani – uno intorno al corpo e uno intorno alla testa – e bloccandosi quando lo vede seduto alla scrivania.
 
“Papà, che ci fai con il mio computer?!” sbotta, evidentemente arrabbiata – e forse un po’ preoccupata? – guardandolo come la madre guarda il bimbo con le mani nella marmellata.
 
Per un attimo Renzo rimane in silenzio, indeciso su cosa dire e non dire. Se esplodere o…
 
“Scusami, avevo bisogno di spedire delle mail di lavoro,” riesce a pronunciare, non sa come, con tono neutro, “ho dimenticato il portatile nel bagagliaio dell’auto di Carmen e… se non le mando entro stamattina rischio di perdere un progetto importante. Posso?”
 
“D’accordo, ma due minuti. E non sbirciare le mie cose,” gli intima, prendendo il phon e non rientrando in bagno, ma attaccandolo alla presa vicino al letto.
 
Sapendo di essere sorvegliato a vista, Renzo entra nelle mail, scrive giusto un paio di righe in cui assicura che risponderà nel pomeriggio e poi invia a se stesso un messaggio con in allegato una certa fotografia…
 
 
Nota dell’autrice: Se siete arrivate vive fino in fondo, come avete visto il capitolo non è lunghissimo, di più molto di più, è veramente iperextralarge, ma volevo assolutamente arrivare a questo punto. Renzo ha scoperto tutto – o pensa di avere scoperto tutto – e… come reagirà secondo voi?
Vi anticipo che nel prossimo capitolo vedremo fuoco e fiamme e ci saranno un po’ di scossoni. Ho cercato di mantenere i personaggi il più in personaggio possibile, pur dando loro una costante evoluzione e spero di riuscire a farlo senza stravolgerli completamente.
Lo so che forse lo sviluppo finale per alcuni potrebbe risultare un po’ forzato e da “commedia degli equivoci”, però ho visto anche nella realtà, tra coppie in fase di separazione/divorzio, malintesi e “film mentali” che il più fervido sceneggiatore di soap opera non riuscirebbe a concepire e, dal mio punto di vista, credo che padre e figlia (e Camilla e Gaetano) abbiano bisogno di questa prova del fuoco, per superare alcune paure e pregiudizi (irrazionali), che fanno vedere mostri dove non ci sono, altre paure (molto più concrete e realistiche) e trovare il modo di capire come costruire un nuovo equilibrio far funzionare davvero una famiglia allargata.
Non so cosa ne pensate voi e se potrete concordare o meno… il vostro parere mi è come sempre fondamentale e quindi, qualsiasi cosa non vi convinca, ditemelo davvero in assoluta libertà: le critiche sono utilissime per migliorare.
Vi ringrazio come sempre per avermi letta fin qui e vi do appuntamento, se vi va, al prossimo capitolo ;)!
 
 
   
 
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