Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: LeMuseInquietanti    07/01/2009    1 recensioni
Nell’epicentro del dolore si gonfiava il cuore di nebbia. Fumo stantio nelle camere della sua mente. Qualcosa di poggiato a terra, una bottiglia vacante. Fiori secchi per colazione, abbandonati ai suoi piedi.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
.Graffi.

[Guarda come siamo, friabili. Le Luci Della Centrale Elettrica]



Graffi. Fili discontinui sulle sue braccia.
Nella stanza buia si perdevano i ricordi e i passi si smarrivano nella notte.
Nell’epicentro del dolore si gonfiava il cuore di nebbia.
Fumo stantio nelle camere della sua mente.
Qualcosa di poggiato a terra, una bottiglia vacante.
Fiori secchi per colazione, abbandonati ai suoi piedi.
E i singhiozzi strazianti che il manto nero ingoiava, il ruggente assolo di un violino umano che si spandeva nell’aria.
Era tossica la sensazione d’essere di carne e di non poter sfuggire da quel carcere.
Adagiava la testa contro il vetro freddo della finestra, per ricordarsi di essere ancora viva.
Stava soffocando chiusa nella sua pelle.
il cielo della notte lasciava trasparire la verità oltre la patina di ruggine che solitamente mascherava il mondo.
Ruggine su di noi, sussurrò lei prima di conficcare la lametta nella carne.
Un sussulto, poi nulla più.
Aveva cominciato a procurarsi dolore volontario quando gli altri avevano volontariamente cominciato a farle male.
Sentiva rombare i motori nella notte, oltre la finestra di vetro.
In lacrime non riusciva a distinguere bene le forme. Vedeva bagliori affumicati indistinti, biglie luminose che si rincorrevano e sistematicamente si fermavano, minuti in attesa in cui parevano estinguersi e rimpicciolire, attimi in cui il suo cuore martellava nel petto e le veniva voglia di strapparsi anche quello.
Sanguinavano le sue braccia, e l’aria fredda si insinuava nei graffi, lasciandole addosso una terribile sensazione di malessere.
In quei momenti dondolava leggermente cercando un assetto equilibrato in quel marasma di pensieri e gesti scoordinati.
Aveva dei fogli bianchi, li aveva riempiti di disegni e insulti.
Qualcuno pensava che lei fosse troppo saggia per la sua età.
Altri che fosse una bambina maledetta.
Biologicamente era una ragazza che mai si era sentita propriamente giovane.
Il suo unici talento era di essere sempre fuori tempo.
Viaggiava con il fuso orario sballato.
Tastò per terra, cercando un appiglio per non cadere.
Invece ci ripensò, e lasciò che il suo corpo franasse al contatto con il suolo gelido.
Non aveva acceso il riscaldamento, voleva che le sue dita diventassero rosse e le unghie di un blu cadaverico.
Voleva per poi osservarle e sentirsi friabile.
Scoppiò a ridere, accorgendosi che stava andando quasi in ipotermia.
Un nuovo graffio per festeggiare.
Da quella prigione non si poteva sfuggire se non con una risata.
Ma era un latrato, quello a salire nel buio, come fumo dal comignolo.
In balia della bruma notturna, pareva impazzire.
Riusciva a strappare così bene la ruggine dalla realtà.
Ne vedeva delle belle.
Nessuno poteva vederli, ma lei scorgeva quanto traballanti fossero le certezze umane.
In un momento in cui nemmeno Dio poteva salvarla, lei vedeva e assentiva.
Il sangue sparso sulle sue gambe non le dava alcun fastidio.
La vertigine che le provocava, era un ottimo palliativo per il suo dolore.
Non era nel corpo che fremeva.
Ciò che davvero sapeva farla urlare, ero quello che non voleva scorgere in se stessa.
Nella sua mente le catacombe erano popolate da anime in pena.
Nella sua mente le bombe crollavano assalendo i ruderi delle capitali ammaccate e zoppe.
Nella sua mente quel corpo bagnato di sangue non era che un inutile ammasso di cellule.
Cellule destinate a sparire.
Cellule non meritevoli di vivere.
Perché racchiudevano un mostro, un demone in libera circolazione nel mondo.
Anche se i demoni naturalmente dovevano vivere sulla terra, il postribolo più squallido e adatto al loro carattere sanguinario.
Nonostante dicesse di odiare il mondo lei lo sapeva.
Era conscia della sua malvagità.
Chiunque potesse fare questo a se stessa, doveva essere un’arpia.
Era talmente cattiva ingiusta e sbagliata, da essere la perfetta abitante di siffatto dannato postaccio.
Schegge sulla pelle, tatuaggi del suo dolore.
Le mancava il fiato.
L’asfissia, il male del secolo.
Soffocava nel suo corpo malefico.
Nel suo corpo inutile.
Zack.
Graffi sconnessi sulla pelle, per sedare la voce che gliela rammentava.
Dolore rappreso in sacrificio al mostro appollaiato sul suo petto.
La notte l’avvolgeva, udiva e obliava ogni cosa.
<< maledetta te. Dannata me >> sospirò, scribacchiando sui fogli già devastati dalle penne. Bucati per l’impeto con cui le aveva impugnate.
La maledizione non era vivere, ma desiderarlo senza successo.



fine.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: LeMuseInquietanti