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Autore: GiuliaStark    04/06/2015    1 recensioni
Elris è una mezzelfo,ha 3500 anni ed ha visto molte battaglie,ora l'unica cosa che vuole è vivere in tranquillità e solitudine il resto della sua immortalità; ma un giorno un vecchio amico dal passato viene a bussare alla sua porta trascinandola nuovamente tra avventure e pericoli che potrebbero sfociare in una nuova guerra e lei vincolata ad una vecchia promessa non può evitare di accettare. Così si metterà in viaggio con una compagnia formata da 13 Nani,uno Hobbit ed uno stregone; ma il viaggio risveglierà in lei antichi orrori che credeva vinti per sempre,incubi che saprà lasciarsi per sempre alle spalle solo se permetterà a se stessa di aprire il suo cuore all'amore...
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gandalf, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti!!! Scusatemi per il clamoroso ritardo ma lo studio mi sta lentamente uccidendo, fortuna che tra poco è finita scuola! Comunque, questo capitolo diciamo che fa un pò da passaggio per poi arrivare al finale che delimita la prima parte di questo racconto. Spero vi piacerà! Un bacio e buona lettura! Mi raccomando recensite in tanti!!!! 😉

POV ELRIS

Il giorno arrivò presto lasciando una cupa ombra su di me e sulla sera precedente. Il confronto con Kili mi aveva privata di ogni forza, svuotata e resa ancor più fragile di quanto non lo fossi poche ore prima; non avevo dormito affatto ed ora cominciavo a sentirne il peso ma ero brava a nascondere i miei sentimenti, così mi celai dietro la mia solita maschera e con un’espressione decisa stampata sul volto mi preparai a guidare ancora una volta la Compagnia attraverso le Terre Selvagge. Non mancava molto al punto d’incontro con Gandalf ma questo invece che rassicurarmi mi preoccupava ancor di più, portandomi a pensare a cosa sarebbe successo se non l’avremmo trovato lì o se aveva brutte notizie da riferirci. Sinceramente non avrei retto altri intoppi. Questo viaggio si stava rivelando ancor più difficile di quanto pensassi e non metteva a rischio solo le nostre vite ma anche la nostra sanità mentale. Si, perché la maggior parte dei Nani della Compagnia non aveva mai affrontato viaggi simili venendo dai più umili ranghi Naneschi e tutti questi pericoli non facevano altro che portare a galla le paure di tutti, anche le più profonde e nascoste che neanche noi eravamo coscienti di avere. Era successa la stessa cosa con me quanto affrontai la mia prima missione… era passato così tanto tempo eppure mi sembrava solo ieri quando iniziai a scoprire il Male di questo mondo. Ero solo una bambina eppure venni addestrata come un guerriero: mi insegnarono ad usare ogni tipo di arma, a combattere i miei nemici con tutta la forza che avevo in corpo e soprattutto a non avere alcuna paura ma, ora, era proprio questa che mi stava corrodendo dentro. La paura dell’ignoto, del ritorno di Sauron e per la vita dei miei compagni. Era troppo e tutto assieme. Kili aveva ragione da vendere: avevo bisogno di aprire di nuovo il mio cuore, ma come potevo farlo quando avevo altre priorità come salvare la Terra di Mezzo dall’Ombra? Camminavamo ininterrottamente da qualche ora: io ero davanti a tutti per guidarli e subito dietro di me c’erano Balin, Bilbo e Dori che di tanto in tanto cercavano di iniziare una conversazione con me ma, notando il mio umore, alla fine si arresero. Mi dispiaceva chiudere fuori delle persone che volevano solo aiutarmi ma purtroppo era la cosa che mi riusciva meglio. Durante la marcia ogni tanto mi voltavo per accertarmi che nessuno era rimasto indietro e più di una volta incrociai lo sguardo tormentato di Kili che, dopo avermi scrutata per qualche istante, si posava altrove. Mantenemmo il passo fino al tramonto fermandoci solo per qualche breve sosta, ma ora che la notte stava per sopraggiungere ci posizionammo in un punto abbastanza nascosto fra due dorsi collinari; sistemammo le nostre cose trovandoci un piccolo spazio per la notte; ma stavolta non ci sarebbero stati ne fuoco né risate, solo tanto silenzio visto che il territorio non era sicuro. Ci fu qualche parola scambiata sussurrando che si perse nel vento, piccoli movimenti di chi cercava ancora di sistemarsi per la notte ma nient’altro. Tutto taceva avvolto dal silenzio più totale che sembrava aver ghiacciato ogni cosa. Neanche la natura emetteva alcun suono e tutta questa staticità non faceva altro che aumentare la mia preoccupazione provocandomi anche la pelle d’oca. Il silenzio mi piaceva, ma era in situazioni come queste che cominciavo a temerlo; se c’era una cosa che avevo imparato bene nei secoli era che il silenzio in territori come questi era preludio di catastrofe, infatti il rischio di essere aggrediti in piena notte era molto alto visto che il buio poteva benissimo nascondere ogni piccolo movimento. Pian piano tutta la Compagnia cadde in un sonno profondo cullata dal Nulla che ci circondava, tutti riposavano persi nei loro sogni, tutti tranne me; rimasi sveglia a fissare il cielo sopra di noi troppo stanca per dormire ma anche troppo impaurita dal rivivere gli orrori che tenevo nascosti negli angoli bui della mente. Non so quanto tempo passai a fissare le costellazioni ma ad un tratto la stanchezza della giornata e della precedente notte insonne presero il sopravvento; socchiusi gli occhi senza neanche rendermene conto ed improvvisamente fui trascinata lontano, in un’altra era, durante un’altra battaglia…

[FLASHBACK, ANNO 3441 SECONDA ERA, MORDOR]

Alla fine la guerra contro l’Oscuro Signore Sauron era scoppiata. Le forze nemiche che uscivano dal Nero Cancello erano mostruosamente numerose e ci avrebbero presto annientato, ma la speranza di una vittoria perdurava e fu così che uomini, guidati da Isildur, ed Elfi si riunirono ancora una volta in un’alleanza disperata. Le lande desolate della terra di Mordor erano ricoperte di sangue e la morte risiedeva in ogni angolo e volto nemico; sulle pendici del Monte Fato si stava svolgendo la battaglia che avrebbe deciso le sorti della Terra di Mezzo, caduta in rovina il giorno in cui Sauron creò gli Anelli del Potere corrompendo così il fragile cuore dell’uomo portandolo alla pazzia. Gli Orchi continuavano ad avanzare verso le nostre truppe ormai ridotte allo stremo disseminando morte ma, nonostante il numero inferiore, continuavamo a dare il meglio di noi stessi. Re Elrond di Gran Burrone, assieme al suo esercito, fronteggiava il nemico ad Ovest, Isildur era di fronte al Cancello ed io ed i miei uomini ci occupavamo dell’Est. Stavo combattendo ininterrottamente da giorni anche se qui, in questa landa desolata attanagliata dalla onnipresente tenebra, sembravano non passare mai; il giorno e la notte si confondevano rendendo lo scorrere del tempo ancor più difficoltoso da percepire fino a che tutto quanto ci cominciò a sembrare congelato in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio, come una specie di Limbo eterno. Smisi di combattere per qualche secondo e mi guardai attorno: il cielo era di un rosso sangue misto ad enormi nuvoloni grigio scuro, come se lo avessero tinto così gli spiriti dei morti che giacevano a terra, brillava di una luce propria che sapeva di guerra, così incandescente da bruciarci gli occhi se lo guardavi per troppo tempo. Il sole brillante che contraddistingueva la maggior parte delle Terre non faceva mai visita in questo luogo, era come se si trasformasse adattandosi all’atmosfera diventando così solo una tiepida fiaccola nel perenne buio. Non c’era alcun segno della presenza della Vita, solo Morte. Gli uccelli avevano smesso anni orsono di sorvolare Mordor e la vegetazione rifiutava di crescere in territori maligni come questi. Era una landa abbandonata… un posto perfetto dove nascondersi e progettare vendetta. La piana sotto il Monte era occupata da ben tre eserciti che si scontravano imperterriti e senza timore contro i servi dell’Oscuro Signore; ovunque mi voltassi a guardare l’unica cosa che vedevo erano solo centinaia di innocenti mandati a morire per difendere qualcosa di più grande e fuori dalla loro portata. Ero esausta ma proseguivo ignorando la fatica ed il dolore con in mente il solo pensiero di rendere questo mondo libero dal Male. Continuavo a lottare nonostante sentissi i polmoni in fiamme per via delle esalazioni velenose che provenivano dai fuochi maledetti di questa terra; sentivo che potevamo farcela e che dopotutto gli uomini non erano così deboli come credevo. Orchi su Orchi ci venivano addosso con urla agghiaccianti e disumane ma noi d’altra parte rispondevamo con ancor più violenza. Usai tutta la rabbia che avevo in corpo per uccidere più nemici possibile ed ogni volta che mozzavo qualche testa mi sentivo ancor più carica e motivata di prima. Quando credemmo che la vittoria ormai era nelle nostre mani, il Male giocò la sua ultima arma e Sauron in persona scese a combattere munito di una nera armatura che celava interamente la sua figura: in una mano teneva un’ascia mentre nell’altra una lama Morgul. Avanzava fiero sul campo di battaglia seminando morte tra le nostre truppe con un solo gesto della mano. Fu lì che lo vidi, la fonte di questa guerra… l’Anello del Potere, l’unico che poteva governare su tutti gli altri creati in precedenza. Lo portava al dito ed era quello a conferirgli una forza immane. All’improvviso seppi cosa fare: dovevo fronteggiare Sauron. Dovevo distruggerlo o almeno provarci. I nostri eserciti erano stanchi e decimati ancor di più in quei pochi istanti che l’Oscuro Signore era sopraggiunto sul campo ed io non potevo permettere che ci fossero altre morti uomo o Elfo che sia. Mi feci largo tra gli Orchi quando ad un tratto vidi Sauron colpire con la sua ascia lo scudo di Beren, uno dei miei migliori amici e soldati, e fu lì che non ci vidi più e scattai. Non poteva ucciderlo. No. Basta morte! Basta guerre! Tutto doveva finire oggi con la sua sconfitta. Decapitai un’Orco che si mise sulla mia strada e nel momento in cui vidi Isildur poco distante da me urlai:
- Isildur! Aiutami! Sauron sta combattendo con Beren, lo ucciderà! –
Lui annuì ed insieme continuammo a farci strada a suon di fendenti; avevo ucciso molti nemici nella mia lunga vita ma mai così tanti e tutti assieme. Il sangue che colava dalla mia spada era talmente tanto che l’elsa mi scivolava dalle mani e dovevo stringerla con il doppio della forza; Elrond aveva ragione quando aveva detto che questa battaglia sarebbe stata diversa da qualunque altra si sia mai verificata o doveva ancora verificarsi. Combattere era l’unica cosa che mi manteneva lontana dal pensare alla mia solitudine… lo so, era un pensiero intricato e, a modo suo, malato ma purtroppo era la verità. La mia famiglia era distrutta e l’unica cosa che sapevo far bene era usare la spada e usufruirne combaciava con il fatto di eliminare ogni sentimento per concentrarsi solo sulla battaglia. Ecco a cosa mi ero ridotta. Avevo deciso di guidare su Mordor gli eserciti ancora fedeli a mio padre in una guerra che sapevo mi avrebbe lasciato come ricordo non solo delle nuove cicatrici, ma anche degli orribili incubi. Mi avvicinai alle spalle di Sauron ed in quel momento mi accorsi che Isildur era rimasto indietro ma non potevo indugiare oltre o il mio amico sarebbe stato spacciato; così nell’istante in cui il Signore Oscuro stava per infliggergli il colpo di grazia mi frapposi tra i due colpendo l’ascia del nemico con la mia spada facendola volare lontano a qualche metro di distanza:
- Elris, no… scappa… - sussurrò Beren.
- No, non ti lascio – risposi decisa mentre impugnavo saldamente la spada e guardavo Sauron.
- Come osi sfidarmi? – disse lui con una voce cupa e lontana che non aveva niente di umano.
- Sta lontano da lui – lo minacciai a denti stretti.
- Elris… - ripeté Beren con un filo di voce.
- E così tu sei Elris, figlia di Fanon, la Mezzelfo che ha ucciso i migliori tra i miei combattenti –
- Proprio io – dissi solenne – Ed ora sono qui per uccidere te! –
Mi lanciai verso di lui con la spada sguainata che andò a scontrarsi con la sua in un fragoroso tintinnio di ferro contro ferro, lui era molto più forte ma continuavo ugualmente a parare i suoi colpi ed evitare gli affondamenti ma non potevo negare che la stanchezza iniziava a farsi sentire e la gamba sinistra, sulla quale avevo un profondo squarcio, cominciava a cedere. Un improvviso dolore mi fece urlare e caddi in ginocchio, mi voltai e vidi uno dei generali delle truppe degli Orchi mentre uccideva Beren dopo avermi inflitto un lungo sfregio sulla schiena che sanguinava abbondantemente togliendomi quelle ultime forze che mi tenevano in piedi. Guardai il corpo senza vita di quella persona che negli ultimi vent’anni era stato l’unico spiraglio di famiglia che potevo avere; Beren era tutto per me, aveva rischiato la vita mille volte per proteggermi ed ora che sarebbe toccato a me salvarlo non ne ero stata capace. Cercai il suo sguardo e l’unica cosa che trovai furono un paio di occhi vitrei, mentre il suo volto era ancora nella morsa dell’ultima emozione che aveva provato: la paura. Lo avevo perso. Mi guardai attorno prendendomi quegli ultimi secondi per immagazzinare il dolore e mi accorsi che le nostre truppe stavano soccombendo. Era la fine. La mia fine. E quindi era qui che dopo tanto tempo sarei morta:∫ sotto i colpi del nemico circondata dal sangue dei miei simili. Ma non avrei affatto dato la soddisfazione a Sauron di vedermi persa d’animo o delirante dal dolore, no, sarei stata me stessa fino al mio ultimo respiro, costi quel che costi. Mi voltai nuovamente verso Sauron che teneva la sua lama puntata verso di me e lo guardai in tono di sfida e prima di permettergli di uccidere anche me decisi di uscire di scena come un guerriero meritava, così, in un ultimo gesto eroico, tirai fuori un lungo pugnale dallo stivale e con agilità lo lanciai in mezzo agli occhi dell’Orco che aveva ucciso il mio amico. La sua carcassa putrida cadde a terra con un tonfo sordo misto al tintinnio dell’armatura, mi stampai un sorriso soddisfatto sul volto e guardai nuovamente il Signore Oscuro:
- Questo è per Beren… - sussurrai a denti stretti.
-  Sei così sfacciata! Pagherai per questo – rispose con una voce grondante di rabbia.
- Forza – lo incoraggiai - Uccidimi – un sorriso mi spuntò sulle labbra.
- Che il tuo desiderio sia esaudito Mezzelfo –
Levò la spada mentre io non mi permettevo di abbassare lo sguardo in segno di resa, poi pochi secondi dopo si andò a conficcare nel mio ventre provocandomi un sussulto di puro dolore. La estrasse dalla mia carne e la sollevò in aria vittorioso mentre la sua risata riempiva l’intera vallata con un suono proveniente dall’oltretomba. Il dolore era lancinante e sopraffatta da esso caddi all’indietro mentre una voce lontana gridava il mio nome, ma ormai non sentivo più nulla era come se tutto avesse perso suono e regnava il silenzio più assoluto. Le tenebre si facevano man mano più vicine accogliendomi nella loro confortante ed indolore morsa che mi stava strappando da questo mondo per ricongiungermi alla mia famiglia. Un ultimo sospiro uscì dalle mie labbra prima che mi lasciai finalmente scivolare giù nelle tenebre.
[FINE FLASHBACK]

Mi svegliai di colpo tirandomi su a sedere con il panico e la paura ancora addosso, avevo gli occhi sbarrati, il respiro accelerato e tremavo come una foglia. Di nuovo quel maledetto incubo. Non mi lasciava mai, anzi, continuava ad accompagnarmi imperterrito in ogni istante della mia vita ricordandomi di quanti orrori ero stata testimone. Ero ancora persa nel mio incubo nonostante avessi gli occhi aperti, quando sentii dei passi frettolosi in lontananza, ma ero talmente immobilizzata dalla paura che non riuscivo a muovere un solo muscolo; poi qualcosa andò a poggiarsi sulla mia spalla facendomi sobbalzare:
- Ehi, ehi tranquilla Elris… - era Bilbo.
Solo in quel momento ripresi pienamente coscienza della situazione e del luogo e mi sentii decisamente in imbarazzo. Alzai lo sguardo e lo puntai verso Bilbo per accorgermi che non era solo: tutta la Compagnia era radunata attorno alla sottoscritta. Gli occhi di tredici Nani ed uno Hobbit erano puntati su di me, mi scrutavano incerti e preoccupati ed il silenzio regnava sovrano. Feci saettare lo sguardo un po’ ovunque mentre cercavo di liberarmi delle ultime immagini del sogno che ancora mi scorrevano davanti, per poi posarlo distrattamente su due persone: Kili e Thorin. Entrambi avevano la stessa espressione. Entrambi erano divorati dalla stessa preoccupazione nei miei confronti, entrambi all’oscuro dei sentimenti dell’altro. Lo sguardo di Scudodiquercia era fermo e quasi impassibile ma conoscendolo sapevo che la sua era tutta apparenza: lui sapeva, e questo lo riportava, anzi ci riportava, a vivere un’esperienza appartenente al passato; le sue mani erano strette in due pugni fino a macchiare le nocche di bianco. Thorin non aveva mai sopportato questa parte della mia vita, diceva di odiare i miei incubi quanto, se non di più, di Smaug, e che la vista della mia sofferenza dopo ogni brusco risveglio lo faceva soffrire; già. diceva, diceva, diceva… le sue erano solo parole. Distolsi lo sguardo dal suo e lo puntai a terra mentre lottavo su due fronti: il primo contro il mio respiro ancora accelerato, ed il secondo verso la voglia e l’urgenza di intrecciare il mio sguardo con quello di Kili; ma resistetti:
- Cosa… cosa è successo? – domandai senza fiato tornando a guardare verso Bilbo.
- Stavi urlando – sussurrò lui facendo vagare ancora lo sguardo preoccupato sul mio volto.
- Oh… -
Non dissi altro perché in tutta sincerità non sapevo cosa dire. Questa volta, a quanto pareva, era stata ben peggiore delle altre. Non so cosa abbia portato il sogno a rivelarsi in maniera più reale del solito ma fatto sta che ora dovevo loro una spiegazione, una spiegazione che neanche io avevo. La cicatrice che avevo sul ventre, proprio dove tantissimi anni fa la lama mi trafisse, bruciava come se mi avessero posto proprio là un carbone ardente e sentire questa sensazione dopo tutto questo tempo mi spaventava ancora di più portandomi a rafforzare la mia credenza sul ritorno del Nemico:
- Perché urlavi? – mi chiese Dwalin con gentilezza.
- Un incubo – lo guardai di sfuggita – Nulla di cui preoccuparsi -
- Sicura? – mi domandò Balin aggrottando le sopracciglia pensieroso – A me, mia cara, non sembrava affatto così –
- Sto bene – annuii distogliendo ancora lo sguardo e puntandolo verso il fuoco acceso. Sentivo che non mi credevano e percepivo la loro preoccupazione, alzai lo sguardo e lo feci scorrere velocemente su tutti, o quasi, dato che Kili lo evitavo ancora – Sul serio, è passato –
- Vuoi un infuso d’erbe, mia cara? – mi chiese Dori con gentilezza.
- Non preoccuparti Dori, sto già meglio – annuii con un leggero sorriso che di allegro aveva ben poco – Potete tornare tutti a dormire, farò io il turno di guardia -
- Come vuoi tu – stavolta a parlare fu la burbera voce di Thorin, lo guardai per meno di un secondo e quello che riuscii a scorgere fu un lampo di rabbia mista a paura e preoccupazione.
Silenziosamente tutti tornarono ai propri giacigli e fu proprio in quel momento che mi concessi un cedimento e mi voltai verso Kili rendendomi conto all’istante di aver commesso un grandissimo errore: lui era là, fermo, immobile e mi fissava intensamente e con il terrore disegnato sul volto, gli occhi spalancati dalla preoccupazione che cercavano incessantemente i miei, le labbra semi dischiuse e con anche lui la visibile voglia di avvicinarsi a me ed assicurarsi lui stesso che stessi davvero bene. Possibile che due persone così diverse tra loro come Kili e Thorin potessero avere tante cose in comune quando in ballo c’era la sottoscritta? A quanto pareva si, e questo mi spaventava da morire. Alla fine anche Kili, dopo aver ricevuto una leggera gomitata dal fratello, tornò a coricarsi; feci per sdraiarmi nuovamente quando mi accorsi che davanti a me era rimasto Bilbo:
- Ho detto che sto bene – precisai con un sospiro mentre mi passavo una mano tra i capelli in segno di frustrazione.
- Ed io non ti credo – mi sorrise con intesa, poi si sedette a gambe incrociate di fronte a me e con ancora sulle labbra quel sorriso sincero e rassicurante parlò ancora – Dai, spiega, sfogati – annuì con decisione mentre sussurrava quelle parole.
- Sinceramente Bilbo non c’è molto da dire – scrollai le spalle.
- Non importa – scosse la testa con gli occhi socchiusi – Sono qui in veste di tuo amico e come tale ti invito a parlarmi di quello che ti turba! –
- E va bene – sospirai arrendendomi alla sua testardaggine – Succede ogni notte – sospirai puntando lo sguardo sul terreno – È sempre lo stesso incubo da più di quattrocento anni e non riesco a liberarmene, non importa quanto io ci provi –
- Di cosa si tratta? – domandò con delicata curiosità.
- Nell’anno 3441 della Seconda Era ci fu una mostruosa battaglia – cominciai guardandolo negli occhi – Uomini ed Elfi si unirono per combattere un comune nemico: Sauron –
- Eri lì, vero? Hai combattuto anche tu – annuii – Cosa è successo in quella battaglia che ancora ti terrorizza così tanto? –
Distolsi nuovamente lo sguardo da quello di Bilbo e puntandolo a terra cominciai a raccontargli tutto: gli dissi delle migliaia di Orchi che ci circondavano, della perenne tenebra di Mordor, dei cadaveri a terra intrisi di sangue, del mio disperato tentativo di salvare il mio amico e per finire di Sauron. Ogni parola usciva come un fiume in piena come se fossero stanche di essere state nascoste per così tanto tempo; io parlavo e Bilbo ascoltava con attenzione ogni cosa senza mai interrompermi. Gli raccontai il modo in cui quella battaglia segnò il resto della mia vita e mi portò ad allontanarmi dal ruolo di soldato che avevo fieramente investito fino ad allora. Quello scontro aveva fatto nascere in me la vera paura, era come se avesse creato una nuova Elris più debole e fragile che aveva preso il posto di quella spavalda e combattiva. Dopotutto cosa potevo aspettarmi? Non sarei mai stata pronta a vedere i miei uomini morire, ma quella volta fu totalmente diversa: quella volta non solo morirono dei soldati, ma persino un amico… un fedele amico che conoscevo sin da bambina. In quello scontro persi più di quanto volevo dar a vedere e lo odiavo. Quel giorno vidi il vero Male che attanagliava questo mondo rendendolo schiavo, vidi la grande debolezza dell’uomo che si lasciò sedurre dal potere, la sua ferocia, l’egoismo, il tradimento e il male; vidi che nonostante i nostri sforzi avevamo perso lo stesso. Ed allora capii. Capii che tutto questo era qualcosa più grande di noi, che il Male non abitava solo a Mordor o in Sauron stesso, il Male albergava in tutti, perfino in quelli che si consideravano “buoni e puri di cuore”. Questa era una cosa già risaputa, ma vederlo con i miei occhi e da parte di persone che avevano sempre lottato per la pace e il bene mi colpì profondamente spaventandomi. Se eravamo noi i primi a cedere al Male, come potevamo difendere il resto del mondo da Sauron? Raccontai del mio scontro con l’Oscuro Signore, del combattimento e della ferita che mi inflisse e mentre ne parlavo passai involontariamente la mano sopra di essa come per accertarmi che fosse vero e non solo l’ennesimo incubo; purtroppo per me era la verità:
- Ho visto un dipinto a Gran Burrone – iniziò Bilbo pensieroso – Mi ha subito colpito, non so perché ma quella figura nera con la spada in mano che emergeva tra i fuochi della battaglia e si scagliava sugli altri mi ha fatto rabbrividire… -
- Già… - sospirai – Adesso capisci la reazione che ho avuto qualche giorno fa nella foresta – lui annuì.
- C’era anche una spada spezzata –
- Si – annuii
- Qual è la sua storia? – mi chiese incuriosito.
- Quella è Narsil la spada forgiata durante la Prima Era dal Nano Telchar per Elendil il Re dei Dúnedain, in seguito fu tramandata a suo figlio Isildur che la usò durante lo scontro con Sauron, ma egli la spezzo e prima che potesse uccidere il Re, Isildur ne afferrò un pezzo e lo utilizzò per staccare dalla mano di Sauron il dito che portava l’Unico Anello –
- Cos’era quell’Anello? –
- La fonte di un potere terribile che piegava al suo volere anche i cuori degli uomini più nobili – sospirai – E la fonte stessa della guerra –
- Tutto quello è accaduto per un Anello? –
- È una lunga storia Bilbo, ma sappi che non era un comune anello – sorrisi amaramente – Fu la battaglia più cruenta di tutte le Ere della Terra di Mezzo -
- Mi dispiace –
- Per cosa? – gli domandai incuriosita mentre tornavo a guardarlo.
- Per le cose che hai visto, per il dolore che ti porti dentro da secoli – scrollò le spalle – Non conosco quasi nulla di questo mondo e non posso parlare in generale, ma conosco te Elris – poggiò la mano sulla mia e la strinse con forza – E perché ti conosco posso dirti che non ti meriti niente di tutto questo, anzi, più di tutti ti sei guadagnata il diritto di essere felice -
- Ti ringrazio Mastro Baggins – annuii sorridendo realmente colpita dalle parole dello Hobbit.
Bilbo rimase con me finché non mi addormentai nuovamente offrendosi di fare il turno di guardia al mio posto. La mattina seguente fui svegliata dalla sensazione di qualcosa che mi sfiorava la fronte, sbarrai gli occhi e notai che nonostante l’alba fosse sorta da poco tempo tutti erano già in piedi a prepararsi per la partenza. Mi voltai vedendo un ombra accanto alla mia e mi ritrovai a fissare le grandi iridi marroni di Kili, il respiro mi si bloccò e mi ritrassi istintivamente; non mi sentivo pronta a fronteggiarlo, ma dopo quello che mi aveva confessato mi chiesi se lo sarei mai stata. Lui non diceva nulla, si limitava a stare lì inginocchiato di fronte a me a guardarmi; distolsi lo sguardo e lo puntai verso le montagne che intravedevo a Nord e mi persi nella bellezza che veniva donata al paesaggio a quest’ora, ma la presenza di Kili rendeva il tutto ancora più complicato:
- Cosa c’è? – domandai con un sussurro senza guardarlo direttamente.
- Ti ho portato la colazione – rispose con un bisbiglio; passarono alcuni minuti prima che parlò ancora e prima di farlo mi prese la mano con delicatezza – Ieri sera sarei voluto rimanere io assieme a te – mentre diceva quelle parole disegnava delle spirali sul dorso della mia mano con il pollice.
- Non sarebbe stato il caso – risposi evasiva mentre ritraevo la mano – Grazie per la colazione, ma è meglio se ora ti vai a preparare – lo guardai di sfuggita – Partiamo subito – Kili in risposta sospirò ed annuì piano, poi prima di andarsene mi rivolse uno sguardo tormentato e triste che non mi sarei più tolta dalla testa per tutta la giornata.
Ripartimmo nel giro di un’ora, il tragitto era ancora abbastanza lungo anche se quella precedente era stata la parte meno faticosa; verso mattina inoltrata ci lasciammo alle spalle le vaste pianure e colline del Rhudaur e ci incamminammo lungo un sentiero più ripido e roccioso che ci avrebbe condotti al luogo d’incontro con Gandalf. La preoccupazione per una sensazione del tutto sconosciuta continuava a crescere in me ma decisi di ignorarla e proseguire a guidare il gruppo senza farmi distrarre da altro; i territori attorno alle Montagne non erano per niente sicuri ed il fatto che vi erano un gran numero di caverne non aiutava, anzi, aumentava il rischio di essere attaccati da chiunque le abitava, per questo tenevo sempre una mano sull’elsa della spada. Se c’era una cosa positiva che le battaglie mi avevano insegnato era lo stare sempre in allerta. Non importava dove ti trovavi o con chi, mantenere alta la guardia era una priorità assoluta che poteva salvarti la vita. L’impressione ed il sospetto di essere attaccati da un momento all’altro non ti abbandonavano mai, ti rimanevano addosso come una seconda pelle che bruciava quando questo presentimento aumentava; io lo consideravo come altro “regalo” dovuto alla sensazione di essere circondata da migliaia di nemici. Da quando eravamo partiti nessuno aveva avuto il coraggio di avvicinarsi a me dopo l’accaduto di eri sera, c’era imbarazzo… e come potergli dare torto? Quella della scorsa notte fu la manifestazione più forte e reale che avessi mai avuto di quel sogno e questo non faceva che far crescere in me la sensazione che tutto ciò non fosse che un avvertimento del crescente potere di Sauron. Mentre continuavamo con il nostro percorso ebbi modo di pensare a come avevo ignorato Kili questa mattina e dire che non mi aveva fatto male mi rendeva solo una bugiarda, ma in che altro modo potevo allontanarlo? La domanda mi girava per la mente senza trovare una soluzione e nel frattempo mi domandai se allontanarlo fosse veramente ciò che più volevo. Mi voltai di pochi centimetri per controllare la Compagnia e mentre facevo scorrere lo sguardo sul gruppo incrociai involontariamente quello di Kili: fu come se la Terra smettesse di girare e tutto perdesse il senso della ragione, qualcosa dentro di me si smosse facendomi sussultare per la strana sensazione che quello sguardo mi provocò. Scossi la testa e tirai un sospiro mentre mi voltavo ancora, tutta questa faccenda mi stava distraendo troppo e non potevo permettermelo e stavolta quando accelerai il passo fu con la convinzione che avevo preso la decisione giusta: Kili era una distrazione. Marciammo per tutto il giorno fino a coprire una distanza abbastanza lunga, ci fermammo solo quel poco che bastava per riprendere le forze o per mangiare; le pianure ormai avevano lasciato definitivamente il posto alle rocce già da un po’ e nel primo pomeriggio ci ritrovammo molto vicini alle pendici delle Montagne Nebbiose. Il cammino era estenuante e rischioso per via dell’inclinazione abbastanza ripida del terreno, ma nessun membro della Compagnia sembrava voler cedere, perfino Bilbo che non era mai uscito più in là della Contea teneva duro senza lamentarsi. Verso l’imbrunire trovammo il sentiero che portava su per le Montagne e iniziammo ad intraprenderlo prestando il doppio dell’attenzione per via del crescente numero di massi appuntiti e per il suo restringersi visibilmente man mano che si saliva di quota; avanzavamo lentamente uno dietro l’altro aggrappandoci alla parete rocciosa per evitare di cadere giù. Al calare definitivo della sera eravamo arrivati già a metà del percorso, quando, alzando lo sguardo verso il cielo, notai che stava iniziando a coprirsi di grosse nuvole nere che nel giro di qualche minuto portarono ad abbattersi su di noi una pioggia scrosciante accompagnata da un vento forte, tuoni e fulmini che ci rendevano quasi impossibile vedere anche ad un metro di distanza da noi:
- Dobbiamo trovare un posto per ripararci! – urlai cercando di superare il frastuono della tempesta.
- Non credo che ci siano delle grotte nei dintorni – mi rispose Thorin mentre guardava in alto verso la cima della montagna.
Un’improvvisa folata di vento più forte delle altre ci scaraventò addosso la parete rocciosa e nel mentre sentii qualcosa serrarsi attorno al mio braccio e stringere con forza, mi voltai e solo in quel momento notai Bilbo che cercava di rimanere in piedi:
- Tutto bene? – gli domandai.
- Si, a parte che non riesco a vedere nulla per via della pioggia –
- Fai attenzione e metti i piedi dove li metto io –
Riprendemmo ad avanzare nel temporale, quando ad un certo pinto la Montagna cominciò a tremare come se si fosse scatenato un terremoto e per non cadere ci aggrappammo con tutte le nostre forze alla roccia, poi sembrò come se l’intero monte si sollevasse da terra ed iniziasse a muoversi e lo stesso fecero le altre vette che scorgevamo d’innanzi a noi; tutto questo movimento provocò la caduta di frammenti rocciosi che si scontravano contro il fianco della Montagna dove ci eravamo fermati noi:
- Riparatevi! – urlò Thorin.
Afferrai Bilbo per una spalla e lo cacciai indietro verso un’insenatura nella pietra; la tempesta infuriava e la Montagna continuava a tremare, ma c’era qualcosa che non andava, che non era normale. Mi guardai attorno sporgendomi un poco per cercare di capire cosa stesse succedendo ma proprio in quel momento altri massi si schiantarono poco sopra di noi facendo cadere dei frammenti sulle nostre teste; all’improvviso mi sentii afferrare il braccio destro e trascinare con forza all’indietro verso la parete, mi voltai ed incontrai lo sguardo preoccupato di Gloin:
- Attenta Elris! Potevi rimetterci la vita! –
- Ti ringrazio – annuii.
Tornai a guardare dinnanzi a me, quando le due vette di fronte si alzarono dal terreno come se improvvisamente avessero preso vita e cominciarono a lanciarsi grosse pietre, fu lì che finalmente capii:
- Giganti di pietra… - dissi sorpresa.
- Allora le leggende erano vere! – esclamò Bofur sporgendosi per vedere meglio.
- Riparati sciocco! – lo rimproverò Thorin.
Altri massi si infransero su di noi e fu allora che anche la Montagna sulla quale ci trovavamo si trasformò in uno dei Giganti e cominciò a tirare pietre verso gli altri due; mi aggrappai alla parete cercando di non perdere l’equilibrio mentre altre pietre caddero su di noi:
- Dobbiamo spostarci da qui! –
- Continuiamo a camminare – suggerì Balin.
Riprendemmo a salire cercando di evitare i frammenti che venivano dall’alto tenendoci ben attaccati al fianco della Montagna; il sentiero era bagnato fradicio e pieno di pozzanghere che aumentavano il rischio di farti scivolare, così avanzammo con cautela ma gli scossoni erano talmente violenti che ci dovevamo fermare spesso per assicurarci di non cadere. Ad un tratto le scosse si fecero più forti e la Montagna si aprì in una voragine che la divise a metà separando me, Bilbo, Bofur, Thorin, Dwalin e Fili dal resto della Compagnia. In quel momento dentro di me si scatenò qualcosa di del tutto inaspettato: dal profondo iniziò a crescere un forte timore per Kili, avevo lo sguardo fisso su di lui mentre cercava di reggersi agli spuntoni di roccia presenti sulla parete ma ogni tanto lo perdevo di vista per via della pioggia. Il sentimento che stavo provando era qualcosa di nuovo e del tutto inaspettato che riuscì a farmi rimanere senza parole; all’improvviso Kili si voltò nella mia direzione ed i nostri sguardi si intrecciarono e accadde la stessa cosa di quel pomeriggio: tutto scomparve. Non c’era più la tempesta, non c’era la Montagna che rischiava di ucciderci tutti, non c’era il fossato che ci divideva, non c’era più niente… eravamo solo noi due e la paura dipinta l’uno sul volto dell’altro. All’improvviso fui riportata alla realtà da un altro violento scossone, poi accadde tutto nel giro di pochissimi secondi: il Gigante di fronte a noi si gettò in avanti andando a colpire il lato della Montagna dive c’era il resto della Compagnia e in quel momento fu come se il cuore mi sprofondasse nel petto:
- NO! – urlò Thorin.
- KILI! – esclamai in preda alla disperazione.
Ero rimasta paralizzata. Il mondo mi crollò addosso nel giro di qualche secondo e pregai con tutta me stessa i Valar che Kili e gli altri stessero bene. No… non potevo perderlo, la sola idea mi faceva star male in un modo che non avevo mai sperimentato prima e questo mi spaventava; l’improvvisa paura che gli potesse essere successo qualcosa mi attanagliò il ventre in una morsa gelata. Continuavo a fissare incessantemente quel punto nella speranza di chissà quale miracolo ma non accadeva nulla. Tutto sembrava essere rallentato nel momento in cui i due Giganti si scontrarono: un momento prima ci stavamo guardando negli occhi e quello dopo… sparito sotto la roccia. Il cuore mi batteva all’impazzata e non aveva nessuna intenzione di rallentare, ogni secondo che passava era una lunga agonia. Nel petto mi si era aperta una voragine ancora più profonda di quella che avevo di fronte e da essa fuoriusciva solo un immenso dolore che solo la certezza che Kili fosse vivo poteva attenuare; mi sentivo impotente, inutile ed estremamente debole. Avevo le gambe che tremavano non riuscendo più a reggere il peso che mi era caduto improvvisamente sulle spalle. La tempesta continuava imperterrita ad abbattersi su di noi: il vento soffiava incessantemente scuotendomi i capelli che andarono a coprirmi parzialmente la visuale, mentre la pioggia continuava a bagnarmi ma il tutto era irrilevante di fronte alla sensazione che stava crescendo in me, talmente forte che mi aveva portato a versare lacrime di terrore. Poi all’improvviso fu come se l’intorpidimento e la paura svanissero lasciando che il mio corpo reagisse quasi subito scattando in avanti e voltando l’angolo del versante Ovest del monte proprio mentre il Gigante che vi si era sdraiato sopra si stava rialzando e iniziai a pensare a quale spettacolo mi dovevo preparare ad assistere: saranno vivi? Feriti? Ma quando tornai ad avere la visuale libera e li vidi lì tutti sani e salvi tirai un sospiro di sollievo e mi aprii in un sorriso; il peso che avevo sulle spalle era sparito e mi accorsi solo in quel momento che avevo iniziato a versare lacrime di gioia. In quel momento capii una cosa fondamentale: per me Kili era importante. La sola idea di averlo perso mi aveva distrutta e paralizzata dalla paura. Fili aveva ragione: non potevo ignorare che provavo qualcosa per suo fratello, non potevo ignorare la forza che mi spingeva ogni volta che era nei paraggi a cercare il suo sguardo, almeno non più. Tutti questi sentimenti non mi erano estranei, sapevo cos’era l’amore, anni fa lo provai anche io ma quando mi fu strappato via decisi che era un sentimento troppo rischioso a cui aprirsi perché una volta che se ne andava bruscamente ti lasciava senza niente. Ti portava via tutto: la felicità, la voglia di vivere, il sorriso, tutto… ed io non volevo più provare niente di tutto ciò. Una volta mi era bastata. Almeno questo era quello che avevo pensato fino a poco fa. Vedere Kili in pericolo mi aveva aperto gli occhi e il pensare a quanto altro ne avremmo trovato sul nostro cammino mi fece arrivare alla conclusione che dopo secoli di solitudine, tristezza e privazione potevo comportarmi da egoista e prendermi ciò che mi rendeva di nuovo felice; almeno se mi fosse successo qualcosa durante il viaggio alla fine non avrei avuto rimpianti. Nel frattempo mi avevano raggiunto anche Thorin e gli altri, ma prima che qualcuno potesse dire o fare qualsiasi cosa, fui presa da un altro impulso che mi portò a correre verso di lui finché non mi ritrovai tra le sue braccia:
- Grazie al cielo stai bene! – dissi con la voce che rischiava di spezzarsi per via delle lacrime che erano riprese a scendere.
Kili non ci pensò due volte a ricambiare la stretta con vigore, poggiando la fronte nell’incavo del mio collo e tirando un lungo sospiro; sentirlo così vicino mi provocò un brivido lungo la schiena che mi portò a stringerlo ancora più forte:
- Tranquilla… - cercò di rassicurarmi mentre ci scioglievamo dall’abbraccio – Sto bene –
Dopo che ci fummo accertati che anche gli altri membri della Compagnia stessero bene iniziammo a percorrere un altro pezzo di sentiero lottando sempre contro le intemperie, quando ad un tratto Bilbo, che era davanti a me, mise male un piede e scivolò; prontamente si aggrappò alla roccia per non cadere giù. La pioggia battente rendeva tutto ancor più scivoloso e lui di sicuro non avrebbe resistito allungo, così non persi tempo e mi inginocchiai afferrandogli il braccio cercando di tirarlo su ma da sola non ci riuscivo: l’attrezzatura che portava ed i vestiti bagnati lo rendevano più pesante, così Bofur ed Oin mi aiutarono prendendolo per l’altro braccio ed alla fine, lottando contro la pioggia ed il vento che ci soffiavano in viso, riuscimmo a rimetterlo in piedi:
- Grazie… - ansimò mentre cercava di riprendersi dallo spavento.
- Credevamo ti avessimo perso! – esclamò Dwalin sollevato
- Lui si è perso fin dal momento che è uscito da casa sua – disse Thorin con durezza – Non sarebbe dovuto venire! Non c’è posto per lui tra noi – a quelle parole mi voltai e guardai il Nano con un sopracciglio alzato, stupita dalla cattiveria che aveva messo in quelle parole; lui di tutta risposta ricambiò il mio sguardo con altrettanta sufficienza.
- Non ascoltarlo – dissi a Bilbo poggiandogli una mano sulla spalla mentre continuavo a guardare Thorin in malo modo.
Alla fine riuscimmo a trovare una grotta dove ripararci, entrammo e ci sistemammo come si poteva visto che non era molto grande ma visto il tempo fuori era meglio di niente:
- Bene, accendo il fuoco – disse Bifur.
- No, niente fuoco – rispose Thorin – Meglio che restiamo inosservati, queste grotte potrebbero non essere disabitate – si guardò attorno, poi puntò lo sguardo verso di me e notai che nei suoi occhi c’era qualcosa di strano – Bofur, fai il primo turno di guardia – poi si allontanò.
Con un profondo sospiro mi lasciai scivolare lungo la parete di roccia fino a terra mentre con una mano mi toglievo il cappuccio dalla testa, mi strinsi le gambe al petto e cercai di rilassarmi e stendere i muscoli ancora tesi per via della paura e dell’adrenalina che mi scorrevano in corpo. Le emozioni che avevo provato poco fa erano ancora vive in me e non avevano intenzione di andar via; avevo lo sguardo puntato a terra mentre nella testa continuavo a rivivere il momento in cui temetti di poter perdere Kili. Quei pochi minuti sembrarono eterni e addosso mi avevano lasciato la stessa sensazione che avevo al risveglio dopo i miei incubi con l’unica differenza che stavolta avevo gli occhi aperti. Kili si inginocchiò davanti a me con un vago sorriso sul volto e con i capelli bagnati che gli ricadevano sulle spalle dandogli un aspetto un po’ selvaggio:
- Sei ferita? – mi domandò con gentilezza ed io scossi la testa come risposta.
- Tu? – gli chiesi.
- Sto bene – annuì mentre continuava ad osservarmi con attenzione – Che hai? –
- Nulla… - sussurrai evitando il suo sguardo.
- Ehi… - lui non si arrese, così mi afferrò il volto tra le mani, incurante di chi poteva vederci o meno, e mi guardò dritta negli occhi - Parlami –
- Stanotte ho rischiato di perderti – dissi con un filo di voce mentre sentivo le lacrime salire nuovamente.
- Ma non è successo – rispose sistemandomi una ciocca bagnata dietro l’orecchio.
- Per la prima volta in tutta la mia vita mi sono sentita veramente impotente ed è stato orribile… -
- Elris… - sussurrò dolcemente il mio nome, poi mi prese tra le sue braccia stringendomi forte a se e solo in quel momento mi accorsi delle lacrime erano cominciate a scendermi sulle guance.
Rimasi lì nel suo caldo abbraccio e mi lasciai consolare. Kili continuava a far scorrere la mano destra lungo la mia schiena nel tentativo di calmarmi un po’ e, non so come, ma ci riuscì; avevo il volto nascosto nell’incavo del suo collo mentre il suo profumo mi riempiva piacevolmente le narici con una dolce fragranza che si avvicinava molto a quella della foresta e della terra:
- Mi dispiace – dissi guardandolo negli occhi mentre mi scioglievo dall’abbraccio – Non mi sarei dovuta comportare così in questi ultimi giorni –
- Non importa – Kili scosse la testa aprendosi in un luminoso sorriso sfiorandomi il volto con la punta delle dita – Adesso riposa, va bene? –
Annuii leggermente e socchiusi gli occhi sentendo solo in quel momento la stanchezza che mi crollava addosso; Kili fece per alzarsi ed andar via ma io lo trattenni afferrandolo per un braccio, dopo la paura che avevo provato oggi volevo averlo vicino il più passibile:
- Resti con me? –
- Certamente – annuì con un sorriso.
Mi distesi assieme a lui notando in quell’istante che, oltre a Bofur, eravamo gli unici ad essere rimasti svegli. Poggiai la testa sulla sua spalla mentre lui mi circondò il fianco con il braccio poggiandomi un leggero bacio sulla testa e, mentre mi trovavo così, seppi con certezza che nessun incubo sarebbe venuto a farmi visita. Non seppi quanto dormii, ma sicuramente non doveva essere stato più di qualche ora visto che a fare da sentinella c’era ancora Bofur; mi misi a sedere cercando di non svegliare Kili che dormiva beatamente e feci girare lo sguardo attorno: tutti dormivano tranquillamente, grati che finalmente avevamo trovato un riparo asciutto dalla tempesta. Mi passai una mano tra i capelli facendola poi scendere sul viso nel tentativo di scacciar via la stanchezza, quando improvvisamente il pavimento della grotta cominciò a tremare svegliando tutti di soprassalto. Ci guardammo attorno confusi, poi la terra sotto i nostri piedi incominciò a cedere formando delle grosse e profonde spaccature che nel giro di qualche secondo si aprirono facendoci cadere tutti all’interno di un cunicolo scavato nella roccia che procedeva verso il basso in modo ripido. Mentre precipitavamo cercavamo di trovare un appiglio ma vista la velocità non riuscimmo ad afferrare nulla. Dopo essere caduti all’interno della Montagna per circa settecento metri, il cunicolo terminò e finimmo tutti in una specie di trappola a forma di gabbia che si trovava proprio sotto il buco d’uscita; eravamo tutti doloranti e confusi… dove eravamo finiti? Sicuramente non era niente di buono e purtroppo ne avemmo la conferma quando una numerosa quantità di ripugnanti, piccoli Goblin iniziò a venire verso di noi. Ci presero e ci strattonarono via dalla rete e dopo averci spogliato a forza delle armi ci spinsero verso quella che doveva essere la loro città, cercai di dimenarmi e combatterli ma mi tenevano saldamente per le braccia impedendomi ogni minimo movimento:
- Lasciatela stare! – gridò Kili furibondo mentre anche lui cercava di liberarsi ma con scarso successo.
Ed ora cosa ci sarebbe successo? Ci avrebbero fatto prigionieri o saremmo diventati il loro pasto? Probabilmente entrambe le cose. Nessuno poteva salvarci: Gandalf era chissà dove e forse con lo scontro fra i Giganti non si era neanche potuto avvicinare alla Montagna e come dargli torto visto che non molte ore fa anche noi avevamo rischiato di lasciarci la pelle? Mi guardai attorno nella speranza di riuscire a trovare una via di fuga ma tutto ciò che vidi furono tante rocce che si arrampicavano l’una sull’altra fino a perdita d’occhio creando delle insenature che furono adibite come case collegate tra loro da una fitta rete di moviole e pontili di legno abbastanza instabili. Continuavano a spingerci in avanti per farci camminare fino a giungere nel cuore della città e nel mentre iniziarono ad intonare una alquanto lugubre canzone che parlava di ossa rotte, corpi triturati e massacri; alla fine ci fermammo di fronte ad un imponente cumulo di legna e robaccia varia sul quale si ergeva una gigantesca sedia che ospitava un enorme, disgustoso e puzzolente Goblin:
- Chi è stato così sfrontato da entrare nel mio Regno? Spie? Ladri? Assassini? – parlò quell’orribile creatura con voce profonda.
- Nani Vostra Malevolenza – disse un Goblin – Ed un Elfo femmina –
- Nani? – domandò stupito – Ed un Elfo? Dov’è? –
Alcuni dei mostriciattoli dietro di me mi spinsero in avanti verso quell’enorme ammasso di lerciume che loro chiamavano il loro Re, alzai lo sguardo puntandolo nel suo con un evidente tono di sfida; il Goblin mi guardava con interesse e con un leggero sorriso che velava le sue labbra viscide:
- Qual è il tuo nome Elfo femmina? –
- Non sono cose che ti riguardano – risposi duramente.
- Oh… qualcuno qui ha un bel caratterino – esclamò canzonatorio – Farai meglio a placarti se vuoi che i tuoi amici vivano –
Mi voltai e vidi tutti i Goblin stringersi attorno alla Compagnia con fare minaccioso, così cedetti:
- Elris – dissi mentre tornavo a guardarlo fisso negli occhi – Mi chiamo Elris –
- Elris…- ripeté lui pensieroso mentre si strofinava il mento pieno di pustole – Oh, si! – esclamò – Conosco il tuo nome! – puntò il dito verso di me – Tu sei l’Elfo leggendario che combatté davanti il Nero Cancello e che osò sfidare l’Oscuro Signore – poi si rivolse al Goblin che aveva parlato prima – Dove li avete trovati? -
- Nel portico anteriore –
- Cosa ci fa un Elfo divenuto leggenda in compagnia di tredici Nani? Uhm? – mi domandò alquanto sospettoso.
- Non avrai risposte da me –
- Non restate lì impalati! – urlò ai Goblin – Perquisiteli ancora! -
I mostriciattoli iniziarono a frugare da ogni parte, cercai di scrollarmeli di dosso ma fu inutile dato che mi si attaccarono alle braccia immobilizzandole:
- Cosa ci fate da queste parti? – domandò nuovamente il Re Goblin – Parlate! – ma nessuno fiatò – Molto bene, se non vorranno parlare saremo costretti a farli urlare! Portate qui la spezza ossa! Cominciate dalla femmina –
Iniziarono a strattonarmi ancora di più mentre davanti a me compariva un enorme macchinario che non pronunciava nulla di buono; tentai ancora una volta di divincolarmi mentre dietro di me sentivo Kili protestare e dimenarsi:
- Aspetta – disse Thorin.
Mi voltai di scatto verso di lui e scossi la testa: non poteva esporsi così, nonostante ci fossero dei dissapori tra di noi mi importava ancora molto di lui; Thorin era un Re erede di un grande Regno, serviva vivo, e soprattutto intero, era fondamentale per la sua gente e non potevo permettere che rischiasse per una che ormai aveva vissuto anche fin troppe vite. Lui però, come suo solito, mi ignorò e continuò a farsi largo tra la folla comparendo proprio in prima fila sotto lo sguardo stupito del Grande Goblin:
- Bene, bene, bene guarda chi c’è! Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thròr e Re sotto la Montagna! Oh… dimenticavo! Non ce l’hai una Montagna! – esclamò il Goblin incominciando a ridere assieme ai suoi simili, poi quando ebbe finito continuò – Ma tu non sei neanche un Re e ciò fa di te un nessuno in realtà – sapevo che Thorin stava per perdere le staffe e sinceramente non sapevo quanto gli sarebbe stato utile; poi il Re riserbò sia a me che Thorin uno strano sguardo mentre sorrideva sornione – Conosco qualcuno che pagherebbe un bel prezzo per le vostre teste. Solo quelle nient’altro attaccato – rimasi perplessa e incominciai ad insospettirmi: c’era qualcosa di strano nella voce di quella creatura, qualcosa che suonava come la soddisfazione – Forse sapete di chi sto parlando, un vecchio nemico tuo – indicò Thorin – Al quale tu, Elfa, hai mozzato un braccio – sgranai gli occhi ed il Goblin sorrise – Un’Orco pallido a cavallo di un bianco Mannaro –
- Non può essere… - sussurrai con ancora gli occhi spalancati.
- Azog il Profanatore è stato distrutto, trucidato in battaglia molto tempo fa! – ribatté Thorin duramente mentre ci scambiavamo uno sguardo.
- Così pensate che i suoi giorni da Profanatore siano finiti, vero? – ridacchiò mentre guardava entrambi – Invia un messaggio all’Orco Pallido – ordinò ad uno dei suoi sudditi – Dì che ho trovato sia il Nano che l’Elfa –
A quelle parole si alzò un grido di esultazione che si sparse tra tutti i Goblin: eravamo in trappola, non c’era alcuna via di fuga. È qui che sarei morta? Per mano di alcune sudice creature? Non temevo la morte, la mia almeno, ma non sopportavo che degli innocenti venissero messi in mezzo a questioni in sospeso avvenute tanti anni fa e che ne subissero le conseguenze. Ma cosa potevo fare io? Più cercavo di liberarmi, più i Goblin si stringevano attorno a me rendendo l’aria quasi irrespirabile ed aumentando la presa sulle mie braccia già doloranti e in quell’istante sperai che in qualche modo i Valar ci avrebbero aiutato. Le parole del Grande Goblin ancora mi risuonavano in testa come una nenia antica e lugubre che preannunciava morte: Azog era vivo. Il Profanatore era sopravvissuto alla battaglia di Azanulbizar nonostante le ferite mortali ed ora si era messo sulle nostre tracce bramando la mia testa e quella di Thorin come trofeo.


ANGOLO AUTRICE
Eccoci qua, finalmente la cara Elris ci ha svelato quale incubo la tormenta tanto, ma SOPRATTUTTO si è accorta che il caro Kili non le è poi tanto indifferente. E poi vi siete chiesti perchè è così riluttante nell'innamorarsi DI NUOVO??? Centrerà il povero Beren??? Bhè ci vediamo la prossima volta e FORSE ne saprete di più! Un bacio ed un abbraccio a tutti!! 😉😘
P.S. Continuo a ringraziare di cuore chiunque legga, recensisca e che ha messo questa storia tra le preferite!
GiuliaStark

  
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