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Autore: Sophie_moore    04/06/2015    4 recensioni
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[...]La Seconda Guerra Mondiale era finita da qualche mese e finalmente suo padre era potuto tornare a lavorare in Fiat. Isabella non sapeva bene come mai aveva smesso di andare, sapeva solo che c'entrava coi fascisti e con un tesserino.[...]
Benvenuti nella mia prima storia di genere storico! Spero non sia un obbrobrio, nel caso siate clementi! E aiutatemi a migliorare!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopoguerra
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La guerra di Isa

La guerra è un castigo tanto per chi la infligge quanto per colui che la patisce. (Thomas Jefferson)



La guerra era finita.

Isabella aveva circa dodici anni e si svegliava ogni mattina con la stessa frase in testa.

La guerra è finita, si ripeteva come un mantra, quando scendeva dal letto e sbadigliava.

La guerra è finita, mentre si vestiva, finalmente senza l'obbligo di indossare la gonnella fascista e la camicetta.

La guerra è finita, riecheggiava nella sua mente mentre usciva di casa per andare a lavorare in fabbrica. Ogni sguardo che incontrava le faceva capire che non era l'unica a pensare quella cosa, c'era una scintilla di luce in chiunque, nelle colleghe, nel suo capo, nelle persone che incontrava per strada, era come un tacito accordo, si guardavano, si sorridevano. La guerra è finita, dicevano i loro occhi, i loro cuori.
La Seconda Guerra Mondiale era finita da qualche mese e finalmente suo padre era potuto tornare a lavorare in Fiat. Isabella non sapeva bene come mai aveva smesso di andare, sapeva solo che c'entrava coi fascisti e con un tesserino. L'aveva sentito parlare con sua madre, ai tempi, ma non si era mai interessata troppo: aveva la scuola, e poi le sfilate fasciste e il lavoro. Le parevano discorsi troppo da grandi, e poi, se suo padre avesse voluto informarla, l'avrebbe detto durante la cena, quindi aveva deciso saggiamente di farsi gli affari propri.


Quel giorno aveva deciso di fare una strada diversa per tornare a casa, passando dalla parte opposta rispetto alla solita: avrebbe attraversato il centro.
Man mano che si avvicinava alla piazza centrale della sua città, quella dedicata allo stratega piemontese Cavour, sentiva sempre più chiaramente delle urla, che però non sarebbero dovute esserci in quanto non era giorno di mercato.

La guerra è finita, si ripeté per farsi forza. Aveva dovuto imparare che il rumore era collegato alle rivolte, alla morte. Per quello lei prediligeva di gran lunga il silenzio, anche se sopportava stranamente bene il brusio dei telai della fabbrica. Ogni passo che faceva la portava ad essere sempre più vicina alla fonde del rumore.

La guerra è finita, voleva esserne sicura perché il periodo appena passato era stato tremendo, anche per loro che non avevano subito deportazioni o violenze particolare. Andavano avanti a patate bollite che lei ed i suoi fratelli dovevano guadagnarsi sgomitando con altri ragazzini lungo la ferrovia. I sacchi che cadevano dai treni merci potevano essere recuperati solo dai ragazzini, nessun adulto aveva il permesso di avvicinarsi.

La guerra è finita.

Arrivò alla piazza ed alzò lo sguardo: era una piazza ovale, grossa ed in pendenza verso l'alto, dove culminava con una piccola chiesa. Sul lato destro c'erano degli edifici di cui non ne conosceva lo scopo, mentre sulla sinistra vi era un enorme muro. Di solito si poteva vedere l'immensità della piazza, il colore dei quadrotti di pietra che ricoprivano il suolo e anche le vetrate colorate della chiesa.
Ma quel giorno, piazza Cavour era gremita di gente che non si riusciva quasi a respirare.

La guerra è finita.

Tutta la sua cittadina sembrava esserci concentrata lì, tanto che era difficile muoversi per attraversarla, anche per lei che era piccolina e secca. Avrebbe voluto chiedere cosa stesse succedendo, ma tutto il frastuono delle persone le faceva male alle orecchie.
Aguzzò la vista, cercando di riconoscere una faccia amica. I volti di tutti quanti erano contratti in smorfie colme d'odio e ribrezzo, si stupì di vedere in quello stato anche chi conosceva come persone pacifiche, che in quel momento urlavano ed insultavano.
Isabella non riusciva a capire perché fossero così infuocati – sospettava che fosse a causa degli strascichi lasciati dalla guerra, avevano cambiato le persone spesso in un modo irreversibile –, finché non notò un piccolo gruppo di uomini contro al muro di sinistra. Scrutò meglio, mettendosi in punta di piedi, e così riuscì a notare qualcosa di terribilmente inquietante: quattro uomini in divisa e armati di fucili, mentre uno con un paio di manette luccicanti ai polsi e vestito di nero stava in mezzo. La ragazzina lo riconobbe come il completo fascista. Subito si sentì le gambe cedere: il cervello la bombardò di immagini in cui vedeva quell'uomo in giro per il paese, lo vide come l'unica faccia amica lì in mezzo, e sembrava esausto, sconfitto, rassegnato.

La guerra è finita.

Con tutte quelle urla non riusciva a capire cosa gli uomini in vantaggio numerico stessero dicendo, ma Isabella aveva un sospetto in mente. Sperava intensamente di sbagliarsi, ma le armi non promettevano affatto bene.

La guerra è finita.

La piazza continuava ad urlare, scalpitare, sembrava un grosso animale inferocito e senza freni, riusciva a captare insulti terribili che neanche aveva mai sentito in vita sua.

La guerra è finita.

Si guardò attorno disperata, il cuore che iniziava a batterle violentemente forte nel petto, terrorizzata. Doveva fare qualcosa o quel poveretto era morto! Perché doveva morire? Cos'aveva fatto di male? Eppure lei lo conosceva, non era un uomo cattivo! Doveva fare qualcosa! Subito!

La guerra è finita, si urlò nella mente, strizzando gli occhi.
La guerra è finita!
La guerra è finita!
La guerra è finita!

Aprì gli occhi nel momento in cui sentì degli spari. E quell'uomo era morto, in una pozza di sangue, traforato.
Isabella non sentì altri rumori dopo quei colpi violenti che rimbombarono nell'aria ancora per un po'. Tutta la piazza pareva essersi zittita, o forse era solo lei che la percepiva così. Era morto. Quel poveretto era morto.

Si toccò le guance quando si sentì bagnata, scoprendo che stava piangendo. A dirotto, anche. Man mano che il tempo passava e lei rimaneva immobile nella sua posizione sentiva il suo forte singhiozzare e la gola annaspare alla ricerca di ossigeno.
Le altre persone iniziavano ad andarsene, tuonando soddisfatte che “se lo meritava, quel fascista di merda”, “così impara a schierarsi dalla parte sbagliata” e cose di quel tipo. Ma un uomo era solo un uomo.

Perché?

Lo ricordava, prima che iniziasse la guerra, era un uomo buono, le aveva sempre sorriso quando la vedeva in fabbrica o a girovagare, lei lo ricordava come un uomo gentile. Perché aveva fatto quella fine? Avrebbe voluto chiamarlo per nome ma non le veniva proprio in mente, sapeva che era un nome francese, ma non lo ricordava.

La guerra è finita.

« Era un brav'uomo. » sentì dire da una donna, i capelli raccolti in una crocchia grigia e le rughe le solcavano il volto intristito. « Aveva solo scelto la parte sbagliata. Ma per dar da mangiare ai figli, non poteva fare altrimenti. » spiegò più a se stessa che ad Isabella, che intanto la guardava sconvolta. Forse non era l'unica che provava un minimo di tristezza per l'orrore appena avvenuto.
La signora si voltò verso di lei e le fece un sorriso triste. « Mi dispiace. » le disse, per poi allontanarsi anche lei.

Isabella rimase sola. Sola col suo terrore, con il suo orrore, con le sue lacrime e col suo gelo. Tremava ed era sconvolta.

La guerra è finita.

Le parve una presa in giro. Per la prima volta da quando gli alleati erano sbarcati per porre fine a quel delirio, dubitò di quella frase. Come poteva essere finita una guerra se a distanza di mesi si continuava ad uccidere in nome di quella?

Prese un profondo respiro e si mise a correre via da quel posto, andando a sbattere contro chi aveva assistito all'omicidio e tornava a casa come se non fosse successo nulla. Corse a perdifiato, rischiando di cadere una serie innumerevole di volte, le lacrime le appannavano la vista e respirare per lo sforzo iniziava ad essere difficile.


Arrivò a casa sua, si fiondò dentro e si lanciò ad abbracciare suo padre, lasciandosi andare in un pianto disperato e travolgente. L'unica cosa che riusciva a pensare era che ci poteva essere suo padre lì, contro quel muro.

« Isa, ma che ti prende? » brontolò l'uomo, poco avvezzo alle dimostrazioni d'affetto. È

« È morto… » boccheggiò Isabella, stringendosi alla maglia nera di suo padre.

Lui sospirò. Diede uno sguardo a sua moglie, che fece un sorriso dispiaciuto: avevano provato a tenerla lontana da quell'esecuzione non dicendole nulla, ma forse era proprio il destino. « Mi dispiace. » le sussurrò, accarezzandole i capelli.

La guerra è finita.

La guerra è finita.

La guerra è finita?
  
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