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Autore: ninety nine    05/06/2015    1 recensioni
[Post MJ, pre epilogo]
Certe notti bisogna rimanere svegli per mettere ordine nelle nostre vite, oppure c'è il rischio che la voglia di chiudere gli occhi per sempre sia troppo forte da reprimere. Spero tanto che nelle tue notti bianche tu riesca a riordinare i tuoi pensieri e a salutare ogni notte una persona cara. Magari anche noi siamo tra quelle persone lontane e irraggiungibili, chi lo sa? Sappi però che ti siamo vicini, anche se solo con il pensiero e che si aspettiamo a casa, se mai vorrai tornare da noi.
I tuoi fratelli ti salutano tanto e mi dicono di andare a trovare TuSaiChi, non mi vogliono dire altro. Spero che tu capirai...manchi anche a loro, soprattutto a Vick e a Posy. È un periodo in cui faccio davvero fatica a comprendere ciò che prova Rory, perché è in piena adolescenza e credo gli manchi una figura di riferimento, ma quando Vicko nomina TuDovrestiSaperChi del Distretto Due sorride anche lui. Cosa c'è lì di così particolare per voi tre discoli?
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Famiglia Hawthorne, Gale Hawthorne, Hazelle Hawthorne, Posy Hawthorne
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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'Certe notti sei sveglio o non sarai sveglio mai

Ci vediamo da Mario prima o poi '



''È colpa tua!''

La voce di tuo fratello suona così vera tra il bianco abbagliante in cui sembra essere immerso. Ha ragione Rory Hawthorne, dall'alto dei suoi quattordici anni. Ha ragione ad incolparti della morte della ragazzina di cui era innamorato, ne sei consapevole, ma dentro di te senti nascere un urlo di dissenso che vorresti a tutti costi fare uscire, ma la tua bocca rimane muta, come se ti avessero tagliato la lingua come punizione per ciò che hai fatto.

'''Tutta colpa tua! Ti odio, Gale. Ti odio!''

Vorresti urlare, vorresti giustificarti, vorresti dire che no, non è vero. Vorresti implorare perdono e buttare le braccia al collo a quel quattordicenne arrabbiato in cui fai fatica a riconoscere i tratti del bambino che hai lasciato. Vorresti, ma la voce ti si blocca in gola, i piedi si inchiodano a terra e iniziano a sprofondare nel fuoco. Ti accorgi con orrore che c'è fuoco intorno a te, fuoco che ti brucia gli abiti ma non la pelle, pronto ad imprigionarti nella sua morsa per l'eternità. Spalanchi la bocca e inizi a sentire da lontano un urlo. Resti ad ascoltarlo per un po' prima di renderti conto che quella voce è la tua e che insieme a lei arriva un vortice di visi che ormai non vedrai più. Stringi i pugni, serri gli occhi, poi li spalanchi di colpo...


''NO!''

Sento la mia voce che risuona tra le quattro mura bianche che delimitano camera mia e quasi ne rimango spaventato.

Suona così poco mia, così tanto da preda che mi fa paura.

Che poi, sto dicendo no a cosa? Al sogno che mi tormenta da quasi un anno, ormai, ricordandomi perennemente quello che ho creato? Alle affermazioni di mio fratello e al fatto che l'ho abbandonato, che ho abbandonato la mia famiglia? All'insonnia che mi tormenta in queste notti ventose?

Per calmarmi provo a lasciare scorrere gli occhi sull'ambiente che mi circonda, ormai diventatomi famigliare, dato che questa camera è l'unica casa che sono riuscito ad ottenere dalla fine della rivolta. Peccato che pensare all'Accademia Militare del Distretto Due come mia unica dimora non fa che aumentare il mio nervosismo.

Stringo le mani a pungo e mi metto a sedere di scatto.

Odio l'insonnia perché mi permette di riflettere per lunghi periodi sulla mia solitudine, sul mio passato, sulle mie azioni. Ma la cosa che mi dà più fastidio è che in quest'ultimo periodo odio anche il sonno, perché porta con sé i visi delle morti che ho provocato e che hanno segnato la mia vita, insieme a un gran numero di accuse e rimorsi sempre differenti.

Cosa c'è che non va in me?

Lascio che i miei occhi si spingano oltre la finestra alla ricerca di qualcosa su cui fissarsi di diverso dai fantasmi e vedo l'insegna mezza spenta dell'unico locale che ho mai frequentato nei miei vent'anni di vita.

Porta mezza scassata, muri in mattoni e un'insegna al neon che dovrebbe funzionare dalle sei di sera alle sei di mattina, ma che in realtà va soltanto quando ha voglia lei.

Questo è, molto in breve, il bar più vicino all'Accademia e alla piazza in cui si svolgevano le Mietiture, durante gli Hunger Games.

Non so bene cosa abbia spinto il proprietario, un omone dalle spalle larghe e che penso proprio non abbia mai avuto problemi economici, a differenza mia, ad aprire un locale proprio in questo punto del Distretto.

Fatto sta che Mario, questo è il nome dell'uomo e di conseguenza del locale, era riuscito a diventare in casa mia, al Dodici, il simbolo del Distretto Due, poiché vista la posizione del suo bar veniva inquadrato in ogni registrazione che lo riguardasse.

Ogni anno, la sera dopo la Mietitura, quando a tutti gli abitanti di Panem toccava vedere quelle di ogni distretto, i miei fratelli rimanevano sull'attenti fino a che l'omone non compariva, per qualche secondo, con le braccia incrociate e l'aria assorta fuori dal suo locale, incassato fra l'Accademia e le corde che delimitavano le zone in cui stavano i ragazzi.


''Ci sarà anche quest'anno l'uomo ciccione fuori dal bar, Gale?''

''Si chiama Mario, Vick! Ma riesci a leggere l'insegna o no?''

''Ehi, calma, peste! Vick ha appena iniziato ad andare a scuola, non riesce a leggere. E comunque sì, Vicko, penso proprio che anche quest'anno lo vedremo!''


Non ho mai capito come mai si divertissero così tanto a vedere quell'uomo, ma li lasciavo fare, perché concentrandosi su quello potevano riuscire a dimenticare l'evento in cui appariva. Probabilmente erano ancora piccoli per capire cosa significava veramente una Mietitura, poiché per loro era ancora qualcosa di molto lontano. A me, invece, già incombeva sul collo come una scure. In un certo senso, attendevo anche io la visione di Mario, perché significava che ero lontano dalla morte certa per un altro anno.


''Guarda, ecco che tocca al Due! Ora inquadrano la piazza e lo fanno vedere!''


Era sempre Rory che si accorgeva di quando arrivava il momento e richiamava all'ordine il fratello minore, impegnato a tenere compagnia a nostra madre, seduta al tavolo insieme alla piccola Posy, il più lontano possibile dalla televisione e da ciò che vi veniva mostrato.

Vick allora correva rapido verso il materasso e puntualmente spintonava il maggiore.

I loro occhi di bambini non si soffermavano sui visi dei due ragazzi che, quasi sempre volontari, salivano sul palco con la voglia di gloria nello sguardo, così diversa da quella che si leggeva negli occhi stanchi e rassegnati dei nostri, di tributi.


''Cosa spingi, nanetto! Lascia vedere un po' anche me!''

''Ci vedi benissimo, sono io quello basso che non ci vede mai perché ci sei davanti tu!''


Toccava sempre a me intervenire a mettere fine ai loro battibecchi infantili. Ripensandoci ora, darei tutto l'oro che non ho mai avuto per tornare a quei tempi, per essere lì a ridere con loro, pur con la tensione nel cuore. Richiamarli sarebbe dovuto essere compito del padre, ma il nostro se n'era andato. Era successo da poco e ricordo ancora fin troppo bene il dolore della perdita, il senso di mancanza e la rabbia bruciante dentro di me, che ancora non si è del tutto estinta.


''Ehi, state buoni. Ci state tutti e due comodamente. Forza, uno qua e uno là.''


Poi mi sedevo in mezzo a loro, anche se odiavo dover rimanere a vedere quei ragazzi che salutavano la folla consci della loro forza, ma anche della possibilità di non tornare mia più.

Poi arrivava l'inquadratura di Mario, Vick iniziava a ridacchiare e Rory si fingeva infastidito, ma i suoi occhi chiari lasciavano trasparire il suo divertimento. Ha sempre avuto questo atteggiamento fintamente adulto, specchio del mio. Voleva imitarmi, ma non capiva quanto era pesante essere ciò che ero diventato per loro, fratello e padre, amico e guida. Avevamo un gran bel rapporto, io e Rory, ci capivamo nonostante la differenza di età. Mi somigliava molto, anche se lui era un po' più dolce, più sognatore, più bambino. Probabilmente è per questo che mi fa così male vedere che mi urla contro, nei miei sogni frammentati dalla veglia.

A quel punto iniziavano a fare una lotta fatta per lo più di solletico e risate, nella quale mi trascinavano a forza e in cui entravo volentieri, per sentirmi ragazzino anche io, per qualche istante, ma i miei piedi tornavano ben piantati per terra alla domanda che Vick mi poneva, speranzoso, ogni singolo anno. Gliel'aveva insegnato papà a sperare, ma io faticavo a mantenere vive le sue parole.*


''Ma noi ci andremo, da Mario, un giorno? Perché secondo me è una persona simpatica.''


La sua voce suonava semplice, salda nelle sue convinzioni infantili e io non me la sentivo di porlo di fronte alla realtà, che era molto diversa da un viaggio per salutare quell'uomo panciuto. Ogni anno mi imponevo di farlo, ma ogni anno sentivo papà che sussurrava che la speranza è l'unica cosa più forte della paura e io non volevo che i miei fratelli avessero paura.


''Certo che ci andremo, un giorno.''


Ogni volta, dopo questa frase mi sentivo in colpa, perché lo stavo illudendo. Perché pensavo che l'unico modo per arrivare anche solo nei dintorni del Due fosse essere estratti per gli Hunger Games. Eppure, nel vedere come stanno ora le cose, è possibile. Io sono qui, proprio in quel Distretto che avevo promesso al mio fratellino. Posso alzarmi, sollevare la cornetta e chiamare casa, implorare il loro perdono e inviatali a vedere dove sto ora, anche se non è casa mia. Nessun posto mi appartiene, ormai. Sono soltanto un relitto, un giovane cresciuto troppo in fretta che non appartiene ne al passato ne al presente.

Le promesse di allora suonano vuote tra queste quattro mura. Una camera uguale a mille altre in un'Accademia per soldati che non mi è mai appartenuta, circondato da visi che non fanno altro che ricordarmi che io non appartengo a loro.

Ripenso alle parole di mio fratello, nel sogno, e anche quelle mi sembrano senza significato.

E' colpa tua.

Non l'ho mai sentito dire quelle parole, dopotutto: potrebbero essere soltanto uno scherzo della mia mente stanca.

Mi rendo conto di stare stringendo un lembo del lenzuolo tanto forte da avere le nocche biancastre.

Lascio ricadere la schiena sul materasso e sento la testa che sbatte sul cuscino.

Chiudo gli occhi, sperando che il sonno si decida una volta per tutti a portarmi con lui, concedendomi una tregua sia dagli incubi che mi tormentano che dal presente, ma questa è una di quelle notti in cui sembra che il mondo intero voglia farmi stare sveglio per forza.

Perfetto, giusto per essere rimproverato di nuovo, domani mattina, dall'addestratore perché non dormo abbastanza, almeno secondo lui, per svolgere al meglio i miei compiti.

Dovrò ingoiare l'orgoglio, annuire e scusarmi.

Mai lo avrebbe detto il diciassettenne che cercava la libertà nei boschi, che un giorno sarei finito qui, in un'Accademia, ad ubbidire ai miei superiori e a due passi da quel Mario che i miei fratelli hanno tanto sognato di vedere.

Sotto il cuscino sento il plico di lettere mai lette che vi conservo sotto e qualcosa mi si muove dentro.

Infilo una mano sotto il guanciale e lo tolgo, poi rimango ad osservarlo. Vorrei gettarlo via, ma allo stesso tempo vorrei rompere ogni busta per leggere con avidità ciò vi è contenuto. Vedo la scrittura ordinata di mia madre campeggiare sulla prima busta e il secondo desiderio prevale distintamente.

Mi avvicino alla finestra per sfruttare la luce del neon del bar e libero l'unica sedia della stanza dai panni che vi sono ammassati sopra.

Sento che le mani mi tremano, mentre sfilo una busta a caso dalla metà del pacchetto e apro la busta.


Gale,

mi manchi da morire.

Sai che certe volte mi chiedo per quale motivo stia continuando ad inviarti lettere su lettere, anche se tu non mi rispondi? 

Sai che ogni giorno cerco il postino con gli occhi, ma lui non si ferma mai alla nostra porta? 

Ho dato la colpa al sistema postale fino ad ora, ho sperato in una serie di disguidi, ma se guardo in faccia la realtà capisco che o sto diventando un'illusa a causa dell'età oppure è soltanto la mia testardaggine che mi fa prendere in mano la penna.

Come stai, figlio mio?

Ti penso spesso, provo a immaginare come questo anno lontano da noi possa averti cambiato. Quando ho iniziato a provare qualcosa per tuo padre lui aveva la tua età...chissà se gli assomigli tanto quanto gli assomigliavi da bambino. Io credo di sì, anche se questi sono gli anni in cui un ragazzo diventa veramente uomo.

Tu sei cresciuto più in fretta di quando avrei voluto, mi sembra ieri che eri il bambino con gli occhi sfuggenti che varcava la porta della scuola elementare di malavoglia, ma a certe leggi della natura non si può sfuggire e tutti e due lo abbiamo capito benissimo.

A volte però qualcosa cambia. Ci sono posti che rinascono, per esempio.

Il Distretto Dodici sembra risorto dalle sue stesse ceneri grazie a quelle persone che tu hai salvato, Gale. Vorrei tanto che tornassi per vedere il frutto del tuo lavoro, anche se so che sarà difficile, perché per te ci sono troppi fantasmi qui. Ma ci siamo anche noi, la tua famiglia. Ti vogliamo ancora bene, Gale, non ti fare imbrogliare da rimorsi e illusioni. Non sei mai stato il tipo che si faceva mettere i piedi in testa dalla vita, non lasciare che succeda ora, figlio mio.

Non dovrei dirtelo, ma lo faccio, perché sono preoccupata per te. Sono tua madre, vorrei venire a conoscenza dei tuoi problemi direttamente dalla tua bocca e non da quella di qualcun altro.

Mi ha telefonato uno dei tuoi superiori dicendosi preoccupato per te, perché dice che soffri di insonnia in modo preoccupante. Succedeva anche a me, dopo la morte di tuo padre. Io credo che succeda quando non vogliamo lasciare andare le persone care che sono ormai lontane da noi e quindi rimaniamo svegli, la notte, sperando di vederle ritornare da noi. Certe notti bisogna rimanere svegli per mettere ordine nelle nostre vite, oppure c'è il rischio che la voglia di chiudere gli occhi per sempre sia troppo forte da reprimere. Spero tanto che nelle tue notti bianche tu riesca a riordinare i tuoi pensieri e a salutare ogni notte una persona cara.

Magari anche noi siamo tra quelle persone lontane e irraggiungibili, chi lo sa? Sappi però che ti siamo vicini, anche se solo con il pensiero e che ti aspettiamo a casa, se mai vorrai tornare da noi.

I tuoi fratelli ti salutano tanto e mi dicono di andare a trovare TuSaiChi, non mi vogliono dire altro. Spero che tu capisca...manchi anche a loro, soprattutto a Vick e a Posy. È un periodo in cui faccio davvero fatica a comprendere ciò che prova Rory, perché è in piena adolescenza e credo gli manchi una figura di riferimento, ma quando Vicko nomina TuDovrestiSaperChi del Distretto Due sorride anche lui. Cosa c'è lì di così particolare per voi tre discoli?

Ora passo la penna alla donnina di casa, che vuole lasciarti due parole.

Ti voglio bene, Gale, te ne vorrò sempre.

Ricordati chi sei, fallo a qualunque costo, figlio mio.

Con amore,

Mamma.


Chiudo gli occhi per alcuni istanti dopo aver finito di leggere la lettera e sento le ciglia che si inumidiscono leggermente.

Passo il palmo della mano sugli occhi e ricordo a me stesso che odio piangere e che devo essere il giovane combattivo di cui mia madre è fiera.

Osservo il plico di lettere che ho in mano e immagino il contenuto di tutte le altre. All'improvviso il senso di colpa mi stringe lo stomaco, perché li ho abbandonati esattamente come avevo giurato di non fare mai.

Li immagino seduti dietro a una finestra della nuova casa che osservano il postino, vedo gli occhi di mia madre persi nel ricordo del bambino che ero. A quattordici anni ho giurato che li avrei protetti per sempre.

E me ne sono andato.

Soltanto i vigliacchi scappano e io ho fatto esattamente così.

Sono un vigliacco.

Ricordati chi sei.

Già, chi sono? Cosa sono diventato?

Mi mordo il labbro inferiore fino a che non sento dolore.

Penso al discorso che mia madre ha fatto sull'insonnia, un modo fin troppo poetico per descrivere ciò che provo nelle notti in cui devo stare sveglio anche se non lo vorrei.

Lo sguardo mi cade su quel TuSaiChi e sorrido alla finestra, verso la luce al neon dell'insegna di Mario che si fa notare con prepotenza in queste notti semibuie e che ricordano anche dai miei due fratelli, al Dodici.

Volto il foglio di carta e vedo i caratteri lasciati dalla mano di mia sorella, incerti e grandi, da bambina. La immagino che aggrotta le sopracciglia sopra gli occhi grigi con la penna pronta mentre cerca di scrivere e desidero tutto d'un tratto essere accanto a lei a guidare la sua mano per non farla sbagliare come avrei fatto se non fosse successo nulla.

Niente rivolta, niente trasferimento, ma anche niente libertà.

Anni di sofferenza, di lavoro in miniera, di Mietiture passate dalla parte degli spettatori senza poter fare nulla se sul bigliettino fosse comparso il nome di un Hawthorne, di possibilità di morte e di continui stenti, per me e per loro.

Probabilmente è meglio così: io lontano da loro, ma loro liberi.

Liscio un angolo della lettera che si è spiegazzato e inizio a leggere le parole di mia sorella.


Caro Gale,

mi manchi lo sai?

Credo che manchi anche alla mama e a Rory e a Vick, però a me mi manchi di più, perché non c'è più nessuno che mi racconta le storie prima di andare a leto e che mi fa ridere come fai tu.

Mi ha detto la mamma che ti stai allenando per diventare una persona che aiuta le persone, ma però io vorrei che tu tornassi da noi.

Ai visto che ho imparato a scrivere? però la maestra mi dice che devo stare più attenta agli errori anche se ho appena incominciato, ma a me mi viene sempre da pensare a te che sei vicino a Mario. Vikc Vick mi ha dettoche ridevate tanto tutte le volte che lo vedevate alla televisione e a me piacerebbe vederlo anche a me.

Adesso ti scrivo solo io perchè loro due sono ancora a scuola per tutto il pomeriggio perchè è lunedi, ma io mi ricordo che devo dirti di salutargli Mario e che magari un giorno veniamo anche noi a trovarlo.

Io a dire la verità più che a trovare lui verrei per te, ma mi anno detto di dirtelo assolutamente.

Adesso vado che mi fa male la mano a scrivere così tanto.

Ti volio tantotanto bene! Posy **


''Oh, Posy'' sussurro sottovoce.

Un sorriso mi increspa le labbra nel leggere gli strafalcioni e i pensieri semplici di mia sorella, ma il tarlo del dubbio e del rimorso torna ad insinuarsi in me.

La rivedo la sera in cui sono partito, addormentata in braccio a mia madre e stanca per aver insistito tutto il giorno nel cercare di ficcare nella mia valigia anche i suoi vestiti perché così posso venire anche io con te.

So che non posso tornare a casa proprio ora, manca poco alla fine del mio addestramento e mia sorella ha ragione, sto cercando di diventare soldato per far del bene alla gente. Fin ora abbiamo disperso i gruppi di simpatizzanti verso il vecchio governo, ma gran parte del nostro allenamento è mirato a fare di noi dei protettori della popolazione. Di certo, le mie dita non maneggeranno mai più materiale esplosivo, ne se possibile armi diverse dal vecchio arco che ho recuperato clandestinamente dai boschi di casa.

Però posso tener fede alla mia promessa di tanti anni fa.

Ci andiamo tutti insieme da Mario, prima o poi.

Manca soltanto un ultimo dettaglio, ovvero il consenso del comandante.

Di solito le reclute non potrebbero avere contatti con i parenti per un anno e mezzo ad eccezione di telefonate o lettere o nelle festività, almeno fino alla scelta del Distretto a cui essere destinati, ma il comandante lascia a molti la possibilità di trasgredire.

Peccato che non sono esattamente tra i suoi preferiti, grazie alla mia testardaggine e al mio orgoglio mal celati, e che oltretutto non ho voluto tornare a casa nemmeno per lo scorso Natale.

In questo caso, però, il comandante può anche andarsene al diavolo.

Dopotutto non gli ho mai chiesto niente, nemmeno un fazzoletto di carta.

Ricordati chi sei.

Mi ha scritto mamma.

Lascia che le notti insonni ti aiutino a mettere ordine nei tuoi pensieri.

Ho sempre pensato alla notte come qualcosa di negativo, ma è vero che può servire anche a riordinare il tuo essere.

Certe notti sei sveglio, o non sarai sveglio mai.

Certe notti servono a prendere delle decisioni che potranno cambiare la tua vita, chi se ne importa se sono stupide, avventate o dettate da una lettera letta alla luce del neon di un locale.

Certe notti o sei sveglio o non tornerai mai suoi tuoi passi.

Certe notti l'insonnia deve venire a bussare alla tua porta insieme al ricordo dei tuoi cari e svegliarti dal torpore in cui sei ricaduto.

Certe notti devi aprire gli occhi di fronte alla realtà o arriverà un momento in cui non troverai mai il coraggio di aprire gli occhi, perché la vita non ti sembrerà più degna di essere vissuta.

Certe notti devi soltanto sollevare la cornetta e svegliare altre persone, per implorarle di venire da te e di aiutarti a risollevarti dalle ceneri in cui sei crollato senza rendertene conto.

Annuisco in direzione della finestra e ringrazio in silenzio mia madre e mia sorella per avermi aiutato a guardare in faccia chi sono, chi ero e chi sarò.

Mi avvicino al telefono e compongo rapidamente il numero.

Immagino il segnale che esce dalla mia finestra, sorvola l'insegna di Mario e si dirige verso il Distretto Dodici, libero come avrei voluti essere, ma diretto verso casa.

Dopo pochi squilli qualcuno dall'altra parte risponde e la voce di Rory si fa sentire, impastata dal sonno.

''Chi è?''

All'improvviso le sue parole accusatorie del sogno mi ritornano alla mente e sento l'impulso di chiudere la chiamata. Respiro profondamente un paio di volte prima di parlare, anche se non so bene cosa dire per riallacciare i rapporti con casa mia.

Io mi ricordo che devo dirti di salutargli Mario e che magari un giorno veniamo anche noi a trovarlo.

Io a dire la verità più che a trovare lui verrei per te, ma mi anno detto di dirtelo assolutamente.

Le frasi scritte storte sul foglio di carta dalla mia sorellina sembrano illuminare a giorno anche questa notte in cui sono rimasto sveglio.

La ringrazio mentalmente, sperando di poterlo fare presto di persona e di poterle dare presto tutto l'affetto che le ho negato in questo anno e mezzo.

''Ci vediamo da Mario, prima o poi?''




Ave popolo di poveri lettori che leggono le mie storie!

Innanzitutto, questa storia è ambientata un annetto abbondante dopo la fine della rivolta, quindi a cavallo fra l'ultimo capitolo e l'epilogo di MJ. Racconta (che strano) del mio caro Hawthorne in un periodo molto delicato per lui, spero di averlo reso al meglio!

Il tutto si è sviluppato sulle note (letteralmente) fornitemi dal contest ''Il contest delle canzoni senza senso'' di Ily91 sul forum di EFP, infatti lo specchietto che trovate qui sotto è il suo.

La citazione è quella riportata in cima alla storia, tratta da ''Certe Notti'' di L. Ligabue. Ho sempre pensato che i bambini del Dodici siano in grado di divertirsi con poco, catturando scorci e personaggi degli altri distretti nei pochi momenti possibili, come la repliche delle mietiture.

Il personaggio di Mario è un personaggi inventato da me. Il nome è italiano sia per necessità scrittorie legate alla canzone sia per una mia idea, ovvero che Panem, derivando dagli USA, abbia in sé discendenti (e quindi nomi) di varie nazionalità

Detto ciò, basta... se mi lasciate una recensione mi fate felice ^^

A presto 99


*Accenno ai fatti raccontati in 'Uccel di bosco'


** Posy a questo punto della storia ha sei anni e un po', quindi gli errori nella lettera sono voluti...è improbabile che una bambina di sei anni scriva in italiano perfetto!





  
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