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Autore: darkrin    08/01/2009    5 recensioni
V° Classificata al contest: Non conosci il titolo indetto da Dreaming Ferret.
Prima di entrare all’Accademia, la notte prima, andavano tutti insieme a lasciare delle barchette di carta nel fiume e le guardavano andar via tutti insieme, tutti bambini, la mattina dopo sarebbero stati ninja, ma quella notte, in quel momento, erano ancora dei bambini che lasciavano il loro piccolo, tenero, cuore su quelle barchette di carta.
[Neji/Hinata ~ Sentimentale/Introspettivo/Malinconico]
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hinata Hyuuga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I'm lost like a bottle
I bambini di Konoha avevano un’abitudine, come un rito, che, dalla fondazione del villaggio era passata, intoccata, di generazione in generazione.
Prima di entrare all’Accademia, la notte prima, andavano tutti insieme a lasciare delle barchette di carta nel fiume e le guardavano andar via tutti insieme, tutti bambini, la mattina dopo sarebbero stati ninja, ma quella notte, in quel momento, erano ancora dei bambini che lasciavano il loro piccolo, tenero, cuore su quelle barchette di carta.
  
  
I’m lost like a bottle that floats in the sea
  
[ Mi sento perso come una bottiglia che galleggia nel mare ]
Elisa – Broken
  
  
La bambina aveva corti capelli neri: buffi ciuffetti che cercavano di nascondere un volto arrossato, e un sorriso sulle piccole labbra; posò con delicatezza la barchetta di carta azzurra sull’acqua e si rialzò di scatto, controllando di non aver macchiato il kimono argentato.
Lui la guardava pochi passi più indietro, – pochi giorni dopo l’avrebbe odiata, ma che importava? –.
<< Ehi, e la tua barchetta? >> gli chiese un bimbetto castano; << Devi lasciarla anche tu. >> esclamò, seccato.
Lui sbuffò non gli piaceva quella cosa e non gli andava di lasciare il suo cuore tra i flutti. Suo padre gli aveva detto che si sarebbe divertito, che sarebbe stato un momento unico; lui dubitava che lo fosse. Che avesse un senso, ma lo fece comunque, lasciò la sua barchetta grigia e si voltò prima di vederla sparire oltre la prima curva del fiume, incontrando, per un attimo gli occhi della cugina, prima che lei distogliesse lo sguardo.
  
  
La barchetta subisce l’ira delle correnti e viene sbattuta di qua e di là: contro gli scogli.

  
  
La palla rossa, scivolò per terra e rotolò sull’erba verde fino a cadere, con un Pluf! nell’acqua del laghetto.
Il rumore della palla era stato l’unico rumore in tutto il giardino. L’unico movimento in quell’attimo di stasi.
Quando aveva visto la donna avvicinarsi e tutte quelle altre persone aspettare, lì, sotto il portico, Neji si era fermato.
L’espressione sui loro volti non gli piaceva per niente. Lo spaventata e dov’era suo padre? Dov’era?
La palla riemerse dall’acqua con un secondo Pluf!, esattamente, mentre la donna si chinava accanto al bambino e, di slancio, lo abbracciò.
I capelli scuri della donna profumavano di fiori e di camino.
<< Mi dispiace Neji. Mi dispiace. >> mormorò.
<< Miyuki-san! >>
Quella voce fredda, aspra, severa, spezzò il la stasi del giardino mentre suo zio varcava la soglia.
Suo zio esclamò di nuovo:
<< Miyuki-san, cosa state facendo? Lasciate il bambino. >>
La donna che l’aveva abbracciato lasciò andare Neji e si rialzò, lentamente.
<< Non sa nulla, vero? Quando avete intenzione di dirglielo? Deve saperlo. >> affermò lei.
Neji non capiva di che cosa stessero parlando, davvero non lo capiva.
Non capiva il perché di quel silenzio, di tutti quegli occhi che lo guardavano –erano fissi sempre e solo su, di lui in cerca di qualcosa, ma cosa? –, di quell’abbraccio, di quel silenzio.
Non capiva, infine perché suo zio stava cercando di cacciare la donna che l’aveva abbracciato, ai suoi occhi ingenui di bambino era sembrata gentile.
E soprattutto, Neji, non riusciva a spiegarsi, dove fosse, in quel momento, suo padre.
Dov’era?
  
  
E contro la riva.

  
  
Era primavera, a Konoha. Oltre il velo sottile della parete di carta c’è il sole e gli uccellini che cantano, gioiosi, alla sua luce; l’aria era quasi tossica, tanto era carica del profumo dei fiori, mentre si svolgevano gli ultimi preparativi per il nuovo torneo di selezione dei Chuunin.
Neji, quella mattina, li aveva visti; tornando alla villa degli Hyuuga, dopo il suo allenamento solitario: un gruppo di jounin riuniti a parlare che, appena l’avevano scorto, si erano zittiti.
Il maggior pregio di un ninja non doveva essere la segretezza?
Neji era infastidito da quel rumore: il cinguettio allegro degli uccellini, che gli giungeva alle orecchie, ovattato dalle pareti sottili.
Quella mattina era andato ad allenarsi, ancora, e, ancora, non era riuscito a vedere uno degli uccelli che l’avevano circondato.
Se vuole diventare Chuunin – e lui lo vuole –, deve riuscirci. Se vuole spezzare la gabbia deve riuscirci, si ripeteva sempre.
Anche in quel momento, in quella stanza stava cercando di spezzare quella gabbia – spezzando una persona.
Lui era in piedi, lì, con il suo sguardo sprezzante e carico d’odio e lei era accartocciata ai suoi piedi.
<<< N... Neji nii-san. >> lo chiamò lei con la voce piena di lacrime – acqua, anche quella è acqua salata.
Lui scosse il capo, sprezzante: non vuole, Signore, non vuole ascoltare. Sentì bruciare la fronte e venne colto da un altro moto d’odio per quella principessa.
<< N… Neji nii-san, mi dispiace. Non volevo. È stato un incidente. >> mormorò, ancora, lei.
La voce, di lui, quando uscì dalle labbra era fredda e tagliente e Hinata pensò che se l’avesse accoltellata lì, sul posto, avrebbe fatto meno male.
<< Statemi lontana. Non voglio più vedervi. >>
Si alzò, lasciando Hinata da sola nella piccola sala da tè estiva della villa degli Hyuuga, con le mani tremanti che raccoglievano i cocci della tazzina bianca che era caduta a terra, frantumandosi e bagnando la tunica di Neji.
Sempre troppo, troppo maldestra.
E troppo delicata, pensò, mentre le lacrime cominciavano a scivolarle lungo le guance per poi infrangersi al suolo e mischiarsi al liquido che già macchiava il pavimento.
Faceva così male.
Dovevano solo prendere un tè, tra cugini, tra amici, per augurarsi buona fortuna per l’esame di selezione dei chuunin – così aveva detto suo padre –, ma loro non erano amici, non lo erano mai stati e Neji di sicuro avrebbe voluto essere cugino di chiunque, ma non di lei. Hinata lo capiva, ma faceva male lo stesso.
Come sempre.
  
  
Per un attimo sembra fermarsi in un’ansa ma poi le correnti la trascinano di nuovo via, lontano.

  
  
Quand’era in ospedale, a letto, Hinata portava, ogni giorno, un giglio bianco – non che fosse nulla di speciale, ne portava uno a lui, uno a Shikamaru, uno a Choji, uno a Kiba e Akamaru e, ovviamente, uno a Naruto.
Quindi, no, non era un gesto speciale, non per Hinata, ma svegliarsi ogni giorno e vedere quel fiori, lì per lui, gli faceva piacere, nonostante tutto.
Quando Neji sentì la porta aprirsi rialzò lo sguardo, sperando – anche se non lo avrebbe mai ammesso – di veder entrare la cugina che, con le gote rosse gli avrebbe chiesto come si sentiva e gli avrebbe fatto un sorisso, guardando il pavimento e torturando le maniche della felpa.
A varcare la soglia, però, fu la biondissima e longilinea figura di Ino Yamanaka che entrò sbraitando.
<< Eh no, Nara, no! Questo non avresti proprio dovuto farlo. Si può sapere che cosa avevi intenzione di fare? Se solo non fossi a letto in ospedale io ti… >>
Improvvisamente, Ino mise fine alle sue urla e, sollevando un sopracciglio, chiese a Neji:
<< E tu cosa ci fai qui? >>
<< Si da il caso che questa sia la mia stanza. >>
Per un attimo a Neji parve di vedere le labbra rosse della ragazza formare una “O” perfetta, salvo poi riprendere subito la loro posa naturale: una linea sottile, con gli angoli all’insù, in una posa vagamente sprezzante.
<< Capisco. >> sibilò lei, seccata.
Neji tornò a concentrarsi sul suo fiore – solo suo – mentre Ino, sbuffando, si richiudeva la porta alle spalle facendola sbattere e s’incamminava a passo di marcia, verso la stanza di Shikamaru Nara.
Neji non lo invidiava; no, affatto.
Anche lui riceveva delle visite e di persone molto, più pacate – Rock Lee e Gai Maito, esclusi –.
Il fatto che Hinata non avesse mai varcato la sua porta, se non per portargli un fiore, quando lui ancora dormiva, non era importante.
No, davvero.
  
  
E alla fine annega.
  
  
L’aria gli raschiava i polmoni ogni volta che entrava, prima di fare il giro nelle vene.
Sapeva di star annaspando, con quella lucidità che gli aveva sempre fatto onore capiva che annaspava senza motivo.
Non c’era acqua a scivolargli nella gola; non c’erano fiamme, nel suo petto, non c’era nulla.
Solo aria che entrava graffiando e lasciando strisce di sangue che gli scivolavano lente lungo l’esofago e giù nello stomaco – nell’animo.
Tra quei gigli e quei crisantemi aveva avuto voglia di andarsene e voltare le spalle a quei sorrisi, a quella felicità non sua e a tutti quei fiori che intossicavano l’aria con il loro profumo.
Ino Yamanka gli si era strettala fianco incurante che il suo vecchio amante – uno dei suoi vecchi amanti  – era di fronte a lei, felice nei suoi abiti scuri e nel matrimonio che ora lo legava.
Ino sembrava convinta che sarebbe tornato da lei, in ogni caso, anche se la figurina di porcellana che si stringeva al braccio dell’Inuzuka, con un sorriso sicuro, era la donna a cui aveva giurato il suo amore eterno.
Neji non aveva avuto neanche il coraggio di alzare lo sguardo e guardarla, quella donna.
Non credeva in queste cose, Ino Yamanaka, non ora che Shikamaru Nara si era trasferito a Suna. Non che prima lo facesse.
<< Non vai a fare gli auguri alla sposa? È pur sempre tua cugina. >> notò Ino.
Neji, irrigidì il collo automaticamente e lo rilassò subito dopo.
<< Sto andando. >> affermò, restando immobile, come una statua posata sull’erba fresca e ordinata.
Ino sollevò un sopracciglio e poi ghignò.
<< Se vuoi glieli faccio io da parte tua. Io, sto andando, davvero. >>
Obbedendo alle sue stesse parole la biondina si avviò, sinuosamente verso i due giovani sposi, lanciando solo una vaga occhiata oltre la sua spalla, e alla lunga chioma.
Sì, avrebbe dovuto, muoversi da lì, salutare, fare gli auguri e andarsene, varcare la soglia di quella villa, di quella famiglia e lasciarseli tutti alle spalle. Tutti.
Che ci faceva lui, lì? Lì e non accanto a lei? A sua cugina?
Lì, in quel luogo che ci faceva lui?
<< Neji, nii-san! >> lo richiamò una voce dolce, leggermente affannata e un volto arrossato.
Neji spalancò gli occhi mentre gli ultimi strascichi di quell’incubo scivolavano via, sotto le lenzuola umide di sudore e ancora più lontano, negli angoli bui della sua stanza.
<< Oh, scusatemi, vi ho svegliato. >> mormorò Hinata, indecisa se scappare via, oltre la soglia o rimanere, visto che ormai il danno era stato fatto.
Dondolando, sull’uscio.
<< Cos’è successo Hinata-sama? >> chiese, scostandosi i capelli scuri dalla fronte.
La ragazza si morse il labbro.
<< Hiashi-sama vuole vederti. >> mormorò, infine, con una voce sottilissima, come un pigolio di un uccellino, ferito.
Negli occhi aveva la paura di un animale braccato.
Neji a quelle parole si alzò di scatto dal futon sfatto.
Il suo incubo, quello vero, era appena cominciato.
Le paure che, da quando era cominciato tutto strisciavano lente al suo fianco come sinuosi serpenti di fumo e si materializzavano solo nei suoi sogni si stavano tramutando in realtà.
Hiasi sapeva.
  
  
Annega solo per un attimo. Subito dopo riemerge, bagnata e malandata, ma ancora pronta a navigare. Via.
 
 
A quattro cinque anni sei solo un bambino sciocco e sorridente  – o forse, in questo caso, più sciocco che sorridente. – e della vita non sai nulla finché non capita l’Evento, quello con la “e” maiuscola che sconvolge e condiziona tutta la tua esistenza.
A dodici della vita sai meno di prima e vorresti fare a pezzi il mondo che ti circonda anche se non lo conosci affatto.
A diciott’anni vivi di sotterfugi e di gioie troppo grandi per essere vissute con continuità. Sono attimi e luci nel buio.
A trent’anni l’unica cosa che puoi pretendere è un pezzetto di serenità e di gioia leggiadra, che t’investe ogni volta che ti svegli, al fianco di Lei e che ti rendi conto che questo, forse, può – può davvero – durare e dipende solo da te.
  
  
  
  
  
• Epilogo •
  
  
  
  
  
  
  
La barchetta è sollevata da due piccole manine, che la portano al sicuro, lontana dall’acqua, in porto.
 
 
Hinata si era rattristata, quando aveva visto il cugino posare la barchetta sul pelo dell’acqua e poi voltare lo sguardo subito, per non vederla andarsene.
Aveva pensato che così quel rito non era giusto. Quando tutti i bambini se ne stavano andando era corsa, lungo il letto del fiume finché non aveva trovato la barchetta – l’aveva riconosciuta subito, era di carta azzurra e aveva dei fiori bianchi – e, con mani tremanti l’aveva sollevata e l’aveva nascosta nel kimono prima di correre via, a casa.
Il giorno dopo l’avrebbe ridata a Neji e lui l’avrebbe ringraziata e poi sarebbero diventati amici, migliori amici: com’era giusto che fosse, tra cugini.
  
 
  
 
~oOo~
 
 
 
Fiction Quinta classificata al Contest: "Non conosci il titolo" indetto da Dreaming Ferret.
Sinceramente mi sento tanto soddisfatta e ringrazio tanto, tanto la giudice per la velocità con cui ha scritto i giudizi e per il giudizio. <3 E ovviamente faccio i complimenti alle altre partecipanti, in particolare alle quattro podiste.
Passando alla storia storia è divisa in diversi periodi. Nel primo i personaggi sono bambini, il secondo è ambientato quando Neji scopre della morte del padre, o pochi minuti prima, il terzo è prima del torneo di selezione dei chuunin e il terzo dopo il fallimentare primo tentativo di salvare Sasuke. Dal quarto comincia il what if: Neji e Hinata hanno una relazione e Hiashi lo scopre. Il quinto è un sunto e la conclusione del tutto con tanto di happy ending che mi ha fatto sudare sette camicie. è_é
L’angst non voleva proprio saperne di mettersi da parte.
 
 
Ja ne
  
  - darkrin
   
 
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