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Autore: HeavenIsInYourEyes    06/06/2015    2 recensioni
Ci sono scene in cui si ributterebbe per riviverle in ogni minimo dettaglio, senza spostare neppure una virgola; altre vorrebbe cancellarle, modificarle, rispondere "Ma" anziché "Beh", dire "Sì" invece di "No".
Mitsui continua a chiedersi cosa sarebbe successo se non avesse abbandonato il basket, se, se… Ne è talmente schiacciato da sentire l’aria mancare e più ci pensa, meno riesce a trovare una via d’uscita.
Ed è così che si sente anche quando apre la porta della palestra; poco, è solo uno spiraglio ma gli basta per sentire la testa girare, il cuore pulsare e tutto il resto farsi effimero.
Il suo "se" più grande se ne sta lì, trasportata dalla musica e leggera come l’aria.
Shibahime è… Da dove può cominciare per descriverla?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akira Sendoh, Hisashi Mitsui, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 8

«Sai di lavanda.»
È l’unico suono che esce dalle sue labbra tumefatte e che provvidenzialmente fa tacere anche Shiba, intenta a medicargli la tempia sanguinante. Uno stronzo ha pensato bene di spaccargli una bottiglia di birra in testa nonostante le regole fossero state chiare: niente armi, solo pugni.
«Idiota…» bisbiglia, dandogli una sberla quando la sua risata roca si spande nell’aria «Vuoi che i miei ci scoprano?!» si pulisce una mano sulle coperte di lino a fiori «Il sangue si sta fermando.»
Vorrebbe dirle “Grazie” ma è troppo impegnato a giocherellare con i suoi boccoli ramati; le punte sono sporche di sangue, dure e appiccicose.
«Perché hai fatto a botte?»
«Così.»
«Così, certo.»
Shiba gli pizzica le dita e si tiene i capelli con entrambe le mani, guardandolo in cagnesco. Mitsui capitola ma solo perché vuole giocare con i suoi capelli; sono così brillanti «Uno a cui dovevamo un favore ci ha chiesto una mano. Non potevamo tirarci indietro.»
«Loro no, ma tu sì» gli tocca il ginocchio sinistro, sussulta e il suo viso si intorpidisce dal dolore «E’ gonfio… Mitsui, se continui così--»
«Se continuo così rischio di non guarire più, di finire nei guai, di far soffrire gli altri, bla bla bla. Sai che cazzo me ne frega…» cade di lato sul letto, la stanchezza lo prende alla sprovvista «Che senso ha?»
Shiba smette di carezzarlo, si fa lontana nonostante il letto sia ad una piazza e mezza.
«Tanto non posso più giocare a basket.»

«Mitsui? Hisashi Mitsui?»
Solleva lo sguardo, i capelli rossi di Shiba diventano un lontano ricordo.
L’infermiera che fa capolino dalla porta dello studio del fisioterapista si guarda attorno.
«… Cosa?» tossicchia, la voce gli è finita nell’Oltretomba.
La donna gli sorride cordiale «E’ il suo turno.»

 

Mo Chùisle

Capitolo 8
But the film is a sadd'ning bore for she's lived it ten times or more
 

“Dr. Jennifer Melfi: Con gli aiuti farmacologici di oggi, nessuno è più costretto a soffrire per esaurimento o depressione.
Tony Soprano: Eccoci. Ecco che arriva il Prozac”
                                                                            -
Affari di famiglia  [1.01], I Soprano-

 

 
Galleggia a tre metri da terra.
Può tornare a giocare senza problemi, dovrà farsi controllar di tanto in tanto ma può finalmente dire addio alle sue paturnie.
Il ginocchio è guarito, un problema in meno.
Fischietta un motivetto di cui a malapena sa le parole, Jospehine qualcosa; Shiba lo cantava spesso quando era sovrappensiero e lui aveva preso il brutto vizio di sussurrargliela nelle orecchie quando non riusciva ad addormentarsi o quando le veniva uno dei suoi soliti attacchi di panico.
Nh, per essere uno a cui non frega un cazzo di quella, continua a pensarci un po’ troppo spesso.
Il fatto è che quella serata trascorsa in tranquillità continua a far capolino nella sua mente quando meno se lo aspetta: è il pensiero fugace fra le lezioni di matematica e storia, è il pensiero imprendibile fra un tiro e un rimprovero di Akagi o qualche buffonata di Hanamichi e gli fa salire su tutte le emozioni che faticosamente ha cercato di seppellire.
È come se la speranza avesse ripreso a brillare vividamente nel buio di quello che si sono lasciati indietro ma non riesce a capire che cazzo voglia da lui. Speranza che ritornino a parlare come ai bei vecchi tempi, anche se nemmeno si ricorda dove andavano a finire i loro discorsi? Tornare ad esserle amico? Certo, ok, peccato che non lo siano mai stati, non nel senso stretto del termine. Quando l’ha conosciuta, con i suoi capelli fradici, il suo imbarazzato «Oh cacchio, ho sbagliato ora!» e lo scrosciare incessante della pioggia a far da sottofondo al loro silenzio, la prima cosa che ha pensato è che se la sarebbe spalmata volentieri sul parquet ed è stato… Improvviso, come se il mondo si fosse rovesciato di botto. I brividi ci sono sempre e solo stati per la pallacanestro poi piomba ‘sta ginnasta dai capelli strani e gli scombussola il cervello, ovvio che non può diventarci amico. Deve esserci per forza qualcosa in più.
E quel qualcosa in più c’è stato e, davvero, è stato bello fino a che è durato. 
Perché prima delle liti, prima dei pianti, prima dei silenzi inscalfibili c’è stato tutto un mondo di bellezza che ancora adesso gli scalda l’anima, se solo ci pensa. E forse è per questo che la speranza brilla così tanto da bruciargli gli occhi, per fargli riprendere le cose da dove le avevano lasciate e portarle avanti e non sarebbe poi così male se non fosse che, porca miseria, Shiba ormai è una specie di orso a cui hanno toccato i cuccioli.
«To’, guarda chi si vede…»
Si volta di colpo, i pensieri sbalzati via lontani «Tetsuo?!» fissa la sua moto «Che ci fai da queste parti?»
«Intendi nelle zone per ricconi?» Mitsui si gratta la nuca, tira su con il naso per celare l’imbarazzo «Sto scappando.»
«Scappando?»
«Sì, insomma, le solite cose che una volta facevi anche tu. A quanto pare agli sbirri dà fastidio che me ne vada in giro senza casco» scende dalla moto e si appoggia al guardrail.
Non va a trovarlo da appena qualche giorno ma gli pare siano passati anni: la barba incolta lo invecchia di almeno cinque anni, rispetto a quando lo ha abbandonato sul divano di casa inseguito dalle sue imprecazioni. Non sa esattamente dirsi il perché, ma quello sembra quasi l’inizio di un addio e questa volta per davvero… «Problemi al ginocchio?» indica la clinica poco distante da loro.
Mitsui scuote la nuca «Nulla di che. Sai, le solite visite di routine… Posso tornare a giocare senza problemi.» trattiene un sorriso, ha il timore che l’altro non capirebbe. Sente che mostrargli sfacciatamente quanto bene stia ora, potrebbe sminuire ciò che hanno condiviso. Tetsuo, per quanto possa sembrare strano, è stato un padre migliore di quello che non è stato il suo quando le cose sono cominciate a peggiorare. È facile essere buoni genitori quando tutto va bene, quando si prendono bei voti a scuola e quando la vita sorride luminosamente; quando le cose vanno a rotoli, beh, non tutti sono bravi a raccogliere i cocci e aspettare di poterli ricongiungere insieme.
I suoi, in quello, hanno fatto decisamente schifo.
Suo padre ci ha provato a comprenderlo, qualche volta, quando si ricordava che suo figlio non spendeva più il tempo libero nei campetti vicino casa ma disperso chissà dove, ma è sempre stato troppo preso da altro per chiedersi davvero che cazzo stesse combinando. E poi c’era sua madre, l’isteria fatta donna, che a capirlo non ci ha nemmeno mai provato, ma neppure per sbaglio.
«Ho sempre pensato che questa sia la vita più adatta a te. Mi sbaglio?»
Mitsui vorrebbe dirgli che no, ha ragione. Lui è portato per il basket, una vita non sregolata e forse un po’ monotona, fatta di gente che non sa neppure cosa significhi beccarsi un pugno in pieno petto o un calcio in mezzo ai coglioni ma le parole se ne stanno lì, in gola, non vogliono saperne di uscire e quando crede che qualcuna di loro stia timidamente cercando di farsi sentire, ecco che uno dei suoi incubi peggiori compare di soppiatto…
«Mitsui!»
E non è quel bell’incubo coi capelli rossi, gli occhi scuri e il sorriso rotto. È quell’altra… Quella a cui staccherebbe la testa a morsi.

Eh, ma cazzo…
Guarda oltre la spalla, scorgendo la figura snella della Itou che, manina sventolante, gli zampetta incontro. Prega ardentemente che lo sorpassi ma questa gli si ferma a qualche passo dal ginocchio spappolato e allora ogni speranza svanisce nel fumo di sigaretta che Tetsuo ha appena acceso.
«Itou… Che spiacere rivederti.» sbotta contrito, rifilandole un’occhiata al vetriolo.
Nana accenna ad un sorriso e posa lo sguardo sul motociclista appollaiato sul guardrail «Oh, sei in giro con tuo padre?» si inchina «Mitsui-san, mi spiace avervi disturbati--»
«Cazzo vai dicendo, Itou?! Ma ti sembra mio padre?»
«I capelli ci sono. La faccia da fuori legge, pure.»
«Ehi, mio padre è un uomo rispettabile!» si volta sventolando le mani «Non che tu non lo sia, Tetsuo. Lo sai quanto ti ammiri e rispetti e--»
«Anche Harvey Dent era un rispettabile procuratore distrettuale e poi è diventato un super cattivo.»
«Harvey… Chi?!»
«Certo che frequenti gente strana, tu.» Tetsuo ghigna.
«Doveva vedere quelli con cui bazzicava prima.» si intromette la giovane, guardandosi le unghie laccate di rosso.
Tanaka accenna ad una roca risata, mormorando un mite «Quelli che frequentava prima, già…» che sembra mettere fine alla loro amicizia. Mitsui si ritrova a fissarlo come se davvero suo padre stesse per cacciarlo fuori dalla propria vita.
Non vuole ammetterlo ad alta voce, conscio che Tetsuo lo spalmerebbe sul selciato a suon di pugni, ma se è sopravvissuto senza impazzire completamente lo deve solo a lui.
Si rende conto di dovergli dire un mucchio di cose ma le parole si incastrano per via di quel nodo che gli si è conficcato in gola e non vogliono saperne di uscire.
Oltretutto la Itou non si leva dai coglioni…
«Che vuoi ancora, si può sapere?»
«Ti aspetto.»
«Mi aspetti?!»
Tetsuo soffia del fumo, intromettendosi «E’ lei la bella di cui mi parlavi spesso?»
«Bella?»
«Per carità, no!»
«Anche perché non è rossa.»
«Oh, lei è un adulatore, Finto-Papà-di-Mitsui» il ragazzo si schiaffa una mano in viso «Ma… E’ la rossa che penso io?»
«Non c’è nessuna bella! Tantomeno rossa!»
«Sì che c’è. Quella tua ex rossa, in classe con te. Quella che faceva ginnastica, che è talmente snodata che--»
«Non—Tetsuo, possiamo non parlarne?»
«Shibahime?» lo interrompe placida, con quel sorrisetto odioso penzolante sul viso ovale.
«Sì, quella là…» l’amico sorride «Cazzo se c’hai perso la testa per quella.»
«Non--»
«Lo sappiamo.»
«Ma tu sei ancora qui?! Non hai qualche matricola da schiavizzare?»
«A quest’ora sono tutte a casa» rimbrotta serafica, facendogli perdere ogni briciolo di astio nei suoi confronti. Quell’essere è… Esasperante, non ce la fa più ad incazzarsi per il suo essere così deleteria «Ma diceva, Finto-Papà-di-Mitsui?»
«Se fiati ancora, sarai tu quella che perderà la testa!»
La Itou alza le mani «E va bene, va bene...» fischietta spensierata, gironzola lì intorno fingendo di non interessarsi minimamente ai loro discorsi. Peccato che la sua misera messinscena si sfaldi nel giro di un paio di battute…
«A proposito, non te l’ho mai detto ma… Questi capelli ti fanno sembrare un vero sportivo.»
«Ah.»
«Ti donano di più, così.»
«Ha ragione. Prima eri orribile.»
«Vuoi sparire?!»
Nana arriccia le labbra ma non accenna a muoversi. Kami, nella sua vita precedente deve essere stato uno schiavista egizio per meritarsi un supplizio con due gambe mozzafiato e gli occhi pericolosi, come la descrivono i suoi compagni di classe. O magari il Karma gliela sta facendo pagare per aver fatto quasi chiudere il club e aver quasi spaccato la testa di Rukawa.
«Senti, ti aspetto là--»
«Ma perché?! Tornatene a casa e basta!»
«Vi lascio soli.» accenna ad un inchino e sparisce poco più in là, dondolandosi sui piedi. Quella la butta in mezzo alla strada non appena passa un camion, così almeno se ne libera…
«Ascolta, so che ne hai le palle piene e che parlarne è un po’ come avere un cane attaccato ai coglioni… Ma manca solo lei, no?» Tetsuo si gratta la folta chioma «Hai risolto col basket, risolvi anche con lei.»
Gli pare che tutte le barriere siano crollate nel fumo di sigaretta e nelle sirene distanti della polizia.
Tetsuo gli scava dentro come nessun’altro sa fare, gli mancherà quella specie di complicità che si è instaurata tra loro.
«Non è così facile.»
«E che ci vuole? Vai lì, la prendi e le dici che te la vuoi bombare come ai vecchi tempi, no?»
«Cosa--»
«Oh, no, così non funzionerà mai!»
«Itou, estinguiti, dico sul serio!»
Tetsuo tira del fumo, li guarda cicalare fino a che le sirene della pattuglia non interrompono le minacce di morte di Mitsui.
Il ragazzo si alza dal guardrail, si pulisce i jeans sdruciti e lo guarda con noia «Staranno cercando me.»
«Dovresti mettertelo quel benedetto casco» mormora sfibrato, riscoprendosi decisamente più preoccupato di quanto non dovrebbe essere. Non sa spiegarsi se lo fa perché vorrebbe saperlo in salvo o perché così può ancora godere un po’ della sua compagnia «Qualche sera passo a trovarti.»
«Sì, fallo e ti spacco i denti. Così te la fai per davvero la dentiera.»
Si lascia sfuggire una risata svagata eppure dentro di sé è tutto un terremoto.
Pensa che se Tetsuo se ne va, ma se ne va per davvero, significa che con la sua vecchia vita ha chiuso e per quanto sia fortemente convinto che questa sia la cosa più giusta per lui… Beh, un po’ gli mancherà tutto quello che c’è stato.
Ed è così che si sente quando vede la sua moto divenire un puntino lontano: come se si fosse finalmente liberato di tutto. Come se per tutto quel tempo avesse tenuto stretto a sé un palloncino colmo di tutto quello che si stava trascinando dietro e ora se ne è liberato, lo vede librarsi alto e non sente la necessità di riacciuffarlo.
È una bella sensazione.
Si volta con un sospiro, ritrovandosi di fronte il sorrisetto cordiale di quel mostro in gonnella della Itou.
«Sei ancora qui?!»
«Non vorrai che una signorina se ne torni a casa tutta sola, nel cuore della notte?»
«Nemmeno un ubriaco ti abborderebbe.»
«Hai detto qualcosa?»
«No… Muoviti o ti lascio indietro.»
Nana gli zampetta incontro e lo affianca, standosene in silenzio. La borsetta striscia sulle pieghe della corta gonna scura, che mette in risalto il pallore delle sue gambe lunghe.
Distoglie lo sguardo e prega che la casa di questa squinternata sia vicina; non può reggere più di cinque secondi in sua compagnia.
«Che ci fa una signorina come te in giro a quest’ora?» studia il suo abbigliamento vagamente elegante e un ghigno spunta «Incontro galante?»
«Se il sesso può definirsi galante…»
Mitsui per poco non si prende un palo in fronte. Non sa se essere sconvolto per la naturalezza con cui la Itou gli spiattella la propria vita sessuale o se essere sconvolto per l’essere incappato in un argomento del genere senza averne la benché minima intenzione.
«Se-Ses—EH?!»
«Sai cos’è o vuoi che ti faccia un disegnino?
«Sono solo sorpreso che una vipera come te faccia sesso con qualcuno. O che lo faccia e basta. O che qualcuno voglia farlo con te.» si massaggia la cicatrice.
«Ehi, il tuo finto padre ha detto che sono bella.»
«Tetsuo trova belle perfino quelle che fanno body building. Non credo sia attendibile» corruga la fronte «E basta con ‘sta storia del finto padre!» Nana non dà segno di essersela presa per il suo tono vagamente alterato ma non è che quella lasci trasparire chissà ché «Quindi… Chi è lo sfigato?»
«Uno…»
«Se fosse stata una, ti avrei chiesto di invitarmi» ribatte sarcastico, vedendo il suo naso allungato storcersi un poco «Certo che deve avere uno stomaco di ferro per sopportarti.»
«E’ solo sesso. Non c’è sopportazione nel sesso.» rimbrotta placida, come se l’argomento non la toccasse direttamente.
Con la coda dell’occhio studia il suo profilo di porcellana, rilassato e per nulla turbato dalla piega che ha preso il discorso. Lui, se ne fosse stato il protagonista, se la sarebbe filata alla velocità della luce. Non gli piace esporsi troppo, preferisce rimanersene in quel cantuccio di mistero che si è ritagliato solo perché non si reputa così interessante. Insomma… Un ex MVP che diventa un teppista, si redime e torna a giocare a basket è una storia noiosa, sa di già sentito. Gli altri sembrano invece trovare questo argomento molto succulento perché non smettono di tampinarlo di domande, psicanalizzarlo.
Ha preso una sbandata ed è tornato sui propri passi, che altro c’è da raccontare?
«Comunque non è niente di importante, se può farti stare meglio.»
Hisashi la fissa allucinato «… Ma sai cosa cazzo me ne frega.» rimbrotta mettendo le mani in tasca, giusto per enfatizzare la propria incazzatura.
Quella strega invece cammina beata, come se avessero appena disquisito dell’ultima puntata dei Pokémon.
«E tu? Non dovresti essere a riposarti?»
«Sono andato dal dottore. Per il ginocchio, sai, quelle cose lì.»
«Quelle cose lì, certo» Nana annuisce «E com’è andata?»
«Dice che posso giocare senza problemi ma devo comunque tenerlo sotto controllo, fare terapie se necessario… Quelle così lì.»
«Quelle cose lì, mh.»
Nana si ferma di colpo dopo quella che gli pare un’infinità «Casa mia è per di qua, posso andare da sola» indica la rientranza che porta in una delle tante zone bene di Kanagawa «Grazie per avermi accompagnata a casa, Mitsui.»
«Avevo altra scelta?»
«Smettila di fingere che non ti sia piaciuto.»
«Avrei preferito farmi spappolare il ginocchio alla terapia» le sorride acidamente e lei replica con un sospiro pesante «Beh, a domani.» alza una mano e se la fila via, che quella è capace di invitarlo a bere un caffè o peggio.
«Mitsui…?»

Ecco, appunto…
«Mh?» si volta con scazzo, vuole solo tornarsene a casa.
Nana ha la mano stretta intorno alla cinghia della borsa, lo sguardo serio serio e le labbra serrate «No, niente… Buona notte.» la ragazza fugge nel vicolo prima che possa mostrarsi confuso.

Bah! Quella è psicopatica!
Fa per andarsene ma il suo «Mitsui!» questa volta urlato con decisamente più vigore, lo fa bloccare.
«Si può sapere che vuoi?!»
Il suo ghigno è qualcosa di tremendo «Non funzionerà mai, con Shiba. Non in quel modo lì, almeno. Però il tuo finto padre ha ragione!»
«Su cosa?»
«Che sono bella, ovvio.»
«Ma che cazzo--»
«E che manca lei per risolvere tutto»

 

 
31 maggio, sabato mattina.
Il palazzetto è gremito di gente, le ricorda il parco giochi a Tokyo in cui la portavano i suoi; sì insomma quando suo padre non sapeva neppure che nome avesse la sua segretaria e mamma usciva un po’ più spesso dall’ufficio.
Nana si chiede da quando il basket a livello scolastico sia così popolare ma poi si ricorda che in campo ci saranno degli animali liberi di dar sfogo alla loro demenza e allora le viene in mente che, effettivamente, allo zoo ci va un mucchio di gente.
Si guarda intorno circospetta, lo sguardo che vaga sulla folla in movimento alla ricerca di quel beone di Akira e per un attimo, al pensiero di incontrarlo all’aperto e senza Shiba, il cuore fa un salto, di quelli belli difficili e carpiati che le fanno mancare l’aria nei polmoni.
È come sentirsi normale, per una volta, ed è una sensazione gradevole che non la lascia per un sacco di tempo.
Neppure quando Fujiko interrompe i suoi pensieri con un belante «Uuuurca, che stanghe!» alzandosi sulle punte, mano davanti alla fronte e l’aria di una leonessa che sta per attaccare l’indifesa gazzella. Ed eccola lì, infatti, pronta a scattare verso quei lampioni umani dello Shoyo appena entrati nel palazzetto, capitanati da un bonsai.
«Ma quello è Fujima senpai! Oddio, è bellissimo!» Fujiko fa un balzo in avanti ma viene prontamente afferrata prima che possa commettere un abuso ai danni di qualche povero studente.
«Ferma qui, da brava.» Nana la tira per collottola, storcendo il naso di fronte ai lacrimoni che le penzolano dagli occhi scuri.
«Ma, senpai--»
«Cosa ci eravamo dette?»
«Uh, uh! Che ci avrebbe accompagnate solo se avessimo fatte le brave!» quel biscottino di Ume saltella sul posto, facendo oscillare i corti codini laterali.
Nana le sorride affabile, lasciando la matricola ancora mugugnante «Ecco, quindi evitiamo figuracce. O di violentare qualche giocatore.» le vede annuire anche su Fujiko continua a fissare gli avversari con un principio di bava alla bocca.
Ah, che pazienza…
«Però Fujima senpai…» si lagna Fujiko, continuando a guardare nella direzione opposta.
Nana sbuffa, rotea gli occhi, richiama la pace dei sensi e indossa i panni della paziente babysitter che ha a che fare con dei mocciosi irritanti, quelli che solitamente ti riempiono di domande a raffica o terrificanti e continui «Perché?»
Si arrende «Fujima senpai… Cosa?»
«E’ bello!» si intromette Ume.
«E’ un dio.» seguita Fujiko, sospirando.
Nana segue la scia di stelline che i loro occhi sparano senza alcun ritegno, scontrandosi con… «Oh, il bonsai.»
«Un bonsai molto affascinante.» la corregge la matricola, mani giunte e cuoricini che cadono a terra ad ogni sospiro trasognato; un Link di passaggio raccoglie, ringrazia e se ne va.
«Mh, ok… E sarebbe?»
Ume, la più sana tra le due, la guarda con occhi larghi «Capitano, possibile che non lo conosca?» tira fuori dalla borsa il giornalino scolastico «Ne parlavano sul giornalino!» sorride allegra, sfogliando le pagine.
«Io non leggo quella robaccia là. E dovreste smettere anche voi.» sentenzia macabra, raggelandole con la sola forza dello sguardo. La Bibbia di Tomoko En è pregna di stronzate, due ragazzine assennate come loro dovrebbero evitare di perderci tempo.
«Ma al centro c’è una sua gigantografia!» si lagna Fujiko, passandosi una mano fra i corti capelli.
«Ma che cosa--»
«Lei non lo trova bellissimo?» gli schiaffa davanti il suo primo piano, il poverino è stato fotografato in treno da chissà quale stalker.
Nana lo fissa con curiosità, studiandone i tratti delicati. Un «No.» sta per sgusciarle dalle labbra ma ha il timore che quelle due si perderebbero in piagnistei incessanti e finirebbero col trascorrere il tempo della partita a parlare delle doti di quel Fujima. O di quanto lei sia strana perché «Ma possibile che li trovi tutti brutti?!».
La verità è che Akira a parte, non le è mai piaciuto nessuno.
Non ne ha mai avuto il tempo, troppo presa dallo sport o dal raccogliere i cocci di quella che una volta avrebbe chiamato famiglia. C’era solo lo sport, i piedi che dolevano e le clavettate accidentali. C’erano i litigi a tavola, con lei seduta in un angolo a mangiare le sue ciotole di riso, perché «Lo sai che il riso al curry non mi piace!» o «Hai portato dei fiori per farti perdonare?» seguiti dai soliti «Te la fai con quella cretina della tua segretaria, vero? Ho visto come la guardi!» che la costringevano a chiudersi in camera. E allora c’erano i libri, ci si rifugiava sempre quando le cose si facevano difficili. E i trofei, le medaglie, i diplomi per i concorsi scolastici vinti… C’era tutto quello, che se ne faceva di un ragazzo?
Che poi sapeva come sarebbe andata finire: prima sarebbe stato tutto rosa e fiori, poi ci sarebbero state le incomprensioni e la poca voglia di affrontarle pur di passarci sopra. E i pianti, le notti insonni… Lei non c’era portata per tutto questo, no davvero.
Poi è arrivato Akira, dal nulla.
Con quel suo sorriso bonario, la battuta pronta e l’aria scanzonata di chi i problemi sembra sempre lasciarseli alle spalle, quel tipo di aria che la fa galleggiare in una bolla indistruttibile di pura quiete. A volte lo invidia. A volte vorrebbe avere la sua innata capacità di prendere la vita per come viene, con le cose belle e le difficoltà, senza lasciarsene però travolgere.
«Carino…» concede di malavoglia, restituendo il giornalino, pulendosi la mano nemmeno fosse stato radioattivo.
La Murosaki diventa il ritratto dell’Urlo, borbottando contrariati «Carino, solo?! È molto più che carino! È un adone!» e un mucchio di altre boiate a cui l’altra da man forte annuendo.
Poi, per chissà quale intervento divino, il parlottare concitato di Ume e Fujiko si spegne, letteralmente. Fissano la porta d’ingresso con occhi larghi, guance rosse e labbra a forma di “O”. Sono adorabili, non c’è che dire. E anche un po’ inquietanti…
«Beh? Vi siete rotte? Oh…» le sue parole si perdono nei meandri della mente al cospetto della beltà di Akira Sendoh, giunto probabilmente in suo soccorso, con quel suo sorriso da 3.000 Watt e gli occhi che brillano come nemmeno le luci di Las Vegas.
È sempre così, lui.
Così luminoso da farle dimenticare di essere sulla Terra e non su qualche pianeta sconosciuto o inesplorato.
«Ehi.» alza la mano, le trema appena. Le trema sempre quando sa che non può sfiorarlo per il semplice fatto che non sono chiusi in una camera da letto.
Il suo sorriso si fa più ampio mentre zampetta verso di lei, la tuta del Ryonan indosso e il borsone in spalla. Ha l’aria di chi ha appena vinto una partita e il suo «Abbiamo vinto!» esclamato con due dita belle aperte non è che una futilità. Oh, ma chissenefrega, quando fa così rende tutto un po’ migliore.
E lo devono pensare anche le due matricole al suo fianco, perché se ne stanno lì immobili come due statue di sale «Oi, non si saluta?» domanda con fare materno, dando una leggera gomitata alla ragazzina con i codini.
Ume solleva appena lo sguardo e quando incrocia il sorriso di Akira, lo riabbassa alla velocità della luca, fissando i piedi che vanno su e giù.
Fujiko rotea lo sguardo «Capitano, sarà meglio che andiamo a prendere i posti o Ume-chan ci muore qui» la prende per un polso «E’ stato un piace Sendoh-san, dal vivo è ancora più bello!» saltella via e il ragazzo se ne sta lì, fino a che le due non diventano dei puntini.
«E grazie ancora per l’autografo dell’altra volta! Lo custodirò a costo della vita!»
Akira sventola una mano «Chi… Sono, quelle?»
«Le mie predilette.»
«Ah. Sono quelle che vanno a spiare le altre squadre, vero?»
«Già. Sono adorabili, non trovi?»
«Adorabili, certo. Inquietanti, magari.»
Gli dà una sberla sul braccio, beandosi della sua risata un po’ sciocca che gli fa pesare meno il fatto di doversi sorbire una partita di pallacanestro di cui non gliene frega niente. Non l’ha mai capito, il basket. Non capisce cosa ci trovi Akira nell’inseguire una palla arancione, una cosa che non è poi così diversa dal suo solito «E io non capisco cosa ci trovi in un paio di clavette che potrebbero romperti la testa.» a cui, effettivamente, non sa dare una risposta.
È elettricità, come dice lui.
Pura e semplice elettricità che per un istante la fa sentire viva.
«Non è venuta, mh?» la sua voce rassegnata la riporta sul pavimento lucido, immersa in un vociare concitato che non le permette di pensare. Ci mette qualche secondo a realizzare chi è il fulcro del suo discorso e quando e lo fa, un sonoro sospiro le sfugge dalle labbra piegate.
«Certo che no, ma ti pare? Figurati, quella è testarda, è proprio come--»
«Come mia madre, lo so» le risponde bonario, facendole storcere il naso; si dice che la mela non cada tanto lontana dall’albero e Shiba, nonostante sia stata adottata, non è poi così diversa da Madoka. Secondo lei è per questo che si scontrano facilmente, hanno due caratteri talmente simili che tendono a prendere fuoco se si avvicinano un po’ troppo e quando sono sul punto di capirsi, c’è sempre quella parolina di troppo che fa crollare tutto «Oi, cos’è quella faccia?»
«Quale faccia?»
«Quella che hai adesso. Sei tutta corrucciata, ti farai venire le rughe.» le puntella un indice sulla fronte e per un breve istante crede di essere andata a fuoco; non è abituata a certi slanci improvvisi, non in pubblico.
«E’ che—No, niente.»
«Che?»
Vorrebbe dirgli che a Mitsui piace ancora.
E che è solo una sua opinione. Che è solo una sua opinione basata su fatti oggettivi come i suoi occhi che brillano quando si parla di Shiba, i suoi goffi tentativi di nascondere che, in fondo, arde anche lui dalla voglia di riacquistare quel rapporto che è andato deteriorandosi e che quando gli ha detto che manca lei per risolvere tutti i casini che si trascina dietro da un po’, non le è sfuggito quel lampo di nostalgia che è sfrecciato veloce nei suoi occhi blu.
Scuote la nuca «Ma no, niente… Piuttosto, volevi dirmi qualcosa?»
«Volevo solo salutarti.»
«E immagino tu abbia lasciato la finestra chiusa.» ribatte con un sorrisetto.
Il ragazzo annuisce un poco poi sospira quando vede i suoi compagni sbracciarsi per attirare la sua attenzione.
«Sendoh, datti una mossa!» quel simpaticone di Koshino lo richiama a sé, braccio sventolante e sorriso malizioso che le fa arcuare un sopracciglio.
«Sicuro ci si possa fidare di quello?»
«Mh? Oh, certo, perché?»
«Ha la faccia da scemo.»
Sendoh scoppia a ridere, con quella sua risata che spazza via ogni turbamento, che porta via perfino quel discorso un po’ opprimente che hanno affrontato poc’anzi.
Mentre avverte le sue dita sfiorarle la spalla, mentre osserva la sua larga schiena divenire un puntino lontano, si rende conto che finiscono sempre per parlare di Shibahime o Madoka, mettendosi da parte.
«Capitanooo? Si sbrighi! La partita sta per cominciare!»
Ha la sensazione che nel cuore di Akira Sendoh non ci sia spazio per più di due donne contemporaneamente.
 

 
Shiba muove distrattamente la forchetta sulla griglia posta a centrotavola e Akira si perde nello svagato muoversi delle sue dita. Ha ricominciato a mangiarsi le unghie, segno che qualcosa la turba.
E’ concentrata nel non far bruciacchiare la carne, storce il naso quando le sfugge dalle bacchette proprio mentre sta per girarla dall’altra parte. Sa bene che dietro ai suoi sbuffi o ai suoi sorrisi troppo larghi o anche dietro il suo pigro scuotere della nuca c’è di più, il problema è che non sa come arrivarci.
Ultimamente non sa più come arrivare a qualcosa, con lei.
Tossicchia, richiamando la sua debole attenzione «So che siete andate bene.»
«Oh, siamo state grandi! Ci saresti dovuto essere!» le labbra si aprono in un bel sorriso e l’aria tormentata che le ha tenuto compagnia fino a quel momento sembra dissiparsi.
Dura poco, però, il tempo di un placido «Avrei tanto voluto, ma Uozumi ci ha costretti a studiare gli avversarsi.
Ah, a proposito, Sakuragi a parte lo Shohoku è davvero in gamba!» ed ecco che tutto crolla miseramente. Puff!, svanito, come se quel sorriso non ci fosse mai stato.
Le sue labbra tremano appena mentre un risolino le sfugge «Te l’avevo detto.» che sembra voler porre fine a quella fiacca discussione.
«Ma perché non sei venuta?» 
«Ma no, macché, mi sarei annoiata.» arriccia le labbra.
«Dovevi esserci, è stato uno spasso!» Akira si sistema sulla sedia e Shiba gli regala un sopracciglio arcuato.
«Uno spasso… Sicuro di non essere stato al circo?»
«Beh, effettivamente un gorilla in campo c’era.»
«E una volpe.»
«E una scimmia… Certo che Sakuragi è un danno. Ma dove l’avete trovato, si può sapere?»
«In un cesto davanti alle porte della palestra» addenta un pezzo di carne «Che ha combinato questa volta?» 
Akira guarda il soffitto «Allora, ha dato una manata a uno dello Shoyo, ha dato una gomitata ad Hanagata e poi è volato.»
«Volato?»
«Ma sì, è volato!» apre le braccia, sono larghe come il suo sorriso divertito «Ed è caduto addosso a Fujima, che è caduto addosso al nanetto.»
«Al nanetto.»
«Quello piccolo con i capelli a fungo.» si scompiglia i capelli.
«Ah, Miyavi
«Boh, forse… Dovrò chiedere a Hikoichi di prestarmi i suoi appunti.»
«O era Miyabi?»
«Ah, a proposito… Ho visto che è tornato.»
«Chi, Miyavi? A quanto pare ha fatto un comeback che--»
«Mitsui.»
Quel nome rotola fra le spezie come un macigno e si ferma davanti al viso contratto di Shiba. 
Cacchio, può leggerci un mucchio di roba in quello sguardo, un misto fra mortificazione e rabbia e timore e quel suo continuo attorcigliarsi le ciocche nere fra i capelli non farà altro che palesare la scomodità di quell’argomento. Per un attimo gli galoppano in mente le parole accorte di Nana ma tutto sfuma con il suo leggero sventolio della mano.
«Ah, sì, da qualche settimana… Non te l’avevo detto?» è indifferente, Shiba, come se l’argomento non la tangesse minimamente.
«Non me lo hai detto.»
Alza le spalle, sorride abbacchiata «Mi è passato di mente. Sai, tra gli allenamenti, le gare, lo studio…» si scompiglia la frangetta scura «E poi non è così importante.»
«Ah no?»
«No, certo che no, non lo è» infilza un pezzo di carne con secchezza «Potete smetterla di preoccuparvi?»
«Potete
«Te e Nanaka! Kami, non ho più sedici anni, non mi fa più alcun effetto quel demente.»
«E’ per questo che vieni a dormire da me ogni notte?» gli esce prima ancora che le parole vortichino in mente; se lo avessero fatto, di certo non se ne sarebbe uscito con una stronzata del genere, non con quel tono serio.
Shiba si accartoccia sulla sedia. Ha le spalle strette, l’aria di chi ha appena ingoiato una quantità abnorme di limoni rancidi e quel che è peggio, lo guarda con lo stesso sguardo che elargisce a Madoka quando la costringe a fare qualcosa che odia.
«Se ti infastidisce basta dirlo.»
Vorrebbe dirle che non è quello il problema.
Il problema sono i suoi continui fare avanti e indietro nel corridoio perché non riesce ad addormentarsi, il suo stare fino a tardi in palestra pur di sfiancarsi così da crollare una volta a casa e non dover accampare scuse su scuse pur di non dover parlare con sua madre, il problema sono gli incubi lasciati a dodici anni e ripresi a diciotto e quel suo costante ripararsi dietro muri di spesso silenzio pur di tenere tutti alla larga.
E i segreti. 
Quelli non li ha mai sopportati, non tra loro. Si era aspettato una confessione a cuore aperto, quando Nana gli aveva raccontato del trionfale ritorno di Hisashi Mitsui, ma Shiba ha dribblato l'argomento con algido distacco e lui non ha mai avuto le carte giuste per poterlo affrontare.
La Shiba che ha di fronte non emette più quel bruciante calore che lo fa sentire bene, sembra quasi... Un'estranea.
E' ritornata ad essere la Shibahime dei suoi otto anni, quella che si accucciava in un angolo con la sua coperta a righe e non parlava, quella che mangiava la notte di nascosto perché, a cena, si rintanava in camera da letto, quella diffidente che guardava tutto e tutti come se fossero nemici.
Arriccia le labbra rossastre, lo scruta severa «Non ne hai parlato con mamma, vero?»
«Mh? Oh, no, figurati.»
«Eh, bene. Che poi sai com’è fatta, inizia a preoccuparsi per niente e fa storie.»
«Già.» anche se c’è un però lì, sulla punta della lingua, che pesta i piedi pur di uscire. La verità è che è stato più volte tentato di spifferare tutto a Madoka per il semplice fatto che non può più gestire i problemi di sua sorella, non da solo.
Shibahime ha bisogno di qualcuno che non è lui.
Un po’ gli dispiace appendere al chiodo il vestito da supereroe, lo faceva quasi sentire il re del mondo.
«Però con Mitsui dovresti parlarci. Sembra cambiato.»
«Ma se non l’hai mai visto?!»
Già, non l'ha mai visto, ma Nanaka dice che è cambiato e s elo dice lei, in un certo senso si fida. Perché Nana vuole il bene di Shiba, a volte più di quanto potrebbe mai volergliene lui e anche se è un po' maldestra nel dimostrarglielo, sa che non farebbe mai nulla per farla soffrire. 
A parte tenere nascosta la loro... Cosa ma, oh, beh...
Scuote la testa «Beh, l’ho visto mentre giocava e--»
«Non è che se uno torna a giocare con la coda tra le gambe, allora tutto ciò che c’è stato prima svanisce. Puff!, andato!» schiocca le dita, lancia le bacchette sulla tovaglia.
«Shiba--» è un fiume in piena, continua a vomitare una marea di parole che non riesce ad arginare e al suo ennesimo «Shibahime, ascolta--» questa volta più rassegnato, lei sembra chiamarsi.
E gli dice una cosa.
Una cosa banalissima ma che gli resta conficcata in mente per un sacco di tempo, che non se ne va nemmeno quando prova a scacciarla soffocandola con altri pensieri.
C'è il suo stanco «Non basta un taglio di capelli nuovo per rimettere tutto a posto.» e il loro starsene in silenzio per un'infinità.
Akira fissa i suoi capelli corvini.
Già, a volte non basta.

 

Life on Mars risuona bassa nell’abitacolo, Madoka ne segue distrattamente il ritmo e ogni tanto azzecca qualche parolina. Non molte, giusto le ultime di ogni frase; incredibile come propini questa benedetta canzone ogni volta che vanno in viaggio ma ancora non se ne ricordi neppure una sillaba.
Inizia a credere che la metta su solo perché David Bowie è il suo cantante preferito. O magari le piace solo Life on Mars, non ne ha idea.
Ricorda ancora il suo
sorpreso «Ma... Ti piace lui?! Anche io lo ascoltavo quando ero giovane!»  quando i suoi poster hanno cominciato a tappezzare le pareti di camera sua, per poi scoprire che Madoka nemmeno conosce il paese d'origine di questo santo uomo; probabilmente lo ha fatto per trovare un punto di incontro con lei, non lo sa, sa solo che non basta così poco per andare d'accordo.
È all’ennesimo acuto sbagliato che Shiba si decide a smorzare quella quiete costruita e che inizia a darle noia.
«Non c’era bisogno di accompagnarmi a scuola.» il suo mormorio è un po’ roco, copre l’acuta voce di David Bowie che sembra dirle:
«C’è vita su Marte, ragazzina, scappa da quest’auto e vacci!»; qualsiasi pianeta sarebbe meglio della Toyota di Madoka. C’è sempre odore di Big bubble alla fragola, le fa venire la nausea; quella di sua madre sapeva di limone, le dava freschezza.
«Dovevo passare di qua. E poi lo faccio volentieri.» il sorriso che le rivolge è delicato ma non sincero. Lo legge nei nervi tesi del collo e nel leggero tic che hanno gli angoli sollevati che si trova lì perché deve; si sforza così tanto con lei che dovrebbe essergliene grata, invece la fa sentire solamente di troppo. È tentata di chiederle perché mai se la sia portata a casa, quel giorno di dicembre, se è chiaro come il Sole che picchia sulle loro teste quanto sembri pentita di averlo fatto, ma un brivido la scuote al pensiero che la risposta potrebbe farla crollare in uno di quei suoi soliti baratri da cui non riesce ad uscire.
A volte è meglio non sapere. 
Proprio come non saprà mai perché suo padre abbia deciso di abbandonarla.
Volge il viso verso il finestrino, gli occhi le pizzicano «Non si direbbe.»
«Come?» la domanda è simile all’acuto di un violino strimpellato male, le fa scorrere brividi lungo la schiena. Sventola una mano e sua madre torna a guardare la strada, questa volta non canticchia «Come sta andando a scuola?» le sue dita perfettamente pitturate tamburellano sul volante, è come se scandissero il tempo in una maniera tutta loro, allungando il tragitto.
Shibahime non vede l’ora di arrivare a scuola; la prima ora ha algebra, le fa schifo, ma è sempre meglio che starsene qui a fare una chiacchierata cuore a cuore con sua madre.
«Va bene.»
«Nell’ultimo compito di matematica hai preso l’insufficienza.»
«Può capitare.»
«Ma non dovrebbe. E se ti cacciassero dal club?»
«Non mi sbatteranno fuori per un voto basso, la mia media è buona. E basta con questa canzone!» con un gesto secco va a quella successiva, afflosciandosi sul sedile.
«Credevo ti piacesse.» mormora sfibrata, massaggiandosi una tempia con le dita. Quando non ode risposta, spegne la radio.
Il silenzio che cala è pesante, di quelli spessi che frequentemente accompagnano le cene o le giornate con i parenti; Madoka ci prova a fare qualche foro, giusto per raggiungerla un po’ di più ma i tentativi finiscono col colare a picco.
«Sì, ma dopo un po’ stanca.» borbotta pigramente.
Il tragitto casa-scuola non le è mai parso così lungo, soprattutto perché la chiacchierata con Mitsui continua a galleggiare fra i pensieri sconnessi. C’è che è sul punto di dire a Madoka tutto quello che le passa per la testa, tipo che a volte la ginnastica la fa soffocare, che vorrebbe essere considerata qualcosina in più di un’estranea perché, oh lui ha ragione, mica li ha seguiti fino a casa, sono stati loro a prendersela e allora si prendano tutto ciò che si trascina dietro.
Ma Madoka sembra essere su un altro piante, di quelli che non riuscirebbe a raggiungere nemmeno tra un milione di anni. E’ sempre stata così, sua mamma. Così frivola, poco accorta, ha un modo di far del bene tutto suo ed è poco incline alle discussioni.
Per quanto ci provi, non potrà mai somigliare ad Akira e forse Madoka lo ha capito, per questo si è arresa.
«Shibahime, ascolta…» si rizza sul sedile, la schiena dritta e le mani strette a pugno sulla gonna a pieghe; quando la chiamano per intero significa che stanno per impegolarla in qualche discorso scomodo, qualcosa che ha sempre il potere di farla sentire un’inetta. Si chiede spesso quando arriverà il giorno in cui le diranno «Abbiamo deciso di ridarti indietro.» come si fa con gli animali che sporcano o fanno danni o con quei bambini problematici che non fanno nulla per lasciarsi amare. Ci pensa spesso, un po’ troppo, è uno dei suoi incubi ricorrenti.
«Sì?» le esce con un filo di voce, stringe la mano intorno alla maniglia cosicché possa aprire la portiera e buttarsi in strada, poco importa che l’auto sia ancora in movimento.
«Tuo padre ed io ne abbiamo discusso a lungo--»
Oh, ecco che arriva il discorso.
Strano, ha sempre pensato che ci sarebbero state lacrime e un suo implorante «No ma dai, proviamo a risolvere le cose, ti giuro che farò la brava!», invece c’è solo uno strano senso di ansia che le fa battere il cuore all’impazzata.
Chissà cosa si prova a sentirsi dire «Abbiamo deciso di ridarti indietro.», forse assomiglia ad un banale «E’ finita.» pronunciato su di una spiaggia mentre il cielo si tinge d’arancio.
Non sa perché lo pensi in quel momento, mentre le cose sembrano rotolare via senza che possa fermale, ma è la prima volta che si chiede cos’abbia provato Mitsui quando se n’è andata via.
«Che?»
«Forse dovresti tornare dalla Dottoressa Nakajima.»

Ah…
Shibahime sente il suono di una frenata o almeno lo sentirebbe se fosse lei quella a guidare. Non si aspetta un’uscita del genere, non dopo così tanto tempo.
Della dottoressa Nakajima ricorda i capelli grigi legati in uno chignon, gli occhiali a mezza luna e un delicato sorriso che l’ha sempre fatta sentire una pazza. Aveva la voce delicata, un filo sottile che sembrava raccogliere i suoi sfuggevoli pensieri e metterli alla berlina, sgusciandoli ben bene pur di trovare cosa non andasse in lei.
Non le è mai piaciuto andare lì, lo studio giallo canarino le ha sempre dato il voltastomaco.
E poi Shibahime odia il giallo canarino.
«Scherzi, vero?» la domanda ne esce in un soffio misto a risata, le mani le prudono.
La donna scuote la nuca «E’ la cosa più giusta e lo sai anche tu.» la sua voce decisa non ammette repliche, le dita si stringono così forte intorno al volante da far divenire le nocche bianche.
«No, non lo so.» cantilena nervosa.
Sua madre sospira, sembra quasi sia stata costretta ad affrontare un discorso del genere. Già può vederli quei due, sdraiati a letto con la luce della lampada accesa perché suo padre sta finendo di leggere un libro e sua madre, presa da uno dei suoi soliti trip dovuti all’insonnia, si volta verso di lui con un plateale «Nostra figlia ha qualche problema.» e giù a discutere su chi debba gettarsi per primo in quest’ardua battaglia.
«Non mangi, non dormi, vai male a scuola. Ti svegli in preda agli incubi, non va bene! Siamo preoccupati per te!» la sua voce si alza di qualche ottava «Co-Come pensi che ci sentiamo vedendoti ridotta così?»
«Ma così come?!»
«Come quando quel ragazzino è uscito dalla tua vita! Quel… MAtsui, o come diamine si chiama!» la mano si sposta dal cambio all’aria, gesticolando nervosamente, fino a che non torna a posarsi sul voltante e la sua voce sembra farsi più pacata.
Quel nome è precipitato nell’abitacolo come un macigno. Sbagliato eh, perché non sia mai che un Sendoh azzecchi un nome che sia uno, ma lo ha fatto, con tutta la pesantezza che si trascina dietro.
E Shiba non sa come reagire, non lo sa davvero.
Sa solo che tutto il male che Mitsui le ha fatto è tornato indietro come una raffica di proiettili e ha per un attimo seppellito quel fiotto di calore che ha provato da quando si sono rivolti la parola, quella notte che sembra ormai lontana.
E si ricorda che deve ancora buttare il sacchetto del Mc.
E si ricorda che i suoi occhi blu hanno una luce strana, diversa, non brillano più come tanto tempo prima.
Shiba deglutisce.
«E’ la cosa più giusta per te.» pontifica inflessibile, Madoka, deglutendo probabilmente un altro nodo di recriminazioni. Glielo legge negli occhi scuri che c’è molto altro dietro.

Strano non sia saltata fuori la storia dell’adozione, lo pensa piano, intimorita che possa origliare pure fra i suoi pensieri. Non credeva avrebbe tirato fuori Mitsui, è sempre stato uno di quegli argomenti tabù che la fanno incupire.
Shiba decide di non protrarsi per un discorso così impervio, non sarebbe in grado di uscirne vincitrice «Farmi imbottire di farmaci non è la cosa più giusta.»
«Se non ci sono altri modi…»
Per un attimo ha la sensazione che Madoka sia davvero preoccupata per lei, ma preoccupata sul serio. Che i suoi modi bruschi siano tali solo perché non si sente ancora in grado di poter sostituire la sua vera madre e Shiba, che è diffidente per il semplice timore di vedere tutto quello sgretolarsi come castelli di sabbia al vento, non le lascia neppure uno spiraglio di speranza.
Tiene un braccio teso, è quella la distanza che devono mantenere tutti.
Perché quando dà di più, tutti se ne vanno.
«Fermati qui.» esala sfibrata.
«Non essere sciocca, ti accompagno fino all’entrata.»
«Va bene qui! Ho bisogno di aria!» il fiato corto le si mozza in gola e l’aria che le sbatte in faccia quando apre la portiera per poco non la fa svenire in terra.
«Shiba--»
«Non aspettarmi a cena, ho gli allenamenti fino a tardi.»
«Ma, Shiba--»
Chiude di colpo, lasciandosi indietro il suo sospiro e il suo afflosciarsi sul volante probabilmente in preda a chissà quale crisi isterica Made In Madoka.
Che. Mattinata. Di. Merda.
Primo la sveglia che non suona, poi suo padre che la costringe a finire tutte le uova e come se non bastasse ci si è messa Madoka e il suo squillante «Ti accompagno io tesoro!» che è stato solo un espediente come un altro per dirle che la reputa ancora uno schizoide che ha bisogno del Prozac per poter sopravvivere.
Non ha bisogno della dottoressa Nakajima e del suo inutile «Allora, mi dica cosa non va nella sua vita.», insomma, che domanda del cazzo è?! È ovvio che niente va nella sua vita! Sua madre preferirebbe aver adottato un cane, suo padre è troppo occupato a mantenere la quiete in casa per schierarsi dalla sua parte e Akira sarebbe l’uomo perfetto se solo non fosse suo fratello. E come se non bastasse, quell’impiastro di Hisashi Mitsui ha pensato bene di ripiombare nella sua vita proprio quando credeva di averne ripreso le redini e quando è stata sul punto di pensare che, ma sì, in fondo una seconda chance potrebbe dargliela perché l’ha trattata come un essere umano, Madoka le ricorda che in fondo se si trova ridotta così un po’ glielo deve anche a lui.
Le ha fatto tornare in mente tutto ciò che c’è stato prima di quella sera.
Quindi no, non va una sega nella sua vita ma non ha certo bisogno che sia una con due lauree a dirglielo, ci arriva benissimo da sola.
Abbacchiata, stringe la cartella di scuola mentre il borsone in spalla le sembra più pesante ogni passo che fa.
Un chiacchiericcio frenetico attira la sua attenzione, davanti all’ingresso c’è un nugolo di ragazzi appostato, sventolano il giornalino scolastico e parlottano concitatamente. Non vedeva tanto scalpore da quando Akane della seconda sezione 2 ha pubblicato foto in costume da bagno per non ricorda quale rivista, finendo tra le prime pagine del giornalino.
«Eccola, è arrivata!»
«Ma che cazzo--» si blocca, la borsa stretta a sé. Si pente di non essersi fatta accompagnare fino a lì, probabilmente si sarebbe evitata questa scocciatura.
«Sendoh-san, Sendoh-san!» la marmaglia le si para davanti, brandendo il giornalino scolastico. Shiba indietreggia, fissa stralunata quel branco di ormoni impazziti che la guardano adoranti, nemmeno fosse Gong Li. Non è abituata a questo genere di cose, solitamente è Nanaka quella che viene braccata all’ingresso della scuola!
«Sì?» domanda spaesata, guardandoli uno ad uno alla ricerca di un volto familiare; zero, nada de nada, tabula rasa… Ma davvero questi tizi frequentano lo Shohoku?!
«Sendoh-san! Siamo membri del suo fanclub!»
Fanclub?!
Ma da quando ha un fun-club? E' Nana quella coi fanclub! Mica lei!
«Sei stata fantastica nell’ultima gara!»
«Ahm, sì, grazie.»
«Il body rosso ti dona!»
«Eh. Ma da quando ho un fanclub?»
«Ma da un sacco! Le abbiamo anche dedicato una pagina sul giornalino!»
«Ah... Beh.»
«Ci rilasci un'intervista?»
«Ci fai un autografo?»

«Ci fai vedere come fai la spaccata?»
«Che cosa?!»
«Vi levate dalle palle?» Shiba sobbalza al suono di quella voce greve: Mitsui svetta alle sue spalle, è scazzato e visibilmente irritato «Cristo, avete dimenticato i porno a casa?» la massa dapprima compatta diventa informe, lo lasciano passare intimoriti, quasi si fossero visti di fronte Godzilla.
Shiba fissa la sua larga schiena e la disarmonia dei suoi movimenti.
Sembra uno di quei bulletti di periferia che salva la ragazzina innocente dalle grinfie di una banda di motociclisti, è così diverso dal ragazzino coi capelli a scodella che irradiava tutto con un solo gesto o sorriso.
«E tu muoviti! Che te ne stai lì impalata?»
La sua voce un po’ roca e scocciata la ridesta, scende prepotente come un fulmine nel bel mezzo di un cielo azzurro e le fa tremare le ossa come non le succedeva da tempo; si è dimenticata cosa volesse dire trovarsi di fronte i suoi occhi blu incupiti.
Tentenna ma quando vede l’orda di ormoni impazziti farsi nuovamente strada verso lei, opta per il male minore, ovvero Mitsui, la sua camminata sgangherata e la sua allegria da condannato a morte.
Lo affianca stando però ben distante, quel tanto che basta per non lasciarsi inebriare dal suo odore o dalla sua aura incazzosa; in un certo senso, il suo silenzio è la cosa migliore che gli sia capitata da quando ha aperto gli occhi.
Salgono le scale in silenzio, Shibahime sente l’aria mancarle nei polmoni. 
Com’è possibile che quel demente possa avere ancora così tanto potere su di lei e sul suo umore altalenante? Per un istante, breve e a malapena acciuffabile, si è sentita talmente bene da poter spiccare il volo, ma cose che se si fosse buttata dal tetto probabilmente avrebbe raggiunto il manto di nuvole bianche. Fino a che non si è fermato, guardandola oltre la spalla. Shiba prega che se ne stia zitto, che non se ne esca fuori con una delle sue solite stronzate apocalittiche ma, beh, Hisashi per certe cose non è poi così tanto cambiato.
«E’ la seconda volta che ti salvo da un gruppo di arrapati, inizio a credere che tu lo stia facendo apposta.» le sue labbra si aprono in un ghigno, quella che dovrebbe essere una battuta buttata lì per smorzare la tensione non sortisce gli effetti sperati.
Shiba è reticente, risponde con un secco «Apposta, certo…» che spera chiuda lì la conversazione, anche perché non ha voglia di perdersi in chiacchiere. La discussione con Madoka è ancora fresca, divora quel briciolo di bontà che le permetterebbe di non trattare Hisashi come un caso umano.
Lo studia e quando crede che non ci sia più nulla da dire, perché tanto finirebbero col lanciarsi contro qualsiasi oggetto o persona che passa di là, lo supera, lo sguardo basso e le dita che giocherellano con la lunga coda di cavallo.
Ma Mitsui a quanto pare non è della stessa idea «Un grazie sarebbe d’obbligo.»
E Shiba esplode.
Nel corridoio della scuola, mentre delle povere matricole pascolano ignare di essere appena giunte in zona di guerra, con quei pochi presenti che si affacciano in corridoio per vedere chi sta dando spettacolo.
Lo guarda con occhi larghi e che sputano fiamme, è costretto ad indietreggiare pur di non sciogliersi per tutto quel calore.
«Non ti devo niente, mi hai sentito?! Me la so cavare benissimo da sola! Non ho bisogno di pastiglie, chiaro?!» agita i pugni, sbraita, se solo non ci fosse dentro il pranzo gli lancerebbe contro pure il borsone.
«Pastiglie?!»

«E la mia canzone preferita è Heroes!
Non Life on Mars, Heroes!»
E impettita, si allontana, lasciandolo in mezzo al corridoio.

 
«Heroes.» Nana chiude l’anta dell’armadietto, ci si appoggia e la fissa con un ghigno.
Shiba si allaccia le scarpe «Non. Dire. Niente.»
«E io che ti facevo più tipo da Baby one more time
«Nana...»
«My loneliness, is killing me--»
«Nanaka, smettila o ti avveleno la cena!»
«Hit me Mitsui one more time.
Sì, ci sta bene!»
«Vai al Diavolo!»


 
«Oi, sono a casa!» poggia le chiavi sul tavolino all’ingresso, già pregusta l’odore di liti e riso che andrà a mangiare quella sera.
Da quando i suoi sono tornati a casa, le discussioni tra le donne di casa sono diventate sempre più frequenti.
Le porte che sbattono sono all’ordine del giorno, i sospiri di sua madre sembrano sempre più pesanti e i silenzi a tavola si possono tagliare con le bacchette. Se non fosse per suo padre che smorza tutto con la sua spensieratezza, probabilmente Shibahime e Madoka finirebbero col tirarsi contro ogni oggetto nel raggio di un metro.
Quella sera però c’è la voce alta di Shiba, un sonoro «Ma smettila!» che gli fa temere il peggio e una ben più familiare risata, quella leggera di Nanaka che gli fa sempre scorrere i brividi lungo tutto il corpo.
Nemmeno se ne accorge, ma accelera il passo di istinto quando si accorge che quell’adorabile miniatura sta impregnando casa sua con il suo profumo.
«E il Principe azzurro salvò la bella principessa dai pretendenti arraffoni.»
«E basta!» il gracchio perforante di Shiba fa traballare le pareti di casa, perfino il portaombrelli in veranda ha rischiato di ribaltarsi.
«Devi ammettere che è stato piuttosto carino.»
Le trova in salotto spaparanzate sul divano. O meglio: Shiba se ne sta stravaccata sul divano, la faccia sprofondata nel cuscino e i piedi incerottati in più punti che dondolano nell’aria; Nana siede per terra, sfoglia svogliatamente una rivista di basket e scuote la nuca ai suoi convulsi piagnistei.
Shibahime ha un’altra crisi isterica.
Diversa dalle altre, nota non senza un velo di speranza. Niente lacrime, niente su e giù per la stanza, niente balbettii o domande sparate a raffica senza alcun nesso logico. E' come se avesse raggiunto il punto di ebollizione e avesse deciso finalmente di sfogarsi.
«Chi ha salvato chi?» si intromette nel loro cicaleccio con bonarietà, ricevendo un seccato «Dovevi essere a casa un’ora fa!» accompagnato da un cuscino che gli sfiora la guancia, per poi schiantarsi contro il muro oltre le sue spalle. Ah, la mira orribile di Shibahime…
«Mi sono trattenuto a chiacchierare con Koshino» si giustifica con un mezzo sorriso, indeciso se restare in quella specie di campo minato o nascondersi dentro l’armadio «Ma si può sapere che è successo?»
Ed eccolo lì, il volto di Shibahime rosso come un peperone e gli occhi che saettano a destra e sinistra quasi si sentisse osservata. Nana trafigge il silenzio con un delizioso «Quanto la fai tragica.» e sua sorella, dopo quella che sembra un’eternità, se ne esce fuori con un incomprensibile «Acchan, ti è mai capitato di venir salvato da qualcuno che odi?»
«Che?» si siede sulla prima poltrona libera che trova, quella che gli permette di vedere meglio Nana evitando che Shiba possa scorgere i loro sguardi sfuggevoli; o quell’accenno di sorriso che gli ha subito celato tornando a guardare la rivista.
È la prima volta che sente il bisogno di urlare a gran voce che si frequentano –nh, più o meno- da qualche tempo, ma Shiba è tutta presa da chissà quale problema e allora ricaccia tutto, perché non ha voglia di vederla sgretolarsi davanti ai suoi occhi. Si è spesso chiesto come la prenderebbe sua sorella se scoprisse che da qualche anno, la sua migliore amica si infila sotto le sue coperte senza averle mai confessato nulla ma, date le circostante, finirebbe per scaraventare loro contro Hisashi Mitsui, così da porre fine a ogni flagello che affligge la sua vita.
«Hisashi Mitsui le ha salvato la pelle da un branco di futuri molestatori, lei non gli ha detto grazie e ora si sente in colpa.»
«Non mi sento in colpa!»
«Non glielo hai detto?»
«Beh--»
«Se non ti sentissi in colpa, non faresti così tante storie.»
«Mi sento in colpa solo perché tu mi ci fai sentire!»
«Beh, avresti dovuto dirglielo.»
«Tu non intrometterti!»
«E che gli hai detto, si può sapere?»
«Niente, che avrei dovuto dirgli?!»
«Ah, niente.»
«Gli ha detto che la sua canzone preferita è Heroes.»
«Nanaka!»
«Ah. E perché?»
«Magari voleva renderlo geloso di David Bowie.»
«Dubito che Mitsui sappia chi è David Bowie.»
«Questo perché è una capra!» Shiba si stringe il cuscino in petto «E’ anche vero che è la seconda volta che si comporta bene.»
«Cosa cosa?!» Nana perde interesse per la rivista, ha lo sguardo di un felino pronto ad agguantare la preda «C’è già stata una prima volta?»
Shiba riemerge dal proprio annaspare «Ahm, beh, ecco, giorni fa sono capitata a Shibuya--»
«Che ci facevi a Shibuya?» Akira inclina il capo.
«Mi sono addormentata sulla metro» ridacchia scioccamente «E Mitsui mi ha salvato da un gruppo di teppisti e--»
«Che ci faceva a Shibuya?» questa volta è Nana quella curiosa, la fissa con un sopracciglio arcuato.
«Ma che ne so, si sarà addormentato.»
«Siete proprio fatti per stare assieme!» cinguetta malefica.
«E lo hai ringraziato?»
«Ahm, veramente--»
«Shibahime!» gracchiano in coro, scaraventandola lontana.
«E’ che non ce n’è stato il tempo!» agita le mani «Lui era lì, che si comportava come se nulla fosse e mi ha offerto la cena al Mc e io--»
«Che ci facevate al Mc?!»
«Ahm, non credo che questo sia il punto.»
«Certo che lo è!» Nana spara raggi laser dagli occhi, Akira si copre con un cuscino «E’ a dieta, non può mangiare schifezze!»
«Ma se ha mangiato tutto lui?!» si intromette sua sorella «Io ho assaggiato la macedonia!»
Akira batte un pugno sul palmo aperto «Ah, quindi era suo il sacchetto!»
«Il sacchetto?»
«Ma sì, mi ha lasciato un sacchetto.»
«Con su scritto: Mangia.»
«Ah…» Nana allunga le gambe, guarda il soffitto «Beh, è stato carino.»
«Eh.»
«E tu una cavernicola.»
«Ugh.»
«Direi che un grazie se lo merita, non credi?» Akira si rintromette, guardandola con un sorriso.
Shibahime si ributta sul divano, mangiucchiando frasi inconcludenti.
Nana sospira pesantemente, sembra più uno sbuffo a dire il vero «Shiba, tutti ci hanno messo una pietra sopra. Possibile non possa farlo anche tu?» i suoi occhi liquidi traballano sotto il suo sguardo esasperato, fino a che non si affloscia sul cuscino.
«Non ci riesco. Lui è--»
«Cambiato. O almeno ci sta provando» Shiba si fa piccola piccola «Non credi che anche per lui sia snervante saperti così diffidente?» Nana le picchietta amorevolmente una mano sulla testa, ad Akira tornano in mente le serate in cui Shiba si svegliava nel cuore della notte in preda agli incubi e Madoka era lì, a carezzarle la schiena mentre le teneva su i lunghi capelli cremisi.
Non sa quanto tempo spendono lì, in silenzio, con Shiba che probabilmente cerca di soffocarsi col cusino e loro che tentano di non cadere ancora sull'argomento Mitsui, fino a che Nana non si solleva, si pulisce i leggings neri e le scompiglia i capelli.
«Devo andare. Ricordati che domani mattina abbiamo gli allenamenti.»

«Ngh. Posso morire?»

«Prima finiamo i campioanti.»
«Ma che stronza!» la Itou scoppia a ridere mentre tenta di schivare i suoi cuscini e i fulmini che spara dagli occhi.
Akira si alza «Ti accompagno, fuori è buio.»
Nana gli sorride appena mentre lancia uno sguardo a Shiba ma quella sventola una mano e farnetica qualcosa come «Spero che un meteorite vi colpisca.» e amenità del genere.
Una volta fuori sente l'aria ritornargli nei polmoni, come se se ne fosse andata a pascolare verso lidi migliori quando si è accorto che Shiba è entrata in uno dei suoi soliti tunnel infiniti.
«Testarda. E' una testada.» borbotta Nana pestando i piedi per terra. Ogni tanto gli sfiora la mano, nemmeno si rende conto che così facendo gli fa venire voglia di sbatterla contro il primo muro che trova.
«Forse deve andare così.»
«Sono due stupidi, stupidi! Si piacciono e fanno gli stupidi!»

«Nanaka--»

«Almeno, a Mitsui piace, insomma, si vede!»
«Che cosa?»
«Ma sì, si vede! Ha quello sguardo stupido che hanno tutti gli innamorati, si capisce che non gli è passata! E poi me l'ha praticamente detto!»
«Ah. Te l'ha detto.»
«Beh, non proprio. Me l'ha detto il suo finto padre.»
«Il suo finto padre, certo.»

«Parlava di una rossa snodata in classe con lui. E' lei, per forza! Mi ci gioco i trofei!»
«Ma quando?»
«Ma l'altra sera! Li ho incontrati per caso» sventola una mano, le gote rosse come se avesse appena svelato un segreto inconfessabile «E' cambiato, sai? E' sempre un idiota ma, va beh, se si sorvola sulla sua stupidità non è poi così male.»
«Nana?»
«E se si sorvola sulla sua camminata da gorilla.» cammina impettita.
«Nanaka?»
«Che?»
«Casa tua è questa.»
«Ah.»
«E non sono affari tuoi.»
Nanaka lo guarda con quel suo sguardo strano, quello che ha quando sta per esplodere o dirgli di andare via. Raramente l'ha vista così presa per la vita di qualcun'altro e, in un certo senso, lo eccita vederla scaldarsi. Sembra... Viva, in quella maniera tutta sua.
Borbotta qualcosa come «Certo che lo sono, è Shibahime dopotutto.» che gli ricorda una frase che spesso sua madre mormora a Kyosuke quando le dice di lasciarla perdere, che è solo una fase e non deve intromettersi.
Nana lo supera, ravana nella borsa alla ricerca delle chiavi e quando apre la porta, si impala sulla soglia, lo sguardo puntato su dei cocci fiocamente illuminati dalla luce della luna.
«Ha chiamato tuo padre.» gli sfugge senza nemmeno pensarci, mentre accende la luce. 
«Già…» Nana sospira e dopo aver sventolato una mano si infila in casa con passo pesante, gettando la borsa con malagrazia per terra.
In casa c'è un silenzio quasi surreale, se non fosse per il bigliettino appeso al frigo che dice "Sono uscita, faccio tardi", penserebbe che i ladri hanno pensato bene di svaligiarle casa.
Chiama Spock a gran voce ma quella sfuggevole palla di pelo deve essersi rintanata chissà dove «Beh? Che ci fai ancora qui?» glielo chiede con sgarbatezza anche se nel suo lieve rossore può scorgervi imbarazzo.
Akira comincia a raccogliere i pezzi di vaso sparpagliati in giro
«Pulisco qui e vado.»
Nana gli da le spalle «Shiba potrebbe preoccuparsi.» 
«Ma va.»
Per la prima volta, pensa che Shiba può aspettare.

 


Harvey Dent: Il “Due facce” di Batman. Brillante avvocato di Gotham, durante un’udienza viene sfigurato sul volto con del vetriolo dal boss mafioso Maroni. Divenuto schizofrenico, ha inizio la sua carriera da criminale. Tanto amore per lui.

Miyavi: Cantautore, musicista e produttore discografico giapponese.

David Bowie: Cantautore e attore britannico, “Life on Mars?” e “Heroes” sono due dei suoi più grandi successi. La bellezza

Prozac: Farmaco usato per curare la depressione, disturbi ossessivi-compulsivi e la bulumia nervosa.

Gong Li: Attrice cinese, è famosa per aver interpretato la geisha Hatsumomo nel film “Memorie di una Geisha”. 


*Toc toc*
Sì, lo so, sono un sacco in ritardo T.T
Vi prego di perdonarmi ma a lavoro sta diventando impossibile, finisco tardi, torno a casa che sono cotta come una mela e i giorni a seguire saranno ancora più tremendi e Mo chuisle è passata in secondo piano. Ad ogni modo, il capitolo è un po' più lungo del solito (mi pare!) anche se mi sembra un po’ sottotono o magari sono io ad esserlo, non lo so. 
Sta di fatto che ho fatto una fatica immane a finirlo, le parole non uscivano come volevo e i pensieri mi sembrano confusionari, come se i personaggi continuassero a rincorrere qualcosa senza però raggiungerlo. Spero però di essermi fatta perdonare con il breve siparietto Nana-Mitsui.
Nota dolente: i capitoli che avevo scritto per intero sono ahimè conclusi, dal 9 in poi sono solo abbozzati pertanto non credo sarò celere nel pubblicare, anche se spero di non far passare i miei soliti mesi comunque. La scaletta c'è, so cosa deve succedere nei singoli capitoli, si tratta solo di una questione di tempo, voglia e stanchezza. Inoltre sto buttando giù un’altra fanfiction che mi sta a cuore quindi mi divido tra le due e il tempo è che quel che è T.T Farò del mio meglio, lo giuro! Anche perché non posso abbandonare questi cretini, insomma, vi meritate di vedere come vanno le cose!

Bom, direi che mi sono cosparsa il capo di cenere già per troppo XD
Ringrazio infinitamente pinkjude, Ice_DP, ReginaMills89 e LuMiK per aver recensito lo scorso capitolo, siete state carinissime come sempre e io invece sono una disgraziata, perché ancora non vi ho risposto. Ma abbiate fede, presto vi riempierò di amore cosmico 

Alla prossima! 
HeavenIsInYourEyes.

   
 
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