«Sai
di
lavanda.»
È l’unico
suono che esce dalle sue labbra tumefatte e che provvidenzialmente fa
tacere
anche Shiba, intenta a medicargli la tempia sanguinante. Uno stronzo ha
pensato
bene di spaccargli una bottiglia di birra in testa nonostante le regole
fossero
state chiare: niente armi, solo pugni.
«Idiota…»
bisbiglia, dandogli una sberla quando la sua risata roca si spande
nell’aria
«Vuoi che i miei ci scoprano?!» si pulisce una mano
sulle coperte di lino a
fiori «Il sangue si sta fermando.»
Vorrebbe dirle
“Grazie” ma è troppo impegnato a
giocherellare con i suoi boccoli ramati; le
punte sono sporche di sangue, dure e appiccicose.
«Perché hai
fatto a botte?»
«Così.»
«Così, certo.»
Shiba gli
pizzica le dita e si tiene i capelli con entrambe le mani, guardandolo
in
cagnesco. Mitsui capitola ma solo perché vuole giocare con i
suoi capelli; sono
così brillanti «Uno a cui dovevamo un favore ci ha
chiesto una mano. Non
potevamo tirarci indietro.»
«Loro no, ma
tu sì» gli tocca il ginocchio sinistro, sussulta e
il suo viso si intorpidisce
dal dolore «E’ gonfio… Mitsui, se
continui così--»
«Se continuo
così rischio di non guarire più, di finire nei
guai, di far soffrire gli altri,
bla bla bla. Sai che cazzo me ne frega…» cade di
lato sul letto, la stanchezza
lo prende alla sprovvista «Che senso ha?»
Shiba smette
di carezzarlo, si fa lontana nonostante il letto sia ad una piazza e
mezza.
«Tanto non
posso più giocare a basket.»
Solleva
lo sguardo, i capelli rossi di Shiba diventano un lontano ricordo.
L’infermiera
che fa capolino dalla porta dello studio del fisioterapista si guarda
attorno.
«…
Cosa?» tossicchia, la voce gli è finita
nell’Oltretomba.
La
donna gli sorride cordiale «E’ il suo
turno.»
Mo Chùisle
Capitolo 8
But the film is a sadd'ning bore for she's lived it
ten times or more
“Dr.
Jennifer Melfi:
Con gli aiuti farmacologici di oggi, nessuno è
più
costretto a soffrire per esaurimento o depressione.
Tony
Soprano:
Eccoci. Ecco che arriva il Prozac”
-Affari
di famiglia [1.01],
I Soprano-
Può
tornare a giocare senza problemi, dovrà farsi controllar di
tanto in tanto ma
può finalmente dire addio alle sue paturnie.
Il
ginocchio è guarito, un problema in meno.
Fischietta
un motivetto di cui a malapena sa le parole, Jospehine
qualcosa; Shiba lo cantava spesso quando era sovrappensiero
e lui aveva preso il brutto vizio di sussurrargliela nelle orecchie
quando non
riusciva ad addormentarsi o quando le veniva uno dei suoi soliti
attacchi di
panico.
Nh,
per essere uno a cui non frega un cazzo di quella, continua a pensarci
un po’ troppo
spesso.
Il
fatto è che quella serata trascorsa in
tranquillità continua a far capolino
nella sua mente quando meno se lo aspetta: è il pensiero
fugace fra le lezioni
di matematica e storia, è il pensiero imprendibile fra un
tiro e un rimprovero
di Akagi o qualche buffonata di Hanamichi e gli fa salire su tutte le
emozioni
che faticosamente ha cercato di seppellire.
È
come se la speranza avesse ripreso a brillare vividamente nel buio di
quello
che si sono lasciati indietro ma non riesce a capire che cazzo voglia
da lui.
Speranza che ritornino a parlare come ai bei vecchi tempi, anche se
nemmeno si
ricorda dove andavano a finire i loro discorsi? Tornare ad esserle
amico?
Certo, ok, peccato che non lo siano mai stati, non nel senso stretto
del
termine. Quando l’ha conosciuta, con i suoi capelli fradici,
il suo imbarazzato
«Oh cacchio, ho sbagliato
ora!» e lo
scrosciare incessante della pioggia a far da sottofondo al loro
silenzio, la
prima cosa che ha pensato è che se la sarebbe spalmata
volentieri sul parquet
ed è stato… Improvviso, come se il mondo si fosse
rovesciato di botto. I
brividi ci sono sempre e solo stati per la pallacanestro poi piomba
‘sta
ginnasta dai capelli strani e gli scombussola il cervello, ovvio che
non può
diventarci amico. Deve esserci per forza qualcosa in più.
E
quel qualcosa in più c’è stato e,
davvero, è stato bello fino a che è
durato.
Perché prima delle liti, prima dei pianti, prima dei silenzi
inscalfibili c’è
stato tutto un mondo di bellezza che ancora adesso gli scalda
l’anima, se solo
ci pensa. E forse è per questo che la speranza brilla
così tanto da bruciargli
gli occhi, per fargli riprendere le cose da dove le avevano lasciate e
portarle
avanti e non sarebbe poi così male se non fosse che, porca
miseria, Shiba ormai
è una specie di orso a cui hanno toccato i cuccioli.
«To’,
guarda chi si vede…»
Si
volta di colpo, i pensieri sbalzati via lontani
«Tetsuo?!» fissa la sua moto
«Che ci fai da queste parti?»
«Intendi
nelle zone per ricconi?» Mitsui si gratta la nuca, tira su
con il naso per
celare l’imbarazzo «Sto scappando.»
«Scappando?»
«Sì,
insomma, le solite cose che una volta facevi anche tu. A quanto pare
agli
sbirri dà fastidio che me ne vada in giro senza
casco» scende dalla moto e si
appoggia al guardrail.
Non
va a trovarlo da appena qualche giorno ma gli pare siano passati anni:
la barba
incolta lo invecchia di almeno cinque anni, rispetto a quando lo ha
abbandonato
sul divano di casa inseguito dalle sue imprecazioni. Non sa esattamente
dirsi
il perché, ma quello sembra quasi l’inizio di un
addio e questa volta per
davvero… «Problemi al ginocchio?» indica
la clinica poco distante da loro.
Mitsui
scuote la nuca «Nulla di che. Sai, le solite visite di
routine… Posso tornare a
giocare senza problemi.» trattiene un sorriso, ha il timore
che l’altro non
capirebbe. Sente che mostrargli sfacciatamente quanto bene stia ora,
potrebbe sminuire
ciò che hanno condiviso. Tetsuo, per quanto possa sembrare
strano, è stato un
padre migliore di quello che non è stato il suo quando le
cose sono cominciate
a peggiorare. È facile essere buoni genitori quando tutto va
bene, quando si
prendono bei voti a scuola e quando la vita sorride luminosamente;
quando le
cose vanno a rotoli, beh, non tutti sono bravi a raccogliere i cocci e
aspettare
di poterli ricongiungere insieme.
I
suoi, in quello, hanno fatto decisamente schifo.
Suo
padre ci ha provato a comprenderlo, qualche volta, quando si ricordava
che suo
figlio non spendeva più il tempo libero nei campetti vicino
casa ma disperso
chissà dove, ma è sempre stato troppo preso da
altro per chiedersi davvero che
cazzo stesse combinando. E poi c’era sua madre,
l’isteria fatta donna, che a
capirlo non ci ha nemmeno mai provato, ma neppure per sbaglio.
«Ho
sempre pensato che questa sia la vita più adatta a te. Mi
sbaglio?»
Mitsui
vorrebbe dirgli che no, ha ragione. Lui è portato per il
basket, una vita non
sregolata e forse un po’ monotona, fatta di gente che non sa
neppure cosa
significhi beccarsi un pugno in pieno petto o un calcio in mezzo ai
coglioni ma
le parole se ne stanno lì, in gola, non vogliono saperne di
uscire e quando
crede che qualcuna di loro stia timidamente cercando di farsi sentire,
ecco che
uno dei suoi incubi peggiori compare di soppiatto…
«Mitsui!»
E
non è quel bell’incubo coi capelli rossi, gli
occhi scuri e il sorriso rotto. È
quell’altra… Quella a cui staccherebbe la testa a
morsi.
Eh,
ma cazzo…
Guarda
oltre la spalla, scorgendo la figura snella della Itou che, manina
sventolante,
gli zampetta incontro. Prega ardentemente che lo sorpassi ma questa gli
si
ferma a qualche passo dal ginocchio spappolato e allora ogni speranza
svanisce
nel fumo di sigaretta che Tetsuo ha appena acceso.
«Itou…
Che spiacere rivederti.»
sbotta
contrito, rifilandole un’occhiata al vetriolo.
Nana
accenna ad un sorriso e posa lo sguardo sul motociclista appollaiato
sul
guardrail «Oh, sei in giro con tuo padre?» si
inchina «Mitsui-san, mi spiace
avervi disturbati--»
«Cazzo
vai dicendo, Itou?! Ma ti sembra mio padre?»
«I
capelli ci sono. La faccia da fuori legge, pure.»
«Ehi,
mio padre è un uomo rispettabile!» si volta
sventolando le mani «Non che tu non
lo sia, Tetsuo. Lo sai quanto ti ammiri e rispetti e--»
«Anche
Harvey Dent era un rispettabile
procuratore distrettuale e poi è diventato un super
cattivo.»
«Harvey…
Chi?!»
«Certo
che frequenti gente strana, tu.» Tetsuo ghigna.
«Doveva
vedere quelli con cui bazzicava prima.» si intromette la
giovane, guardandosi
le unghie laccate di rosso.
Tanaka
accenna ad una roca risata, mormorando un mite «Quelli che
frequentava prima,
già…» che sembra mettere fine alla loro
amicizia. Mitsui si ritrova a fissarlo
come se davvero suo padre stesse per cacciarlo fuori dalla propria vita.
Non
vuole ammetterlo ad alta voce, conscio che Tetsuo lo spalmerebbe sul
selciato a
suon di pugni, ma se è sopravvissuto senza impazzire
completamente lo deve solo
a lui.
Si
rende conto di dovergli dire un mucchio di cose ma le parole si
incastrano per
via di quel nodo che gli si è conficcato in gola e non
vogliono saperne di
uscire.
Oltretutto
la Itou non si leva dai coglioni…
«Che
vuoi ancora, si può sapere?»
«Ti
aspetto.»
«Mi
aspetti?!»
Tetsuo
soffia del fumo, intromettendosi «E’ lei la bella
di cui mi parlavi spesso?»
«Bella?»
«Per
carità, no!»
«Anche
perché non è rossa.»
«Oh,
lei è un adulatore,
Finto-Papà-di-Mitsui» il ragazzo si schiaffa una
mano in
viso «Ma… E’ la rossa che penso
io?»
«Non
c’è nessuna bella! Tantomeno rossa!»
«Sì
che c’è. Quella tua ex rossa, in classe con te.
Quella che faceva ginnastica,
che è talmente snodata che--»
«Non—Tetsuo,
possiamo non parlarne?»
«Shibahime?»
lo interrompe placida, con quel sorrisetto odioso penzolante sul viso
ovale.
«Sì,
quella là…» l’amico sorride
«Cazzo se c’hai perso la testa per
quella.»
«Non--»
«Lo
sappiamo.»
«Ma
tu sei ancora qui?! Non hai qualche matricola da
schiavizzare?»
«A
quest’ora sono tutte a casa» rimbrotta serafica,
facendogli perdere ogni
briciolo di astio nei suoi confronti. Quell’essere
è… Esasperante, non ce la fa
più ad incazzarsi per il suo essere così
deleteria «Ma diceva,
Finto-Papà-di-Mitsui?»
«Se
fiati ancora, sarai tu quella che perderà la
testa!»
La
Itou alza le mani «E va bene, va bene...»
fischietta spensierata, gironzola lì
intorno fingendo di non interessarsi minimamente ai loro discorsi.
Peccato che
la sua misera messinscena si sfaldi nel giro di un paio di
battute…
«A
proposito, non te l’ho mai detto ma… Questi
capelli ti fanno sembrare un vero
sportivo.»
«Ah.»
«Ti
donano di più, così.»
«Ha
ragione. Prima eri orribile.»
«Vuoi
sparire?!»
Nana
arriccia le labbra ma non accenna a muoversi. Kami, nella sua vita
precedente
deve essere stato uno schiavista egizio per meritarsi un supplizio con due gambe mozzafiato e gli occhi pericolosi,
come la descrivono i suoi compagni di classe. O magari il Karma gliela
sta
facendo pagare per aver fatto quasi chiudere il club e aver quasi
spaccato la
testa di Rukawa.
«Senti,
ti aspetto là--»
«Ma
perché?! Tornatene a casa e basta!»
«Vi
lascio soli.» accenna ad un inchino e sparisce poco
più in là, dondolandosi sui
piedi. Quella la butta in mezzo alla strada non appena passa un camion,
così
almeno se ne libera…
«Ascolta,
so che ne hai le palle piene e che parlarne è un
po’ come avere un cane
attaccato ai coglioni… Ma manca solo lei, no?»
Tetsuo si gratta la folta chioma
«Hai risolto col basket, risolvi anche con lei.»
Gli
pare che tutte le barriere siano crollate nel fumo di sigaretta e nelle
sirene
distanti della polizia.
Tetsuo
gli scava dentro come nessun’altro sa fare, gli
mancherà quella specie di
complicità che si è instaurata tra loro.
«Non
è così facile.»
«E
che ci vuole? Vai lì, la prendi e le dici che te la vuoi
bombare come ai vecchi
tempi, no?»
«Cosa--»
«Oh,
no, così non funzionerà mai!»
«Itou,
estinguiti, dico sul serio!»
Tetsuo
tira del fumo, li guarda cicalare fino a che le sirene della pattuglia
non
interrompono le minacce di morte di Mitsui.
Il
ragazzo si alza dal guardrail, si pulisce i jeans sdruciti e lo guarda
con noia
«Staranno cercando me.»
«Dovresti
mettertelo quel benedetto casco» mormora sfibrato,
riscoprendosi decisamente
più preoccupato di quanto non dovrebbe essere. Non sa
spiegarsi se lo fa perché
vorrebbe saperlo in salvo o perché così
può ancora godere un po’ della sua
compagnia «Qualche sera passo a trovarti.»
«Sì,
fallo e ti spacco i denti. Così te la fai per davvero la
dentiera.»
Si
lascia sfuggire una risata svagata eppure dentro di sé
è tutto un terremoto.
Pensa
che se Tetsuo se ne va, ma se ne va per davvero, significa che con la
sua
vecchia vita ha chiuso e per quanto sia fortemente convinto che questa
sia la
cosa più giusta per lui… Beh, un po’
gli mancherà tutto quello che c’è stato.
Ed
è così che si sente quando vede la sua moto
divenire un puntino lontano: come
se si fosse finalmente liberato di tutto. Come se per tutto quel tempo
avesse
tenuto stretto a sé un palloncino colmo di tutto quello che
si stava
trascinando dietro e ora se ne è liberato, lo vede librarsi
alto e non sente la
necessità di riacciuffarlo.
È
una bella sensazione.
Si
volta con un sospiro, ritrovandosi di fronte il sorrisetto cordiale di
quel
mostro in gonnella della Itou.
«Sei
ancora qui?!»
«Non
vorrai che una signorina se ne torni a casa tutta sola, nel cuore della
notte?»
«Nemmeno
un ubriaco ti abborderebbe.»
«Hai
detto qualcosa?»
«No…
Muoviti o ti lascio indietro.»
Nana
gli zampetta incontro e lo affianca, standosene in silenzio. La
borsetta
striscia sulle pieghe della corta gonna scura, che mette in risalto il
pallore
delle sue gambe lunghe.
Distoglie
lo sguardo e prega che la casa di questa squinternata sia vicina; non
può
reggere più di cinque secondi in sua compagnia.
«Che
ci fa una signorina come te in giro
a
quest’ora?» studia il suo abbigliamento vagamente
elegante e un ghigno spunta
«Incontro galante?»
«Se
il sesso può definirsi galante…»
Mitsui
per poco non si prende un palo in fronte. Non sa se essere sconvolto
per la
naturalezza con cui la Itou gli spiattella la propria vita sessuale o
se essere
sconvolto per l’essere incappato in un argomento del genere
senza averne la
benché minima intenzione.
«Se-Ses—EH?!»
«Sai
cos’è o vuoi che ti faccia un disegnino?
«Sono
solo sorpreso che una vipera come te faccia sesso con qualcuno. O che
lo faccia
e basta. O che qualcuno voglia farlo con te.» si massaggia la
cicatrice.
«Ehi,
il tuo finto padre ha detto che sono bella.»
«Tetsuo
trova belle perfino quelle che fanno body building. Non credo sia
attendibile»
corruga la fronte «E basta con ‘sta storia del
finto padre!» Nana non dà segno
di essersela presa per il suo tono vagamente alterato ma non
è che quella lasci
trasparire chissà ché
«Quindi… Chi è lo sfigato?»
«Uno…»
«Se
fosse stata una, ti avrei chiesto di invitarmi» ribatte
sarcastico, vedendo il
suo naso allungato storcersi un poco «Certo che deve avere
uno stomaco di ferro
per sopportarti.»
«E’
solo sesso. Non c’è sopportazione nel
sesso.» rimbrotta placida, come se
l’argomento non la toccasse direttamente.
Con
la coda dell’occhio studia il suo profilo di porcellana,
rilassato e per nulla
turbato dalla piega che ha preso il discorso. Lui, se ne fosse stato il
protagonista, se la sarebbe filata alla velocità della luce.
Non
gli piace esporsi troppo, preferisce rimanersene in quel cantuccio di
mistero
che si è ritagliato solo perché non si reputa
così interessante. Insomma… Un ex
MVP che diventa un teppista, si redime e torna a giocare a basket
è una storia
noiosa, sa di già sentito. Gli altri sembrano invece trovare
questo argomento
molto succulento perché non smettono di tampinarlo di
domande, psicanalizzarlo.
Ha
preso una sbandata ed è tornato sui propri passi, che altro
c’è da raccontare?
«Comunque
non è niente di importante, se può farti stare
meglio.»
Hisashi
la fissa allucinato «… Ma sai cosa cazzo me ne
frega.» rimbrotta mettendo le
mani in tasca, giusto per enfatizzare la propria incazzatura.
Quella
strega invece cammina beata, come se avessero appena disquisito
dell’ultima
puntata dei Pokémon.
«E
tu? Non dovresti essere a riposarti?»
«Sono
andato dal dottore. Per il ginocchio, sai, quelle cose
lì.»
«Quelle
cose lì, certo» Nana annuisce «E
com’è andata?»
«Dice
che posso giocare senza problemi ma devo comunque tenerlo sotto
controllo, fare
terapie se necessario… Quelle così
lì.»
«Quelle
cose lì, mh.»
Nana
si ferma di colpo dopo quella che gli pare
un’infinità «Casa mia è per
di qua,
posso andare da sola» indica la rientranza che porta in una
delle tante zone
bene di Kanagawa «Grazie per avermi accompagnata a casa,
Mitsui.»
«Avevo
altra scelta?»
«Smettila
di fingere che non ti sia piaciuto.»
«Avrei
preferito farmi spappolare il ginocchio alla terapia» le
sorride acidamente e
lei replica con un sospiro pesante «Beh, a domani.»
alza una mano e se la fila
via, che quella è capace di invitarlo a bere un
caffè o peggio.
«Mitsui…?»
Ecco,
appunto…
«Mh?»
si volta con scazzo, vuole solo tornarsene a casa.
Nana
ha la mano stretta intorno alla cinghia della borsa, lo sguardo serio
serio e
le labbra serrate «No, niente… Buona
notte.» la ragazza fugge nel vicolo prima
che possa mostrarsi confuso.
Bah!
Quella è
psicopatica!
Fa
per andarsene ma il suo «Mitsui!» questa volta
urlato con decisamente più
vigore, lo fa bloccare.
«Si
può sapere che vuoi?!»
Il
suo ghigno è qualcosa di tremendo «Non
funzionerà mai, con Shiba. Non in quel
modo lì, almeno. Però il tuo finto padre ha
ragione!»
«Su
cosa?»
«Che
sono bella, ovvio.»
«Ma
che cazzo--»
«E
che manca lei per risolvere
tutto»
♠
31
maggio, sabato mattina.
Il
palazzetto è gremito di gente, le ricorda il parco giochi a
Tokyo in cui la
portavano i suoi; sì insomma quando suo padre non sapeva
neppure che nome
avesse la sua segretaria e mamma usciva un po’ più
spesso dall’ufficio.
Nana
si chiede da quando il basket a livello scolastico sia così
popolare ma poi si ricorda che in campo ci saranno degli animali liberi
di dar
sfogo alla loro demenza e allora le viene in mente che, effettivamente,
allo
zoo ci va un mucchio di gente.
Si
guarda intorno circospetta, lo sguardo che vaga sulla folla in
movimento alla
ricerca di quel beone di Akira e per un attimo, al pensiero di
incontrarlo
all’aperto e senza Shiba, il cuore fa un salto, di quelli
belli difficili e
carpiati che le fanno mancare l’aria nei polmoni.
È
come sentirsi normale, per una volta, ed è una sensazione
gradevole che non la
lascia per un sacco di tempo.
Neppure
quando Fujiko interrompe i suoi pensieri con un belante
«Uuuurca, che stanghe!» alzandosi sulle punte, mano
davanti alla fronte e l’aria di una leonessa che sta
per attaccare l’indifesa gazzella. Ed eccola lì,
infatti, pronta a scattare
verso quei lampioni umani dello Shoyo appena entrati nel palazzetto,
capitanati
da un bonsai.
«Ma
quello è Fujima senpai! Oddio, è
bellissimo!» Fujiko fa un balzo in avanti ma
viene prontamente afferrata prima che possa commettere un abuso ai
danni di
qualche povero studente.
«Ferma
qui, da brava.» Nana la tira per collottola, storcendo il
naso di fronte ai
lacrimoni che le penzolano dagli occhi scuri.
«Ma,
senpai--»
«Cosa
ci eravamo dette?»
«Uh,
uh! Che ci avrebbe accompagnate solo se avessimo fatte le
brave!» quel
biscottino di Ume saltella sul posto, facendo oscillare i corti codini
laterali.
Nana
le sorride affabile, lasciando la matricola ancora mugugnante
«Ecco, quindi
evitiamo figuracce. O di violentare qualche giocatore.» le
vede annuire anche
su Fujiko continua a fissare gli avversari con un principio di bava
alla bocca.
Ah,
che pazienza…
«Però
Fujima senpai…» si lagna Fujiko, continuando a
guardare nella direzione
opposta.
Nana
sbuffa, rotea gli occhi, richiama la pace dei sensi e indossa i panni
della
paziente babysitter che ha a che fare con dei mocciosi irritanti,
quelli che
solitamente ti riempiono di domande a raffica o terrificanti e continui
«Perché?»
Si
arrende «Fujima senpai… Cosa?»
«E’
bello!» si intromette Ume.
«E’
un dio.» seguita Fujiko, sospirando.
Nana
segue la scia di stelline che i loro occhi sparano senza alcun ritegno,
scontrandosi con… «Oh, il bonsai.»
«Un
bonsai molto affascinante.» la corregge la matricola, mani
giunte e cuoricini
che cadono a terra ad ogni sospiro trasognato; un Link di passaggio
raccoglie,
ringrazia e se ne va.
«Mh,
ok… E sarebbe?»
Ume,
la più sana tra le due, la guarda con occhi larghi
«Capitano, possibile che non
lo conosca?» tira fuori dalla borsa il giornalino scolastico
«Ne parlavano sul
giornalino!» sorride allegra, sfogliando le pagine.
«Io
non leggo quella robaccia là. E dovreste smettere anche
voi.» sentenzia
macabra, raggelandole con la sola forza dello sguardo. La Bibbia di
Tomoko En è
pregna di stronzate, due ragazzine assennate come loro dovrebbero
evitare di
perderci tempo.
«Ma
al centro c’è una sua gigantografia!» si
lagna Fujiko, passandosi una mano fra
i corti capelli.
«Ma
che cosa--»
«Lei
non lo trova bellissimo?» gli schiaffa davanti il suo primo
piano, il poverino
è stato fotografato in treno da chissà quale
stalker.
Nana
lo fissa con curiosità, studiandone i tratti delicati. Un
«No.» sta per
sgusciarle dalle labbra ma ha il timore che quelle due si perderebbero
in
piagnistei incessanti e finirebbero col trascorrere il tempo della
partita a
parlare delle doti di quel Fujima. O di quanto lei sia strana
perché «Ma possibile che
li trovi tutti brutti?!».
La
verità è che Akira a parte, non le è
mai piaciuto nessuno.
Non
ne ha mai avuto il tempo, troppo presa dallo sport o dal raccogliere i
cocci di
quella che una volta avrebbe chiamato famiglia.
C’era solo lo sport, i piedi che dolevano e le clavettate
accidentali. C’erano
i litigi a tavola, con lei seduta in un angolo a mangiare le sue
ciotole di
riso, perché «Lo sai che
il riso al curry
non mi piace!» o «Hai
portato dei fiori
per farti perdonare?» seguiti dai soliti «Te la fai con quella cretina della tua
segretaria, vero? Ho visto come
la guardi!» che la costringevano a chiudersi in
camera. E allora c’erano i
libri, ci si rifugiava sempre quando le cose si facevano difficili. E i
trofei,
le medaglie, i diplomi per i concorsi scolastici vinti…
C’era tutto quello, che
se ne faceva di un ragazzo?
Che
poi sapeva come sarebbe andata finire: prima sarebbe stato tutto rosa e
fiori,
poi ci sarebbero state le incomprensioni e la poca voglia di
affrontarle pur di
passarci sopra. E i pianti, le notti insonni… Lei non
c’era portata per tutto
questo, no davvero.
Poi
è arrivato Akira, dal nulla.
Con
quel suo sorriso bonario, la battuta pronta e l’aria
scanzonata di chi i
problemi sembra sempre lasciarseli alle spalle, quel tipo di aria che
la fa
galleggiare in una bolla indistruttibile di pura quiete. A volte lo
invidia. A
volte vorrebbe avere la sua innata capacità di prendere la
vita per come viene,
con le cose belle e le difficoltà, senza lasciarsene
però travolgere.
«Carino…»
concede di malavoglia, restituendo il giornalino, pulendosi la mano
nemmeno
fosse stato radioattivo.
La
Murosaki diventa il ritratto dell’Urlo,
borbottando contrariati «Carino, solo?! È molto
più che carino! È un adone!» e
un mucchio di altre boiate a cui l’altra da man forte
annuendo.
Poi,
per chissà quale intervento divino, il parlottare concitato
di Ume e Fujiko si
spegne, letteralmente. Fissano la porta d’ingresso con occhi
larghi, guance
rosse e labbra a forma di “O”. Sono adorabili, non
c’è che dire. E anche un po’
inquietanti…
«Beh?
Vi siete rotte? Oh…» le sue parole si perdono nei
meandri della mente al
cospetto della beltà di Akira Sendoh, giunto probabilmente
in suo soccorso, con
quel suo sorriso da 3.000 Watt e gli occhi che brillano come nemmeno le
luci di
Las Vegas.
È
sempre così, lui.
Così
luminoso da farle dimenticare di essere sulla Terra e non su qualche
pianeta
sconosciuto o inesplorato.
«Ehi.»
alza la mano, le trema appena. Le trema sempre quando sa che non
può sfiorarlo
per il semplice fatto che non sono chiusi in una camera da letto.
Il
suo sorriso si fa più ampio mentre zampetta verso di lei, la
tuta del Ryonan
indosso e il borsone in spalla. Ha l’aria di chi ha appena
vinto una partita e
il suo «Abbiamo vinto!» esclamato con due dita
belle aperte non è che una
futilità. Oh, ma chissenefrega, quando fa così
rende tutto un po’ migliore.
E
lo devono pensare anche le due matricole al suo fianco,
perché se ne stanno lì
immobili come due statue di sale «Oi, non si
saluta?» domanda con fare materno,
dando una leggera gomitata alla ragazzina con i codini.
Ume
solleva appena lo sguardo e quando incrocia il sorriso di Akira, lo
riabbassa
alla velocità della luca, fissando i piedi che vanno su e
giù.
Fujiko
rotea lo sguardo «Capitano, sarà meglio che
andiamo a prendere i posti o
Ume-chan ci muore qui» la prende per un polso
«E’ stato un piace Sendoh-san,
dal vivo è ancora più bello!» saltella
via e il ragazzo se ne sta lì, fino a
che le due non diventano dei puntini.
«E
grazie ancora per l’autografo dell’altra volta! Lo
custodirò a costo della
vita!»
Akira
sventola una mano «Chi… Sono, quelle?»
«Le
mie predilette.»
«Ah.
Sono quelle che vanno a spiare le altre squadre, vero?»
«Già.
Sono adorabili, non trovi?»
«Adorabili,
certo. Inquietanti, magari.»
Gli
dà una sberla sul braccio, beandosi della sua risata un
po’ sciocca che gli fa
pesare meno il fatto di doversi sorbire una partita di pallacanestro di
cui non
gliene frega niente. Non l’ha mai capito, il basket. Non
capisce cosa ci trovi
Akira nell’inseguire una palla arancione, una cosa che non
è poi così diversa
dal suo solito «E io non capisco
cosa ci
trovi in un paio di clavette che potrebbero romperti la
testa.» a cui,
effettivamente, non sa dare una risposta.
È
elettricità, come dice lui.
Pura
e semplice elettricità che per un istante la fa sentire viva.
«Non
è venuta, mh?» la sua voce rassegnata la riporta
sul pavimento lucido, immersa
in un vociare concitato che non le permette di pensare. Ci mette
qualche
secondo a realizzare chi è il fulcro del suo discorso e
quando e lo fa, un
sonoro sospiro le sfugge dalle labbra piegate.
«Certo
che no, ma ti pare? Figurati, quella è testarda,
è proprio come--»
«Come
mia madre, lo so» le risponde bonario, facendole storcere il
naso; si dice che
la mela non cada tanto lontana dall’albero e Shiba,
nonostante sia stata
adottata, non è poi così diversa da Madoka.
Secondo lei è per questo che si
scontrano facilmente, hanno due caratteri talmente simili che tendono a
prendere
fuoco se si avvicinano un po’ troppo e quando sono sul punto
di capirsi, c’è
sempre quella parolina di troppo che fa crollare tutto «Oi,
cos’è quella
faccia?»
«Quale
faccia?»
«Quella
che hai adesso. Sei tutta corrucciata, ti farai venire le
rughe.» le puntella un
indice sulla fronte e per un breve istante crede di essere andata a
fuoco; non
è abituata a certi slanci improvvisi, non in pubblico.
«E’
che—No, niente.»
«Che?»
Vorrebbe
dirgli che a Mitsui piace ancora.
E
che è solo una sua opinione. Che è solo una sua
opinione basata su fatti
oggettivi come i suoi occhi che brillano quando si parla di Shiba, i
suoi goffi
tentativi di nascondere che, in fondo, arde anche lui dalla voglia di
riacquistare quel rapporto che è andato deteriorandosi e che
quando gli ha
detto che manca lei per risolvere tutti i casini che si trascina dietro
da un
po’, non le è sfuggito quel lampo di nostalgia che
è sfrecciato veloce nei suoi
occhi blu.
Scuote
la nuca «Ma no, niente… Piuttosto, volevi dirmi
qualcosa?»
«Volevo
solo salutarti.»
«E
immagino tu abbia lasciato la finestra chiusa.» ribatte con
un sorrisetto.
Il
ragazzo annuisce un poco poi sospira quando vede i suoi compagni
sbracciarsi
per attirare la sua attenzione.
«Sendoh,
datti una mossa!» quel simpaticone di Koshino lo richiama a
sé, braccio
sventolante e sorriso malizioso che le fa arcuare un sopracciglio.
«Sicuro
ci si possa fidare di quello?»
«Mh?
Oh, certo, perché?»
«Ha
la faccia da scemo.»
Sendoh
scoppia a ridere, con quella sua risata che spazza via ogni turbamento,
che
porta via perfino quel discorso un po’ opprimente che hanno
affrontato
poc’anzi.
Mentre
avverte le sue dita sfiorarle la spalla, mentre osserva la sua larga
schiena
divenire un puntino lontano, si rende conto che finiscono sempre per
parlare di
Shibahime o Madoka, mettendosi da parte.
«Capitanooo? Si sbrighi! La
partita sta per cominciare!»
Ha
la sensazione che nel cuore di Akira Sendoh non ci sia spazio per
più di due donne
contemporaneamente.
♠
Shiba
muove distrattamente la forchetta sulla griglia posta a centrotavola e
Akira si
perde nello svagato muoversi delle sue dita. Ha ricominciato a
mangiarsi le
unghie, segno che qualcosa la turba.
E’
concentrata nel non far bruciacchiare la carne, storce il naso quando
le sfugge
dalle bacchette proprio mentre sta per girarla dall’altra
parte. Sa bene che
dietro ai suoi sbuffi o ai suoi sorrisi troppo larghi o anche dietro il
suo
pigro scuotere della nuca c’è di più,
il problema è che non sa come arrivarci.
Ultimamente
non sa più come arrivare a qualcosa, con lei.
Tossicchia,
richiamando la sua debole attenzione «So che siete andate
bene.»
«Oh,
siamo state grandi! Ci saresti dovuto essere!» le labbra si
aprono in un bel
sorriso e l’aria tormentata che le ha tenuto compagnia fino a
quel momento
sembra dissiparsi.
Dura
poco, però, il tempo di un placido «Avrei tanto
voluto, ma Uozumi ci ha
costretti a studiare gli avversarsi.
Ah,
a proposito, Sakuragi a parte lo
Shohoku è davvero in gamba!» ed ecco che tutto
crolla miseramente. Puff!,
svanito, come se quel sorriso non ci fosse mai stato.
Le
sue labbra tremano appena mentre un risolino le sfugge «Te
l’avevo detto.» che
sembra voler porre fine a quella fiacca discussione.
«Ma perché non sei venuta?»
«Ma no, macché, mi sarei annoiata.»
arriccia le labbra.
«Dovevi
esserci, è stato uno spasso!» Akira si sistema
sulla sedia e Shiba gli regala
un sopracciglio arcuato.
«Uno
spasso… Sicuro di non essere stato al circo?»
«Beh,
effettivamente un gorilla in campo c’era.»
«E
una volpe.»
«E
una scimmia… Certo che Sakuragi è un danno. Ma
dove l’avete trovato, si può
sapere?»
«In
un cesto davanti alle porte della palestra» addenta un pezzo
di carne «Che ha
combinato questa volta?»
Akira
guarda il soffitto «Allora, ha dato una manata a uno dello
Shoyo, ha dato una
gomitata ad Hanagata e poi è volato.»
«Volato?»
«Ma
sì, è volato!» apre le braccia, sono
larghe come il suo sorriso divertito «Ed è
caduto addosso a Fujima, che è caduto addosso al
nanetto.»
«Al
nanetto.»
«Quello
piccolo con i capelli a fungo.» si scompiglia i capelli.
«Ah,
Miyavi?»
«Boh,
forse… Dovrò chiedere a Hikoichi di prestarmi i
suoi appunti.»
«O
era Miyabi?»
«Ah,
a proposito… Ho visto che è tornato.»
«Chi,
Miyavi? A quanto pare ha fatto un comeback che--»
«Mitsui.»
Quel
nome rotola fra le spezie come un macigno e si ferma davanti al viso
contratto
di Shiba.
Cacchio, può leggerci un mucchio di roba in quello sguardo,
un misto
fra mortificazione e rabbia e timore e quel suo continuo attorcigliarsi
le
ciocche nere fra i capelli non farà altro che palesare la
scomodità di
quell’argomento. Per un attimo gli galoppano in mente le
parole accorte di Nana
ma tutto sfuma con il suo leggero sventolio della mano.
«Ah,
sì, da qualche settimana… Non te
l’avevo detto?» è indifferente, Shiba,
come se
l’argomento non la tangesse minimamente.
«Non
me lo hai detto.»
Alza
le spalle, sorride abbacchiata «Mi è passato di
mente. Sai, tra gli
allenamenti, le gare, lo studio…» si scompiglia la
frangetta scura «E poi non è
così importante.»
«Ah
no?»
«No,
certo che no, non lo è» infilza un pezzo di carne
con secchezza «Potete
smetterla di preoccuparvi?»
«Potete?»
«Te
e Nanaka! Kami, non ho più sedici anni, non mi fa
più alcun effetto quel
demente.»
«E’
per questo che vieni a dormire da me ogni notte?» gli esce
prima ancora che le
parole vortichino in mente; se lo avessero fatto, di certo non se ne
sarebbe
uscito con una stronzata del genere, non con quel tono serio.
Shiba
si accartoccia sulla sedia. Ha le spalle strette, l’aria di
chi ha appena
ingoiato una quantità abnorme di limoni rancidi e quel che
è peggio, lo guarda
con lo stesso sguardo che elargisce a Madoka quando la costringe a fare
qualcosa che odia.
«Se
ti infastidisce basta dirlo.»
Vorrebbe
dirle che non è quello il problema.
Il
problema sono i suoi continui fare avanti e indietro nel corridoio
perché non
riesce ad addormentarsi, il suo stare fino a tardi in palestra pur di
sfiancarsi così da crollare una volta a casa e non dover
accampare scuse su
scuse pur di non dover parlare con sua madre, il problema sono gli
incubi
lasciati a dodici anni e ripresi a diciotto e quel suo costante
ripararsi
dietro muri di spesso silenzio pur di tenere tutti alla larga.
E i segreti.
Quelli non li ha mai sopportati, non tra loro. Si era aspettato una
confessione a cuore aperto, quando Nana gli aveva raccontato del
trionfale ritorno di Hisashi Mitsui, ma Shiba ha dribblato l'argomento
con algido distacco e lui non ha mai avuto le carte giuste per poterlo
affrontare.
La
Shiba che ha di fronte non emette più quel bruciante calore
che lo fa sentire
bene, sembra quasi... Un'estranea.
E' ritornata ad essere la Shibahime dei suoi otto anni, quella che si
accucciava in un angolo con la sua coperta a righe e non parlava,
quella che mangiava la notte di nascosto perché, a cena, si
rintanava in camera da letto, quella diffidente che guardava tutto e
tutti come se fossero nemici.
Arriccia
le labbra rossastre, lo scruta severa «Non ne hai parlato con
mamma, vero?»
«Mh?
Oh, no, figurati.»
«Eh,
bene. Che poi sai com’è fatta, inizia a
preoccuparsi per niente e fa storie.»
«Già.»
anche se c’è un però
lì, sulla punta
della lingua, che pesta i piedi pur di uscire. La verità
è che è stato più
volte tentato di spifferare tutto a Madoka per il semplice fatto che
non può
più gestire i problemi di sua sorella, non da solo.
Shibahime
ha bisogno di qualcuno che non è lui.
Un
po’ gli dispiace appendere al chiodo il vestito da supereroe,
lo faceva quasi
sentire il re del mondo.
«Però
con Mitsui dovresti parlarci. Sembra cambiato.»
«Ma
se non l’hai mai visto?!»
Già, non l'ha mai visto, ma Nanaka dice che è
cambiato e s elo dice lei, in un certo senso si fida. Perché
Nana vuole il bene di Shiba, a volte più di quanto potrebbe
mai volergliene lui e anche se è un po' maldestra nel
dimostrarglielo, sa che non farebbe mai nulla per farla
soffrire.
A parte tenere nascosta la loro... Cosa
ma, oh, beh...
Scuote la testa «Beh,
l’ho visto mentre giocava e--»
«Non
è che se uno torna a giocare con la coda tra le gambe,
allora tutto ciò che c’è
stato prima svanisce. Puff!, andato!» schiocca le dita,
lancia le bacchette sulla tovaglia.
«Shiba--»
è un fiume in piena, continua a vomitare una marea di parole
che non riesce ad
arginare e al suo ennesimo «Shibahime, ascolta--»
questa volta più rassegnato,
lei sembra chiamarsi.
E
gli dice una cosa.
Una
cosa banalissima ma che gli resta conficcata in mente per un sacco di
tempo,
che non se ne va nemmeno quando prova a scacciarla soffocandola con
altri
pensieri.
C'è il suo stanco «Non
basta un taglio di capelli nuovo per rimettere tutto a
posto.» e il loro starsene in silenzio per
un'infinità.
Akira
fissa i suoi capelli corvini.
Già,
a volte non basta.
♠
Life
on Mars
risuona bassa nell’abitacolo, Madoka
ne segue distrattamente il ritmo e ogni tanto azzecca qualche parolina.
Non
molte, giusto le ultime di ogni frase; incredibile come propini questa
benedetta canzone ogni volta che vanno in viaggio ma ancora non se ne
ricordi
neppure una sillaba.
Inizia a credere che la metta su solo
perché David Bowie
è il suo cantante
preferito. O magari le piace solo Life on Mars, non ne ha idea.
Ricorda ancora il suo sorpreso
«Ma... Ti
piace lui?! Anche io lo ascoltavo quando ero giovane!»
quando i suoi poster hanno cominciato a
tappezzare le pareti di camera sua, per poi scoprire che Madoka nemmeno
conosce il paese d'origine di questo santo uomo; probabilmente lo ha
fatto per trovare un punto di incontro con lei, non lo sa, sa solo che
non basta così poco per andare d'accordo.
È
all’ennesimo acuto sbagliato che
Shiba si decide a smorzare quella quiete costruita e che inizia a darle
noia.
«Non c’era bisogno di accompagnarmi a
scuola.» il suo mormorio è un po’ roco,
copre l’acuta voce di David Bowie che
sembra dirle: «C’è vita su
Marte, ragazzina, scappa da quest’auto e vacci!»;
qualsiasi pianeta sarebbe meglio della Toyota di Madoka.
C’è sempre odore di Big
bubble alla fragola, le fa venire la nausea; quella di sua madre sapeva
di
limone, le dava freschezza.
«Dovevo passare di qua. E poi lo
faccio volentieri.» il sorriso che le rivolge è
delicato ma non sincero. Lo
legge nei nervi tesi del collo e nel leggero tic che hanno gli angoli
sollevati
che si trova lì perché deve; si sforza
così tanto con lei che dovrebbe
essergliene grata, invece la fa sentire solamente di troppo.
È tentata di
chiederle perché mai se la sia portata a casa, quel giorno
di dicembre, se è
chiaro come il Sole che picchia sulle loro teste quanto sembri pentita
di
averlo fatto, ma un brivido la scuote al pensiero che la risposta
potrebbe
farla crollare in uno di quei suoi soliti baratri da cui non riesce ad
uscire.
A volte è meglio non sapere.
Proprio
come non saprà mai perché suo padre abbia deciso
di abbandonarla.
Volge il viso verso il finestrino, gli
occhi le pizzicano «Non si direbbe.»
«Come?» la domanda è simile
all’acuto
di un violino strimpellato male, le fa scorrere brividi lungo la
schiena.
Sventola una mano e sua madre torna a guardare la strada, questa volta
non
canticchia «Come sta andando a scuola?» le sue dita
perfettamente pitturate
tamburellano sul volante, è come se scandissero il tempo in
una maniera tutta
loro, allungando il tragitto.
Shibahime non vede l’ora di arrivare a
scuola; la prima ora ha algebra, le fa schifo, ma è sempre
meglio che starsene
qui a fare una chiacchierata cuore a cuore con sua madre.
«Va bene.»
«Nell’ultimo compito di matematica hai
preso l’insufficienza.»
«Può capitare.»
«Ma non dovrebbe. E se ti cacciassero dal club?»
«Non mi sbatteranno fuori per un voto
basso, la mia media è buona. E basta con questa
canzone!» con un gesto secco va a
quella successiva, afflosciandosi sul sedile.
«Credevo ti piacesse.» mormora
sfibrata, massaggiandosi una tempia con le dita. Quando non ode
risposta,
spegne la radio.
Il silenzio che cala è pesante, di
quelli spessi che frequentemente accompagnano le cene o le giornate con
i parenti;
Madoka ci prova a fare qualche foro, giusto per raggiungerla un
po’ di più ma i
tentativi finiscono col colare a picco.
«Sì, ma dopo un po’ stanca.»
borbotta
pigramente.
Il tragitto casa-scuola non le è mai
parso così lungo, soprattutto perché la
chiacchierata con Mitsui continua a
galleggiare fra i pensieri sconnessi. C’è che
è sul punto di dire a Madoka
tutto quello che le passa per la testa, tipo che a volte la ginnastica
la fa
soffocare, che vorrebbe essere considerata qualcosina in più
di un’estranea
perché, oh lui ha ragione, mica li ha seguiti fino a casa,
sono stati loro a
prendersela e allora si prendano tutto ciò che si
trascina dietro.
Ma Madoka sembra essere su un altro
piante, di quelli che non riuscirebbe a raggiungere nemmeno tra un
milione di
anni. E’ sempre stata così, sua mamma.
Così frivola, poco accorta, ha un modo
di far del bene tutto suo ed è poco incline alle discussioni.
Per quanto ci provi, non potrà mai
somigliare ad Akira e forse Madoka lo ha capito, per questo si
è arresa.
«Shibahime, ascolta…» si rizza sul
sedile, la schiena dritta e le mani strette a pugno sulla gonna a
pieghe;
quando la chiamano per intero significa che stanno per impegolarla in
qualche
discorso scomodo, qualcosa che ha sempre il potere di farla sentire
un’inetta.
Si chiede spesso quando arriverà il giorno in cui le diranno
«Abbiamo deciso di ridarti
indietro.»
come si fa con gli animali che sporcano o fanno danni o con quei
bambini
problematici che non fanno nulla per lasciarsi amare. Ci pensa spesso,
un po’
troppo, è uno dei suoi incubi ricorrenti.
«Sì?» le esce con un filo di voce,
stringe la mano intorno alla maniglia cosicché possa aprire
la portiera e
buttarsi in strada, poco importa che l’auto sia ancora in
movimento.
«Tuo padre ed io ne abbiamo discusso a
lungo--»
Oh, ecco che arriva il discorso.
Strano, ha sempre pensato che ci
sarebbero state lacrime e un suo implorante «No
ma dai, proviamo a risolvere le cose, ti giuro che farò la
brava!», invece
c’è solo uno strano senso di ansia che le fa
battere il cuore all’impazzata.
Chissà cosa si prova a sentirsi dire «Abbiamo
deciso di ridarti indietro.», forse
assomiglia ad un banale «E’
finita.»
pronunciato su di una spiaggia mentre il cielo si tinge
d’arancio.
Non sa perché lo pensi in quel
momento, mentre le cose sembrano rotolare via senza che possa fermale,
ma è la
prima volta che si chiede cos’abbia provato Mitsui quando se
n’è andata via.
«Che?»
«Forse dovresti tornare dalla
Dottoressa Nakajima.»
Ah…
Shibahime
sente il suono di una
frenata o almeno lo sentirebbe se fosse lei quella a guidare. Non si
aspetta
un’uscita del genere, non dopo così tanto tempo.
Della dottoressa Nakajima ricorda i capelli
grigi legati in uno chignon, gli occhiali a mezza luna e un delicato
sorriso
che l’ha sempre fatta sentire una pazza. Aveva la voce
delicata, un filo
sottile che sembrava raccogliere i suoi sfuggevoli pensieri e metterli
alla
berlina, sgusciandoli ben bene pur di trovare cosa non andasse in lei.
Non le è mai piaciuto andare lì, lo
studio giallo canarino le ha sempre dato il voltastomaco.
E poi Shibahime odia il giallo
canarino.
«Scherzi, vero?» la domanda ne esce in
un soffio misto a risata, le mani le prudono.
La donna scuote la nuca «E’ la cosa
più giusta e lo sai anche tu.» la sua voce
decisa non ammette repliche, le dita si stringono
così forte intorno al
volante da far divenire le nocche bianche.
«No, non lo so.» cantilena nervosa.
Sua madre sospira, sembra quasi sia
stata costretta ad affrontare un discorso del genere. Già
può vederli quei due,
sdraiati a letto con la luce della lampada accesa perché suo
padre sta finendo
di leggere un libro e sua madre, presa da uno dei suoi soliti trip
dovuti
all’insonnia, si volta verso di lui con un plateale «Nostra figlia ha qualche
problema.» e giù a discutere su chi
debba
gettarsi per primo in quest’ardua battaglia.
«Non mangi, non dormi, vai male a
scuola. Ti svegli in preda agli incubi, non va bene! Siamo preoccupati
per te!»
la sua voce si alza di qualche ottava «Co-Come pensi che ci
sentiamo vedendoti
ridotta così?»
«Ma così come?!»
«Come quando quel ragazzino è uscito dalla
tua vita! Quel… MAtsui, o
come
diamine si chiama!» la mano si sposta dal cambio
all’aria, gesticolando
nervosamente, fino a che non torna a posarsi sul voltante e la sua voce
sembra
farsi più pacata.
Quel nome è precipitato nell’abitacolo
come un macigno. Sbagliato eh, perché non sia mai che un
Sendoh azzecchi un
nome che sia uno, ma lo ha fatto, con tutta la pesantezza che si
trascina
dietro.
E Shiba non sa come reagire, non lo sa
davvero.
Sa solo che tutto il male che Mitsui
le ha fatto è tornato indietro come una raffica di
proiettili e ha per un
attimo seppellito quel fiotto di calore che ha provato da quando si
sono
rivolti la parola, quella notte che sembra ormai lontana.
E si ricorda che deve ancora buttare
il sacchetto del Mc.
E si ricorda che i suoi occhi blu
hanno una luce strana, diversa, non brillano più come tanto
tempo prima.
Shiba deglutisce.
«E’ la cosa più giusta per
te.» pontifica
inflessibile, Madoka, deglutendo probabilmente un altro nodo di
recriminazioni.
Glielo legge negli occhi scuri che c’è molto altro
dietro.
Strano
non sia saltata fuori la storia dell’adozione, lo
pensa piano, intimorita che possa origliare pure fra i suoi pensieri.
Non
credeva avrebbe tirato fuori Mitsui, è sempre stato uno di
quegli argomenti
tabù che la fanno incupire.
Shiba decide di non protrarsi per un
discorso così impervio, non sarebbe in grado di uscirne
vincitrice «Farmi
imbottire di farmaci non è la cosa più
giusta.»
«Se non ci sono altri modi…»
Per un attimo ha la sensazione che
Madoka sia davvero preoccupata per lei, ma preoccupata sul serio. Che i
suoi
modi bruschi siano tali solo perché non si sente ancora in
grado di poter
sostituire la sua vera madre e Shiba, che è diffidente per
il semplice timore
di vedere tutto quello sgretolarsi come castelli di sabbia al vento,
non le
lascia neppure uno spiraglio di speranza.
Tiene un braccio teso, è quella la
distanza che devono mantenere tutti.
Perché quando dà di più, tutti se ne
vanno.
«Fermati qui.» esala sfibrata.
«Non essere sciocca, ti accompagno
fino all’entrata.»
«Va bene qui! Ho bisogno di aria!» il
fiato corto le si mozza in gola e l’aria che le sbatte in
faccia quando apre la
portiera per poco non la fa svenire in terra.
«Shiba--»
«Non aspettarmi a cena, ho gli
allenamenti fino a tardi.»
«Ma, Shiba--»
Chiude di colpo, lasciandosi indietro
il suo sospiro e il suo afflosciarsi sul volante probabilmente in preda
a
chissà quale crisi isterica Made
In
Madoka.
Che. Mattinata. Di. Merda.
Primo la sveglia che non suona, poi
suo padre che la costringe a finire tutte le uova e come se non
bastasse ci si
è messa Madoka e il suo squillante «Ti
accompagno io tesoro!» che è stato solo
un espediente come un altro per
dirle che la reputa ancora uno schizoide che ha bisogno del Prozac per poter
sopravvivere.
Non ha bisogno della dottoressa
Nakajima e del suo inutile «Allora,
mi
dica cosa non va nella sua vita.», insomma, che
domanda del cazzo è?! È
ovvio che niente va nella sua vita! Sua madre preferirebbe aver
adottato un
cane, suo padre è troppo occupato a mantenere la quiete in
casa per schierarsi
dalla sua parte e Akira sarebbe l’uomo perfetto se solo non
fosse suo fratello.
E come se non bastasse, quell’impiastro di Hisashi Mitsui ha
pensato bene di
ripiombare nella sua vita proprio quando credeva di averne ripreso le
redini e
quando è stata sul punto di pensare che, ma sì,
in fondo una seconda chance
potrebbe dargliela perché l’ha trattata come un
essere umano, Madoka le ricorda
che in fondo se si trova ridotta così un po’
glielo deve anche a lui.
Le ha fatto tornare in mente tutto ciò
che c’è stato prima di quella sera.
Quindi no, non va una sega nella sua
vita ma non ha certo bisogno che sia una con due lauree a dirglielo, ci
arriva
benissimo da sola.
Abbacchiata, stringe la cartella di
scuola mentre il borsone in spalla le sembra più pesante
ogni passo che fa.
Un chiacchiericcio frenetico attira la
sua attenzione, davanti all’ingresso c’è
un nugolo di ragazzi appostato, sventolano
il giornalino scolastico e parlottano concitatamente. Non vedeva tanto
scalpore
da quando Akane della seconda sezione 2 ha pubblicato foto in costume
da bagno
per non ricorda quale rivista, finendo tra le prime pagine del
giornalino.
«Eccola, è arrivata!»
«Ma che cazzo--» si blocca, la borsa
stretta a sé. Si pente di non essersi fatta accompagnare
fino a lì,
probabilmente si sarebbe evitata questa scocciatura.
«Sendoh-san, Sendoh-san!» la marmaglia
le si para davanti, brandendo il giornalino scolastico. Shiba
indietreggia,
fissa stralunata quel branco di ormoni impazziti che la guardano
adoranti,
nemmeno fosse Gong Li. Non
è abituata
a questo genere di cose, solitamente è Nanaka quella che
viene braccata
all’ingresso della scuola!
«Sì?» domanda spaesata, guardandoli
uno ad uno alla ricerca di un volto familiare; zero, nada de nada,
tabula rasa…
Ma davvero questi tizi frequentano lo Shohoku?!
«Sendoh-san!
Siamo membri del suo fanclub!»
Fanclub?!
Ma da quando ha un fun-club? E' Nana quella coi fanclub! Mica lei!
«Sei stata fantastica nell’ultima
gara!»
«Ahm, sì, grazie.»
«Il body rosso ti dona!»
«Eh. Ma da quando ho un fanclub?»
«Ma
da un sacco! Le abbiamo anche dedicato una pagina sul
giornalino!»
«Ah...
Beh.»
«Ci
rilasci un'intervista?»
«Ci fai un autografo?»
«Ci
fai vedere come fai la spaccata?»
«Che
cosa?!»
«Vi
levate dalle palle?» Shiba sobbalza al suono di quella voce
greve: Mitsui
svetta alle sue spalle, è scazzato e visibilmente irritato
«Cristo, avete
dimenticato i porno a casa?» la massa dapprima compatta
diventa informe, lo
lasciano passare intimoriti, quasi si fossero visti di fronte Godzilla.
Shiba
fissa la sua larga schiena e la disarmonia dei suoi movimenti.
Sembra
uno di quei bulletti di periferia che salva la ragazzina innocente
dalle
grinfie di una banda di motociclisti, è così
diverso dal ragazzino coi capelli
a scodella che irradiava tutto con un solo gesto o sorriso.
«E
tu muoviti! Che te ne stai lì impalata?»
La
sua voce un po’ roca e scocciata la ridesta, scende
prepotente come un fulmine
nel bel mezzo di un cielo azzurro e le fa tremare le ossa come non le
succedeva
da tempo; si è dimenticata cosa volesse dire trovarsi di
fronte i suoi occhi
blu incupiti.
Tentenna
ma quando vede l’orda di ormoni impazziti farsi nuovamente
strada verso lei,
opta per il male minore, ovvero Mitsui, la sua camminata sgangherata e
la sua
allegria da condannato a morte.
Lo
affianca stando però ben distante, quel tanto che basta per
non lasciarsi
inebriare dal suo odore o dalla sua aura incazzosa; in un certo senso,
il suo
silenzio è la cosa migliore che gli sia capitata da quando
ha aperto gli occhi.
Salgono
le scale in silenzio, Shibahime sente l’aria mancarle nei
polmoni.
Com’è possibile
che quel demente possa avere ancora così tanto potere su di
lei e sul suo umore
altalenante? Per un istante, breve e a malapena acciuffabile, si
è sentita
talmente bene da poter spiccare il volo, ma cose che se si fosse
buttata dal
tetto probabilmente avrebbe raggiunto il manto di nuvole bianche. Fino
a che
non si è fermato, guardandola oltre la spalla. Shiba prega
che se ne stia
zitto, che non se ne esca fuori con una delle sue solite stronzate
apocalittiche ma, beh, Hisashi per certe cose non è poi
così tanto cambiato.
«E’
la seconda volta che ti salvo da un gruppo di arrapati, inizio a
credere che tu
lo stia facendo apposta.» le sue labbra si aprono in un
ghigno, quella che
dovrebbe essere una battuta buttata lì per smorzare la
tensione non sortisce
gli effetti sperati.
Shiba
è reticente, risponde con un secco «Apposta,
certo…» che spera chiuda lì la
conversazione, anche perché non ha voglia di perdersi in
chiacchiere. La
discussione con Madoka è ancora fresca, divora quel briciolo
di bontà che le permetterebbe
di non trattare Hisashi come un caso umano.
Lo
studia e quando crede che non ci sia più nulla da dire,
perché tanto
finirebbero col lanciarsi contro qualsiasi oggetto o persona che passa
di là,
lo supera, lo sguardo basso e le dita che giocherellano con la lunga
coda di
cavallo.
Ma
Mitsui a quanto pare non è della stessa idea «Un
grazie sarebbe d’obbligo.»
E
Shiba esplode.
Nel
corridoio della scuola, mentre delle povere matricole pascolano ignare
di
essere appena giunte in zona di guerra, con quei pochi presenti che si
affacciano in corridoio per vedere chi sta dando spettacolo.
Lo
guarda con occhi larghi e che sputano fiamme, è costretto ad
indietreggiare pur
di non sciogliersi per tutto quel calore.
«Non
ti devo niente, mi hai sentito?! Me la so cavare benissimo da sola! Non
ho
bisogno di pastiglie, chiaro?!» agita i pugni, sbraita, se
solo non ci fosse
dentro il pranzo gli lancerebbe contro pure il borsone.
«Pastiglie?!»
«E la mia canzone preferita è Heroes!
Non
Life on Mars,
Heroes!»
E impettita, si allontana, lasciandolo
in mezzo al corridoio.
Shiba si allaccia le scarpe «Non. Dire.
Niente.»
«E io che ti facevo più tipo da Baby
one more time.»
«Nana...»
«My
loneliness, is killing me--»
«Nanaka, smettila o ti avveleno la
cena!»
«Hit me
Mitsui one more time. Sì,
ci sta bene!»
«Vai al Diavolo!»
♠
Da
quando i suoi sono tornati a casa, le discussioni tra le donne di casa
sono
diventate sempre più frequenti.
Le
porte che sbattono sono all’ordine del giorno, i sospiri di
sua madre sembrano
sempre più pesanti e i silenzi a tavola si possono tagliare
con le bacchette.
Se non fosse per suo padre che smorza tutto con la sua spensieratezza,
probabilmente Shibahime e Madoka finirebbero col tirarsi contro ogni
oggetto nel
raggio di un metro.
Quella
sera però c’è la voce alta di Shiba, un
sonoro «Ma smettila!» che gli fa temere
il peggio e una ben più familiare risata, quella leggera di
Nanaka che gli fa
sempre scorrere i brividi lungo tutto il corpo.
Nemmeno
se ne accorge, ma accelera il passo di istinto quando si accorge che
quell’adorabile miniatura sta impregnando casa sua con il suo
profumo.
«E
il Principe azzurro salvò la bella principessa dai
pretendenti arraffoni.»
«E
basta!» il gracchio perforante di Shiba fa traballare le
pareti di casa,
perfino il portaombrelli in veranda ha rischiato di ribaltarsi.
«Devi
ammettere che è stato piuttosto carino.»
Le
trova in salotto spaparanzate sul divano. O meglio: Shiba se ne sta
stravaccata
sul divano, la faccia sprofondata nel cuscino e i piedi incerottati in
più
punti che dondolano nell’aria; Nana siede per terra, sfoglia
svogliatamente una
rivista di basket e scuote la nuca ai suoi convulsi piagnistei.
Shibahime
ha un’altra crisi isterica.
Diversa
dalle altre, nota non senza un velo di speranza. Niente lacrime, niente
su e
giù per la stanza, niente balbettii o domande sparate a
raffica senza alcun
nesso logico. E' come se avesse raggiunto il punto di ebollizione e
avesse deciso finalmente di sfogarsi.
«Chi
ha salvato chi?» si intromette nel loro cicaleccio con
bonarietà, ricevendo un
seccato «Dovevi essere a casa
un’ora fa!»
accompagnato da un cuscino che gli sfiora la guancia, per poi
schiantarsi
contro il muro oltre le sue spalle. Ah, la mira orribile di
Shibahime…
«Mi
sono trattenuto a chiacchierare con Koshino» si giustifica
con un mezzo
sorriso, indeciso se restare in quella specie di campo minato o
nascondersi
dentro l’armadio «Ma si può sapere che
è successo?»
Ed
eccolo lì, il volto di Shibahime rosso come un peperone e
gli occhi che
saettano a destra e sinistra quasi si sentisse osservata. Nana trafigge
il silenzio
con un delizioso «Quanto la fai tragica.» e sua
sorella, dopo quella che sembra
un’eternità, se ne esce fuori con un
incomprensibile «Acchan, ti è mai capitato
di venir salvato da qualcuno che odi?»
«Che?»
si siede sulla prima poltrona libera che trova, quella che gli permette
di
vedere meglio Nana evitando che Shiba possa scorgere i loro sguardi
sfuggevoli;
o quell’accenno di sorriso che gli ha subito celato tornando
a guardare la
rivista.
È
la prima volta che sente il bisogno di urlare a gran voce che si
frequentano
–nh, più o meno- da qualche tempo, ma Shiba
è tutta presa da chissà quale problema e allora
ricaccia tutto, perché non ha voglia di vederla sgretolarsi
davanti ai suoi occhi. Si è spesso chiesto come la
prenderebbe sua sorella se scoprisse che da qualche anno, la sua
migliore amica si infila sotto le sue coperte senza averle mai
confessato nulla ma, date le circostante, finirebbe per scaraventare
loro contro Hisashi Mitsui, così da porre fine a ogni
flagello che affligge la sua vita.
«Hisashi
Mitsui le ha salvato la pelle da un branco di futuri molestatori, lei
non gli
ha detto grazie e ora si sente in colpa.»
«Non
mi sento in colpa!»
«Non
glielo hai detto?»
«Beh--»
«Se
non ti sentissi in colpa, non faresti così tante
storie.»
«Mi
sento in colpa solo perché tu mi ci fai sentire!»
«Beh,
avresti dovuto dirglielo.»
«Tu
non intrometterti!»
«E
che gli hai detto, si può sapere?»
«Niente,
che avrei dovuto dirgli?!»
«Ah,
niente.»
«Gli
ha detto che la sua canzone preferita è Heroes.»
«Nanaka!»
«Ah.
E perché?»
«Magari
voleva renderlo geloso di David Bowie.»
«Dubito
che Mitsui sappia chi è David Bowie.»
«Questo
perché è una capra!» Shiba si stringe
il cuscino in petto «E’ anche vero che è
la seconda volta che si comporta bene.»
«Cosa
cosa?!» Nana perde interesse per la rivista, ha lo sguardo di
un felino pronto
ad agguantare la preda «C’è
già stata una prima volta?»
Shiba
riemerge dal proprio annaspare «Ahm, beh, ecco, giorni fa
sono capitata a
Shibuya--»
«Che
ci facevi a Shibuya?» Akira inclina il capo.
«Mi
sono addormentata sulla metro» ridacchia scioccamente
«E Mitsui mi ha salvato
da un gruppo di teppisti e--»
«Che
ci faceva a Shibuya?» questa volta è Nana quella
curiosa, la fissa con un
sopracciglio arcuato.
«Ma
che ne so, si sarà addormentato.»
«Siete
proprio fatti per stare assieme!» cinguetta malefica.
«E
lo hai ringraziato?»
«Ahm,
veramente--»
«Shibahime!»
gracchiano in coro, scaraventandola lontana.
«E’
che non ce n’è stato il tempo!» agita le
mani «Lui era lì, che si comportava
come se nulla fosse e mi ha offerto la cena al Mc e io--»
«Che
ci facevate al Mc?!»
«Ahm,
non credo che questo sia il punto.»
«Certo
che lo è!» Nana spara raggi laser dagli occhi,
Akira si copre con un cuscino
«E’ a dieta, non può mangiare
schifezze!»
«Ma
se ha mangiato tutto lui?!» si intromette sua sorella
«Io ho assaggiato la
macedonia!»
Akira
batte un pugno sul palmo aperto «Ah, quindi era suo il
sacchetto!»
«Il
sacchetto?»
«Ma
sì, mi ha lasciato un sacchetto.»
«Con
su scritto: Mangia.»
«Ah…»
Nana allunga le gambe, guarda il soffitto «Beh, è
stato carino.»
«Eh.»
«E
tu una cavernicola.»
«Ugh.»
«Direi
che un grazie se lo merita, non credi?» Akira si rintromette,
guardandola con un sorriso.
Shibahime
si ributta sul divano, mangiucchiando frasi inconcludenti.
Nana sospira pesantemente, sembra più uno sbuffo a dire il
vero «Shiba,
tutti ci hanno messo una pietra sopra. Possibile non possa farlo anche
tu?» i
suoi occhi liquidi traballano sotto il suo sguardo esasperato, fino a
che non si
affloscia sul cuscino.
«Non
ci riesco. Lui è--»
«Cambiato.
O almeno ci sta provando» Shiba si fa piccola piccola
«Non credi che anche per
lui sia snervante saperti così diffidente?» Nana
le picchietta amorevolmente
una mano sulla testa, ad Akira tornano in mente le serate in cui Shiba
si
svegliava nel cuore della notte in preda agli incubi e Madoka era
lì, a
carezzarle la schiena mentre le teneva su i lunghi capelli cremisi.
Non
sa quanto tempo spendono lì, in silenzio, con Shiba che
probabilmente cerca di soffocarsi col cusino e loro che tentano di non
cadere ancora sull'argomento Mitsui, fino a che Nana non si solleva, si
pulisce i leggings neri e le scompiglia i capelli.
«Devo andare. Ricordati che domani mattina abbiamo gli
allenamenti.»
«Ngh. Posso morire?»
«Prima finiamo i campioanti.»
«Ma
che stronza!» la Itou scoppia a ridere mentre tenta di
schivare i suoi cuscini e i fulmini che spara dagli occhi.
Akira
si alza «Ti accompagno, fuori è buio.»
Nana gli sorride appena mentre lancia uno sguardo a Shiba ma quella
sventola una mano e farnetica qualcosa come «Spero che un
meteorite vi colpisca.» e amenità del genere.
Una
volta fuori sente l'aria ritornargli nei polmoni, come se se ne fosse
andata a pascolare verso lidi migliori quando si è accorto
che Shiba è entrata in uno dei suoi soliti tunnel infiniti.
«Testarda. E' una testada.» borbotta Nana pestando
i piedi per terra. Ogni tanto gli sfiora la mano, nemmeno si rende
conto che così facendo gli fa venire voglia di sbatterla
contro il primo muro che trova.
«Forse
deve andare così.»
«Sono due stupidi, stupidi! Si piacciono e fanno gli
stupidi!»
«Nanaka--»
«Almeno, a Mitsui piace, insomma, si vede!»
«Che
cosa?»
«Ma
sì, si vede! Ha quello sguardo stupido che hanno tutti gli
innamorati, si capisce che non gli è passata! E poi me l'ha
praticamente detto!»
«Ah. Te l'ha detto.»
«Beh,
non proprio. Me l'ha detto il suo finto padre.»
«Il suo finto padre, certo.»
«Parlava
di una rossa snodata in classe con lui. E' lei, per forza! Mi ci gioco
i trofei!»
«Ma
quando?»
«Ma
l'altra sera! Li ho incontrati per caso» sventola una mano,
le gote rosse come se avesse appena svelato un segreto inconfessabile «E'
cambiato, sai? E' sempre un idiota ma, va beh, se si sorvola sulla sua
stupidità non è poi così
male.»
«Nana?»
«E se si sorvola sulla sua camminata da gorilla.»
cammina impettita.
«Nanaka?»
«Che?»
«Casa
tua è questa.»
«Ah.»
«E
non sono affari tuoi.»
Nanaka lo guarda con quel suo sguardo strano, quello che ha quando sta
per esplodere o dirgli di andare via. Raramente l'ha vista
così presa per la vita di qualcun'altro e, in un certo
senso, lo eccita vederla scaldarsi. Sembra... Viva, in quella maniera
tutta sua.
Borbotta qualcosa come «Certo che lo sono, è
Shibahime dopotutto.» che gli ricorda una frase che spesso sua madre mormora a Kyosuke quando le dice di lasciarla perdere, che
è solo una fase e non deve intromettersi.
Nana
lo supera, ravana nella borsa alla ricerca delle chiavi e quando apre
la porta, si impala sulla soglia, lo sguardo puntato su dei cocci
fiocamente illuminati
dalla luce della luna.
«Ha
chiamato tuo padre.» gli sfugge senza nemmeno pensarci,
mentre accende la luce.
«Già…»
Nana sospira e dopo aver sventolato una mano si infila in casa con
passo
pesante, gettando la borsa con malagrazia per terra. In
casa c'è un silenzio quasi surreale, se non fosse per il
bigliettino appeso al frigo che dice "Sono uscita, faccio tardi",
penserebbe che i ladri hanno pensato bene di svaligiarle casa.
Chiama Spock a gran voce
ma quella sfuggevole palla di pelo deve essersi rintanata
chissà dove «Beh? Che
ci fai ancora qui?» glielo chiede con sgarbatezza anche se
nel suo lieve
rossore può scorgervi imbarazzo.
Akira comincia a raccogliere i pezzi di vaso sparpagliati in giro «Pulisco
qui e vado.»
Nana
gli da le spalle «Shiba
potrebbe preoccuparsi.»
«Ma
va.»
Per
la prima volta, pensa che Shiba può aspettare.
♠
Harvey
Dent:
Il “Due facce” di Batman. Brillante avvocato di
Gotham, durante un’udienza
viene sfigurato sul volto con del vetriolo dal boss mafioso Maroni.
Divenuto
schizofrenico, ha inizio la sua carriera da criminale. Tanto
amore per lui.
Gong
Li:
Attrice cinese, è famosa per aver
interpretato la geisha Hatsumomo nel film “Memorie di una
Geisha”.
*Toc
toc*
Sì,
lo so, sono un sacco in ritardo T.T
Vi prego di perdonarmi ma a lavoro sta
diventando impossibile, finisco tardi, torno a casa che sono cotta come
una
mela e i giorni a seguire saranno ancora più tremendi e Mo chuisle è passata in
secondo piano. Ad ogni modo, il capitolo è un po'
più lungo del solito (mi pare!) anche se mi sembra un
po’ sottotono o magari sono io ad esserlo, non lo
so.
Sta di fatto che ho fatto una fatica immane a finirlo, le parole non
uscivano come volevo e i pensieri mi sembrano confusionari, come se i
personaggi continuassero a rincorrere qualcosa senza però
raggiungerlo. Spero
però di essermi fatta perdonare con il breve siparietto
Nana-Mitsui.
Bom, direi che mi sono cosparsa il capo di cenere già per
troppo XD
Ringrazio infinitamente pinkjude,
Ice_DP, ReginaMills89 e LuMiK per aver recensito lo scorso
capitolo, siete state carinissime come sempre e io invece sono una
disgraziata, perché ancora non vi ho risposto. Ma abbiate
fede, presto vi riempierò di amore cosmico ♥
Alla
prossima!
HeavenIsInYourEyes.