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Autore: Yasha 26    07/06/2015    8 recensioni
Ancora sorrideva ripensando alla strana conversazione avuta col fratello anni prima.
All’epoca viveva ancora a New York, dove si era trasferito per intraprendere la professione di architetto. Quella chiamata si rivelò essere come il vaso di Pandora, che dopo essere stato scoperchiato, riversò sul loro mondo tutti i mali contenuti al suo interno.
Non che le fossero dispiaciuti poi molto quei “mali”, poiché le avevano riportato il fratello, restituito un’amica felice e dato a lei l’uomo che amava, ma che prima di allora doveva tenere nascosto.
Una semplice chiamata, a volte, può davvero cambiare la vita.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, izayoi, Kagome, Rin, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Rin/Sesshoumaru
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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In casa No Taisho si festeggiava il ritorno del secondogenito. Izayoi era al settimo cielo nel rivedere il figlio. Una cosa però la turbava: la storia che lui le aveva appena raccontato. Era incredula nell’appurare che il reale motivo per cui suo figlio si era allontanato, non era far carriera, ma a causa delle minacce del padre di Kagome. Il sangue le ribolliva in corpo. Le era stato “strappato” il figlio solo per cattiveria, perché di questo si trattava per lei, pura e semplice cattiveria; solo questo spinge un genitore a separare il proprio figlio dalla persona amata.
Aveva sempre avuto il dubbio che alla piccola Kagome piacesse suo figlio, ma non credeva fosse ricambiata. Quando frequentava casa sua, la vedeva sempre con occhi trasognanti ad osservare InuYasha, ma non pensava che in realtà i due avessero una relazione. Come genitore capiva benissimo le paure del signor Higurashi nel sapere la figlia minorenne con qualcuno più grande, ma quel qualcuno non era uno sconosciuto, era un ragazzo con la testa sulle spalle, non un approfittatore. Se frequentava Kagome, lo faceva perché la amava. E nessuno, meglio di lei, comprendeva cosa si provasse nel sapere la figlia con qualcuno che lei reputava "sbagliato".
Mentre cucinava i piatti preferiti dal figlio, non si dava pace nell’immaginare il dolore che aveva diviso quei due poveri ragazzi. Ad ogni verdura che affettava, immaginava di avere tra le mani la testa di quel maledetto e, di conseguenza, ogni taglio sul malcapitato ortaggio, riecheggiava furioso tra le pareti della cucina, scalfendo irrimediabilmente il tagliere sottostante.
Sbuffava, cercando di trattenersi dall’andare a cantargliene quattro a quell’uomo. Per colpa sua, non solo il suo bambino soffriva lontano dalla donna amata, ma anche lei soffriva, perché lontana dal figlio. Ogni madre vuole i figli sempre vicini a sé, anche da adulti. Cercava di non pensare alla lontananza, dicendosi che suo figlio stava bene a New York, perché voleva starci lui, per la carriera, invece non era così. Se quell’egoista sconsiderato non li avesse divisi, magari si sarebbero sposati e suo figlio non si sarebbe trasferito all’estero, dandole tanti pensieri.
- Mamma, ce l’hai con quel povero porro o con il tagliere? – le chiese Sesshomaru, intuendo il nervosismo della madre.
- Né con l’uno né con l’altro! L’unico che vorrei affettare è quel bastardo di Higurashi! – dichiarò furiosa, decapitando anche un peperone.
- Non immaginavo che quei due si frequentassero, non l’hanno mai dato a vedere. – rifletté il ragazzo, anche se per lui era più difficile notarlo tornando a casa un paio di volte all’anno, per via dei suoi studi a Londra.
- Su questo sono stati più bravi di te e Rin. – replicò la donna, osservando seria il figlio.
- Che intendi dire? – chiese lui, colto alla sprovvista.
- Sai a cosa mi riferisco Sesshomaru. Non sono così cieca.  –
- Da quanto lo sai? – capitolò il giovane, che in realtà non avrebbe mai voluto nascondere la relazione con la sorella acquisita. Era Rin a volerla nascondere, per paura che la madre e InuYasha non approvassero.
- Da un bel po’, ma ho sempre sperato che foste voi due a parlarmene. – ammise Izayoi, dispiaciuta dal silenzio dei figli.
- Perché non ne sembri arrabbiata o scandalizzata? –
- All’inizio lo ero. – iniziò la donna, lavando le mani e sedendosi insieme al figlio, per parlare.  - Il mio primo pensiero fu di spedire Rin a studiare lontano da qui, per separarvi, ma non sarebbe stato giusto farlo. Rin non è tua sorella, non avete alcun legame, sono solamente io a vedervi come fratelli, perché anche se non sei davvero mio figlio Sesshomaru, ti ho cresciuto come se lo fossi. Non vedo differenze tra te, InuYasha e Rin, per questo quando ho capito che stavate insieme, fui tentata di separarvi. – confessò la donna, ricordando i mille pensieri che le attraversarono la mente in quel terribile periodo.
- Perché non l'hai fatto? –
- Chi ero io, per dividere due innamorati? Vedevo giorno dopo giorno quanto vi amavate. Ogni piccolo gesto nascondeva un significato per voi. Se vi avessi separato, l’unica cosa che avrei ottenuto sarebbe stata quella di perdere entrambi, cosa che non voglio assolutamente. Così ho taciuto, nella speranza che foste voi a confessarvi. E devo dirti che ora come ora, visto quello che è accaduto a tuo fratello, non sono mai stata più sicura della decisione che ho preso. – ammise sollevata.
Non era stato facile accettare che i suoi figli stessero insieme, ma capiva perfettamente che non poteva opporsi al loro amore; non erano fratelli, non erano nemmeno lontanamente parenti e non erano neppure cresciuti insieme. C’erano tanti fattori che Izayoi non poteva ignorare, quindi, col tempo, iniziò a farsene una ragione. Se i suoi figli erano felici, lei non si sarebbe opposta.
- Non ho conosciuto mia madre, essendo morta quando ero piccolo, ma posso dire che non poteva capitarmi madre migliore di te, Izayoi. Grazie mamma! – dichiarò grato il ragazzo, abbracciando la madre. Capiva, dalle sue parole, che doveva esserle costata molto quella scelta, ma per amore di entrambi aveva accettato, anche se in silenzio. Solo Rin era sua figlia, ed era anche molto più piccola di lui. Nonostante tutto, però, Izayoi non aveva cercato di proteggere solo lei, facendo disparità tra i due, allontanandolo. Aveva pensato ad entrambi.
- Non farmi arrossire ora! Piuttosto, renditi utile e vai a prendere lo zenzero dalla dispensa, su. – scherzò la donna, per non far vedere al figlio le lacrime che iniziavano a premere per uscire.
- Non serve mandarmi via, lo sento anche da lontano l’odore delle lacrime, o dimentichi che sono un demone? – la canzonò Sesshomaru, che ormai la conosceva bene.
- Insolente! – disse ridendo, asciugandosi l’angolo dell’occhio destro con un dito.
- Che state combinando voi due? – intervenne Rin, raggiungendoli in cucina.
- Nulla tesoro, non preoccuparti. Dov’è tuo fratello? –
- Sta facendo una doccia. Ti serviva qualcosa? –
- Non da lui. Sono davvero tentata di andare a casa Higurashi e prendere a schiaffi quell’uomo! – esclamò la donna.
- Non immischiarti mamma. InuYasha non è un bambino, saprà cavarsela. Oltretutto la cosa riguarda lui e Kagome adesso, non più quel vecchio. Devono vedersela loro due. – sostenne Sesshomaru.
- E’ vero, però povero il mio bambino. Chissà quanto deve aver sofferto. – sospirò Izayoi, rimettendosi ai fornelli.     
- Chissà se Kagome vorrà perdonarlo. Si sarà sentita abbandonata, non voluta, o almeno è così che mi aveva raccontato tempo fa. E pensare che ho maledetto il tipo che l’aveva lasciata, pensando fosse uno stronzo. – rivelò dispiaciuta la giovane, non immaginando minimamente che si trattasse del fratello.
- Se è intelligente lo perdonerà, altrimenti andasse al diavolo anche lei! –
- Sesshomaru! Non parlare così. – lo riprese Izayoi.
- Non è colpa di InuYasha se sono stati divisi, mamma. Se lei non lo perdonerà per qualcosa che non ha neppure fatto, allora è un’idiota, tale e quale a suo padre. –
- Speriamo invece che le cose tra loro due si sistemino. Vorrei tanto che InuYasha tornasse a Tokyo, così da potervi avere tutti vicini a me. – sospirò nuovamente la donna, che mal sopportava la lontananza dei figli.
La cena si svolse, nonostante tutto, in tranquillità e allegria. InuYasha era felice di essere ritornato a casa sua. In quelle ore che vi aveva fatto ritorno, continuava a pensare che gli era davvero mancata l’aria di famiglia. A New York viveva da solo in un freddo e grigio appartamento. L’unica compagnia che aveva, era quella dei pesci del suo piccolo acquario, che aveva affidato al vicino durante la sua assenza. Si era preso un mese di ferie. Sperava fosse un tempo sufficiente a convincere Kagome a tornare con lui. Se avesse accettato, avrebbe preso in considerazione l’idea di ritornare definitivamente in Giappone, a meno che la ragazza non avesse voluto trasferirsi a New York con lui. In caso contrario, sarebbe tornato da solo in America, proseguendo la sua vita come aveva fatto in quegli otto anni. Quella prospettiva, però, iniziava già ad andargli stretta. Era soddisfatto sul campo professionale ma distrutto in quello sentimentale. Sperò vivamente che Kagome lo perdonasse, comprendendo i reali motivi che lo avevano allontanato.
 
Come aveva deciso, il pomeriggio successivo si presentò a casa della ragazza, che dopo aver aperto la porta al suono del campanello, era ancora ferma a guardarlo sorpresa.
- Che ci fai qui? –
- Te lo avevo detto che volevo parlarti. –
- Ed io ti avevo risposto che non abbiamo nulla da dirci, quindi vai via! – rispose risoluta, tentando di chiudere la porta, ma il giovane fu più svelto, bloccando la porta col piede.
- Aspetta! Fammi spiegare almeno! –
- Non m’interessa! Togli il piede e vattene! –
- Ho detto che devo parlarti e non me ne andrò finché non l’avrò fatto! Anzi, voglio parlare anche con tuo padre visto che è stato lui a mandarmi via otto anni fa! – insistette determinato, spingendo la ragazza di lato per entrare in casa, anche contro la sua volontà. Se doveva ricorrere alla sua forza di demone, lo avrebbe fatto stavolta. Niente e nessuno gli avrebbe impedito di raccontare la sua verità.
Nel frattempo Kagome cercava di riformulare nei suoi pensieri le parole appena pronunciate dal ragazzo. Che c’entrava suo padre?
- Aspetta… cos’è che hai detto? – chiese confusa, seguendolo fino al salone, dove lui si era diretto.
- Dov’è tuo padre? – chiese nuovamente lui, annusando l’aria in cerca dell’uomo.
- E’ fuori in giardino. Mi spieghi che vuoi? –
- Chiarire una volta per tutte il motivo per cui ti ho lasciato. Non è stata una mia scelta Kagome. Devi credermi. –
- Vuoi farmi credere che sia stato mio padre a mandarti via? Andiamo InuYasha, mi ritieni così stupida da crederti? – replicò contrariata. In quegli anni tanto difficili, c’era stato solamente suo padre con lei. Non che fosse stato il padre migliore del mondo, ma lui c’era, al contrario di chi l’aveva abbandonata con una tale responsabilità addosso. Per InuYasha provava rabbia, solamente una gran rabbia!
- Devi credermi! Ti amavo più di me stesso e non avrei mai voluto farti soffrire. Sono stato costretto ad andarmene per il tuo bene! – provò a spiegarle il giovane, pur sapendo che non sarebbe stato facile convincerla.
- Peccato che abbia sofferto in un modo che nemmeno puoi immaginare! E non solo perché mi hai lasciato. Mi hai rovinato l’esistenza InuYasha! Innamorarmi di te è stato l’errore più grande che potessi fare. Ho vissuto mesi d’inferno dopo la tua partenza! Quindi non dire che lo hai fatto per non farmi soffrire, perché non ti credo! – sbottò, con parole cariche d’ira e sofferenza.
- Anch’io ho sofferto. Non eri la sola. Non immagini quanto mi sia costato lasciarti! -
- A te non è costato un bel niente! Sono io quella che ha dovuto pagare l’amore che avevo per te, e l’ho pagato a caro prezzo! Ero ancora una ragazzina e mi sono ritrovata a prendere da sola delle decisioni difficili. Tutto questo perché ti sei divertito con me e quando ti sei tolto il capriccio te ne sei andato con la scusa che ero praticamente una poppante per te! Per il sesso non ero per nulla piccola, non è così? Sei come tutti gli uomini! Pensavo fossi diverso, ma evidentemente siete fatti tutti della stessa pasta! Approfittatori, bugiardi e traditori! – urlò furiosa, restando quasi senza fiato per l’impeto impresso in quelle parole che le pesavano dentro come macigni.
Quando il ragazzo che amava l’aveva liquidata con un: “Sei carina ma troppo piccola. Cerco una donna più matura e adatta a me. Addio.”, giurò di aver sentito il suo cuore fermassi per qualche secondo e privarla dell’ossigeno. Perché questo era InuYasha, puro ossigeno che la teneva in vita. Perderlo aveva significato morire per lei, non una ma due volte. Nuove e dolorose lacrime invasero i suoi occhi, al ricordo dei mesi successivi all’abbandono di InuYasha. Non sarebbe mai riuscita a cancellare tutto. Nemmeno dopo anni e anni.
La reazione aggressiva di Kagome, stupì non poco InuYasha, abituato al ricordo della ragazzina dolce e sensibile che conosceva. Immaginava fosse arrabbiata, ma non fino a quel punto. Quella che si trovava difronte era una donna ferita nel profondo. "Non solo perché mi hai lasciato" aveva detto. E allora, si chiese perplesso, cosa l’aveva resa così? L’influenza del padre? Si era inventato qualche bugia per metterglielo contro? Questi erano i pensieri che vorticavano nella mente del giovane, che non riusciva a capire il significato di quelle parole pronunciate dalla ragazza.
- Cosa sono queste urla? – intervenne il padre di Kagome, facendo la sua entrata nel salone, dopo essere stato richiamato dalle sue grida.
Il suo sguardo si posò subito sull’ospite, cui dedicò uno sguardo torvo. Aveva riconosciuto subito lo sporco mezzosangue che aveva osato avvicinarsi a sua figlia otto anni prima. Sperava di essersene liberato definitivamente, sia di lui sia del suo sangue immondo. Perché era in casa sua, continuava a chiedersi l’uomo, avvicinandosi alla figlia in lacrime.
- Papà… - lo chiamò lei, asciugandosi gli occhi.
- Perché sei in casa mia, han’yō? – chiese con disgusto, osservando le orecchie demoniache sulla sua testa.
- Sono tornato per riprendermi Kagome e per farle sapere come sono andate veramente le cose. – rispose InuYasha, sperando di avere la meglio.
- Riprenderti mia figlia? Da quando sarebbe una tua proprietà? L’hai abbandonata nel momento di maggiore bisogno, preferendo la carriera a lei. Vattene via prima che chiami la polizia. – gli intimò minaccioso. Non avrebbe permesso alla sua unica figlia di mischiarsi nuovamente con un essere inferiore come un mezzodemone. Aveva impedito non una ma due volte che ciò accadesse, e non avrebbe permesso neppure la terza.
La famiglia Higurashi esisteva da secoli ed era una delle poche rimaste "pure", senza incursioni demoniache nel codice genetico. Avrebbe rispettato quella tradizione tramandatagli dai suoi avi, a tutti i costi. Quell'essere doveva sparire da casa sua.
- Sa benissimo che non l’ho lasciata di mia volontà! E’ stato lei a minacciarmi di far arrestare me, per violenza su minore, e far rinchiudere lei in una clinica psichiatrica, pur di tenermela lontano! Sono stato costretto a farlo! Lo neghi se ne ha il coraggio! – sostenne il giovane, sotto lo sguardo confuso di Kagome, che si voltò a guardare il padre in attesa di risposta.
- Non vedo perché dovrei negare. E’ andata proprio così. – confermò l’uomo, con espressione impassibile.
- Papà ma cos… -
- Tuttavia… – proseguì, interrompendo la figlia per aggiungere un particolare  - Non mi sembra tu abbia lottato per impedirlo. Hai accettato senza batter ciglio, per proteggerti. Se avessi davvero amato Kagome, avresti fatto di tutto per lei, anche finire in carcere. – precisò l’uomo, sicuro di avere il coltello dalla parte del manico.
Sapeva che quel mostro non avrebbe mosso un dito. Non perché non fosse innamorato della figlia, ma perché sapeva che se ci avesse provato, avrebbe davvero rinchiuso Kagome in una clinica, imbottendola di farmaci per tenerla buona, così come faceva con la defunta madre, un po’ troppo indisciplinata per le abitudini della famiglia Higurashi. Peccato che la faccenda di sua moglie avesse assunto risvolti inaspettati, col suo suicidio. Con Kagome non avrebbe commesso lo stesso errore, l'avrebbe lasciata sotto il controllo di medici esperti fino alla sua guarigione da quell’amore malato, nato nei confronti di un demone.
- E come avrei potuto, se minacciava di internarla come se fosse stata una pazza? Non mi spaventava certo il carcere, ma non potevo mettere in pericolo lei! – spiegò l’han’yō, col sangue che gli ribolliva nelle vene.
Sapeva che avrebbe cercato delle scuse, addossando tutta la colpa a lui, ma non gli avrebbe permesso di averla vinta anche stavolta, manovrando tutti come pedine di una scacchiera. Kagome doveva sapere che tutto era accaduto per colpa di suo padre. Poi avrebbe potuto decidere conoscendo la verità.
Dal canto suo, Kagome ascoltava sconvolta la discussione. Si era improvvisamente sentita come un’estranea che assisteva alla lite di due uomini mai visti prima di allora. Le cose che stava ascoltando erano del tutto nuove ed assurde per lei. Avevano deciso della sua vita senza interpellarla. Aveva subìto le scelte di entrambi, senza potersi opporre.
Mentre i due uomini continuavano ad inveirsi contro, lei iniziava pian piano ad estraniarsi sempre più. Mille domande iniziavano ad affollarle la mente. Lei aveva raccontato al padre di InuYasha dopo che lui l’aveva lasciata ed era partito, quindi, quando lo aveva minacciato? Lui sapeva già da prima di InuYasha? E da quando? E perché li aveva divisi? Per quale motivo aveva spezzato un rapporto d’amore, soprattutto in quel momento così delicato per lei che…
D’improvviso, un’illuminazione l’aveva colpita fulminea e crudele, facendole avvertire un capogiro. Non poteva essere come immaginava. Non poteva essere andata in quel modo. Suo padre non poteva essere stato così spietato. Poteva davvero aver architettato tutto in quel modo infame? Si girò a guardare il disgusto sul volto del genitore mentre si rivolgeva a InuYasha. Sì, poteva, si rispose infine.
- Kagome, che hai? Sei pallida. – le chiese InuYasha, notando il suo viso sbiancare.
- Io non… non… - balbettò confusa, cercando le forze per rimettere insieme i pezzi dei suoi pensieri.
- Povera la mia bambina. Hai visto che hai combinato? Vattene via han’yō! Hai già fatto troppi danni! Sparisci! – ordinò, avvicinandosi alla figlia per sorreggerla in un abbraccio incoraggiante.
- Non è certo lei che può mandarmi via! Solo sua figlia può. Ascolterò solamente lei. – disse il giovane, guardando la ragazza ancora impossibilitata a parlare.
- Non mi sembra ti stia chiedendo di rimanere. Sparisci o chiamo la polizia! –
Non voleva andarsene, ma Kagome non aveva protestato alle parole del padre. Non gli aveva inveito contro come sperava. Non aveva nemmeno fiatato. Possibile fosse davvero tutto perso? Non vi era una seconda possibilità per loro due?
Decise di andarsene. Non aveva senso restare se lei non lo pregava di farlo. Durante il tragitto verso casa, non poté fare a meno di pensare alle parole cariche d’odio di Kagome. Era convinta che volesse solo divertirsi con lei. Lo riteneva davvero capace di una simile bassezza? Non aveva voluto ascoltarlo nemmeno dopo la confessione del padre. Si sentiva molto deluso da tale comportamento. Certo non si aspettava si sarebbe gettata tra le sue braccia, gridando al mondo il suo amore per lui, ma non si aspettava nemmeno tanta indifferenza.

Ciò che InuYasha ignorava, era che Kagome non era rimasta per nulla indifferente. Si era aperta una voragine in lei, che la stava lentamente risucchiando verso il basso. Era così che si sentiva, spinta verso il basso da una forza sconosciuta, come se un peso sulla sua testa la schiacciasse a terra.
- Su tesoro. Quel maledetto se n’è andato via. Va tutto bene. – la rassicurava il padre, carezzandole la testa. Di colpo la confusione passò. Il tocco delle mani del padre le sembrò quello del peggiore dei traditori, così si scostò con risentimento a quelle carezze.
- Non mi toccare! – urlò, mentre una nuova consapevolezza si faceva strada in lei.
Era accaduto tutto per colpa di suo padre. A rovinarle la vita era stato lui. Non vi erano altre spiegazioni.
- Kagome ma che dici? Se è per quello che ha detto quel lurido mezzodemone, non devi dargli peso. L’ho fatto per capire se teneva davvero a te bambina mia. Come vedi si è dileguato in un baleno. Non c’è da fidarsi di lui. – le spiegò sereno il padre, che pensava di avere tutto in pugno. Aveva già pensato a tutto anni prima, nel caso quel bastardo si fosse ripresentato. Kagome avrebbe creduto alla sua buona fede di padre preoccupato per il suo futuro.
- Spiegami una cosa papà… se io ti ho parlato di InuYasha solamente quando mi ha lasciato, come hai fatto a parlarci prima che partisse? Nessuno sapeva di noi, nemmeno Rin, quindi, tu come facevi a saperlo? – chiese furente guardandolo con odio.
Non ci voleva un genio per capire com’erano andate le cose, soprattutto conoscendo le sue stupide idee tradizionaliste e razziste.
- Eh? Beh… ho parlato con lui poco prima che partisse evidentemente. – cerco di convincerla.
- Impossibile! InuYasha era già a New York quando te ne ho parlato e non l’ho fatto per mia scelta, ma perché mi avevi trovato in bagno a vomitare! – continuò risoluta come mai prima di allora.
- Forse ricordi male tesoro. Eri molto scossa in quel periodo. –
- Non cercare di farmi passare per pazza, come con la mamma! Con me non attacca papà. Ricordo tutto perfettamente proprio perché ero così scossa da ricordare ogni singolo minuto di quell’agonia che mi hai fatto vivere! –
- Non alzare la voce con me! Sono tuo padre e merito rispetto! – iniziò ad alterarsi anche lui. Le cose non stavano andando come aveva previsto. Sua figlia si era fatta più sveglia di come la ricordava. Gestirla era sempre stato semplice. Kagome era facilmente malleabile caratterialmente, quindi non capiva da dove uscisse quella intraprendenza.
- E tu? Tu hai avuto rispetto per me? Come hai potuto farmi questo? Sei andato da lui molto prima che mi lasciasse. Ammettilo! Sapevi da prima che te lo confessassi che ero incinta, e hai ben pensato di allontanare lui e uccidere mio figlio! Ammettilo dannazione! – gridò con tutta la voce che aveva in corpo, sentendo bruciare le corde vocali, ma la rabbia era tale da farle perdere il controllo.
Aveva scoperto di essere incinta appena tre giorni prima che InuYasha la lasciasse. Cercava il modo migliore per dirglielo ma lui aveva deciso di andarsene. Era sconvolta, non sapeva come fare da sola, a sedici anni, ad occuparsi di un bambino. Poi suo padre si accorse dei suoi malesseri e gli raccontò tutto. Lui non si arrabbiò, come invece temeva lei. Conosceva il suo modo di pensare riguardo alla mescolanza delle razze ed era sempre stato contro i matrimoni tra demoni e umani. Per questo si stupì quando suo padre invece la consolò, non rimproverandole nulla. Però, e c’era il però, la convinse ad abortire, per il suo bene. La convinse che era troppo giovane per occuparsi di un bambino senza un padre presente. Le ripeteva che aveva tutta la vita davanti per farsi una famiglia e quello non era il momento adatto. E soprattutto il bambino le avrebbe ricordato per sempre quell’umiliazione subita. Si lasciò convincere come una stupida, incapace di reagire a quelle parole così ben studiate per farla capitolare.
Il peso di quel gesto le fu chiaro solo il giorno dopo le sue dimissioni dalla clinica privata in cui l’aveva portata il padre. Solo guardando l'ecografia fatta qualche giorno prima, aveva realizzato il grande errore commesso. Il suo bambino non c’era più. Sentì un vuoto nel petto, come se al posto del suo utero avessero svuotato il suo cuore. I sensi di colpa divennero tali da farla chiudere in camera per oltre tre mesi, fingendo con gli amici di essere in vacanza all’estero; piangeva invece tutte le sue lacrime, col viso premuto contro il cuscino, invocando il perdono di quel bambino che aveva ucciso. Le era servita tutta la sua forza per riprendere in mano la sua vita e ritornare a scuola, ricominciando lentamente a vivere.
Di quel bambino le era rimasta solo quella prima ecografia, che conservava come il più prezioso dei tesori nel suo portagioie.
- Vuoi sentirtelo dire? Ok! E’ vero. Avevo scoperto l’ecografia e il referto medico nella tua stanza. Avevo capito subito che il padre non poteva essere altri che quel cane bastardo! Non potevo permettere che mia figlia, una Higurashi, portasse in grembo un tale scempio, il figlio di un lurido demone. Dovevano sparire entrambi, e l’unico modo era minacciare quell’essere di lasciarti, per poi convincere te ad uccidere quel mostro che stavi crescendo! Se non lo avessi fatto, adesso saresti una povera squattrinata incapace di mantenere un bastardo senza padre, perché sta certa che in casa mia non ci sarebbe stato posto per te e quella cosa! – ammise in tutta la sua crudeltà e meschinità, lasciando la figlia senza parole.
Non riusciva a credere alle sue orecchie. Non provava alcun rimorso per quel che aveva fatto, anzi, ne andava fiero, a giudicare dalle sue parole. Come aveva fatto a non accorgersi di quanto fosse abietto l’essere che chiamava padre? Aveva manovrato i fili della sua vita come se fosse stata un burattino nelle sue mani. L’aveva distrutta e reso l’esistenza un Inferno in Terra, solamente per la sua gretta mentalità.
- Dovresti ringraziarmi per averti liberato da un tale peso. Presto sposerai un vero uomo che si occuperà di te, e potrai buttarti tutta questa faccenda spiacevole alle spalle. – aggiunse infine, recuperando la tranquillità, come se nulla fosse successo prima.
Faccenda spiacevole, l’aveva chiamata. La sua felicità, suo figlio, l’uomo che amava… erano solamente una “faccenda spiacevole” per lui.
- Non ci sarà alcun matrimonio… - sussurrò debolmente, ma abbastanza forte perché il padre la sentisse.
- Che cosa? Non ci pensare affatto! Il matrimonio ci sarà e tuo marito prenderà il cognome degli Higurashi, così da proseguire la tradizione. -
- Sai dove puoi mettertela la tua stramaledetta tradizione? Non me ne importa nulla! Non sposerò Hojo solo perché me lo hai imposto tu, come tutto il resto. Mi hai rovinato la vita! Mi fai schifo papà! Sei un essere spregevole. Come hai potuto farmi questo? Sono tua figlia e quello era tuo nipote! Sangue del tuo sangue! Come? Come si può fare questo al proprio nipote? Ma che persona sei? – gli inveii contro, trattenendosi dal non colpirlo con uno dei pesanti oggetti presenti sulla scrivania che aveva vicino. La rabbia era tale che se non si fosse trattenuta lo avrebbe ucciso.
- Impudente! Come osi essere così irrispettosa nei confronti di chi ti ha cresciuto e tolto dai guai? – reagì l’uomo, dandole uno schiaffo. Mai nessuno si era permesso di rivolgerglisi così, nemmeno sua moglie. Non l’avrebbe certo permesso a quella scapestrata di sua figlia.
Kagome si portò la mano a coprire il viso colpito dallo schiaffo, ma non era certo quello a farle male. Quante volte si era ritrovata tra le braccia del padre a piangere perché le mancava InuYasha? Quante volte gli aveva confessato di non riuscire a vivere senza di lui? Quante volte gli aveva parlato dei suoi sensi di colpa per aver abortito? Lui era stato insensibile al suo tormento, alle sue lacrime. Anzi, li aveva creati egli stesso. Si sentiva pugnalata alle spalle, tradita nel modo più subdolo e spregevole possibile.
- Me li hai procurati tu quei guai! Ti disprezzo con tutto il cuore! Non ti perdonerò mai per quello che mi hai fatto! Da oggi sei morto per me! - urlò con occhi colmi di lacrime, prima di fuggire via da quella casa, la cui aria era diventata irrespirabile per lei. Si sentiva soffocare mentre correva per le strade della città, sotto quell’acquazzone che aveva deciso di farle compagnia, cadendo dal cielo come se anche lui piangesse con lei.
Le lacrime si univano alla pioggia, confondendosi con essa. Aveva smesso di correre e si era fermata a riprendere fiato, sedendosi su una delle panchine del parco in cui era arrivata senza accorgersene. Il posto era deserto e iniziava ad imbrunire. Si udiva solo lo scrosciare dell’acqua al suolo e sulle foglie degli alberi. L’odore della pioggia non impregnava più l’aria, spazzato via dal temporale che trasportava con sé solamente fiumiciattoli sulla strada asfaltata. Il terreno vicino a lei era diventato fanghiglia gialla di cui lei neppure si curava.
Si sentiva svuotata di ogni forza. Non riusciva a ragionare. Era confusa e non sapeva che fare. Il cuore le balzava nel petto, troppo agitato per calmarsi. Solo un pensiero ben definito attraversò la sua mente: InuYasha.
Senza neanche accorgersene, le sue gambe la portarono proprio di fronte casa del ragazzo. Era calata la sera. Forse era notte, non avrebbe saputo dirlo. Le luci della casa erano tutte spente, così pensò dovese essere già molto tardi. Non poteva suonare al suo campanello a quell’ora. Che avrebbe dovuto fare? Eppure, aveva voglia di vederlo. Non aveva il suo numero di cellulare, come avrebbe potuto chiamarlo senza svegliare tutti?
- InuYasha… - le lacrime ripresero a inondarle gli occhi, mentre sussurrava disperata il nome del ragazzo, che venne inaspettatamente ad aprire la porta.
- Kagome? – la chiamò stranito. Gli era sembrato di sentire il suo odore, ma pensava di averlo immaginato. Che avrebbe dovuto farci Kagome, di notte e sotto un temporale, a casa sua? Quando poi udì il suo nome, pronunciato fievolmente, capì che lei era veramente lì, così si precipitò ad aprire.
- InuYasha? - chiamò incredula, per poi rendersi conto d'averlo di fronte a sé, non lo stava immaginando. - InuYasha! – esclamò subito dopo, correndo tra le sue braccia in un impeto di gioia.
Si sentì sollevata nel rifugiarsi dentro il suo caldo abbraccio. Le era mancato terribilmente. Le sue mani si strinsero con forza alla maglietta del ragazzo, che la cinse a sé di rimando, facendola sentire protetta.
Ora sì, era tornata a respirare nuovamente.
 
 
 
 




 
Buona domenica ^_^ eccovi il terzo capitolo.
Che brava persona è il padre di Kagome, vero? :D Una persona dolcissima proprio ^_^
Come la prenderà InuYasha quando Kagome gli racconterà del bambino? Ritorneranno insieme? Lo scoprirete solo leggendo il quarto capitolo se vorrete ^_^ 
Grazie mille a tutti voi che mi seguite nonostante sia una pessima pessima pessima lettrice che lascia recensioni col contagocce T^T per non parlare del fatto che ci sono miliardi di recensione a cui non ho risposto T^T PERDONATEMI T^T  sono davvero orribile… l’unica cosa che vi dico è: se nelle vostre storie vedere che la tengo tra preferite e/o seguite, state pur certe che leggo con grande interesse le vostre storie, altrimenti non le terrei lì. Appena pubblicate, la vostra prima lettrice sono io visto che apro EFP cento volte al giorno XD
Ancora grazie mille a chi mi lascia una recensione col suo pensiero sulla storia ^_^ è una piccola rivincita contro me stessa sapere che vi piace (tiè Yasha, tu la volevi bruciare U.U invece bastava solo un po’ di pazienza di Faby)
E prima che inizi ad impazzire del tutto, rivolgendomi a me stessa anche col pluralis maiestatis, vi saluto e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento ^_^
Baci Faby <3 <3 <3 <3
   
 
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