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Autore: SpaceCross    07/06/2015    0 recensioni
La mia non ha la pretesa di essere una vera e propria storia, ma è un semplice focus, uno spaccato, un attimo di vita colto da un personaggio e che forse possiamo aver vissuto anche noi ( perchè tutti siamo dei "personaggi") appassionati di scrittura e lettura.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Mia zia mi ha consigliato di dedicarmi alla musica : << Andrea,. la scrittura ti rende troppo pensieroso e tu quando pensi troppo ti chiudi in te stesso. Dovresti liberare la mente ascoltando la musica. Perché non vai ad ascoltare la band di Anna?>>
La verità è che a me della musica interessava poco e niente, o meglio, mi interessava ascoltarla e la guardavo come si guarda un bel lavoro già finito ma a cui non hai preso parte. Come quando compri una lasagna surgelata invece che di fartela a casa: magari quella surgelata è più buona ma non avrà mai quel sapore soddisfacente.
Andai lo stesso al piccolo concerto della band, Anna era felicissima che fossi andato mentre io, be’ io aspettavo di capire perché ci fossi andato. Non potevo semplicemente dire “no, grazie”?. Si avrei potuto certo, ma io sono in quella categoria di persone che non ha sempre cuore e tempo per rifiutare una cortesia.
Fatto sta che non so bene come ma mi ritrovai seduto sugli spalti ad aspettare che quei tizi vestiti di pelle cominciassero a suonare. Odiavo gli stereotipi, perché se suoni rock devi vestirti di pelle nera? Perché se suoni roba country devi vestirti come un boscaiolo? Le strade della moda sono infinite. Amen.
Mia cugina Anna era la bassista del gruppo e aveva uno strano modo di far ciondolare la testa ogni volta che cambiava accordo, quando il ritmo saliva di intensità avevo quasi paura che le si staccasse la testa.
Insomma ero sugli spalti e cominciavo ad annoiarmi, le prove iniziali stavano prendendo più tempo del previsto e comunque gli spettatori erano pochissimi ( anche perché se fossero stati di più non saremmo entrati).
Più mi guardavo intorno e più mi rendevo conto che quel posto parlava di qualcosa, aveva una sua storia da raccontare. Se mia zia voleva evitare che io scrivessi allora mi aveva portato nel posto sbagliato. La struttura era completamente fatta in lamina ed era una specie di arena in miniatura con al centro lo spazio per gli strumenti. Niente di speciale insomma ma i tipi che popolavano quel mondo invece erano il sogno di ogni scrittore. Un microcosmo, una lente di ingrandimento. Questi sono gli stessi tipi che incontri alla posta mentre fai la fila, o alla cassa del supermercato, sono gli stessi tipi che magari ti trovi in classe al liceo; in quei momenti però la loro anima ( quelli meno filosofici insistono a chiamarla natura) non emerge, non si fa vedere, non viene messa alla prova quel tanto da farla uscire alla scoperto. Un rocker non stereotipato mostra quello che è solo con la sua chitarra in mano, e lo stesso vale per chi vive di musica. Non puoi vedere la musica nelle persone mentre contano il resto da dare alla cassiera.
Lentamente cominciai a guardare non più le cose in quel posto, ma le persone e tra tutte quelle persone cercavo il mio personaggio.
Anna era a suo modo un personaggio, era un ossimoro fatto ragazza; fin da quando era piccola le avevano fatto piacere in tutti i modi la danza classica o se proprio volesse “fare musica”, come diceva zio, allora che suonasse il violino, accidenti! Non un basso elettrico! E invece no. Per un po’ di anni aveva pure messo il tutù di pizzo rosa tutti i giovedì e tutti i venerdì ma era talmente tanto sofferente che mia zia rinunciò al sogno di vederla danzare sulle note di Tchaikovskij e si arrese ai ritmi ben più cult dei Queen.
Era un personaggio, senza dubbio. Una ballerina mancata e di fatto anche molto adatta: di quel piccolo inizio femminile qualcosa le era rimasto: capelli biondissimi e lunghi, occhi azzurri, grandi ciglia, almeno due taglie sottopeso. Era roba da tutù e calza maglia, non da borchie e pelle nera. Ma si sa come vanno queste cose.
Mentre osservavo Anna con insolita attenzione erano arrivati gli altri della sua band, quello che doveva essere il cantante, un tipo anonimo, poi il batterista, un altro tipo anonimo e poi il chitarrista.
Il chitarrista che non era un tipo anonimo. Il chitarrista che non era solo “un tizio con la chitarra”, era “Il ragazzo con la chitarra” e più nello specifico ancora : IL mio personaggio.
Ecco, anche lui del rocker non aveva proprio niente, alto si, proporzionato anche, una massa di capelli ricci e scuri accompagnati di lato e occhi castani. Uno con quegli occhi lì non era un semplice tipo che presta le sue dita per suonare la musica degli altri. Nel vasto panorama dei musicisti di ogni età c’è sempre stata una doppia tendenza: ci sono quelli che la musica la suonano così come è, e ci sono quelli che fanno in modo che la musica “è”. E’ il motivo per cui riconosciamo chi suona con passione e chi no.
E per uno con gli occhi così la musica “è”, e basta, ce l’ha proprio nelle orecchie.
Cosa ci aspettiamo da uno dei nostri personaggi? Ci aspettiamo che riempiano lo spazio, e che prima di essere “ i nostri visi” siano delle persone vere. Mi ha colpì una seconda cosa dopo gli occhi, il fatto che riempisse lo spazio intorno a sé. Non era sicuro di sé, ma non lasciava agli altri la certezza di poterlo capire: anche questa è un’arte, a suo modo, la capacità di dissimulare senza volerlo davvero fare.
Sbrogliare la matassa di tutti quei “ ma se fosse così allora farebbe così” è un lavoro davvero ingrato, perciò se volevo capire che tipo fosse dovevo semplicemente aderire a quello che mi mostrava, senza filtri.
E lui si muoveva come una persona che non è sicura di sé ma ha delle mosse abbastanza sicure da fare ( la differenza è sottile, lo ammetto).
Non parlava come chi non tiene troppo in conto l’opinione degli altri, anzi, ma come chi sa che qualunque essa sia la saprà gestire, un punto di forza lo può trovare.
Aveva un modo incisivo di porsi, i suoi gesti erano tagli netti nello spazio, non che fossero sgraziati, al contrario si disegnavano il perimetro entro cui muoversi. Erano questi suoi movimenti a suggerire la sua forza più del suo fisico. Il fisico come dicono alcune ragazze sui forum femminili: “ è solo un grande bonus”.
Posò la chitarra vicino ai piedi e andò a salutare Anna.
Ecco, quando qualcuno vi dice che sono sempre i dettagli a fare la differenza, avete trovato qualcuno che finalmente ha detto qualcosa di vero. Appoggiò delicatamente una mano sui capelli biondi di mia cugina e la tenne sospesa lì mentre le dava un bacio sulla guancia. Non è cosa da poco. Non è cosa da poco per uno che suona la chitarra, per uno che tiene le dita strette sulle corde, poggiarle con così tanta delicatezza.
Non vi illudete, sognatrici che pensano che l’uomo vero debba essere sempre dolce con la sua donna, e soprattutto non pensate che il nostro personaggio sia uno di quelli. L’amore non è il petalo leggero della rosa, i tempi di Petrarca sono finiti, ora l’amore è quello di Freud e della psicoanalisi, ora l’amore è Eros.
In realtà lo era anche prima ma eravamo troppo falsamente pudici per ammetterlo.
L’amore è per definizione una forza che conquista e per conquistare qualcosa bisogna essere forti e spazzare via, anche solo per qualche momento, quello che c’era prima.
L’amore non è ordine, nessuno riuscirebbe a viverlo così.
La mano poggiata sopra la testa di mia cugina non è timorosa di scompigliare la sua delicata cascata dorata, ma è la mano che si sta cercando di dominare perché vorrebbe invece affondare le dita nei suoi capelli.
Per quanto anni di letteratura abbiano cercato di farci vedere il cavaliere che vince il torneo e la dama che lo premia con un pezzo di stoffa, senza neanche toccarlo, la verità è un’altra: l’amore è possesso.
Dopo mia cugina ovviamente salutò anche altre ragazze, più rapidamente.
La band cominciò a suonare almeno venti minuti dopo, e il nostro personaggio era sempre lì chinato sulla sua chitarra, a volte guardava le dita, altre volte il pubblico.
Il fatto del dove guardi la gente non è un dettaglio da sottovalutare; la prima impressione che si ha delle cose sono i loro colori. Badate bene, non i loro contorni, ma i loro colori.
Se sai dove finirà lo sguardo di qualcuno sai già più cose di quante pensi su di lui.
L’elemento di novità era che solitamente da un ragazzo come il nostro personaggio ci aspettiamo uno sguardo fisso, ipnotico. Quando dicono che gli occhi rivelano quello che pensiamo, spesso è vero. A meno che non si è dei bravissimi dissimulatori ma abbiamo già detto che il ragazzo con la chitarra è un dissimulatore non di mestiere. Lui guarda negli occhi per mettere a fuoco il viso, quei veloci secondi che servono e poi si perde dietro ad altre figure che non siano il suo interlocutore. E’ curioso come questo lo renda estremamente dolce, al contrario di come lui vorrebbe sembrare; allora è chiaro che chi conserva ancora così la sua delicatezza non deve essere diventato diverso da molto tempo.
Quello che siano è un po’ come la tosse, che per quanto ci si sforza di non far vedere, in qualche modo emerge e ci libera la gola. Respirare è essenziale, se ci ritagliamo addosso una identità che non è nostra, bisogna fare in modo che non ci vada troppo stretta.
 
Quando tornai in me da quel posto lontano in cui ero, la piccola audizione era finita e il ragazzo con la chitarra metteva a posto il suo strumento per tornare a casa forse. Mia cugina intanto veniva verso di me con aria contenta.
“Dovrei smetterla davvero con questo vizio di fare lo scrittore” pensai. Erano passate due ore e io non me ne ero reso conto nel modo più assoluto.
<< Cosa ne pensi del mio gruppo? >> mi chiese aspettandosi grandi commenti, e gliene avrei dati se avessi ascoltato anche solo una nota, un brano, uno straccio di arrangiamento. Per me invece esistevano solo i dettagli, ero stato completamente assorbito dai dettagli.
“Dovrei proprio smetterla con questo vizio” pensai. “ Finirò come il protagonista di Fight Club”.
 
 
   
 
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