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Autore: Sheera Kavannah    07/06/2015    3 recensioni
Beritra è stato annientato, le sue truppe sono scomparse, ma la pace stenta a tornare. Un nuovo, possente nemico minaccia Atreia e i suoi abitanti, ancora deboli per il precendente conflitto. Entrambe le fazioni sono troppo deboli da sole per debellare questa nuova minaccia, ed è per questo che un'alleanza potrebbe essere l'unica soluzione possibile.
Gli eventi accadono dopo quelli narrati in Aion 4.8, la storia è soggetta a continue variazioni, come il titolo o parti dei capitoli stessi. Il titolo non è sicuramente definitivo.
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Il campo allenamenti di Sanctum era spesso pieno, molti giovani Daeva si incontravano lì per duellare e migliorare le loro prestazioni.

Poca gente però conosceva la parte inferiore della capitale elisiana, accessibile con lunghissime corde o con un “semplice” salto di fede, ed era soprattutto questo che tratteneva la gente dall'accedervi. Piccoli e spogli giardinetti circondati dalle fresche cascate che bagnavano la cittadella erano il terreno perfetto per tirare qualche freccia: nessun palazzo, nessun ostacolo, ma soprattutto, nessun Daeva.

Celadon aveva montato vari manichini due mesi addietro, e in quella zona aveva deciso di passare la maggior parte del suo tempo. Sapeva molto bene come usare le sue ali, e raggiungere Sanctum inferiore era una passeggiata per lui. Il cacciatore passò l'intera mattinata a tirare attacchi ai suoi nemici di paglia, urlando e sfogando la sua rabbia: amava urlare, riteneva che così facendo incrementava la percentuale di critico dei suoi attacchi.

Riversò tutto il suo mana in tiri perfetti, centrati, veloci e letali: le sue dita sottili rigiravano l'arco con destrezza mentre con le gambe si spingeva all'indietro a causa dell'elevata potenza sprigionata. La sua sottile armatura di pelle, cucita appositamente da lui per gli allenamenti, lasciava intravedere il petto e le braccia nudi: chiare goccioline scendevano rincorrendosi, dal viso, al collo, fino a concentrarsi tra i pettorali scolpiti; sulle braccia, le vene erano gonfie e pompavano il sangue violentemente, rendendo i muscoli del cacciatore ancora più caldi e vibranti.

Molte volte, quando sferrava un attacco, si mordeva le labbra, anche fino a farle sanguinare: per quel motivo erano costantemente rosse e piene di tagli, esattamente come la sua schiena. Celadon cercava in ogni modo di nascondere quella parte del corpo, dal momento che l'ultima grande guerra aveva lasciato su di lui dei segni indelebili, delle cicatrici profonde non rimarginate a dovere, soprattutto per la poca cura dedicata loro dal ragazzo. Dal giorno della sua nascita, era scritto nel destino che sarebbe diventato cacciatore: quando aveva soltanto 5 anni, fu capace di arrampicarsi fino in cima a un palazzetto nelle campagne circostanti Elian, a mani nude; la sua agilità non era affatto smorzata dal suo fisico possente, e la sua notevole altezza favoriva la sua stabilità nel tiro con l'arco. I suoi occhi erano svegli e attenti, la preda non gli sfuggiva mai e la sua vista era superiore alla media.

Decise di sedersi e ricaricarsi: passò la mano sinistra tra i capelli rosso fuoco, abbassando la sua usuale cresta ora inumidita, e con l'altra si asciugò il sudore dalla fronte e dal viso, accarezzando la sua corta barba. I suoi occhi erano stanchi e segnati: ma non solo dalla spossatezza degli esercizi.

«Daeva.»

Celadon sobbalzò a quel richiamo: una guardia cittadina lo stava osservando dritto negli occhi.

«Cosa.» Alzò un sopracciglio mostrando un sincero disappunto.

La guardia sospirò. «Lavirintos vuole vederti». Il Daeva sollevò le sopracciglia mostrando i suoi grandi occhi verdi: «Mi scusi?»

«Il Comandante del Sacro Ordine di Miraju Lavirintos vuole vederti».

Celadon ruotò lo sguardo in più direzioni cercando di fare chiarezza su quelle parole: il Comandante? Voleva vederlo? A che pro? Quando Lavirintos chiamava c'erano solo guai di mezzo.

Tirando un profondo sospiro Celadon si alzò. «Come mi hai trovato, giovanotto?»

 

La guardia lo fissò con sguardo vacuo e annoiato: «Ho le mio fonti. Ora, se vuoi seguirmi...»

Pare che nessuno dei due avesse molta voglia di camminare quella mattina, nonostante ciò si avviarono verso la Protector's Hall, dove Lavirintos li attendeva.

 

La Protector's Hall era un imponente palazzo nella parte nord di Sanctum: centro di produzione di ogni genere, dalle armi alle pozioni, dove i Daeva erano soliti sviluppare le proprie capacità lavorative grazie alle risorse offerte dal territorio elisiano.

 

Il secondo piano, accessibile tramite una piattaforma mobile fluttuante, era la casa dei Maestri di Classe, i punti di riferimento più importanti di ogni Daeva, fonti inesauribili di consigli riguardanti il percorso intrapreso da ogni elisiano al momento dell'Ascensione. Le colonne di marmo azzurro come il pavimento liscio sostenevano il terzo piano, dove risiedeva Lavirintos; Celadon notò che le guardie erano diminuite nel giro di un mese, e questo lo preoccupò non poco.

 

Sempre scortato dalla guardia, il cacciatore salì le scale, sfiorando con la mano le ringhiere di oro zecchino: scolpite a mano dai maestri orefici molti secoli addietro, erano ancora in perfette condizioni, mostrando la tipica cura e il rispetto elisiano per l'architettura. Finalmente, arrivati in cima, i due si inchinarono di fronte al Comandante Lavirintos, il quale si alzò dal suo trono per salutarli con un debole Arieluma.

 

«Signore».

«Ti stavo aspettando giovane Daeva. Eri ancora ad allenarti immagino».

«Lei… Come...» Non erano così segreti questi allenamenti, quindi.

«Sei uno dei cacciatori più valorosi di questo popolo e non ho intenzione di perdermi in chiacchiere. I Balaur stanno invadendo sia Gelkmaros che Inggison. Le fortezze sono cadute e i terreni bruciano».

Un velo di tristezza cadde sugli occhi di Celadon.

«Ne sono al corrente. Le voci dei Mercuri sono arrivate».

«Esatto. Outremus da Inggison mi ha dato il compito di selezionare i Daeva più valorosi e potenti di Elysea per combattere l'invasione balaur»

«Signore, se posso permettermi, non credo che io abbia le qualità necessarie a-»

«Silenzio.»

«Mi scusi.»

«Tu radunerai una squadra e ti presenterai dinanzi a Outremus venerdì pomeriggio e vi accorderete sui piani di guerra. Non abbiamo molto tempo, quindi ti raccomando di scegliere i soldati che ritieni in grado di sopportare una guerra. Non parlo di battaglie da siege o da conquista di fortezza. Parlo di guerra. Potenzialmente più pericolosa della precedente.»

 

Celadon spalancò gli occhi e deglutì con forza. Più pericolosa della precedente. E' un fottuto suicidio. Fredde gocce di sudore colavano sul collo del Daeva; il suo respiro si fece affannoso. Una enorme, immensa responsabilità gli era appena caduta sulle spalle. Nel giro di tre secondi si rese conto che il destino di Elysea poteva dipendere da lui, dalle sue decisioni, dalle sue azioni. Doveva scegliere. Mille nomi scorsero nel suo cervello, gli offuscarono la mente, i pensieri, le paure, le tattiche conosciute, gli allenamenti vissuti, i suoi equipaggiamenti, il terrore, l'incertezza e all'improvviso la voce cupa e profonda del Comandante lo scosse.

 

«Ti è chiaro tutto?»

Il cacciatore annuì molto lentamente, i suoi occhi persi nel vuoto.

 

Lavirintos schioccò la lingua inclinando la testa: era certo della sua scelta, meno del suo destino.

«Quattro giorni. Dovrebbero essere necessari. Venerdì, alle 18, Inggison, Outremus. Ora va»

Celadon si inchinò debolmente davanti al Comandante, si girò e scese di fretta le scale. Aveva bisogno di aria, doveva uscire, presto. Corse fino all'entrata della libreria, proprio di fronte all'entrata principale della Hall, dove si appoggiò ad un muro con la schiena e scivolò fino a sedersi sul pavimento freddo; si prese la testa con le mani e stese una gamba.

Doveva pensare, Outremus voleva dei nomi, ed era sua responsabilità darglieli. E non nomi a caso, ne andava della sopravvivenza del popolo elisiano stesso. In realtà, anche il popolo asmodiano era in guerra, ma poco gli importava: per Celadon quella razza era solo fonte di disprezzo.

Sospirando, Celadon appoggiò la testa al muro e chiudendo gli occhi, sussurrò una parola: nel giro di sei secondi, il suo corpo si smaterializzò in mille scintille azzurre, lasciando il suo calore impresso nel marmo del pavimento.

   
 
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