Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: Nanek    09/06/2015    11 recensioni
E da sciocco credo sia anche una buona idea prendere un pezzo di carta, una penna e fingermi come la mamma, piccoli miei, fingermi scrittore e non compositore, fingermi autore di questa storia che chissà se mai vi verrà voglia di conoscere, di leggere.
Io la scrivo lo stesso, forse perché mi sento troppo ispirato, forse perché ora capisco cosa prova la mamma quando dice di dover sfogare su carta quello che le frulla in testa.
E pensare che tutti non ci avrebbero scommesso un dollaro su di noi.
E pensare che doveva finire nell’arco di qualche mese.
E pensare che era considerato tutto impossibile.
Perché, dai, chi crede che un cantante famoso possa innamorarsi perdutamente di una fan?

Una tra mille, milioni, una che non la distingui neanche dalla folla, una che è lì e ti sembra uguale a quella accanto.
Solo una fan in mezzo ad un mare di volti che cantano le tue canzoni, volti sempre diversi.
Dai, chi ci crede che questo possa funzionare davvero?
Beh, io e la vostra mamma lo abbiamo fatto.
~
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=kLzoGYhAfeE
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lune's Love'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
4. I miss you
 
Image and video hosting by TinyPic
  
And I know I shouldn't tell you.
But I just can't stop thinking of you.
Wherever you are. You. Wherever you are.
Every night I almost call you, just to say it always will be you.
Wherever you are.

 
Quel bacio, però, non poteva davvero farmi scordare i miei doveri, obblighi e impegni con la band.
Il giorno seguente sono tornato dagli altri, un sorrisone da ebete stampato in faccia, il cuore pieno di speranza e pace, mentre una zona un po’ al buio, nella mia testa, era già sintonizzata nel canale “distanza”.
Quando sono tornato dagli altri, era il momento di tornare a casa, in Australia, a Sydney.
Quasi dodici ore avanti rispetto all’ora italiana.
Se non sopportavo l’America per quelle sei ore indietro, figuratevi l’Australia.
Non ho mai odiato casa mia così tanto.
Notti passate sveglio, perché dalla mamma era ancora giorno, chiamate Skype che passavo tra uno sbadiglio e l’altro, conversazioni tramite messaggio che terminavano perché prendevo sonno mentre aspettavo risposta.
Un incubo.
Se volete un consiglio, bambini miei, cercate di innamorarvi di una persona vicina a casa, o armatevi di amore puro e illimitato, perché non vi augurerei mai e poi mai una relazione così distante.
Ma per la mamma questo e altro, logicamente.
Penso di non aver mai avuto così tanta pazienza in vita mia, bambini, ve lo giuro.
Ma sapete cos’era la cosa che più mi preoccupava?
Il sabato sera.
Il sabato sera in Italia, mentre a Sydney la mattina stava già per finire.
Il sabato sera in Italia mi mandava fuori di testa, perché lei, logicamente, usciva con le sue amiche e non rispondeva ai miei messaggi.
Ma sapete qual era il problema più grande?
Le discoteche o il semplice fatto che uscisse pure con dei ragazzi.
Gelosia? Non potete immaginare quanta.
Preoccupazione? Eh, quella c’è sempre, anche adesso.
Voglia di prendere un volo e raggiungerla ogni week end? Una volta ho rischiato di prenotare un volo: costava così tanto che mi sono sentito male, una specie di stalker, una specie di ossessionato cronico, ho chiuso la pagina internet con la coscienza pulita.
Ma c’era mancato proprio poco.
Mi ricordo un week end, in particolare, quel week end in cui ho apertamente confessato a tutti gli zii di avere una specie di relazione a distanza con la mamma.
Dire che erano sorpresi è usare un eufemismo.
Cioè, sapevano del bacio, sapevano tutto, più o meno, ma non avrebbero scommesso un soldo bucato su di noi.
Troppo distanti, troppo diversi, troppo surreali.
Le solite baggianate che mi sentivo ripetere in continuazione, baggianate che mi hanno tormentato per molto tempo, soprattutto di notte, che davano origine a quesiti un po’ tristi, un po’ angoscianti.
Ma tutto spariva ad ogni risposta da parte della mamma.
Bastava un messaggio, bastava un “Mi manchi”, bastava davvero così poco e sentivo che neanche un oceano tra di noi ci avrebbe ostacolato.
Ma quel week end, bambini miei, non lo scorderò mai.
E non lo scorderanno mai gli zii.
La mamma mi aveva avvisato, dicendomi di non poter rispondere il giorno dopo, ma non credevo che fosse davvero un silenzio tombale!
Insomma, le avevo mandato un messaggio, appena alzato dal letto.
In Italia era mezza notte, a Sydney erano le otto del mattino, di domenica.
Solo io potevo già essere sveglio a quell’ora, solo per scriverle, solo per vedere come stava, solo per… okay, sì, morivo dalla voglia di farmi gli affari suoi.
È frustrante, bambini, dico davvero, è frustrante non sapere che cosa fa la persona che amate –anche se non l’avevo ancora ammesso- è frustrante essere dall’altra parte del globo quando lei è a divertirsi, quando lei vive in mezzo ad altre persone che potrebbero portartela via con un semplice sorriso.
Non riuscivo a capacitarmi di questa cosa.
Non riuscivo a togliermi quel pensiero fisso dalla mente, me l’ero studiato nei minimi dettagli: lei che vede lui, l’altro, lui che le sorride, lui che si avvicina, lui che “Ti va un drink?” e il gioco è fatto.
Non potete capire quante cose possono cambiare con una semplice domanda, con un semplice invito a bere qualcosa.
Sono questi miseri dettagli a fare la differenza, per quanto possa suonare esilarante e impossibile.
Ma è così, fidatevi di me, fidatevi del vostro papà: basta un nulla per perdere la persona più importante della vostra vita.
E quella mattina credevo di essere impazzito del tutto.
La mamma era tipo sparita.
Non mi ha risposto, neanche dopo un’ora, neanche visualizzato il messaggio, niente, il nulla più totale.
Beh, potete ben immaginare il mio stato.
Ero lì lì per chiamarla fino all’esaurimento.
Ma non ho osato farlo.
Sembrare uno stalker era l’ultima delle mie intenzioni, ma volevo davvero tanto chiamarla.
Sentire la sua voce, sentire che stava andando a casa, sentire che quella dannata ansia che avevo in circolo era inutile.
Ma non l’ho fatto.
Non l’ho chiamata.
Ed è cominciato il mio sclero più totale, tanto che la nonna si è pure preoccupata, soprattutto al vedermi sveglio alle otto di mattina, di domenica, una specie di sorpresa, una specie di presagio che la fine del mondo era vicina.
Ma non avevo voglia di ridere.
Proprio per niente, volevo solo volare in Italia e… e non lo so.
Mi passavo la mano tra i capelli, sospiravo come se stessi tirando un infarto, camminavo avanti e indietro come un pazzo, stavo per fare un buco su quel pavimento, lo giuro.
E, beh, ringraziamo nonna Liz, è stata lei a mandarmi fuori di casa, incitandomi a chiamare gli zii.
Un semplicissimo messaggio che li ha spaventati a morte.
“Urgente: tutti a casa di Michael, subito.”
Inutile ricordare che Michael era… incazzato nero, dato che stava ancora dormendo e ci ha visti irrompere nella sua stanza come dei titani.
Ho tirato su le tapparelle, Calum lo ha strattonato per bene, Ashton gli ha urlato un “Buongiorno” così fastidioso da irritare anche me, mentre Michael ha lasciato scivolare un’imprecazione che… ve la risparmio.
«Cosa cazzo succede, Luke?» ha mormorato Calum, prendendo posto su una sedia.
Io appoggiato contro il muro, Ashton a condividere un pezzo minuscolo di materasso con Michael, ancora stravaccato al massimo con uno sguardo fulmineo, quegli occhi verdi mi hanno trapassato al sentire le mie parole.
«Non risponde al mio messaggio.»
Non l’avessi detto.
La terza guerra mondiale si è scatenata in camera di Michael, a suon di insulti e lamenti di ogni tipo.
«Tu stai male, cazzo»
«Tu non sei a posto, per un fottuto messaggio?!»
«Luke, sei un testa di cazzo, cosa vuoi che sia? Porca puttana, per un messaggio!»
Ma loro non potevano capire.
Ho indossato il mio sguardo da cane bastonato, ho cominciato a sfogarmi come un cucciolo indifeso nella speranza di essere capito almeno un pochino.
«Non tarda mai a rispondere. Non entra nella chat dal pomeriggio. Lì in Italia sono le due passate di notte, e io sono qui e ho paura che le sia successo qualcosa!»
I miei pensieri non facevano una piega, insomma, diciamo che tra i tre sono riuscito a convincere solo Calum e Ashton, mentre Michael… si è lasciato andare ad un monologo lungo mezz'ora circa.
E me le ha dette di tutti i colori.
Che ero un idiota, un coglione, uno stalker, un maniaco, che potevo trovarmene una più vicina, che potevo trovarmene più di una, che lo stavo esaurendo con quei discorsi da emerito coglione, che dovevo lasciarla in pace, che mi stavo solo illudendo, che lei forse voleva solo essere lasciata in pace, che gli facevo venire il mal di testa, che dovevo piantarla, che proprio non capiva cosa cazzo mi avesse detto di così affascinante per avermi ridotto come un cane al guinzaglio.
E io ho ascoltato ogni singola parola.
E io ho sentito di nuovo il peso di quelle domande che odiavo formulare dentro la mia testa.
E se avesse ragione lui? Se lei non fosse davvero così interessata a me? Se volesse solo giocare con me? Se le importasse solo flirtare con un cantante?
Mi stavo logorando da solo.
Inutile dire che sono uscito da casa Clifford un po’ arrabbiato, un po’ deluso, un po’ confuso.
L’unico che ha avuto il coraggio di seguirmi… è stato Calum.
«Michael ha solo tanto sonno»
«Ma se fosse vero quello che dice?»
«Da quando dai ragione a Michael?»
«Ho solo paura di sbagliare»
«Anche se fosse? Tu sei Luke Hemmings, non avrai difficoltà a trovare quella davvero giusta»
«Credi che lei non lo sia? Lo credi anche tu?»
«Luke… io sto solo tentando di…»
«Non ho bisogno di sapere chi si farebbe avanti per sostituirla, lo vedo, Calum, non sono mica cieco: ai concerti, o alle feste, siamo circondati da femmine!»
«E allora qual è il problema?»
«Il problema è che nessuno è, e sarà mai, lei»
Un momento di silenzio.
Non c’erano più parole da dire, solo domande da fare, da fare a me, in particolare.
«E com’è lei, Luke?»
Bambini miei, posso solo dire che neanche tutte le parole di questo mondo potevano –possono- rispondere a pieno a quella domanda.
Cos’ho detto allo zio Cal? Beh, quel poco che riuscivo a capire ed esprimere.
Partendo da una semplice frase, sono arrivato a fare un monologo degno di nota.
«Voglio dimostrarle di essere come lei mi descrive nelle sue storie» la frase più idiota al mondo, il pensiero più cretino che una persona possa pensare, ma io la vedevo così.
È cominciato tutto così, come se fosse la mia missione, il mio destino, renderla felice ed essere esattamente come lei mi voleva.
Una sfida contro me stesso, una sfida contro le opinioni altrui.
Ma, forse, questa era solo una scusa tra le tante, era solo un modo come un altro per non confessare apertamente e chiaramente di essermi innamorato perso di quella ragazza dagli occhi blu che, per scommessa, mi aveva lasciato il suo numero di cellulare e la voglia di rivederla ancora.
Succede e basta, bambini, succede e basta, succede qualcosa dentro, un pulsante che parte da solo e scatta quella voglia.
La voglia di conoscerla, di vederla, di imparare ogni cosa di lei, di fare ogni cosa per poter essere alla sua altezza, la voglia di essere perfetto e basta, senza neanche un’imperfezione, semplicemente come lei sogna, come lei desidera.
Ed è da folli, bambini, fidatevi che è da folli pensare una cosa del genere, perché troppa perfezione soffoca, perché convincersi che la perfezione può far durare qualcosa, è l’errore più grande che si possa fare.
Ma ancora non lo capivo.
Non capivo che la mamma mi avrebbe sempre accettato, in ogni occasione, pregi e difetti, ma c’è voluto del tempo prima che me ne rendessi conto.
Calum, ad ogni modo, ha saputo darmi il consiglio più azzeccato.
Un semplice «Cerca solo di essere te stesso, cerca solo di non incastrarti in qualcosa che magari condividi da solo.»
Parole che mi hanno fatto arrabbiare, per la poca fiducia che riponevano in lei.
Nessuno di loro sembrava convinto, tutti diffidenti, tutti con una smorfia in viso al sentire il suo nome uscirmi di bocca.
Li detestavo per questo, perché loro, poi, sono stati i primi a sbagliare.
Comunque, bambini, la mamma alla fine mi ha risposto, tranquilli.
“Luke, scusa, scusa, scusa. Mille volte scusa! Colpa mia, ho la batteria sotto zero, sono appena tornata a casa, non era mia intenzione non risponderti, lo giuro! Scusami, Luke, sono qui, adesso. Scusami.”
“Hey, tranquilla, non c’è problema. Mentirei se ti dicessi che non mi sono un po’ preoccupato, ma non importa, so benissimo che hai 22 anni e sai cavartela”
E quanto sono bravo a mentire tramite messaggio?
“Ti giuro, non finiva più. Abbiamo giocato a bowling, la bellezza di tre partite, il mio braccio è a terra”
“Ti piace il bowling?”
“Lo amo”
“Anche a me piace, qualche volta con i ragazzi andiamo a giocare. Amo vincere, mi pagano sempre da bere”
“Pure? Furbo sei, Hemmo! Magari un giorno porti anche me, magari sarai tu ad offrirmi una coca cola… o magari io”
“Non ti farei mai pagare in mia presenza”
Inconsciamente ho pure citato una mia canzone.
Just saying?”
“Già, non ti sfugge nulla, neanche a notte fonda”
“È che in macchina ho solo il vostro cd che va sempre, non lo cambio mai”
“Che fan incredibile”
“Già… e, forse, lo faccio per sentirti vicino”
Sì, bambini, la mamma sa pure essere dolce, soprattutto a notte fonda.
“Non te l’ho mai chiesto ma… non credo di sapere quale canzone preferisci, tra le nostre, intendo”
“E se non volessi dirtelo?”
“Devo scoprirlo da solo?”
“Sì, vorrei che lo scoprissi da solo, magari prima di stancarti di me”
E quasi la sentivo la sua voce nel dire quelle parole.
“Come ci si stanca di una come te? Credo di non saperlo”
“Bastano quattro mesi, poi passa, passo in fretta”
“Eppure ti conosco da sei mesi, e… beh, non credo di essermi stancato di te”
“Non credi, ma non ne sei sicuro”
“Non mi sono stancato di te, guarda te se devo stare attento a come scrivo!”
“Parli con una scrittrice, i dettagli contano troppo per me”
“Vero, un punto a te allora. Hai novità da parte della casa editrice?”
“No… ma non importa, ho altre cose da fare, tipo riuscire a finire la specialistica al più presto”
E la mamma cambia sempre discorso quando qualcosa non va proprio.
Perché quel dannato libro a me piaceva da matti, era impossibile non volerlo pubblicare, era magnifico, unico, e io ero tanto di parte.
“Mi manchi, Luke” il suo messaggio arrivato subito dopo tre secondi, prima ancora che rispondessi, un messaggio lungo che racchiudeva ogni sua paura “Mi manchi e… ho paura di perderti. Ti volevo qui con me, al bowling, ti volevo su quella poltrona rossa a guardarmi, ad abbracciarmi a quei pochi strike, ti volevo lì e… mi sono sentita così stupida, mi sono sentita così idiota, perché ho cantato più forte di te mentre guidavo, e… e credo di aver pianto su quelle note, su quelle parole.
Perché ho paura di sbagliare tutto, ho paura di deluderti, ho paura di non essere quello che tu credi.
Ho paura di non essere quella persona meravigliosa che hai in testa tu, perché io sono lontana miglia e miglia dall’essere una persona meravigliosa: sono testarda, sono impulsiva, so essere più acida di un limone, so mandare tutto a puttane perché mi fido di poche persone che si contano su una mano. Dico di essere una persona pacifica, ma in realtà so essere una gran bastarda; sono tutte queste cose e… e tu invece sei… sei solo tu, sei Luke Hemmings e… e io… ho bisogno di te, nonostante tutto, in ogni momento, ovunque tu sia, anche con un oceano in mezzo, anche due; ho bisogno di te, perché… perché mai nessuno mi ha mai guardata come fai tu, perché… perché quello che stiamo facendo, quello che mi fai provare tu… non l’ho mai provato con nessuno. Perché non posso smettere di sentirmi così? Perché mi sento finalmente in pace con me stessa”
E avrei voluto sbandierare ai quattro venti il mio amore per lei.
Lo avrei fatto subito, di getto, un bel tweet in Twitter, una bella confessione per la persona più sorprendente al mondo, la persona che, Dio, avrei dato qualsiasi cosa pure di stringerla un po’.
Logicamente, dopo quel papiro degno di una scrittrice, non avevo la minima idea di cosa risponderle.
Posso solo dirvi che l’ho chiamata, di getto, senza pensare un solo secondo.
L’ho chiamata e… ho cominciato a cantare quella canzone, la canzone che la mamma canta ancora oggi squarcia gola, la canzone che ci siamo in qualche modo presi, la nostra canzone che non ho mai cantato ai concerti, se non solo una volta.
«And I know I shouldn't tell you. But I just can't stop thinking of you. Wherever you are. You. Wherever you are. Every night I almost call you, just to say it always will be you. Wherever you are»
È bastato questo a farla piangere un po’, è bastato sentire la mia voce.
Un mezzo pianto che poi è diventato una risata.
Sì, perché la mamma ride anche quando piange: si è data della stupida, della cretina, mi ha chiesto scusa altre mille volte, prima di lasciarmi finalmente parlare.
«Torno in Europa tra due settimane, torno e sarà tutto diverso, te lo giuro.»
 
 





Note di Nanek
SIGH.
Okay, questo capitolo è così malinconico da far paura.
Non ho molto da dire, se non che ho pochissima voglia di studiare LOL
Non so davvero cosa commentare, non succede qualcosa di troppo divertente, c’è questo messaggio triste, c’è questa canzone che fa pure da sottofondo al trailer, canzone che SIGH mi vien da piangere al pensiero.
Qua fa caldo, da voi?
Io sono in piena sessione estiva, non manca molto alla fine, ma sono già KO in pratica!
Immagino che invece la maggior parte di voi abbia finito la scuola, o la finisce a brevissimo! Beate voi che siete ancora al liceo! Non sapete quanto lo rimpiango a volte :D
e… nulla, insomma.
Grazie di cuore a tutte voi che leggete <3
Grazie davvero, questa ff conta davvero molto per me <3
Ci sentiamo presto!
Nanek
  
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: Nanek