Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer
Segui la storia  |       
Autore: Nanek    23/06/2015    10 recensioni
E da sciocco credo sia anche una buona idea prendere un pezzo di carta, una penna e fingermi come la mamma, piccoli miei, fingermi scrittore e non compositore, fingermi autore di questa storia che chissà se mai vi verrà voglia di conoscere, di leggere.
Io la scrivo lo stesso, forse perché mi sento troppo ispirato, forse perché ora capisco cosa prova la mamma quando dice di dover sfogare su carta quello che le frulla in testa.
E pensare che tutti non ci avrebbero scommesso un dollaro su di noi.
E pensare che doveva finire nell’arco di qualche mese.
E pensare che era considerato tutto impossibile.
Perché, dai, chi crede che un cantante famoso possa innamorarsi perdutamente di una fan?

Una tra mille, milioni, una che non la distingui neanche dalla folla, una che è lì e ti sembra uguale a quella accanto.
Solo una fan in mezzo ad un mare di volti che cantano le tue canzoni, volti sempre diversi.
Dai, chi ci crede che questo possa funzionare davvero?
Beh, io e la vostra mamma lo abbiamo fatto.
~
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=kLzoGYhAfeE
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lune's Love'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5. News
 
Image and video hosting by TinyPic

I promise you we will make it through
As long as you wait for me
Wait for me
Please save a space for me
Inside your arms
I know it's been long
But darling stay strong for me.
 
 
E meno male, bambini miei, che quando sono tornato in Europa non ho avuto la splendida idea di fermarmi in Italia, perché non l’avrei mica trovata la mamma, sapete.
Devo essere sincero, ero intenzionato a fare scalo in Italia, per andare da lei a sorpresa, per poterla abbracciare e consolare per quell’assenza quasi imperdonabile.
Ma… vedete, con gli zii… non era per niente facile, quella situazione.
Forse per colpa mia, anche senza forse, li ho portati ad odiare quella ragazza, inconsapevolmente.
Non mi hanno mai detto chissà cosa, non mi hanno mai vietato di vederla, di sentirla, di chiamarla anche durante i momenti meno opportuni come le prove; lo zio Michael mi aveva pure consigliato lui di raggiungerla, quella volta dello schiaffo, ricordate?
Ecco, però… beh, c’era qualcosa nei loro volti che mi convinceva sempre di più di una cosa: loro odiavano Vanessa.
Non tanto perché era lei, ma più per gli effetti collaterali che mi scatenava ogni cinque secondi.
Passavo dall’essere felice all’essere triste, dalla gioia all’ansia, dalla tranquillità all’esaurimento cronico.
L’ho detto che ero fuori di testa, no?
È che, purtroppo, riversavo tutte le mie paure su di loro, le mie incertezze, le mie inquietudini, e a volte le parole non mi bastavano, tanto che sbagliavo pure sul palco perché troppo distratto dal pensiero di lei.
Lei che, a dire la verità, sembrava non volermi mai cercare per paura di disturbarmi.
Gli zii, quindi, li ho sentiti troppo spesso dire quelle parole, parole che mi hanno portato più volte ad odiarli, a riempirli di insulti, mentre i loro occhi si alzavano al cielo e mi mandavano a fanculo a turno.
«Neanche fosse una principessa»
«Neanche fosse Katy Perry»
«Una comune mortale sta rovinando la nostra quiete»
«Perché non te ne prendi un’altra?»
«Perché ti fissi così tanto?»
«Abbiamo un sacco di cose da fare, ti sembra di avere il tempo per una ragazza?»
«La vedi sì e no dieci giorni al mese»
«Non durerà, ci scommetto quello che vuoi»
E quanto li ho odiati, non potete neanche immaginarlo.
Perché essere così bastardi con me?
Perché non tentare di capirmi?
Perché non fingere di capirmi?
Ero completamente andato per una persona, non è da amici essere felici per questo?
Eppure, non lo erano per niente.
E non li capivo, e meno capivo più li odiavo.
Sta di fatto che, appunto per questi motivi, non ho prenotato un volo diretto per l’Italia, ma per Londra, insieme a loro, loro che mi innervosivano anche con un sospiro e un’alzata di occhi al cielo, solo perché la mamma mi mandava qualche messaggio.
“Vengo presto da te, Vane, te lo prometto”
“Non devi preoccuparti, Luke, davvero, non voglio che tu faccia mille giri per me, hai i tuoi doveri e io li rispetto, davvero.”
Ma ero io quello impaziente di vederla.
Appena ho messo piede in hotel, dopo ventiquattro ore di aereo, mi sono lasciato cadere sul letto e non ho aperto occhio fino alla mattina dopo, come se lo stress per il viaggio, il fatto di non poterla vedere e l’impazienza mi avessero fatto da sonnifero.
Il giorno dopo, verso le undici, mi sono svegliato ancora più nervoso del giorno precedente.
Tanto che ho preso il portafoglio e, senza dire parola a nessuno, me ne sono andato per le strade londinesi a passeggiare, come un comune turista, attorniato ogni cinque secondi dalle fan, fan che non somigliavano per niente alla mamma.
Sospiravo deluso al non trovarla in quei volti, sospiravo e più camminavo più saliva la voglia di stare fuori fino a tarda serata.
Le mie foto con le fan hanno tipo fatto il giro di Twitter per tutto il giorno, i ragazzi hanno concesso qualche selfie appena fuori l’hotel, e qualche fan un po’ folle si era già accampata fuori dall’ingresso.
E tutto ciò comportava ancora meno voglia di tornare lì.
Tuttavia, c’era un qualcosa di strano.
La mamma rispondeva in modo bizzarro ai miei messaggi, e la domanda che mi chiedeva in continuazione era “E adesso dove sei?”
“Sto passeggiando ad Hyde Park, tu?”
“Ah io nulla”
“Sei a casa?”
“Sì, sì, sempre a studiare… ma come mai non rientri in hotel?”
“Perché su Twitter ho visto il casino che c’è già lì fuori”
“Dai… non essere sgarbato”
“Non ho voglia”
“Ma non avevi sonno? Perché non sei rimasto con gli altri? Cosa fai da solo?”
“Perché tutte queste domande?”
“È solo per parlare un po’… sembra che tu sia arrabbiato”
“Forse lo sono”
“Che ti ho fatto?”
“Tu nulla, gli altri… beh, diciamo che Londra non era esattamente la mia meta”
“Non volevo farti litigare con gli altri, mi dispiace”
“Non hai fatto nulla, davvero”
“Quando torni in hotel? Sono quasi le dieci…”
“Sono le 9:15 pm, mamma”
“Hai cenato?”
“Burger King, mamma”
“Che schifo, si vede che non sei mio figlio: McDonald’s tutta la vita!”
“Scusa, mamma”
“Dovresti tornare in hotel, è buio”
“Dovresti smetterla di ripeterlo”
“Dovresti tornare, dato che fuori dal tuo hotel fa freddino, sai, a novembre, a Londra, non ci sono temperature estive”
“…Che?”
“Hai capito bene, Hemmo, sono qua che ti aspetto, da ore”
“Non è divertente come scherzo”
“Vieni a controllare”
“No, mandami un selfie, è più divertente”
E di divertente non c’era proprio nulla, dato che la mamma era davvero lì fuori, armata di giubbotto e berretto, una borsa e il buonsenso di una sciocca.
Ho corso come un emerito coglione.
Sono arrivato da lei dopo un’altra mezz’ora abbondante, sudato, con il fiatone, il senso di colpa addosso e con un’ondata di fan pronte ad urlare appena mi hanno riconosciuto.
Ho sopportato per cinque minuti quel caos.
Poi, ho usato il cervello, inventandomi di dover fare una chiamata urgente che le ha zittite sul momento, mentre mi accecavano con quei dannati flash ad ogni mio passo verso l’ingresso.
Ho chiamato la mamma e la sua voce era quasi un soffio.
«Pronto?»
«Dove sei?»
«Mi sono tolta da quel macello, sono davanti al mio hotel, è esattamente dietro il tuo, più o meno»
«Perché non mi hai aspettato?»
«Beh, ti aspetto tra un’ora, vorrei andare in un posto, se ti va»
«Lasciami l’indirizzo, faccio una doccia e arrivo»
Un’ora.
Non un solo minuto di più.
E, no, non ho detto nulla agli altri ovviamente.
Anzi, pensavano mi fossi già trovato un’altra, loro.
Invece, alle dieci e quarantacinque mi sono presentato sotto quell’hotel a tipo cinque minuti dal mio.
Un hotel a due stelle, una specie di topaia, davvero, ma che la mamma ha voluto prenotare per non pesare su di me, ovviamente.
Ma era anche ovvio che non l’avrei mai lasciata dormire lì, da sola, neanche sotto tortura.
Infatti, sono sceso dal taxi, dirigendomi dentro, notandola uscire dall’ascensore.
L’ho raggiunta, non l’ho degnata di un sorriso, nonostante lei fosse mezza imbambolata e le ho detto di portami in camera sua.
Quell’affermazione suonava peggio di quel che doveva sembrare.
«Che devi fare?»
«Non ti lascio dormire qui, spiacente»
«Ma ho già pagato!»
«Ti rimborserò»
«Dai, Luke»
«Ti sembra il modo? Non avvisare neanche? E pretendi pure di stare qui da sola?»
«Non sono una-» e le ho lasciato un bacio.
Quanto mi era mancata, bambini.
Ma in realtà quel bacio serviva a farla stare zitta, onestamente.
E serviva a rubarle le chiavi della stanza.
Sono entrato velocemente, ho preso tutto quello che aveva tirato fuori –ossia nulla- e ho portato via la valigia.
«Ora possiamo andare» e neanche il tempo di ribattere, perché l’ho baciata di nuovo, e, senza vantarmi troppo, ma sulla mamma credo di avere un potere particolare, soprattutto baciandola.
*
«Dove andiamo, allora, principessa?»
«Al bowling, se non sei stanco»
«Ci porti al bowling» ho detto al taxista, una volta uscito dal mio hotel di nuovo, dopo aver portato dentro la sua valigia ingombrante, mentre la mia mano prendeva quella della mamma, intrecciando le nostre dita, lasciando che parole timide scivolassero pian piano.
«Beh, sorpresa, eccomi qua» ha sussurrato con poco entusiasmo, mentre la facevo sedere sul mio bacino, giusto per rendermi conto davvero di averla tra le braccia dopo giorni e giorni di attesa.
«Perché non me l’hai detto?»
«Perché non volevo farti dividere dagli altri»
«Hai rischiato grosso, io contavo di raggiungerti»
«Lo so, ma Twitter aiuta sempre e… ho avuto fortuna, un volo a pochissimo da prenotare assolutamente, poi in questo hotel ci sono già stata, per una settimana non mi sborsavano, ma tu mi hai già rovinato i piani» mi ha pizzicato la guancia, per poi baciarmi piano, facendomi fremere un po’.
Le mie mani la tenevano stretta, il mio cervello era tra il confuso e la felicità, la baciavo come se fosse una necessità vitale, come se non vedessi l’ora di stare con lei per una settimana, come se dovessi smaltire quei giorni passati lontani, quei giorni in cui ho sempre temuto di perderla.
«Mi sei mancato»
«Mi sei mancata anche tu»
«Bugiardo»
«Sono serio»
«Guarda che ti controllo, ho visto come te la sei spassata alle feste»
«Eppure pensavo solo a te»
«Fingerò di crederti, rock star» e quanti baci che ci siamo dati su quel taxi, mentre le luci di Londra non sembravano minimamente interessanti da guardare, come se tutto il resto fosse stato oscurato, su di noi un primo piano, solo noi due, interessati l’uno agli occhi dell’altra, interessati alle nostre labbra unite, alle nostre mani che si prendevano e si lasciavano per accarezzare i nostri visi, eravamo in una bolla, e neanche gli sguardi indiscreti dell’autista ci hanno bloccato.
Avevamo bisogno l’uno dell’altra.
Io, avevo bisogno di lei, come non mai.
E avrei tanto voluto dirglielo, in quel taxi.
Avrei voluto dirle quanti pensieri le avevo rivolto in quei giorni.
Lo avrei fatto davvero, ma quel sorriso sulle sue labbra ha come cancellato ogni dolore, ogni ferita ancora un po’ aperta, ogni incomprensione che mi aveva logorato per tanto tempo.
E poi, comunque, eravamo finalmente arrivati al bowling.
La mia mano stringeva quella della mamma, la tenevo proprio stretta bambini, e sapete perché?
La mamma voleva pagarmi il bowling.
Dio, quanto l’ho detestata in quel momento.
«Hai pagato il taxi, lasciami pagare il bowling!» quella frase me la ricorderò in eterno.
Io non lascio mai, mai, bambini, una ragazza pagarmi qualcosa.
Eppure con la mamma non c’è stato verso.
Mi ha pure ricattato.
«Se non pago il bowling me ne vado, ti lascio qui da solo.»
Un vero e proprio affronto, tanto che ho deciso di giocare l’ultima carta a disposizione.
«Facciamo così: giochiamocela. Tu paga, ma se vinco io, allora tu accetterai i miei soldi»
«Credi di vincere?»
«Onestamente? Sì.»
E quel sorriso beffardo me lo ricorderò in eterno.
Beh, bambini, lo sapete anche voi… la mamma a bowling è una specie di bomba.
Altro che “L’importante non è vincere”, la mamma quando si parla di bowling manda tutto a puttane, pure la morale manda a puttane, diventa competitiva da far paura, lancia di quei tiri che spesso mi chiedo come faccia a non perderci il braccio.
E io… beh, evidentemente avevo fatto troppo lo sbruffone.
Non ne facevo uno, di strike.
Neanche a pagarlo oro, ero completamente rincoglionito, una mira così da schifo non l’ho mai avuta.
Volevo lasciarla vincere, starete pensando.
Ma a che scopo? Se vinceva lei dovevo rassegnarmi all’idea che una ragazza mi avesse pagato il bowling!
Era in gioco il mio orgoglio maschile.
Ma più tentavo di vincere, più il cielo mandava alla mamma strike su strike.
Mi tenevo le mani tra i capelli.
Umiliato, insomma.
La partita l’ha vinta lei, con tanto di balletto vittorioso davanti agli occhi degli altri.
Lei rideva, rideva come una matta, mentre saltava e cantava sulle note di qualche canzone un po’ storpiata, mentre io mi disperavo come non mai.
«Rassegnati, Hemmo, ho vinto io!» e sembrava una bambina di dieci anni.
Fatto sta che, data la mia faccia sconvolta, la mamma deve aver capito il mio “dramma” interiore.
«Beh… non si offre più da bere al vincitore?»
Ora capite perché la amo, vero?
*
Dopo quella cioccolata calda, io ho avuto la splendida idea di proporle una passeggiata a quasi mezza notte e mezza per il centro di Londra.
La mamma, però, non ha esattamente reagito secondo i miei piani, tanto che prima di uscire dal bowling ha esitato un momento.
«Hai freddo?» mi è venuto da pensare sul momento.
Lei però ha scosso la testa.
«No… è che… Luke io…»
«Devi andare in bagno?» ho inarcato il sopracciglio, le stavo sparando tutte, ma proprio tutte le troiate possibili.
«No, scemo» ha ridacchiato un po’, prima di confessare quel misero particolare che mi stavo proprio scordando «Se ci vedesse qualcuno?»
Eh, bambini, papà se l’era proprio scordato di essere famoso.
Non mi era proprio passato per la testa, come se stare con lei fosse tornare indietro, ai tempi senza flash che ti circondano, senza fan urlanti che ti seguono ovunque, senza essere riconosciuto dal mondo intero: con la mamma ero solo Luke, Luke e basta.
Beh, diciamo che sono rimasto un po’ basito a quelle parole, ma… neanche così tanto, in realtà, dato che era una cosa che volevo da tempo: confessare di essere felice davvero.
«E allora? Un po’ tardi per pensarlo, sai?» ho ridacchiato un po’, perché in quel bowling c’era un po’ di gente, magari qualcuno mi aveva pure riconosciuto e scattato foto a mia insaputa.
«Ma… io… Dio. Se le tue fan lo scoprissero?» e non capivo il motivo di così tanta paura, di così tanta ansia.
«Non ti mangiano mica»
«Non intendo questo, lo sai»
«Sì, okay, ma… ora come ora, è un po’ inutile preoccuparsi, non trovi?»
«Sono una cretina» e dopo aver lasciato scorrere quelle parole, l’ho vista allontanarsi con passo fin troppo frettoloso.
«Vanessa! Ma che cazzo… fermati!» le ho urlato, mentre la mamma cominciava a parlare in italiano da sola, non lasciandomi capire una mezza parola, mentre i nostri passi erano sempre più veloci e mi ritrovavo con il fiato più corto.
L’ho letteralmente rincorsa, per un bel po’ di metri, chiamandola, incitandola a fermarsi, senza prenderle il braccio per paura di un ceffone –sono un po’ fifone, bambini, lo sapete meglio di chiunque altro.
Sta di fatto che, dopo un po’, finalmente si è decisa a fermarsi, elaborando quella frase alla velocità della luce.
«Loro mi odieranno. Esattamente come io avrei odiato qualsiasi persona vicina a te. E, no, non me ne frega un cazzo se tu sei felice o meno, io so come si sentono loro, io lo so!» e quella mano che gesticolava come non mai, quella voce che andava rallentando, mentre mille pensieri si erano già formulati nella sua testa.
Pensieri che mi ha confessato in cinque minuti.
«Mi odieranno, non voglio che mi odino, non ho fatto niente di male. Non mi merito di essere qui, con te, adesso. Loro mi odieranno e io odio essere odiata dalle persone! Odio essere odiata, non mi conoscono neanche! Ma le capisco, le capisco e basta, perché se fossi loro, mi odierei anche io. Perché io sono qui, con te, e loro no, e loro, magari, sono anche meglio di me!» e il suo discorso, dal suo punto di vista, non faceva una piega.
Ma… io sentivo tutt’altra cosa.
Cioè, sì, forse mi dispiaceva per le fan, mi dispiaceva credere che molte di loro se la sarebbero presa con me, mi dispiaceva averle in qualche modo “ferite” perché avevo fatto la mia scelta.
Ma… loro non potevano essere felici per me?
Io amavo, e amo, la vostra mamma.
Non l’avevo ancora ammesso a me stesso, ma le cose stavano così: con lei stavo bene, con lei era tutto cambiato, era tutto diverso.
Possibile che solo io credessi che le fan mi avrebbero appoggiato?
Sta di fatto che, bambini, quella passeggiata in centro a Londra l’abbiamo fatta lo stesso.
Abbiamo camminato l’uno affianco all’altra, per un’ora, senza mai toccarci, parlando di rado, gli sguardi fissi sui nostri passi, l’imbarazzo alle stelle e la voglia di sembrare semplicemente due ragazzi infatuati l’uno dell’altra.
E, poi, il colpo di grazia l’hanno dato le prime ragazze che mi hanno riconosciuto.
«Oddio, Luke! Posso fare una foto con te?»
«Luke! Oddio ma sei tu?»
«Ti prego possiamo abbracciarci?»
E ho soddisfatto ogni singola richiesta, sotto lo sguardo felice della mamma: mi fissava, senza dire parola, mi fissava e sorrideva.
E poi… ho semplicemente deciso di dare fiducia alle mie fan.
Una volta salutate, nonostante i loro occhi fossero ancora puntati contro la mia immagine, mi sono avvicinato alla mamma, le ho preso il viso tra le mani e le ho lasciato un bacio leggero.
La mamma si è un po’ pietrificata, tanto che credo le si sia gelato il sangue, ma ho continuato per la mia strada, portandole un braccio attorno alle spalle, incitandola a continuare a camminare, come se non ci fosse nessun altro se non noi due.
Come se io fossi ancora solo e solamente Luke.
«Sei un coglione»
«Grazie»
«Perché lo hai fatto?»
«Perché mi piaci troppo»
«Ti stavano guardando, ci stanno guardando!»
«Lascia che guardino, allora»
«Luke…»
«Perché devi complicarmi la vita? Io piaccio a te, tu piaci a me, quindi… non c’è niente di sbagliato»
«Ma…»
«Un’altra parola e potrei baciarti, la mia lingua dritta nella tua gola»
«Luke!»
«Ti avevo avvertita, piccola» e l’ho baciata senza pensarci due volte, mentre le mani di lei tentavano di spingermi via, invano.
Abbiamo camminato così, vicini, uniti, non ci siamo separati neanche dopo essere scesi dal taxi, davanti al mio hotel.
Sì, lo ammetto, mamma ha fatto un po’ di resistenza, ma ho intrecciato le mie dita alle sue, sicuro delle mie azioni, dei miei sentimenti e l’ho quasi trascinata dentro l’hotel, salutando qualche fan pazza ancora accampata fuori per aspettare il mio ritorno.
Tra qualche flash e qualche urletto che hanno spaventato la mamma, alla fine siamo riusciti ad entrare, siamo riusciti ad avere ancora una volta la nostra privacy.
E… beh, il giorno dopo il mondo sapeva già di noi.
Ma nulla sembrava turbarmi, come se non vedessi solo l’ora di leggere quelle frasi, come se finalmente mi fossi liberato da quel piccolo segreto.
Luke Hemmings e ragazza misteriosa.”
Luke Hemmings mano nella mano con ragazza misteriosa.”
Luke Hemmings mentre bacia la ragazza misteriosa.”
 
 
 
 
 
Note di Nanek
SONO VIVAAAAAAAAAAAAAA
Sono viva, sono fuori dalla sessione d’esami e sono ancora viva!
Santo cielo, non potete immaginare che giorni d’inferno la scorsa settimana, ve lo lascio solo immaginare!!
Ma sono sopravvissuta, un mega applauso a me e al mio C1/C2  in spagnolo! sta lingua va dritta dritta nel dimenticatoio, col tubo che la studio ancora, vi permetto di fucilarmi se ci ricasco ancora.
Mamma mia, non sapete quanto odio, vi giuro, odio le lingue nella forma più assoluta dopo sti esami: l’ansia era davvero insostenibile.
Ma per fortuna che esiste Nek, e Kellin Quinn e anche Luke, dai <3
Questo capitolo spero vivamente che vi piaccia! Finalmente li hanno visti a sti due!
Qualche parere riguardo le paure di Vanessa? Qualche commento relativo al ragionamento di Luke?
Io aspetto commenti <3
Presto tornerò anche con una OS, tuttavia su Niall Horan, giusto perché mi manca un po’, e tornerò anche con il capitolo a tomorrow never dies, datemi un po’ di tempo per riprendermi e per godermi un po’ l’estate (sempre se la si può definire così) anche perché io avrei una bella Tesi da scrivere, oltre che 300 storie :D
E avrò mille impegni lol tipo settimana prossima che vado in quel di Verona a trovare la CALEIDO <3333 ve la ricordate vero? Beh, spero di sì, anche perché ha aggiornato proprio ieri finalmente <33
Detto questo, evaporo!
Grazie di cuore per ogni cosa <3
A presto!
Nanek
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > 5 Seconds of Summer / Vai alla pagina dell'autore: Nanek