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Autore: BdbzB    09/06/2015    7 recensioni
Eccomi con una nuova traduzione. Questa volta è una raccolta di one-shots, quindi non sono collegate le une con le altre. In queste storie vedremo Oliver e Felicity alle prese con diverse situazioni.
Dal secondo capitolo:
"[...]Rannicchiandosi contro di lui permise alla sua mente si spegnersi. [...] Tutto ciò che riusciva a vedere era l’immagine sfocata della barbetta di un giorno di Oliver, e il bordo del colletto della sua camicia.
Sentiva delle voci ora, non solo quella di Oliver. Lentamente si rese conto che la musica nel club era stata spenta, e lo spazio intorno a loro era più luminoso.
'Perché non la porti nel tuo ufficio, capo? Aspetto io la polizia' sentì dire da Roy con attenzione, come se avesse paura di spaventarla solo con la sua voce.
La testa di Oliver si posò sulla sua. 'Ti porto sopra. Sei al sicuro.'"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen, Thea Queen
Note: Raccolta, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TROPES 

PARTE 2
Felicity si svegliò nel tardo pomeriggio, trovandosi spalmata sul petto di Oliver. Non osava muoversi, perché tutto le faceva male.
 
I respiri di lui erano profondi e regolari e quando lei aprì un occhio vide che era profondamente addormentato.
 
Ricordi della notte precedente cominciarono a correre nella sua mente. Le sue dita si strinsero involontariamente, alzando la maglia all’altezza dell’addome. Oliver si mosse leggermente, la mano posata sulla sua schiena raggiunse i suoi capelli. Glieli accarezzò due volte prima di tornare immobile.
 
Improvvisamente tutto ciò era troppo per lei. Le emozioni cominciarono a sovrastarla. Aveva bisogno di uscire da quel letto e da quella casa.
 
Si mosse più velocemente e attentamente possibile mentre scivolava fuori dalla sua presa e dal letto. I suoi piedi la condussero dritta in bagno, senza guardarsi indietro.
 
Una volta dentro chiuse la porta dietro di lei e si appoggiò contro il freddo legno, cercando di far rallentare il suo battito, ma non ci riuscì.
 
Una sola occhiata allo specchio fu abbastanza per farle capovolgere lo stomaco. C’erano lividi lungo il suo zigomo, e altri lungo la mascella. Le sue labbra erano spaccate e gonfie, e quando portò la lingua sulla ferita sussultò per il bruciore.
 
C’era uno strappo sulle costole. Quando si tolse la felpa e si alzò la maglia del pigiama fu sorpresa di vedere la parte di pelle vicino alle costole sul lato destro pieno di macchie. Se prendeva un profondo respiro le faceva male più di quanto si aspettava. Non si ricordava nemmeno come se lo fosse fatto.
 
Un profondo dolore risalì dalla sua caviglia e si ricordò esattamente cos’era successo.
 
Si spostò vicino ai lavandini e ne aprì uno con mani tremanti. Qualcosa nello specchio catturò la sua attenzione, così guardò dietro di sé, trovando un grande buco nel muro, polvere di cartongesso e pezzi di intonaco giacevano sul pavimento sotto.
 
Tremando fortemente, portò le mani sotto l’acqua fredda, quando vide il suo polso.
 
I lividi sulle sue dita erano estremamente nitidi. Poteva distinguere ogni dito, anche dove si erano sovrapposti quando lui le aveva avvolto il polso con la sua mano, stringendo forte. Fece passare la mano gentilmente su ogni livido. La pelle era gonfia e delicata. All’ultimo livido prese improvvisamente una grande boccata d’aria. Il panico cominciò a consumarla ed era ritornata al club, accucciata sul pavimento, il suo polso stretto così forte che pensò si sarebbe rotto.
 
Le sue mani cercarono con difficoltà di sbloccare la porta, con disperazione. Aveva bisogno di andarsene. Ora. Aveva bisogno del suo appartamento e dei suoi vestiti. Aveva bisogno che tutto tornasse alla normalità.
 
Agendo d’istinto non si rese nemmeno conto che era passata nella camera di Oliver senza guardare verso il letto e vedere se stesse ancora dormendo. Zoppicò per il corridoio e aveva sceso a metà la scala principale quando si rese conto che non poteva andarsene.
 
Il panico la stordì e si aggrappò alla ringhiera con entrambe le mani, mentre le sue ginocchia minacciavano di cedere.
 
Non aveva la macchina, o la borsa, o anche le scarpe. Il suo respiro si fece veloce e pesante e il mondo cominciò a restringersi intorno a lei, facendola sentire ancora di più in trappola.
 
Qualcuno stava chiamando il suo nome e quando alzò il viso vide Digg, a cinque passi da lei, le sue mani protese verso di lei come se pensasse che stesse per cadere.
 
Un acuto e spaventato urlo le scappò dalla gola. Lo superò con un balzo, i suoi piedi impacciati sui raffinati gradini di legno.
 
La porta dell’ingresso era pesante. L’aprì e corse fuori. L’aria fredda della sera l’assalì, riempendo i suoi polmoni e facendola sussultare. Aveva sceso anche i gradini esterni e attraversato il vialetto di ghiaia, quando sentì qualcuno dietro di lei.
 
Si girò sul posto, le sue mani alte per proteggersi, quando vide Oliver, anche lui a piedi scalzi, con la felpa che aveva abbandonato nel bagno stretta nella sua mano.
 
Aveva la fronte corrugata in confusione e preoccupazione per lei e tutto ciò era troppo.
 
“Felicity, devi tornare dentro” le disse con calma, muovendosi lentamente verso di lei.
 
Lei si allontanò, non rendendosi conto di quanto la ghiaia le stesse tagliando i piedi. “No!” urlò, con voce più alta di quanto avesse voluto. “Sto bene. Sto bene. Voglio solo andarmene.”
 
Aveva bisogno di andarsene. Non poteva avere un crollo davanti al giardino di villa Queen. Non poteva. Ma se non fosse uscita immediatamente da lì sarebbe stato esattamente quello che sarebbe successo.
 
“Felicity” cominciò di nuovo, ma lei lo fermò. Oliver era abbastanza vicino da toccarla se solo ci avesse provato. Questa cosa la faceva tremare.
 
“No” disse di nuovo, questa volta con un tono più calmo. Non riusciva a spiegarlo. Aveva avuto bisogno di lui così tanto la notte prima che gli aveva chiesto di dormire vicino a lei, e ora voleva solo andarsene. Solo andarsene. Non voleva ricordare. E forse era questo il punto. Lui le ricordava tutto ciò che era successo.
 
Non si accorse di piangere fin quando il vento freddo non le rese le guance fredde. Tremò fortemente e si strinse le braccia attorno al corpo, ma fu subito colpita dal ricordo delle sue braccia costrette a stringersi al corpo, quando quell’uomo l’aveva portata via dalla pista da ballo.
 
Doveva essere impallidita, gli occhi che si chiusero con forza. Quando sentì la mano di Oliver sul gomito si lasciò sfuggire un urlo e balzò su un lato verso Digg che si era portato affianco a loro. Per fermarla se fosse scappata, le fece notare il suo cervello.
 
Oliver non si mosse.
 
Un movimento dietro di lui le fece alzare lo sguardo e vide Thea e una donna in uniforme che non riconobbe guardarla con preoccupazione. Vergogna e imbarazzo raggiunsero le sue guance e pensò di essere probabilmente malata.
 
“Oddio. Fatemi andare via di qui. Digg, ti prego. Fatemi solo andare via di qui” implorò. Lo vide scambiarsi uno sguardo con Oliver, che però non fece cadere il suo da lei.
 
“Felicity, so che sei turbata, ma fa freddo e tu sei ferita. Dovresti tornare dentro” cercò di farla ragionare, ma lei scosse la testa furiosamente.
 
Quando fece un passo verso Digg vide un lampo di dolore passare attraverso gli occhi di Oliver. “Ho bisogno di andarmene” sospirò. “Ti prego, Oliver, lascia…lasciami andare” era sull’orlo di singhiozzare, un groppo in gola per via delle lacrime mentre lo implorava.
 
Gli occhi di Oliver finalmente lasciarono i suoi. Sapeva che stava avendo una conversazione silenziosa con Digg. Quando Digg prese la felpa dalle mani di Oliver e la poggiò sulle sue spalle provò a non sussultare al contatto.
 
Oliver indietreggiò riluttante. Sentì i suoi occhi di nuovo su di lei, mentre Digg la guidò verso la macchina senza toccarla e le aprì la portiera.
 
Non disse una parola quando si raggomitolò sul sedile posteriore, e gli fu grata per questo. Il viaggio verso il suo appartamento fu silenzioso, nonostante sapeva che la guardava dallo specchietto retrovisore quasi costantemente.
 
Quando si fermò avanti all’edificio sapeva che lui stava per offrirsi di accompagnarla su. “Starò bene. Lasciami qui” gli disse prima che lui potesse parlare. Digg la guardò e Felicity capì che lui aveva compreso che gli stava mentendo. Però la rispettava abbastanza da lasciarla andare.
 
“Se hai bisogno di qualsiasi cosa chiama me o Oliver” disse fermamente e lei annuì. Digg le passò la borsa che aveva lasciato nel covo la sera prima e lei emise un sospiro di sollievo. Non avrebbe dovuto cercare il padrone di casa per pregarlo di farla entrare nell’appartamento.
 
La tranquillità del suo appartamento era quasi troppa. Fece cadere la borsa e le chiavi vicino alla porta e puntò dritto verso la sua stanza. Si strappò quasi la felpa da dosso e la lanciò sul letto prima di togliersi il pigiama che le aveva prestato Thea e la biancheria che aveva indossato quelli che le sembravano essere giorni prima. Il reggiseno andò dritto nella spazzatura. Non sarebbe mai riuscita a guardarlo di nuovo senza immaginarselo sotto una camicetta strappata.
 
Aprì la fontana della doccia sull’acqua calda. Invece di pulirla e liberarla, il caldo la fece sentire malata e claustrofobica. La testa le girò con forza quando abbassò lo sguardo e vide un grande livido nero nella parte interna di una delle sue gambe, l’altra aveva i segni delle dita di quell’uomo, proprio come il polso. Lo stomaco le si rigirò, non ricordava di aver avuto le sue mani anche lì e non sapeva se ciò fosse bene o no.
 
Si lavò i capelli velocemente e uscì quando ancora riusciva a sentirsi le gambe. Il suo respiro cominciava a diventare pesante e si sentì stordita.
 
L’asciugamano era a stento stretto intorno al suo corpo quando lei inciampò nella sua stanza e cadde sul pavimento, appoggiandosi contro il letto. La testa le girava e tutto ciò che riuscì a fare fu appoggiare la guancia contro il materasso e cercare di evitare di svenire.
 
Macchie bianche danzavano davanti ai suoi occhi mentre la vista riusciva a vedere solo ciò che era avanti a lei. Poteva sentire il suo corpo scivolare sul pavimento ma le sue braccia non funzionavano. L’ultimo pensiero fu che forse non avrebbe dovuto lasciare la villa.
 
 
Quando si risvegliò la sua stanza era scura e lei era nel suo letto, sotto le coperte. Con un sussulto si sedette, i suoi occhi che analizzavano la stanza.
 
La piccola lampada sul suo cassettone si accese improvvisamente e vide una figura nell’angolo della stanza. Con un urlo cominciò a indietreggiare. Tutto ciò che riusciva a vedere era l’uomo che l’aveva aggredita.
 
Quando forti braccia si strinsero intorno alla sua vita e la spinsero sul letto gridò ancora di più e cercò di liberarsi.
 
Fu il profumo che la fece tornare in sé. Una specifica combinazione di sapone, pelle e colonia che le sembrava sempre presente.
 
Il suo corpo riconobbe di essere al sicuro prima del suo cervello, così si tuffò nelle sue braccia singhiozzando.
 
La sua mano le accarezzava i capelli, togliendoglieli dal viso e mormorandole scuse nel collo.
 
Si girò nella sua stretta, le mani che stringevano la sua maglia e le coperte e tutto ciò che riuscissero a stringere. Le sue emozioni erano precipitate completamente ancora una volta. Lei aveva bisogno di lui. Terribilmente.
 
Oliver la strinse forte per tutto il tempo in cui singhiozzò. Solo quando i singhiozzi divennero occasionali allentò la stretta, come se volesse testare se quel gesto andava bene. Lei si fece sfuggire un sospiro e lui lo prese come un buon segno, alzando una mano per lasciarla correre sulla sua testa e giù sulla schiena.
 
Il suo respiro si bloccò nella gola per un motivo totalmente diverso quando sentì il caldo della sua mano sulla sua schiena nuda.
 
Oliver dovette accorgersi di cosa aveva fatto, perché la sua mano si spostò veloce e le chiese scusa ancora. Felicity deglutì pesantemente, ricordandosi di essere uscita dalla doccia con nulla se non un asciugamano addosso ed era piuttosto convinta di essere nuda sotto le coperte. Coperte che, si rese conto solo in quel momento, non la stavano comprendo interamente.
 
Oliver si spostò lentamente e allungò una mano per prendere la felpa che le aveva prestato. La scosse un po’ e gliela pose sulle spalle. Muovendosi con attenzione, Felicity mise le braccia nelle maniche e strinse i lembi della felpa, unendoli. Quando fu sicura di essere coperta anche dalla vita in giù si rilassò.
 
Le ci volle un lungo momento per alzare gli occhi su di lui. Era preoccupato per lei, lo vedeva chiaramente. Il senso di colpa la colpì, ricordandosi il modo in cui l’aveva lasciato prima, dopo tutto quello che aveva fatto per lei.
 
“Mi dispiace” disse esausta.
 
Prima che finisse di parlare lui già stava scuotendo la mano. “Non dirlo” le disse con convinzione. “Non hai nulla di cui scusarti”
 
Felicity abbassò lo sguardo, giocando con il bordo delle coperte e le sue guance si imporporavano alla consapevolezza che era seduta nel suo letto, indossando nient’altro che una felpa.
 
“Dovrei…dovrei vestirmi” balbettò, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
 
Oliver scese dal letto e si mise in piedi. Lei tirò un po’ le lenzuola verso il basso, quando una vasta parte della sua coscia fu visibile, e non riuscì a guardare verso di lui, anche se sapeva che lui l’aveva trovata sul pavimento e messa nel letto.
 
“Ti aspetto fuori” le disse, puntando un dito verso il soggiorno.
 
Quando lei uscì dalla stanza qualche minuto dopo nella sua più coprente tuta e una vecchia maglietta, indossandole come un’armatura, aveva ancora la felpa addosso. Ora la considerava inconsapevolmente parte di lei.
 
Oliver camminava avanti e indietro vicino al divano. Dovette schiarirsi la gola per catturare la sua attenzione. Era così concentrato in qualsiasi cosa stesse pensando che non l’aveva sentita.
 
Si fermò improvvisamente e fece qualche passo indietro, lasciandole tutto lo spazio per entrare nella stanza. Felicity non disse nulla, semplicemente si accoccolò nell’angolo del divano, le gambe infilate sotto di lei. Lui si avvicinò, ma non si sedette.
 
“Credevo che stare qui mi avrebbe fatta stare meglio, ma non è stato così” ammise lei, la voce che sembrava agitata.
 
“Nessuno esige che tu stia già bene” le rispose immediatamente, sorridendole debolmente.
 
“Se fossi arrivato solo qualche minuto più tardi…” non riuscì a continuare e lo guardò con occhi sbarrati. Non avrebbe voluto dirlo.
 
La sua espressione si fece più scura, ma Felicity non riuscì a fermarsi.
 
“Lui…lui stava per…” la notte precedente non era stata in grado di dirlo. Provò a dirlo, ora, ma lui la fermò.
 
Si mise in ginocchio davanti a lei, prendendole le mani. “No. Non avrebbe fatto nulla” le disse, con voce calda. “Io non gliel’avrei permesso.”
 
Le parole fluttuavano sopra di loro, prendendo così tanto spazio che lei sentì la pressione sul suo petto.
 
“Come lo sapevi?” chiese alla fine. Era qualcosa che si chiedeva da quando era accaduto il tutto.
 
Oliver fece un lungo respiro e si passò una mano sulla nuca. “Lo sapevo, semplicemente” disse con semplicità e il cuore di lei fece un salto. “Qualcosa mi sembrava strano. Avevo alzato lo sguardo in quel momento e ho visto la tua testa e qualcuno che non conoscevo”.
 
Le sue mani caddero da quelle di lei per stringersi nei pugni. Felicity vide una maschera cadere dal suo viso, la stessa che indossava sempre quando diventava l’Incappucciato.
 
“Avrei dovuto ucciderlo allora” disse brutalmente.
 
“L’hai fermato adesso” gli disse, cercando di sollevarlo, sapendo che il peso di quanto le fosse accaduto al club lo stesse divorando.
 
Le sue dita tracciarono i lividi sul viso di lei, che chiuse gli occhi al contatto. “Troppo tardi” rispose lui con un sussurro, la sua voce impastata con il rimorso.
 
Felicity alzò le mani per stringerle intorno ai suoi polsi, massaggiandoglieli con il pollice. Oliver emise un fragoroso sospiro e guardò in basso, i suoi occhi che catturarono la zona in cui le maniche le si erano abbassate, esponendo i lividi intorno ai suoi polsi.
 
Le sue dita si intrecciarono a quelle di lei e portarono le mani davanti a lui, abbassando ancora di più le maniche. Inconsapevolmente fece la stessa cosa che lei aveva fatto prima. Tracciò ogni segno sulle dita. Felicity rabbrividì al contatto.
 
“Dovremmo fasciarlo” disse con una voce dura.
 
Lei annuì semplicemente, non fidandosi della sua voce.
 
“Torno subito” le disse, alzandosi con un movimento calmo ora che aveva qualcosa su cui concentrarsi.
 
Felicity lo poteva sentire armeggiare con i mobili del bagno e si chiese se stesse facendo rumore di proposito per farle capire che era ancora lì.
 
Dopo poco era di nuovo in ginocchio avanti a lei, poggiando i medicinali sul tavolino accanto a lui.
 
“Ho trovato dell’arnica, ti servirà per i lividi” le disse, alzando un piccolo tubicino bianco.
 
“Mi ero dimenticata di averlo” gli rispose, odiando quanto forzata e falsa sembrasse la sua voce.
 
Pur sapendo di riuscire a passarsi la crema sul polso da sola non lo fermò quando lo fece lui. Sussultò solo una volta quando le massaggiò una parte particolarmente sensibile. Oliver si prese il suo tempo, accertandosi di non aver mancato nessuna zona, e le fasciò il polso con una fascia elastica.
 
Stava quasi per ringraziarlo quando lui si risedette e diede un colpetto al suo ginocchio. Lei lo guardò confusa.
 
“La tua caviglia” disse, e lei fece scivolare fuori il piede, poggiandolo sulla sua gamba.
 
Prese una grande quantità d’aria quando lui le alzò l’orlo del pantalone. Le sue mani si fermarono per un secondo prima di continuare. Ebbe la stessa cura che aveva avuto per il polso. Quando terminò con la seconda fasciatura alzò lo sguardo nei suoi occhi.
 
“Altre parti?” poteva vedere negli occhi di lui il disperato bisogno di prendersi cura di lei, di riparare a tutto questo.
 
“Il mio fianco…dove mi ha spinto contro la porta” disse lentamente. Oliver corrugò la fronte alle sue parole.
 
Portò le mani automaticamente alla felpa. “Scusami” le disse, scuotendo la testa per il suo errore.
 
Tremando interiormente Felicity si sedette e abbassò la zip. Avrebbe potuto passarsi da sola la crema, ma questo era qualcosa di cui entrambi avevano bisogno.
 
Quando si tolse del tutto la felpa e la lanciò verso l’altra estremità del divano fissò gli occhi nei suoi e si alzò il bordo della maglia.
 
“Appoggia la schiena” le disse con voce roca.
 
Quando le sue mani la toccarono Felicity sobbalzo e mentalmente si maledì. “Scusami” gli disse e Oliver girò di scatto la testa di lato, stringendo la mascella. Quando le massaggiò la crema sulle costole e vicino il fianco il suo corpo fremette e si scosse. Sensazioni agitate di panico la riempirono e tutto ciò che avrebbe voluto fare era scappare. Voleva volare letteralmente giù dal divano e andare a nascondersi, ma aveva bisogno che lui facesse questo.
 
Quando Oliver terminò sembrava esausto. La guardò con uno sguardo triste. “Stai piangendo” le disse e lei sussultò, una mano raggiunse la sua guancia e si asciugò le lacrime.
 
“Non ti farò del male” le disse con una voce talmente disperata che lei sentì dolore per lui.
 
Alzò la mano e gli accarezzò la mascella. “Lo so…sono al sicuro con te” gli disse con un sorriso spento.
 
Oliver chiuse gli occhi con forza e poggiò la testa sul suo ginocchio. Felicity gli passò le dita tra i capelli, azione che era tanto sia per lei che per lui.
 
Quando lui rialzò la testa sembrava più controllato. “In che altra parte?”
 
Un immagine dei lividi sulle sue gambe le passò per la mente e sobbalzò.
 
“Felicity…” cominciò lui, avendo chiaramente visto la sua reazione. “Dove?”
 
Ci fu qualcosa nel modo in cui lo disse che le fece pensare che lui avesse visto qualcos’altro. E con un flash si ricordò che era stato lui a raccoglierla dal pavimento svenuta, quasi sicuramente nuda. Lui aveva visto i suoi lividi, ma voleva che fosse lei a dirglielo.
 
Felicity si leccò le labbra nervosamente e sussultò quando la lingua passò su un taglio. “Le, uhm…le gambe. Lui…lui…Dio” si portò la mano alla fronte, cercando di andare avanti. “Ha aperto con la forza le mie gambe…non sapevo nemmeno che aveva messo le mani lì fin quando non ho visto i lividi nella doccia” disse tutto di fretta, impaziente di dirlo ad alta voce e di liberarsene.
 
Stava piangendo di nuovo e questa volta lui non esitò. Felicity sentì il divano abbassarsi mentre lui si sedeva affianco a lei, avvolgendo le sue spalle con le braccia e spingendola verso di lui.
 
Con un singhiozzo si accoccolò sul suo petto. I suoi singhiozzi aumentarono e ciò la faceva innervosire. Era stanca di piangere, era stanca di sentirsi debole, era stanca di Oliver che doveva sempre scusarsi ogni qualvolta si muoveva troppo velocemente.
 
“Odio tutto ciò” sputò dai denti.
 
“Odio sentirmi debole e spaventata. Non sono quel tipo di persona, ma lui mi ha fatto diventare una vittima” le mani di Oliver le accarezzarono i capelli mentre lei inveiva ma rimase in silenzio. “Io non sono una vittima. Mi sono infiltrata in casinò sotterranei, e sono sopravvissuta a quel dannato crollo del covo intorno a me. Sono andata dall’altra parte del mondo per riportare il tuo sedere pesante qui a Starling. Questo non è qualcosa che farebbe una vittima. Ma in un arco di tempo di due minuti mi ha portato via qualsiasi potere che avessi e questo mi fa innervosire” si alzò d’improvviso a sedere e si strofinò furiosamente il viso.
 
Oliver la studiò attentamente prima di rispondere. “Tu non sei una vittima” confermò “Tu sei la persona più forte che io conosca” la sua mano senza esitazione si appoggiò sulla guancia senza lividi. “Tu sei straordinaria, Felicity Smoak” le disse con un sorriso e lei non poté evitare di sentire gli angoli delle sue labbra curvarsi in risposta.
 
La sua mano coprì quella di lui e la portò tra di loro mentre ritornava ad accoccolarsi contro di lui, la testa poggiata sulla sua spalla. “Non stai pensando di andartene, vero?” gli chiese, senza vergogna per volere che lui stesse con lei.
 
“No” rispose lui.
 
“Bene.”
 
Stettero in silenzio per un lungo momento. Le dita di Oliver le accarezzavano i capelli mentre lei chiuse gli occhi. “Il mio ‘sedere pesante’, eh?” mormorò lui a bassa voce e lei fece una breve risatina.
 
“E’ la verità” replicò e lo sentì sospirare.
 
L’aria fredda cominciava a farsi sentire e lei rabbrividì. “Rivoglio la mia felpa” disse, allungandosi verso di essa.
 
“La tua felpa?” le chiese passandogliela.
 
“Possedere una cosa vuol dire già averla quasi per diritto, signor Queen” lo informò con un piccolo sorriso e sedendosi giusto un attimo per inserire le braccia nelle maniche, per poi tornare ad accoccolarsi contro di lui.
 
“Davvero?” le chiese e lei annuì. “Bè, allora dovresti venire alla prossima riunione del consiglio di amministrazione, visto che tu possiedi gran parte di me. Avresti il voto di maggioranza”.
 
Lei alzò gli occhi scioccata, vedendo poi che lui stava scherzando.
 
Le spostò alcune ciocche di capelli dal viso e le diede un bacio sulla tempia. Il cuore le cominciò a battere così veloce nel petto che era stranita che lui non lo sentisse.
 
“Oliver…”
 
“In caso tu non l’abbia notato, posso a stento andare avanti senza di te. Tu mi hai fatto rimettere in piedi. Non una volta, ma due. E la scorsa notte…la scorsa notte, per un breve momento ho dovuto considerare un futuro senza di te ed era…inaccettabile. Non lo permetterò. Non posso permetterlo. Spero che ti vada bene…” la sua voce era forte e sicura, ma lei poté vedere la trepidazione nei suoi occhi.
 
“Va molto bene. Molto, molto bene” replicò lei, non ancora sicura di cosa le stesse cercando di dire.
 
Quando lui si sporse per posarle il più tenero dei baci sulle labbra lei capì.
 
Oliver la riportò contro di lui, la testa che poggiava di nuovo sulla sua forte spalla e si allungò per prendere la coperta da dietro il divano per coprirla.
 
“Non andrai da nessuna parte?” gli chiese ancora una volta.
 
“No. E tu?” le chiese di rimando.
 
“Non ci sto neanche pensando.”

 
  
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