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Autore: evelyn80    09/06/2015    3 recensioni
[Affari a quattro ruote]
Quella che doveva essere una tranquilla giornata di relax si trasforma in un incubo per il meccanico spilungone.
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Spazio autrice:
Ho deciso di scrivere questa sciocca storiella, che mi è stata ispirata da due foto pubblicate dallo spilungone sulla sua pagina Facebook, per tornare un po' alle origini. La prima storia che ho scritto su Edd e Mike, infatti, era una storia comica. Poi mi sono fatta un po' prendere la mano e sono passata a varie storie d'amore... Comunque, spero di riuscire a strapparvi una risata! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Evelyn

 
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo



Dolce far niente
 
Quella giornata si preannunciava come una delle più calde di tutta la settimana: alle nove di mattina, il termometro segnava già 27°; ed i meteorologi avevano previsto che avrebbe raggiunto, nel pomeriggio, punte fino a 38°. Una temperatura di tutto rispetto, considerando che le temperature medie, in Inghilterra nel mese di luglio, non superavano di solito i 20°, con punte di 30° nella zona di Londra.
Già abbondantemente sudato ed accaldato, quella mattina Edd decise che non avrebbe fatto assolutamente nulla. Mike era fuori zona, alla ricerca di una nuova auto da acquistare e restaurare ed, a parte mettere un po’ d’ordine, l’officina non abbisognava di niente. Per tale motivo, il meccanico tirò fuori dal magazzino una vecchia sedia a sdraio, la posizionò all’ombra della siepe che divideva il cortile del garage da un’altra abitazione e, dopo aver posato i piedi su una pila di copertoni usati, chiuse gli occhi e trasse un lungo sospiro, ben deciso a godersi una splendida giornata di dolce far niente.
«Ahhhh» esalò lentamente, «oggi, da questa sedia, non mi schioderà nessuno!» e, dopo aver congiunto le mani in grembo, si appisolò, cullato dal ronzio degli insetti e dal cinguettio degli uccellini.
Dopo appena dieci minuti fu ridestato di soprassalto dal cedimento della sdraio: la struttura lignea era talmente vecchia e tarlata che non era riuscita a sopportare a lungo la sua notevole massa, schiantandosi di botto e mandandolo col sedere per terra, le gambe ancora appoggiate al treno di gomme.
Lamentandosi debolmente si rialzò in piedi, massaggiandosi i glutei doloranti per la botta improvvisa e, con un moto di stizza, dette un calcio alla sdraio, facendola scivolare lontano. Aveva però dimenticato un importantissimo particolare: appena prima di sedersi aveva tolto gli scarponi da lavoro con la punta rinforzata, indossando al loro posto un paio di ciabatte infradito di gomma. Per tale motivo, non appena il suo alluce destro entrò in contatto con il legno, provò un dolore acutissimo che lo fece bestemmiare per il disappunto.
Continuando ad inveire contro la povera sedia, ormai ridotta ad un ammasso di stoffa e legname, prese a saltellare su una gamba sola, stringendosi nel frattempo il piede ferito tra le mani, con l’unico risultato di andare a finire contro la pila di gomme alle sue spalle, che lo fecero rovinare a terra un’altra volta.
Lanciando un ultimo, acuto improperio rivolto a qualcosa di non ben definito, il meccanico si rimise di nuovo in piedi, ansimante ed accaldato, con il sedere ancora dolorante e l’alluce rosso come un pomodoro e gonfio come un rospo.
Dopo aver ripreso fiato, lo spilungone andò a raccogliere la sdraio, buttandola nel cassonetto dell’immondizia, e poi impilò nuovamente i copertoni.
Ormai privo di una seduta comoda, Edd decise di andare a prendersi una birra fresca visto che, a lanciare tutte quelle bestemmie, gli era pure venuta sete. Mentre tornava nel cortile, stringendo una lattina di stout tra le dita, inciampò nei suoi stessi scarponi, che giacevano abbandonati proprio davanti alla saracinesca del garage. Fu soltanto grazie ai suoi riflessi pronti se riuscì a mantenere l’equilibrio, ma percorse comunque a grandi passi traballanti buona parte del piazzale, agitando involontariamente il contenitore che aveva in mano.
Quando riuscì a riprendere l’equilibrio ed a mantenersi stabile su entrambi i piedi tirò un altro sospiro di sollievo, per poi aprire – con soddisfazione della sua gola riarsa – la lattina. Non appena tirò la linguetta di apertura, però, la birra, abbondantemente shakerata dall’inciampo di poco prima, si riversò fuori dal suo contenitore con un getto degno del più grande geyser Islandese, colpendolo in piena faccia e togliendogli il fiato.
Tossendo e sputacchiando, lo spilungone gettò via la lattina, per poi togliersi la schiuma dagli occhi con le mani, riprendendo a bestemmiare come un turco.
Ormai completamente fradicio di birra, decise di andare a farsi una bella doccia, così da calmarsi un po’. Si spogliò in fretta e si infilò sotto il getto d’acqua, insaponandosi accuratamente i lunghi capelli per togliere ogni traccia di bevanda. Stava giusto per sciacquarsi quando, all’improvviso, l’acqua smise di scorrere. Vani furono tutti i suoi tentativi di aprire e chiudere il rubinetto, accompagnati da varie maledizioni inventate al momento: la doccia non voleva più saperne di funzionare.
Con gli occhi che gli bruciavano per via del sapone uscì dal bagno, ma quando fece per avvolgersi con l’asciugamano si rese conto di averlo dimenticato a casa: proprio la sera prima aveva portato via la biancheria sporca, e quella mattina si era scordato di prendere la borsa con quella pulita che sua moglie gli aveva lasciato in bella vista accanto alla porta d’ingresso.
Maledicendosi per la sua sbadataggine uscì nel cortile, nudo come un verme, tenendosi le mani a coppa davanti ai gioielli di famiglia per non lasciarli esposti ai quattro venti. Doveva assolutamente risciacquarsi, e l’unico modo che aveva per farlo era usare il tubo di gomma con cui lavava le auto una volta restaurate. Certo, non avrebbe avuto l’acqua calda, ma in fondo l’aria era talmente afosa che un po’ di acqua gelata non l’avrebbe certamente ucciso.
Per fortuna, la piccola fontanella funzionava. Squittendo come un topo, per via del liquido ghiacciato che gli scorreva addosso, si mise a sciacquarsi alla bell’e meglio lasciando, ovviamente, temporaneamente esposti i suoi attributi.
Proprio in quel momento, la signora che si era da poco trasferita nell’abitazione accanto all’officina e che, fino ad allora, non si era mai fatta vedere in giardino, decise di uscire e di mettersi a potare la siepe che separava la sua casa dal cortile del garage. Non appena salì in cima alla scala, con in mano le forbici per la potatura, si trovò davanti il meccanico, con il batacchio al vento, intento a lavarsi velocemente con un tubo di gomma per innaffiare.
Subito la donna si mise a gridare a squarciagola:
«Ahhhh! Aiuto! Un uomo nudo!» facendo sobbalzare il povero Edd per lo spavento.
Lo spilungone rimase a fissarla, sgomento, talmente scioccato da dimenticare persino di coprirsi. La signora, che dopo il primo attimo di smarrimento sembrava aver recuperato tutto il suo contegno, lo apostrofò:
«Screanzato! Farsi vedere in questo stato da una signora! Vergogna!» e, per rimarcare le sue parole, cominciò a lanciargli tutto quello che aveva a portata di mano, forbici comprese.
Il meccanico capì che, per lui, in quel momento stava tirando una brutta aria, perciò decise di tornare di corsa all’interno, lasciando perfino il rubinetto dell’acqua aperto.
Una volta nel garage si asciugò alla bell’e meglio con alcuni dei panni – ancora puliti – con cui di solito si puliva le mani dal grasso poi, dopo essersi rivestito, decise di uscire di nuovo, per andare a scusarsi dell’accaduto con la sua vicina. Prima di mettere nuovamente il naso fuori si accertò che la signora non stesse ancora lanciando arnesi al suo indirizzo e, quando fu sicuro della mancanza di qualsiasi oggetto volante non ben identificato, si arrischiò ad andare a suonare il campanello della villetta accanto, per chiedere scusa.
Non appena il cancello venne aperto, una mano lo ghermì dall’interno, trascinandolo con forza dentro il giardino. La signora si era ormai ripresa dallo shock iniziale ed, anzi, aveva apprezzato talmente tanto lo spettacolo che aveva tutta l’intenzione di chiedergli il bis.
«Signora, si calmi, per favore!» tentò di rabbonirla a parole, ma quando si rese conto che in quel modo non avrebbe ottenuto nulla – visto che quella donna continuava a tentare di strappargli di dosso gli indumenti – fu costretto a scappare nuovamente a gambe levate, sfuggendo a stento dalle sue lunghe grinfie.
Per evitare ulteriori incidenti, decise di cambiare aria, così salì sul suo Range Rover e si diresse verso il Tamigi: si sarebbe cercato un piccolo angolino all’ombra, dove finalmente poter rilassarsi e riposarsi.
Una volta in aperta campagna lo spilungone si fermò lungo un tratto del fiume particolarmente tranquillo: si sdraiò all’ombra di un salice e si appisolò di nuovo, cullato dal dolce mormorio delle acque che scorrevano poco lontano.
Questa volta, il suo pisolino durò un quarto d’ora: all’improvviso, cominciò a provare un fastidiosissimo prurito alle gambe e, quando si mise a sedere per controllare cosa fosse a provocarglielo, lanciò un acuto grido di terrore molto simile allo strillo di una donna isterica. Quando si era steso, non si era reso conto di aver scelto, come luogo per il suo riposo, proprio l’imboccatura di un formicaio di formiche rosse. Le inquiline, al trovarsi la strada sbarrata da così tanta mole, si erano alquanto alterate, accanendosi così sulle parti di pelle esposte del povero meccanico, che dopo aver scosso la maggior parte degli insetti con due manate bene assestate sui polpacci, si buttò a capofitto nel fiume, che per fortuna in quel punto scorreva basso e lento, lavando via le ultime formiche rimaste.
Di nuovo fradicio e non proprio pulitissimo, visto che le acque del Tamigi non erano proprio cristalline, lo spilungone fu costretto a spogliarsi di nuovo, rimanendo in intimo. Stese i suoi indumenti ad asciugare sul cofano del suo fuoristrada, poi salì a bordo, adagiò il sedile del passeggero e si sdraiò su quello, riuscendo infine a godersi il suo meritato relax, cadendo in un sonno profondo che, finalmente, questa volta durò molto a lungo. Forse anche fin troppo…
Quando il suo cellulare iniziò a squillare era immerso in un sogno bellissimo, in cui stava riparando un Maggiolino Volkswagen; per tale motivo gli occorse un po’ di tempo per tornare presente a se stesso. Rispose con la voce ancora impastata dal sonno.
«Pronto…?» biascicò, facendo un mezzo sbadiglio e passandosi una mano tra il ciuffo scompigliato di capelli bianchi. La voce adirata del suo socio dall’altro capo del telefono lo fece riscuotere immediatamente.
«EDD!!! Si può sapere dove diavolo sei FINITO!!!» gridò Mike, al punto che il meccanico fu costretto ad allontanare il cellulare dall’orecchio per non venire assordato.
«Sono…» tentò di rispondere, ma l’altro non gli dette nemmeno il tempo di concludere la sua frase.
«Te ne sei andato dall’officina, lasciando il rubinetto della fontana APERTO!!!»
A quelle parole si ricordò che, nella foga di rientrare nel garage per sfuggire al lancio di oggetti della sua vicina, si era dimenticato di chiudere l’acqua.
«Io…» provò di nuovo a giustificarsi, ma il suo socio non era minimamente interessato alle sue spiegazioni.
«Lo sai, non è vero, che, contrariamente ad ogni principio ingegneristico – e di buon senso – la pavimentazione del cortile è inclinata verso il GARAGE? Il mio ufficio è completamente ALLAGATO!!!»
Edd allontanò ancora di più il telefonino dall’orecchio. Mike urlava talmente tanto che avrebbe giurato di riuscire a sentirlo in stereofonia: dal cellulare e persino dall’esterno.
«Vedi…» azzardò a spiegarsi per l’ultima volta ma, ancora, l’altro non glielo consentì.
«Torna immediatamente QUI! Devi rimediare al danno che hai FATTO!!!» e con quell’ultimo grido, Mike chiuse la comunicazione.
Con un lungo sospiro, il meccanico scese a raccogliere i suoi vestiti ed a rivestirsi, rendendosi finalmente conto che era già pomeriggio inoltrato, poi tornò mestamente all’officina.
Il suo socio lo stava aspettando davanti al cancello, con le braccia incrociate sul petto, tamburellando nervosamente con il piede destro sull’asfalto. Non appena lo vide arrivare lo aggredì nuovamente.
«EDD!!! Te nei se andato via, lasciando l’officina abbandonata! Senza chiudere nemmeno l’ACQUA!!! Il mio ufficio è diventato una specie di acquario per i documenti! Si può sapere per quale motivo hai fatto una cosa del genere?!»
«E’ una storia un po’ lunga…» gli rispose lo spilungone, incurvando le spalle.
«Avrai tutto il tempo di raccontarmela… mentre rimetterai tutto in ordine!»
Maledicendosi per aver deciso – una volta tanto – di concedersi una giornata di dolce far niente, Edd si avviò mestamente verso l’interno, preceduto da Mike; ma, prima di chiudersi la porta alle spalle, giurò di aver visto, con la coda dell’occhio, la sua vicina che gli faceva l’occhiolino da sopra la siepe.


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