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Autore: ValeryJackson    11/06/2015    5 recensioni
[Seguito de Il Morbo di Atlantide]
Non si trasforma la propria vita senza trasformare se stessi.
Questo, Skyler, l'ha imparato a sue spese.
Per lei è ancora difficile far coesistere la sua natura mortale con quella divina, e superare quella sottile barriera che le separa, dal suo punto di vista, è una missione impossibile.
L'unico modo per scoprire come fare è forse quello di passare l'intera estate al Campo Mezzosangue, insieme ai suoi amici, insieme alla sua famiglia. Ma se fosse proprio lì il problema?
Se lei non fosse mai venuta a conoscenza della sua vera natura, ora sarebbe tutto più facile, no?
E' cambiata, e di questo ne è consapevole. Ma in meglio o in peggio? E di chi è la colpa? Sua, o di tutto ciò che la circonda? E' possibile tornare ad essere quella di un tempo senza però rinunciare a ciò che ha adesso?
Attraverso amori, amicizie, liti, incomprensioni, gelosie, nuovi arrivi e promesse da mantenere, Skyler dovrà decidere quale lato della sua anima sia quello dominante. Ma soprattutto, di chi fidarsi nel momento in cui tutto sembra sul punto di sfaldarsi.
Ma sei proprio sicuro che siano tutti ciò che dicono di essere?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Stoll, Leo Valdez, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti, Sorpresa, Travis & Connor Stoll
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Girl On Fire'
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Skyler avrebbe tanto voluto piangere, ma ormai non sentiva più niente.
Tutto ciò che riusciva a percepire era solamente un dolore acuto dietro il plesso solare, la mente incapace di formulare dei pensieri che non si ricongiungessero, in un modo o nell’altro, a ciò che era successo.
Piangere, generalmente, vuol dire aggiungere qualcosa: sei tu-più-le-lacrime.
Ma la sensazione che la ragazza provava in quel momento era l’esatto – e orribile – opposto.
Lei non aveva nulla in più, solo un enorme vuoto all’altezza del petto. Era apatica, priva di ogni energia. E la sua mente continuava a pensare ad una sola parola, sempre; un nome che le provocava un bruciore sotto la gabbia toracica.
Emma.
Emma che non c’era più.
Erano passate circa due ore da quando aveva lasciato andare la sua mano, lasciandosi cadere verso l’oblio.
Aveva fatto la sua scelta, seppur insensata. Aveva deciso di sacrificarsi per la sua amica.
Ma Skyler non aveva bisogno di essere salvata. Skyler aveva bisogno di lei, e ora che se ne rendeva conto era troppo tardi.
Il momento in cui John era finalmente riuscito ad afferrarla, per poi issarla su, era solo una macchia indistinta che vorticava nella sua scatola cranica.
Tutto ciò che ricordava era di essersi accasciata tra le sue braccia, mentre entrambi rotolavano sull’erba sfiniti.
E poi di aver posato la testa sul suo petto, il cuore a rimbombarle talmente forte nelle orecchie da impedirle di udire l’eco della sue grida. La confusione sul volto del figlio di Apollo, prima ancora che capisse cos’era successo. Il rumore di qualcosa che si squarciava brutalmente, ma forse era solo la sua mente ad elaborare quel suono, e non il suo petto che si lacerava davvero.
Dopo di ché, più nulla.
Buio totale. Una serie di immagini sfocate e prive di senso.
Emma era morta, e il resto non contava. Come avrebbe potuto? La figlia di Efesto non aveva neanche mai pensato a come sarebbe stato, continuare senza di lei.
L’eventualità che quel verso della profezia si riferisse a lei non aveva proprio sfiorato l’anticamera del suo cervello.
Emma era la sua migliore amica. Quella ragazza con i riccioli biondi era un vero raggio di sole.
È possibile spegnere un raggio di sole? Privarlo della sua luce? Impedirgli di brillare? 
Perché non era stata in grado di frenare quel suo gesto tanto affrettato?
Che cos’aveva fatto, lei, per meritarsi di non essere al suo posto?
Quelle domande erano come una fitta dietro la nuca. Senza risposta, senza importanza.
Emma era morta, per tutti gli dei.
Emma era morta.
La rapida sequenza di quel momento era così vivida nella sua mente che sembrava quasi che il tempo si fosse pietrificato in quel preciso istante.
L’istante in cui la figlia di Ermes si scusava, rivelandole quanto le volesse bene; l’istante in cui allentava la presa dalla sua mano, e le sue dita scivolavano via come se fossero ghiaccio in procinto di sciogliersi.
«Cerca di non morire» erano state le sue ultime parole.
Ma come sarebbe stata in grado di farlo, se sotto tutto quell’insensibile strato di pelle era già morta?
Molto probabilmente, prima o poi, sarebbe riuscita a superare la dipartita di Alex. Ma quella di Emma? Quella della ragazza che per lei, ormai, era come una sorella?
Come avrebbe fatto a farsene una ragione? Come sarebbe andata avanti, senza di lei?
Non ne sarebbe stata in grado; e di questo, purtroppo, ne era ben consapevole.
Non ne sarebbe stata in grado perché per quanto avrebbe potuto sforzarsi, una parte di lei si era inesorabilmente frantumata come un vaso di vetro preso a sprangate.
Non ne sarebbe stata in grado perché nonostante fisicamente fosse ancora lì, la sua anima si era già precipitata giù da quello strapiombo.
Non ne sarebbe mai stata in grado, perché ormai dar retta al suo cuore sarebbe stato inutile.
Era stato sbriciolato in tanti, minuscoli pezzettini.
Quindi quale di questi avrebbe potuto seguire?
 
Ω Ω Ω
 
La parte più difficile nel perdere una persona non è tanto il fatto di doverle dire addio, quanto più l’idea di dover passare il resto dei tuoi giorni a convivere con la sua assenza.
Quando le ginocchia di Skyler avevano ceduto e John, per impedirle di cadere, l’aveva sorretta, il primo istinto del ragazzo era stato quello di guardare giù. In cerca della chioma d’oro di Emma; in cerca della sua migliore amica.
Ma gli era bastato avvertire i singhiozzi disperati della figlia di Efesto infrangersi contro il proprio petto per poter intendere la dinamica dell’accaduto.
Era come se una parte di sé si fosse spezzata, per poi lanciarsi disperatamente oltre l’orlo del dirupo.
La mora aveva passato più di un’ora a piangere ininterrottamente tra le sue braccia, il viso nascosto nell’incavo del suo collo. Ma a differenza sua, il figlio di Apollo non era riuscito a versare neanche una lacrima.
Quasi le circostanze lo obbligassero ad essere forte, si era limitato a stringerla a sé più forte che poteva, per poi prenderla in braccio una volta calmatasi e portarla lontano da quel luogo maledetto.
Si era fermato solo quando era stato sicuro di essere abbastanza lontano, sdraiandosi ai piedi di un albero senza mai smettere di cullarla tra le braccia.
Non poteva rischiare di perdere anche lei. Semplicemente, non poteva permettersi un ulteriore fallimento.
Skyler aveva posato il capo proprio sopra il suo cuore, e aveva lasciato che quel battito regolare le infondesse calma, nonostante il ragazzo non vi vedesse più luce, nei suoi occhi mogani.
Nessuno dei due era stato capace di sillabare una parola. E forse, in fondo, era meglio così.
Che cos’avrebbero potuto dire, d’altronde?
Emma se n’era andata.
Era caduta nel vuoto, e quasi sicuramente ora stava attraversando i Campi Elisi tutta sola.
Non l’avrebbero più rivista, a meno che non fossero morti a loro volta.
Quindi, che senso aveva sprecare fiato?
Non c’era nulla in grado di descrivere ciò che loro provavano in quel momento, un miscuglio di emozioni che li destabilizzava e spaventava nello stesso momento.
Quando la stanchezza si abbatté sui due semidei tanto violentemente da far crollare la ragazza in un sonno esausto, John si sforzò di restare sveglio.
Fissò le folte chiome degli alberi sulla propria testa, iniziando a contare senza apparente motivo ogni singola foglia. Ma chissà perché ogni volta che focalizzava l’attenzione su una in particolare, era convinto di vedervici la figlia di Ermes, all’interno, che con un sorriso lo salutava.
Passò la successiva mezz’ora a domandarsi quando fosse stata l’ultima volta che le aveva detto di volerle bene.
Poi, sfinito, si addormentò anche lui. Ma avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi risvegliare e scoprire che, in realtà, si era trattato solo di uno stupido brutto sogno.
 
Ω Ω Ω
 
Intorno a lei vi era un silenzio rilassante.
La luna era di nuovo calata su quella porzione dell’isola deserta, tingendo il cielo di ombre e di stelle.
Skyler sapeva cosa quell’oscurità poteva significare: mostri in agguato, in arrivo da ogni dove.
Eppure, tra quei folti alberi pareva non regnare altro che tranquillità.
La figlia di Efesto si guardò intorno, scrutando il paesaggio che la circondava. Non era cambiato nulla, constatò; quindi come faceva ad essere sicura che si trattasse davvero di un sogno?
La voragine nel mio petto, pensò, studiando tra le fronde di quelle alte chiome. La voragine non c’è più.
Era da tempo che non sognava. La magia che impregnava le venature di quel posto era tanto potente da fungere da barriera per qualunque messaggio Morfeo avesse intenzione di portare.
Neanche colui che l’aveva creata era più in grado di governarla.
Opporvisi era impossibile. Lei non ci aveva neanche mai provato.
Quella visione, però, era diversa da tutte le altre. In genere le sue notti al Campo erano infestate perlopiù da avvertimenti, accompagnati da fiamme impetuose che la imprigionavano e serpenti malvagi che tentavano di strangolarla. E poi, c’era sempre quell’orrida voce.
Ora invece non era in grado di udirne neanche l’eco.
Ciò che poteva scorgere tutt’intorno a sé sembrava più che altro un’illusione.
«C’è nessuno?» si azzardò a chiedere, ma la sua voce rimbombò contro le pareti del silenzio. «Perché sono qui?» provò di nuovo, e anche stavolta, per qualche secondo interminabile, la quiete non si sgretolò.
Poi un sibilo avvolse l’aria come un guanto, e la ragazza fece un breve giro su sé stessa per cercare di capire da dove provenisse quel suono agghiacciante e prolungato. Questo, però, sembrava riecheggiare in ogni dove.
La figlia di Efesto corrucciò immediatamente le sopracciglia, facendo un esitante passo indietro.
Più che un sibilo, quello pareva il mormorio concitato di una flebile voce.
Un brivido si arrampicò su per la sua schiena, e per un attimo la mora temette di dover vomitare.
Che fosse di nuovo in uno di quegli incubi in cui questa volta il suo nemico aveva deciso di ricordarle che il suo tempo stava per scadere? Anche se sapeva essere tutto un ignobile sogno, era difficile tenere a bada il proprio terrore.
In un sussurro, quel rumore sembrava ripetere velocemente una serie indistinta di parole, che però la eco rimbombante sovrapponeva tra loro, rendendole incomprensibili.
Fino a che non si tramutarono in due uniche, semplici sillabe.
Sky-ler.
Erano state corde vocali femminili, a parlare. Ed il suo nome pronunciato in quel modo non aveva nulla di familiare.
La ragazza portò istintivamente una mano al proprio collo, ma lì, per qualche ostrogota ragione, non vi trovò alcuna collana.
«Skyler, non aver paura» le intimò la voce, con tono accondiscendente. «Non voglio farti del male.»
Con la coda dell’occhio, la giovane scorse un chiaro bagliore, e subito indietreggiò spaventata, tenendo gli occhi fissi in quella direzione.
All’inizio non riuscì a vederlo. Si confondeva tra le ombre degli alberi, quasi fosse intento ad osservarla senza la benché minima intenzione di essere scorto. Ma poi avanzò verso di lei, con passo sinuoso ed elegante.
Era un cervo, ma del tutto diverso dagli altri.
Perché era letteralmente fatto di luce.
Quasi l’astro lunare si fosse plasmato assumendo la sua forma, il suo manto brillava di un bagliore argentato. Tutto, persino gli zoccoli apparivano eburnei, e gli occhi sembravano privi di orbita, mentre fissavano Skyler con attenzione.
La figlia di Efesto sbatté le palpebre più volte, dando per cieche le proprie cornee. Poi, intorno a quel fiero animale, si levò un gelido soffio di vento, che la investì scompigliandole gli scuri capelli.
La ragazza batté i denti, infreddolita, ma non si mosse. Si limitò a stringere i pugni fino a procurarsi del piccoli segni a forma di mezzaluna sui palmi; lo sguardo impassibile mentre quell’essere si avvicinava.
«Non voglio farti del male» ripeté quest’ultimo, con tono calmo e pacato. «Sono qui per farti una proposta.»
«Chi sei?» domandò quindi lei, maledicendosi mentalmente per il tremitio della propria voce.
Il cervo inclinò il capo di lato, esaminandola con cura. «La tua salvezza» si limitò a specificare, scandendo lentamente ogni parola. «Grazie a me, non sarai più costretta a soffrire.»
Skyler l’osservò, guardinga.
Non si fidava di lui. Perché avrebbe dovuto?
Avrebbe potuto essere tanto una fervida creazione della sua mente stanca quanto una minaccia.
«Non tratto con gli sconosciuti» affermò allora, stringendo gli occhi a due fessure.
Dopo un iniziale istante di esitazione, la creatura annuì, comprensiva. «Va bene» consentì. «Forse quest’altra mia versione ti sembrerà più familiare.»
La mora non ebbe neanche il tempo di chiedergli cosa volesse dire.
Lo spazio che circondava l’animale si increspò, quasi gli alberi fossero pronti a deformarsi. Il suo manto niveo diventò ancora più lucente, tanto che dopo un po’ la ragazza fu costretta a voltarsi, un braccio davanti al viso a mo’ di protezione.
Per un attimo che parve infinito, tutto si tinse di bianco.
Poi la figlia di Efesto riportò la propria attenzione sulla creatura, ma con stupore al suo posto vi trovò solo una ragazzina.
Era un po’ più piccola di lei, forse di circa un paio d’anni. Aveva i capelli ramati raccolti in una coda ed un paio d’occhi singolari, di un giallo argenteo come la luna. Il viso era così bello che in altre circostanze le si sarebbe mozzato il respiro, e i tratti infantili che lo caratterizzavano cozzavano con la sua espressione seria e pericolosa.
Skyler represse a stento l’istinto di fare un passo indietro.
Era sicura di non aver mai incontrato quella piccola prima di allora, eppure quelle iridi strane avevano un ché di già visto.
Solo quando, come un lampo, le tornò in mente dove le aveva incontrate in precedenza, il fiato le mancò davvero.
«Divina Artemide…» mormorò flebilmente, le orecchie che ronzavano per la sorpresa.
La dea fece un breve inchino. «In persona» si presentò. «Beh, metaforicamente parlando, ovviamente.»
La ragazza non seppe cos’altro dire. Doveva inchinarsi? Doveva implorare il suo perdono per averla trattata con aria di sufficienza?
Perché era lì? Ma soprattutto, che cosa voleva da lei?
«Io non capisco» balbettò la mora, facendo fatica a riordinare i propri pensieri. «Come ha…? Lei non può…»
«Ti stai chiedendo come faccio ad essere qui?» la precedette la dea, al ché lei annuì. «Vi siete addormentati ai piedi di un cipresso. Avete infangato le sue radici con le vostre lacrime e il vostro sangue, ma non sono qui per biasimarvi.»
Skyler soppesò le sue parole, interdetta.
Un cipresso? Era uno dei suoi simboli sacri?
Davvero era 
sempre stato così semplice? Per tutto questo tempo avrebbero benissimo potuto…?
«Non è stato facile entrare in contatto con te» ammise Artemide, quasi fosse capace di ascoltare quei quesiti. «Ma dopo molti tentativi, finalmente ci sono riuscita.»
«Che cosa vuole da me?» fece allora la semidea, e la ragazzina spostò il peso da un piede all’altro, nascondendo il proprio disagio dietro un’aria autoritaria.
«Sono qui per aiutarti» le spiegò.
«In che modo?»
«Accogliendoti tra le mie Cacciatrici.»
La risposta fu talmente istantanea che colpì la mora come uno schiaffo in faccia. Si irrigidì, ma quando parlò le sue parole non potettero non vacillare. «Non la seguo» ammise, confusa, e la dea prese un gran respiro, riempendo i polmoni.
«Ammiro molto il tuo coraggio» cominciò quindi, con sguardo gentile. «L’ho sempre fatto, e sono convinta che un giorno potresti diventare un’ottima Luogotenente. Ma non sono solo queste doti che mi hanno portata da te. Riesco a percepire il tuo cuore spezzato.» La figlia di Efesto sussultò, colta alla sprovvista, al ché lei continuò. «Non sto parlando del modo in cui hai perso due dei tuoi amici. Sono state delle tragedie insormontabili, certo, e in parte condivido i tuoi sensi di colpa. Ma vedo anche una crepa dovuta a qualcos’altro. Hai sofferto molto per amore.»
«Si riferisce a Michael?» quel nome suonò nostalgico sulla punta della sua lingua. Da quanto tempo non lo pronunciava ad alta voce? Ogni giorno il figlio di Poseidone era sempre stato uno dei suoi pensieri fissi, certo, ma allo stesso tempo anche un argomento tabù. L’idea di saperlo rapito faceva così male che per la maggior parte delle volte Skyler si sforzava di non ricordarlo.
«Proprio così» annuì la dea. «Afrodite mi ha raccontato di tutte le peripezie che avete affrontato nell’arco della vostra storia. Lei spera ancora che voi torniate insieme, ma io posso offrirti una via di fuga.»
«Io non voglio scappare da lui» ribatté quindi la ragazza, metabolizzando solo poi le proprie parole. «Io sono qui per salvarlo.»
«Le emozioni intralciano il nostro giudizio» la fece notare a quel punto Artemide. «Ed Emma ne è la prova.»
«Che c’entra Emma?» sbottò la figlia di Efesto, irritata anche solo dal sentir nominare l’amica deceduta senza apparente motivo.
«Ho proposto a lei la stessa cosa, sai? Ma quell’incosciente ha rifiutato.» La dea sospirò. «Sapevo che la sua relazione con quel Leo Valdez non avrebbe portato a nulla di buono, ma lei non ha voluto ascoltarmi. Provava qualcosa di molto intenso, per lui, questo c’è da riconoscerlo. E molto probabilmente il sentimento era reciproco. Ma se vogliamo evitare di diventare vulnerabili, bisogna lasciare le sensazioni da parte. Le decisioni e i cambiamenti devono essere affrontati in modo chirurgico: più sei bravo a rimanere freddo e distaccato, più sarà facile vincere le sfide della vita. È questo che io insegno alle mie Cacciatrici. L’amore non è nient’altro che una distrazione. Distoglie l’attenzione dal vero obbiettivo.»
«Emma ha rifiutato la sua offerta per stare con Leo…» ragionò la ragazza, colpita da quella confessione. Non si era resa conto di quanto il legame che univa due delle persone più importanti della sua vita fosse diventato speciale. Aveva biasimato l’amica perché le aveva nascosto la verità, ma lei dov’era stata, mentre il suo cuore zampillava di gioia?
«Sostanzialmente» fece spallucce la rossa.
«Sa cos’è successo tra loro?»
«Lui le ha spezzato il cuore, naturalmente. Ma d’altronde, cos’altro ci si può aspettare da un maschio?»
Se il senso di colpa di Skyler si era per un attimo volatilizzato, ora la infiammò.
Quand’era successo? Come aveva fatto a non accorgersene?
Emma… Leo… Come aveva potuto guardarli negli occhi e non rendersi conto di quanto fossero pregni di vetri rotti?
«Chi si unisce alle tue seguaci deve fare voto di castità, giusto? Il mito dice così.»
Artemide annuì. «Gli uomini non sono mai stati un problema, per quelle come noi. Le pene d’amore le lasciamo ad Afrodite.»
La mora corrugò la fronte, e quando aprì la bocca per replicare, le sue corde vocali non emisero alcun suono.
Chi dice che l’amore è fatto solo di sofferenze? È l’unica forza in grado di garantire l’armonia dell’universo.
«Unisciti a me, Skyler Garcia» insistette la dea, percependo la sua interdizione. «Fallo, e sarai libera da ogni tristezza.»
La ragazza esitò. Per qualche secondo non si sentì più padrona del proprio corpo, e fu come se la sua anima stesse ripercorrendo il lungo tragitto che legava la mente al cuore.
Tutti i momenti trascorsi con Michael la investirono come un uragano.
La prima volta in cui si erano incrociati per caso.
Il giorno in cui lei aveva curato le sue ferite in infermeria.
Le sue braccia forti che la trascinavano fuori dall’acqua. Loro due che danzavano sotto la pioggia.
La loro litigata ad Alert. Lui che si lasciava sfuggire un impacciato «Sei bellissima».
Il ragazzo che le regalava tutta l’aria che aveva nei polmoni per permetterle di salvarsi.
Il loro abbraccio dopo la sconfitta di Anteo. Il loro primo bacio.
Skyler visualizzò un centinaio di occhiolini furtivi, di sorrisi timidi, di baci rubati.
Ma anche tutte le incomprensioni, i giorni passati senza parlarsi e le litigate.
A confrontarli, la sua bilancia interiore segnalava esattamente lo stesso peso.
Ma forse era proprio quello il punto.
«Io… Io non posso» denigrò, consapevole che non ci fosse nessun’altra risposta sensata. «Non posso accettare.»
«Stai commettendo un grave errore» la rimproverò la dea, con un’espressione contrariata. «Quel ragazzo sarà la tua rovina.»
«Ma io lo amo.» Quelle parole le scivolarono via dalle labbra prima ancora che riuscisse a carpirne il vero significato. Ma quando con tono quasi rassegnato giunsero alle sue orecchie stanche e la colpirono come un pugno sulla tempia, la ragazza non ebbe neanche la forza di negare.
Lei lo amava, e fino ad allora non se n’era mai resa veramente conto.
Lei lo amava, ed era la prima volta che pronunciava quel pensiero a voce alta.
Lei lo amava, e non aveva mai avuto il coraggio di dirglielo. Dopo tutti quei giri in canoa, tutte le serate passate a chiacchierare sotto le stelle; tutti quei pic-nic improvvisati e tutte le ore passate a telefono insieme. Non era mai riuscita a dirglielo, e lui non l’aveva mai detto a lei.
Ma era la verità, e nessuno dei due avrebbe mai osato affermare il contrario.
Fin dal primo istante in cui i loro sguardi si erano incrociati, erano stati brutalmente investiti da un sentimento tanto profondo quanto travolgente; uno di quelli che ti impedisce di respirare, e del quale non sei consapevole fin quando i vostri nasi non arrivano a sfiorarsi, costringendovi a respirare la stessa aria.
Lei lo amava, e non avrebbe permesso a nessuno di fargli del male. Non importava se lui l’avrebbe fatta soffrire, se prima o poi avrebbe amato un’altra o se non ricambiava il suo affetto.
Avrebbe sacrificato qualunque cosa, pur di vederlo tornare a casa sano e salvo.
Anche la sua stessa vita.
E sarebbe stato ciò che avrebbe fatto, se il nemico che era in procinto di affrontare l’avesse messa alle strette.
Lei era approdata lì con una missione: riavere il suo ragazzo.
«Credo proprio di non poter fare nulla per farti cambiare idea, vero?» tentò un’ultima volta la dea, al ché Skyler scrollò la testa con un sorriso.
Artemide si morse l’interno della guancia, riempendo lentamente i polmoni. «Se ci ripensi, la mia proposta è sempre valida» le ricordò.
La figlia di Efesto chinò il capo in un breve inchino. «Grazie comunque per la considerazione.»
«Hai la stoffa del leader» si complimentò quindi la ragazzina, scrutandola con orgoglio. «Le Parche avevano ragione.»
«Le Parche?» ripeté la mora, confusa.
La foresta intorno a loro ebbe un fremito, diventando una macchia indistinta, per poi tornare alla normalità subito dopo.
«È arrivato il momento di andare» si congedò la dea, corrucciando le sopracciglia. «Il mio potere sta per esaurirsi, e tu sei pronta a svegliarti.»
«Prima che vada» la richiamò la ragazza, non appena quella le diede le spalle. «Posso chiederle una cosa?»
Artemide tornò a guardarla, negli occhi un luccichio di curiosità. «Ma certo.»
«Emma.» Al solo pronunciare quel nome, Skyler sentì gli occhi bruciare. «Che cos’ha fatto, dopo aver rifiutato la sua offerta?»
La dea arricciò il naso, incapace però di nascondere un piccolo ghigno. «Ha baciato quel Leo» confessò.
Gli angoli della bocca della figlia di Efesto si incurvarono, palesando il suo divertimento.
C’era da aspettarselo, tipico di Emma.
«Nel caso al tuo risveglio avessi un trauma cranico, sappi che sto cercando di migliorare» continuò la ragazzina dai capelli ramati. «Non era mia intenzione mandare la figlia di Ermes in infermeria.»
La mora aggrottò la fronte. «Si riferisce alla notte del 4 Luglio? È stata colpa sua?»
«Proprio così. Ma non l’ho fatto di proposito» si affrettò ad aggiungere Artemide, mostrando i palmi. «Entrare nella mente di qualcuno quando questo è sveglio è molto più complicato, e purtroppo senza volerlo sono andata a toccare quella parte di cervello in cui avrebbe dovuto risiedere il dono, e…»
«Aspetti, quale dono?» la interruppe la ragazza, confusa.
I lineamenti della dea sfarfallarono. «Lo scoprirai con il tempo» si limitò a rivelare.
«Ma…»
«Ora devo andare.»
Skyler si morse il labbro inferiore, spostando il peso da un piede all’altro. C’erano così tante domande che voleva farle, ma purtroppo i secondi a loro disposizione stavano per scadere.
In quell’istate si ritrovò ad odiare la dea della Caccia per il solo fatto che avesse deciso di parlarle. Non l’aveva affatto aiutata. La confusione che impediva l’ordine dei suoi pensieri ora era aumentata ancora di più.
«Un ultimo consiglio?» si informò.
«Il Luminex vi ha detto che la Pietra si trova sul punto più alto dell’isola, questo Picco del Drago. Fossi in voi, io inizierei da lì.»
Gli alberi che circondavano la figlia di Efesto presero a vorticare senza sosta. La mora barcollò, inciampando sui suoi stessi piedi. Per un attimo, le sembrò che la figura di Artemide, di fronte a lei, avesse ricominciato a brillare.
Erano corna, quelle che le stavano spuntando sul capo?
«Buona fortuna, semidea» riecheggiò una voce suadente direttamente nella sua scatola cranica. «Io ho fiducia nelle tue potenzialità.»
Dopo di ché, tutto si svolse ad una velocità esagerata.
Skyler percepì un artiglio sprofondare nella sua schiena, fino a perforarle i vestiti. Una mano invisibile l’attirò verso il basso, e poi giù, sempre più giù, fino a che non si rese conto di essere risucchiata in una sabbia mobile.
Tentò di restare ancorata al terreno, sforzandosi di chiamare aiuto, ma prima che potesse riuscirci, uno strano liquido le invase i polmoni.
L’oscurità prese il posto del bosco nell’istante stesso in cui in suo capo veniva ricoperto di terra.
Poi, il suo petto ebbe un fremito.
 
Ω Ω Ω
 
Quando Skyler sbarrò gli occhi, di scatto, l’unico suono che i suoi nervi tesi riuscirono a percepire fu il battere regolare del cuore di John.
Con il capo ancora posato sul suo petto, la ragazza fece vagare le iridi scure lungo tutto il perimetro, alla ricerca di un indizio che le suggerisse che la dea della Caccia fosse davvero stata lì.
Ma ovviamente, l’unico cambiamento nel luogo che li circondava era quel flebile scambio di ombre che l’ascesa della luna aveva causato.
La sera era già arrivata. Dovevano andarsene di lì prima che fosse troppo tardi.
Con un sommesso sbadiglio, la figlia di Efesto si tirò su a sedere.
Era stato tutto frutto della sua immaginazione, o Artemide le aveva davvero proposto di unirsi alle sue Cacciatrici?
In altre circostanze, di fronte ad un invito del genere avrebbe esitato, ragionandoci su.
Ma ora come ora aveva troppe cose da perdere, per poter anche solo prendersi il lusso di valutare quell’ipotesi.
Ripensò al modo in cui il nome di Emma era rimasto in sospeso tra loro durante tutta la conversazione, come un fantasma che le osservava dall’alto, che voleva aiutarle a capire. Una fitta al petto le diede la sensazione di essere appena stata pugnalata.
La figlia di Ermes non le aveva mai detto del suo incontro con la dea. Quante cose erano capitate alla sua migliore amica e che a lei erano sfuggite?
Da quando era iniziata l’estate, non aveva fatto altro che combinare guai.
Era stata una pessima nipote, una pessima fidanzata, una pessima sorella ed una pessima amica.
Che cosa c’era di sbagliato in lei? Perché riusciva a rovinare sempre tutto?
Con un gridolino di frustrazione, la mora si premette i palmi contro gli occhi, sperando che se magari lei non fosse stata in grado di vedere il mondo, forse neanche il mondo avrebbe visto lei.
Poi un lieve sibilo giunse ai suoi timpani all’improvviso.
Il suo primo istinto fu quello di balzare sull’attenti, sguainando la sua spada.
Puntò l’arma verso un punto indefinito davanti a sé, per poi spostare velocemente lo sguardo tutt’intorno.
Il fischio sottile si ripeté, e stavolta alla ragazza venne la pelle d’oca.
Fece per chinarsi, pronta a svegliare John, quando quel suono sconosciuto ed anomalo assunse un nuovo significato.
«Seguici» riecheggiò una voce suadente nella sua testa, come se fosse un invito a giocare. «Vieni con noi.»
Skyler rimase pietrificata, il sangue che aveva smesso di fluirle nelle vene. Fu solo nell’istante in cui prese fiato per parlare, che la vide.
Una debole luce fluttuante, di un colore bluastro con lievi sfumature purpuree. Galleggiava a mezz’aria, fissa di fronte a lei, e se quella piccola increspatura tra le fiamme fosse stata davvero una bocca, la ragazza avrebbe giurato di vederla sorridere.
«Seguici» fu il nuovo mellifluo ordine, e alla figlia di Efesto fu chiaro che proveniva da quello spiritello.
Era sicura di non averne mai visto uno, prima di allora, ma le bastò frugare attentamente tra i cassetti più impolverati della sua memoria per associarlo ad una figura mitologica ben precisa.
Un Fuoco Fatuo. Che cosa diceva il mito su di loro?
Nell’antichità erano ritenute l’essenza stessa dell’anima. Si credeva che seguendoli si potesse trovare il proprio destino.
Era un mito nordico, giusto? O giapponese?
Poco importava, comunque. Quell’esserino senza sostanza stava ancora volteggiando sotto il suo naso, aspettando che lei ascoltasse il suo consiglio e gli andasse dietro.
La ragazza esitò, indecisa sul da farsi.
Il figlio di Apollo non si era ancora svegliato, il ché era un bene, perché molto probabilmente non le avrebbe permesso di andare, ma anche un male, dato che con tutti i mostri che c’erano in giro non era una grande idea, quella di separarsi.
Skyler spostò lo sguardo da lui, alla creatura, poi ancora a lui, e infine di nuovo alla creatura.
Esalò un breve sospiro, rendendosi conto delle sue dita tremanti solo quando strinse la presa sull’elsa della spada.
Dopo di ché fece un passo verso il Fuoco Fatuo, e con uno scintillio questo si dissolse.
Per un attimo, la figlia di Efesto credette che se ne fosse andato; ma dopo qualche secondo lo scorse di nuovo, a pochi metri di distanza da lei.
Il messaggio era chiaro: doveva seguirlo.
Ma diventò più complicato restare concentrati quando a quello spirito se ne aggiunsero altri cento.
Uno spettacolo mozza fiato, tutte quelle luci blu messe in fila indiana che con le loro tenui fiamme tracciavano un sentiero.
La ragazza le seguì senza titubare, ascoltando il fruscio che emettevano ogni volta che si dissolvevano, non appena lei gli era troppo vicina.
Contò in silenzio i passi che la separavano dal luogo nel quale aveva riposato; il posto in cui aveva lasciato John, che quasi sicuramente, notando la sua assenza, si era già messo a cercarla. O forse non si era ancora svegliato. Aveva focalizzato talmente tanto la propria attenzione su quei docili esserini da aver perso completamente la cognizione del tempo.
Lo spazio esterno aveva assunto un’importanza così irrilevante, che se non si fosse bloccata in tempo la mora avrebbe rischiato di sbattere il muso contro un grosso albero.
Un albero? Era uno scherzo, per caso?
Non aveva di che farsene di un albero, eppure era più che convinta che l’ultimo Fuoco Fatuo si fosse fermato lì.
Un albero. Era tutto un trucco per raggirarli e farli finire in trappola?
No, impossibile. Il suo sesto senso da mezzosangue l’avrebbe sicuramente avvertita che qualcosa non quadrava. Era sempre stata brava nel riconoscere i mostri buoni da quelli sanguinari e inaffidabili.
Doveva esserci un indizio nascosto, inciso su quella corteccia. Magari un messaggio.
Senza apparente motivo, le tornarono in mente le parole di Artemide.
«Il Luminex vi ha detto che la Pietra si trova sul punto più alto dell’isola, questo Picco del Drago. Fossi in voi, io inizierei da lì.»
Il punto più alto dell’isola. Ad occhio e croce, quell’arbusto svettava per circa quattro metri.
Skyler si legò la spada alla cintura, facendo appello a tutta la propria forza di volontà per poter dar retta a quell’intuizione. Stringendo i denti fin quasi a spezzarli, si arrampicò lentamente su per il tronco, trovando basi d’appoggio su robusti rami e spaccature nella scorza.
Un rivolo di sudore le colò sulla base del collo, ma ignorandolo lei continuò a salire, finché con un po’ di fortuna non riuscì ad arrivare in cima.
Prese fiato un paio di volte, tentando di regolarizzare il respiro. E non appena la foresta sotto di lei smise di girare per via delle vertigini, tutto andò a fuoco.
C’era un che di magico, nell’osservare l’isola dall’alto. Quasi non facesse più paura, e assumesse le sembianze di un’insignificante luogo tropicale.
La figlia di Efesto assottigliò lo sguardo, scrutando l’orizzonte con attenzione. Quando riuscì a vederla, la contentezza fu tale che minacciò di farla ruzzolare giù.
Eccolo lì, il Picco del Drago. Una montagna che si innalzava imponente e maestosa. Così alta da sfiorare e sorpassare le nuvole. Così bella che Skyler rischiò di svenire.
Ecco il punto più alto dell’isola. Ecco il posto che proteggeva la Pietra dei Sogni.
Sarebbe rimasta ore ad osservarlo estasiata, con le lacrime agli occhi, se qualcuno non avesse invocato il suo nome.
«Skyler!»
Era John. Per qualche assurdo scherzo del destino, era riuscito a dirigersi nella giusta direzione. C’era agitazione, nel suo tono. E soprattutto tanta tensione.
«Skyler, dove sei?»
«Sono qui!» urlò lei di rimando, asciugandosi le palpebre con il dorso. «Sono qui, John!»
Lanciò un’occhiata verso il basso, giusto in tempo per scorgere il figlio di Apollo avvicinarsi ai piedi dell’albero. Non appena la vide, il ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro sollevato, quasi il suo petto fosse un palloncino che era stato in procinto di scoppiare.
«Che ci fai lassù?» le domandò, con l’aria di un rimprovero. «Mi hai fatto prendere un colpo!»
«John, l’ho trovato!» esultò però lei, incapace di celare un sorriso. «L’ho trovato!»
Riportò le proprie iridi sulla punta di quella giogaia, la testa che vorticava per la troppa felicità.
«Ho trovato il Picco del Drago!» spiegò poi.
Andiamo a prenderci la Pietra che ci spetta.
 
Ω Ω Ω
 
Riscendere da quel tronco si era rivelato molto più complicato di quanto la semidea potesse immaginare.
Skyler era stanca, e non solo per via di tutte le battaglie che era stata costretta ad affrontare.
Skyler era stanca perché non aveva più voglia di lottare.
Aveva perso Michael. Poi Alex. Poi Emma. E per un attimo la soluzione più semplice era sembrata lasciarsi morire a sua volta, così da mettere fine a quell’ignobile sofferenza.
Ma poi le era tornato in mente il vero motivo per cui erano approdati lì.
La Pietra dei Sogni. Non avrebbe lasciato quell’isola senza riuscire a stringerla tra le mani.
I suoi amici avevano dato la vita affinché lei riuscisse nel suo obbiettivo. Affinché scoprisse come affrontare il proprietario di quell’orrida voce, così da riportare il suo ragazzo al Campo sano e salvo.
Non era ancora finita. Non del tutto, almeno.
C’era ancora un briciolo di speranza, ad aleggiare in quel fiume di morte e disperazione. Una speranza che si era accesa nell’istante in cui avevano scoperto verso quale direzione andare.
Emma ed Alex non si sarebbero sacrificati invano. Lei ce l’avrebbe fatta; per sé stessa e per loro.
Non appena aveva spiegato a John il perché raggiungere quella montagna fosse importante, il ragazzo non aveva sillabato una parola, limitandosi ad annuire per poi prendere ad avanzare verso la meta indicata.
La figlia di Efesto lo osservò, mentre camminavano fianco a fianco tra le ombre della foresta.
Sembrava distrutto; anzi, annientato. Le spalle incurvate come se non ce la facessero più a sostenere un peso così grande, lo sguardo spento quasi le sue iridi non fossero capaci di vedere più alcuna luce.
Non aveva detto nulla, dopo la dipartita della figlia di Ermes. Niente che fosse degno di nota, perlomeno.
La mora non voleva giudicarlo. Ognuno di loro affrontava il lutto in modo diverso, e se lei aveva passato circa un paio d’ore in una valle di lacrime, magari lui preferiva andare avanti e non pensarci.
Ma era convinta che non gli facesse bene tenersi tutto quel dolore per sé. Se non l’avesse condiviso il prima possibile, presto o tardi avrebbe rischiato di implodere.
«Tra poco sorgerà il sole» constatò la ragazza, maledicendosi per la propria voce tremante. «Magari riusciremo a raggiungere la Pietra prima che faccia di nuovo sera.»
«Mh-mh» assentì John, grattandosi distrattamente un orecchio.
Skyler lo guardò di sottecchi, rigirandosi nervosa la spada tra le mani. «È tutto okay?» domandò, apprensiva. «Non mi sembri molto convinto.»
«No, va bene» affermò lui. «Stavo solo pensando che magari dovremmo…»
Non riuscì a finire la frase, che una fitta al petto lo fece piegare in due per il dolore. La figlia di Efesto lo sorresse prima che le sue ginocchia cedessero alla pena, e il ragazzo si portò una mano alla spalla, facendola diventare immediatamente cremisi.
«John!» esclamò la mora, aiutandolo a sedersi ai piedi di un tronco. Solo allora si accorse dell’enorme macchia di sangue che si era espansa sulla sua maglietta. «John, che succede?»
«Sto bene» replicò lui, stringendo gli occhi al fine di darsi forza. «Ho avuto soltanto… un mancamento.»
«John, fammela vedere» gli ordinò, ma il figlio di Apollo si morse l’interno della guancia, contrariato. «Mostramela subito!» sbraitò a quel punto lei.
Il biondo esitò, riluttante a scoprirsi la ferita. Ma dopo un po’ si afferrò con due dita l’orlo del colletto, tirandolo fino a mostrare i profondi segni che un paio di artigli gli aveva lasciato.
«Oh miei dei» mormorò la ragazza, spalancando la bocca scioccata. Allungò una mano per poter sfiorare quello squarcio nel petto dell’amico, ma non appena i suoi polpastrelli entrarono in contatto con la carne viva, lui sussultò, e le dita di lei si intrisero di rosso.
«Sto bene» ripeté lui, non riuscendo però a convincere neanche sé stesso. «Non è niente, giuro.»
«Quando te la sei fatta, questa?» lo rimproverò Skyler, fissandolo con disappunto. «Avresti dovuto disinfettarla e medicarla! Come hai potuto pensare che…»
«C’erano cose più importanti da fare, che pensare alla mia ferita.»
 «Per esempio?»
«Emma era morta.» La sua voce si incrinò nel pronunciare l’ultima parola. Lei incrociò le sue iridi verdi, leggendovi rammarico e disperazione. «Come avrei potuto preoccuparmi del mio male?»
La figlia di Efesto lo soppesò per qualche secondo, sostenendo il suo sguardo senza sapere cosa dire. Poi ripensò a tutto ciò che era successo nelle ultime ventiquattro ore, e un pugno di ferro le strinse la gola.
«Passami il tuo zaino» comandò, e il ragazzo obbedì senza opporre resistenza. Lei si asciugò il naso con un palmo, sgranchendosi meccanicamente la gola. E dopo aver racimolato le bende necessarie per poter guarire il suo amico prese a fasciargli la spalla, scansando dalla contusione i residui di terra.
John la lasciò fare, arricciando solo il naso di tanto in tanto, quando il dolore si acuiva. Passarono ore, o forse solo qualche minuto, e il silenzio avrebbe finito con il soffocarli, se non fosse stato brutalmente interrotto dal figlio di Apollo.
«Avrei dovuto esserci io, al suo posto.»
Quando Skyler sollevò gli occhi per guardarlo, notò che le sue iridi erano fisse in un punto indefinito di fronte a sé; apatiche, prive di spirito.
«John…»
«No, è vero. Inizialmente c’ero io, sull’orlo di quel dirupo. Se mi fossi accorto prima dell’attacco di quel mostro, lei non mi avrebbe spinto via per affrontarlo.»
«Non è stata colpa tua, John» lo rassicurò la ragazza, accarezzandogli teneramente una guancia. «Non pensarlo neanche per un secondo.»
«Avevo promesso ad Alex che avrei avuto cura di voi.» La sua vista si appannò, mentre la sua voce si riduceva ad un tremante sussurro. «Che vi avrei protetto, anche a costo della mia stessa vita. Avevo giurato a me stesso che non avrei permesso a niente e nessuno di farvi del male. E invece guardaci. Emma è morta, ed io non sono stato in grado di impedire che ciò accadesse» continuò. «Ho fallito, Skyler. Non ho mantenuto la promessa fatta ad Alex. Ho lasciato che voi cadeste nel vuoto senza fare niente per aiutarvi, e…»
«Ehi, John, guardami» lo interruppe la mora, afferrandogli il viso tra le mani. «Guardami» ripeté. Il ragazzo lo fece. «Non osare neanche pensare che Emma se ne sia andata a causa tua, chiaro? Quella che lei ha fatto è stata una scelta. Ed io ho provato a fermarla. Giuro che ho tentato con tutte le mie forze. Ma è stato inutile. Lei aveva già deciso, capito? E nessuno avrebbe potuto fermarla.»
«Ma perché l’ha fatto?» ribatté lui. «Come ha potuto pensare che quella fosse la cosa giusta da fare?»
«Non lo so» ammise Skyler, con un sospiro. «Nessuno capirà mai i suoi ragionamenti. Ma lei era così: il suo spirito di sacrificio era così grande che molto spesso le offuscava la ragione. Non penso di aver mai incontrato una ragazza più testarda. Insomma, sarà stata anche una figlia di Ermes, ma era…»
«Speciale» concluse lui, stringendo le labbra in una linea sottile.
La figlia di Efesto si lasciò sfuggire un sorriso, rendendosi conto solo in quel momento di aver iniziato a piangere. «Sì, infatti» annuì. «E le persone speciali non spariscono così, da un momento all’altro. Resteranno per sempre al nostro fianco.»
«Non sai cosa darei per poter essere stato io, quello che cadeva nel vuoto.»
La ragazza gli accarezzò uno zigomo, pulendolo delle lacrime che l’avevano sporcato. «Anch’io» mormorò, prima di attirarlo a sé e stringerlo in un abbraccio.
John abbandonò il capo contro la sua spalla, nascondendo il viso nei suoi capelli scuri e lasciandosi sfuggire un singhiozzo disperato.
Skyler gli baciò delicatamente l’incavo del collo, tirando su col naso e incastrando dolcemente le dita nei suoi biondi capelli.
Era strano vederlo così; così fragile, così indifeso. Fin da quando ne aveva memoria, era sempre stato lui quello che si prodigava per consolare le persone.
Lui sapeva sempre cosa fosse giusto dire; i suoi abbracci infondevano sempre calma e tranquillità.
Ma in quel momento la mora comprese che neanche il suo migliore amico era indistruttibile. Anche lui andava salvaguardato, e soprattutto protetto.
Anche lui aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse a restare a galla.
Forse Emma sarebbe stata per sempre un vuoto che li avrebbe accompagnati fino alla fine delle loro vite. Ma la figlia di Efesto lo pensava davvero: le persone speciali non se ne vanno mai, non definitivamente.
Andata ma non dimenticata, ripeteva sempre suo zio, ogni volta che un suo commilitone moriva sul campo di battaglia.
Andata ma non dimenticata.
Andata.
Ma mai dimenticata.
 
Angolo Scrittrice. 
Salve, semidei! 
Cosa ci faccio qui? 
Ebbene sì, ho appena pubblicato un nuovo capitolo. Spero che gli dei non me ne vogliono, soprattutto perchè tra qualche minuto arriverà la mezzanotte, e per questo sarà ufficialmente giovedì. 
Chiedo umilmente perdono, ma questa è stata una giornata molto... impegnativa, per me (per non dire demoralizzante). E al di là del fatto che come al solito non sono del tutto soddisfatta di come io abbia scritto questo capitolo, spero vivamente che vi sia piaciuto. 
Anche se può apparire come un insulso capitolo di passaggio, succedono molte cose importanti. 
Innanzi tutto, vediamo come hanno reagito
Skyler e John alla morte di Emma
Non benissimo, direi. Ma d'altronde, cosa vi aspettavate? Era pur sempre la loro migliore amica. Una sorella, se vogliamo dirla tutta. 
Mentre la figlia di Efesto ha sfogato la propria disperazione nelle lacrime, però, il figlio di Apollo ha tentato di trattenersi fino a quando non ha rischiato di scoppiare come un palloncino troppo gonfio. 
Comprendiamo i suoi sensi di colpa, ovviamente. Però povero cucciolo, mi fa male vederlo triste. Di solito è sempre lui che aiuta gli altri ad affrontare le situazioni. E Skyler quella che ha bisogno di più supporto, invece. 
Qui i ruoli si sono invertiti, ed io ne sono assolutamente contenta. Ognuno di noi ha un proprio lato debole ed un altro invece più forte, e non bisogno vergognarsi né denigrare nessuno dei due. 
Per quanto riguarda il sogno della mora, invece... beh, ora capiamo molte cose. 
Ricordate quando Emma aveva visto quel cervo bianco nei confini del Campo? Che poi aveva avuto un trauma cranico, Leo l'aveva aiutata e i due, alla fine, si erano baciati? 
Beh, quel cervo era
Artemide. Le aveva proposto di entrare a far parte delle sue Cacciatrici, così come ha fatto con Skyler in questo capitolo. 
Ma entrambe le ragazze hanno rifiutato. Secondo voi hanno fatto bene? 
Ora finalmente i nostri semidei sono a tanto così dal poter ritrovare la Pietra. Come pensate che andrà a finire? Riusciranno in questa difficilissima impresa?
Ma parliamo anche di uno degli aspetti più importanti. 
Skyler ama Michael. Ormai l'ha ammesso, guys. Al di là di tutto quello che è successo fino ad ora, lei lo ama e lo amerà fino allaa fine. 
E' la prima volta che lo confessa, perchè prima d'ora si sono limitati entrambi a scambiarsi parole dolci senza mai arrivare al punto. Pensate che lui lo saprà mai?
Riuscirà la ragazza a dirglielo di persona? O morirà prima nel tentativo di farlo?
Detto questo, devo fare una comunicazione: so di avervi detto che entro oggi avrei confermato la continuazione della storia o annunciato la sua sospensione, ma la verità è che non ho ancora deciso.
Mancano così pochi capitoli, ed io non me la sento di abbandonarla proprio ora. Ma allo stesso tempo sono sempre più titubante, perchè è come se sentissi che cintinuandola, forse farei uno sbaglio. 
Purtroppo non sta più avendo l'esito che tanto avevo sperato, e mi dispiace che la maggior parte di voi abbia deciso di lasciarsela alle spalle, ma molto probabilmente è stata solo colpa mia. 
Le mie idee non sono abbastanza belle da poter meritare troppa attenzione, o forse hanno fatto cadere la storia nel noioso e banale, non so.
Per questo il supporto di quelle poche persone che ancora mi sono vicine è così importante. Voi siete la mia forza, e il motivo per cui ho pubblicato questo capitolo. 
Grazie infinitamente a
Sarah Lorence, Francesca lol, Occhi di Smeraldo, Lux_Klara, PeaceandLovewithBTR e Percabeth7897, che con le loro bellissime recensioni sono riusciti a strapparmi un sorriso nel momento in cui avevo deciso di mollare tutto e darmi alla briscola.
Le vostre dolci parole sono davvero una salvezza <3 E scusatemi se non sono ancora riuscita a rispondere a tutte le recensioni, ma non avrei mai immaginato che anche una volta finita la scuola gli impegni mi avessero sommersa senza ritegno. 
Anyway, questa settimana penserò a cosa fare, e poi, forse, vi darò una risposta definitiva. Spero comunque che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, e di sentire le vostre opinioni in proposito. 
Un bacione enorme, e grazie ancora a tutti voi!
Al prossimo martedì, si spera.
Ancora vostra,

ValeryJackson 

 
 
 
  
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