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Autore: Christa Mason    11/06/2015    1 recensioni
Julian Casablancas è uno studente del Le Rosey e fa tremendamente freddo quando incontra Gil.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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  Tiene la mia mano mentre percorriamo i corridoi del Westfield Hotel, ci accompagna una felicità euforica, i suoi sorrisi contagiano i miei, ci baciamo fermando il tempo e poi proseguiamo fino alla sua camera. Apre la porta e mi fa entrare con fare da galantuomo: “Prego, signorina.”
  La sua camera è invasa di luce bianca, pulita e neutra. Il disordine di vestiti sparsi sul pavimento, una bottiglia di Jack Daniel’s abbandonata ai piedi del letto. Non c’è nulla che già non sappia di Julian Casablancas in quella stanza, ma ancora non so niente di lui. Chi sei Julian? Dimmi che non sei il ragazzo che mi complicherai una vita già complicata, perchè è esattamente quello che stai facendo. Ridiamo mentre ci baciamo ancora, continuiamo a ridere baciandoci. Siamo ridicoli e bellissimi, completamente aromantici. Penso alle mille domande che gli vorrei fare: Com’è tua madre? Com’è tuo padre? Com’è casa tua, la tua vera casa? Chi sei, Julian? Sento improvvisamente pesante il mio giaccone che sa di Rolling Stone, il mio odore che si fonde con il suo, odore di viaggi oltreoceano, vestiti troppo larghi o troppo stretti, di scarpe da ginnastica mai lavate, canzoni sussurrate e nascoste, un animo trasandato e positivo. Desidero le sue mani, che si intrecciano con le mie. 
  “Scusa per l’altra sera.” mi bacia. 
  “Scusa per l’altra sera.” lo bacio io. 
  Ci guardiamo in silenzio, conquistati dalla nostra nuova complicità, improvvisa, timida e discreta. Poi ci buttiamo sul letto, le mani sul ventre e lo sguardo al soffitto. Scopro che piacciono anche a me le camere d’albergo, non per pulirle, per viverle. Voglio baciarlo di nuovo, scoprire la forma della sue scapole e affondare il viso nella piega del suo collo. Voglio conoscerlo, potergli fare almeno una delle mille domande che vorticosamente s’accumulano in testa. 
  “Parlami di te, Julian.” continuo a guardare il soffitto. 
  “Cosa vuoi sapere?” anche lui continua a guarda il soffitto. 
  “Di cosa parla quella canzone, quella che suonavi?”
  “Non è una canzone. Ho scritto solo un paio di versi, quelli parlano di mio padre, del fatto che mi delude e mi rende inquieto, poi arrabbiato, poi non lo so ancora… Sai cosa voglio dire? Somewhere along the way my hopefulness turned to sadness. Da qualche parte lungo la strada, la mia speranza si trasforma in tristezza. I versi che verranno dopo forse parleranno d’altro, forse parleranno di te.”
  “Non scrivere di me, Julian.”
  Mi avrebbe catturata in una canzone che avrebbe canticchiato una volta tornato a New York, magari in un’altra metropoli, avrebbe preso la sua chitarra e cantato quei versi che non avrebbero significato più niente, perchè io sarei rimasta in questa dannata Svizzera. 
  “Scrivo di quello che mi pare, Gil.”
  É su di me. Mi bacia, le nostre lingue si scontrano. Non c’è il riguardo e la gentilezza dell’amore di Hans. Non so neanche se sia amore. Il mio giaccone cade per terra, lui si sfila la giacca di pelle troppo stretta, sento le sue mani suoi miei fianchi, ci stringiamo e baciamo come se volessimo divorarci. Non ci sono le premure dei bravi ragazzi che non vogliono correre e che ti chiedono se tu sia pronta. Non voglio niente del genere, comunque. Le mie mani scivolano sul suo collo, sento le mie pupille dilatarsi e attendere pazienti. Gli slaccio i jeans, lui sfila i miei. Ci rigiriamo nelle lenzuola, interpretiamo la parte di due amanti spensierati, ci concediamo i sorrisi sereni di chi è esperto di sesso occasionale. I suoi occhi sono un caldo rifugio che si specchiano nei miei, vitrei come il lago ghiacciato. Entra dentro di me, lo stringo a me con una gamba. Non sfuggirmi, Julian, non adesso. É un ritmo di doloroso piacere, un modersi maliziosamente il labbro ad amplificare le sue spinte. Sento l’odore della sua pelle, che è come il mio: ci sono le sigarette scadenti, i Rolling Stone, l’alcol di un primo appuntamento andato male, la neve della stazione sciistica, la sua canzone. Le mie dita stringono le lenzuola. Sì, Julian. Non c’è timidezza tra di noi, accetto che accarezzi il mio corpo. 
  Sono su di lui, tiene i miei fianchi. I miei capelli si riversano sulle mie spalle, onde di libertà selvaggia, e ci è concesso di venire insieme, in un silenzio soffocato. 
  Cado al suo fianco, m’avvolgo nelle lenzuola. La sua pelle candida gli dà un’aria più innocua, Julian è finalmente privo dell’aggressività dal sembrare sempre un trasandato poveraccio.
  “Cazzo, Julian.” dico, libera. 
  “Cazzo, sì.” si infila tra le labbra una sigaretta. 
  “Questa mattina ti ho cercato solo per scusarmi di come ti avevo trattato, e adesso…”
  “É un bel modo di scusarsi.” sorride. 
  Scoppio a ridere. Quanto sei stupido, Julian. 
  
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