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Autore: avalon9    09/01/2009    4 recensioni
I loro pugni fendono l'aria e i loro calci spaccano la terra; ma i loro corpi sono quelli di normali esseri umani. Una dea bambina trasforma le loro mani; una tyche beffarda gioco con il loro corpo e i loro desideri. E li incammina su una strada che dissolve i pensieri
. Cento parole per ogni cavaliere d'oro; cento parole per raccontare la sorte diversa delle mani di ognuno.
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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3

3. Grahit

[Virgo no Shaka]

 

 

 

L’acarya ripete silenzio.

Perché la voce è pericolosa, fuori dal mantra. Mentre lo juzu si sgrana nella mano e la voce (una litania) è potere.

Ma al potere (brutto) della voce non ci crede.

E il silenzio non gli piace.

Perché è curioso e vuole parlare. Anche se nella stupa l’acarya ripete silenzio. E allora impara: un’altra voce (per sapere). Le mani si muovono; e le parole (le mani) raccontano.

L’acarya ripete: silenzio; ma le sue mani (silenziose) chiedono e danzano. E dicono ohm e insegnano e pensano, le mani (pericolose) che parlano.

E scoprono di saper dire anche: khan.

 

 

 

 

 

Nota al titolo:


In sanscrito, grahitṛ è una parola religiosa, derivata dalla cristallizzazione del participio e significa colui che comprende.

Il sanscrito è la più antica lingua dell’India; appartenente al ceppo definito indo-europeo, e secondo vari filologi è la lingua da cui deriverebbero i vari idiomi indiani moderni e le stesse lingue europee, fra cui il greco e il nostro italiano.

 

De verbis

Terza drabble: l’equilibrio, se vogliamo. Anche se, in origine, lo scopo della drabble era proprio di rendere l’idea dello spezzato.

E in parte credo di esserci riuscita. Anche se, in verità, penso che Shaka sia troppo sfaccettato per esser racchiuso in cento parole. Questo è davvero uno spaccato, concentrato su un particolare ben preciso: la gestualità.

Di nuovo, c’è un riferimento “iconografico”, più precisamente questo, cui va sommata una mia modesta riflessione sulle puntate di Hades relative al cavaliere. Mani. Mani, mani e mani riprese in varie pose e angolazioni. Mani in continuo movimento. Shaka non parla; Shaka è gesto che si esprime.

Sono i mundra, le posture che nella dottrina buddhista corrispondono a un discorso intero. E mi sono chiesta: perché un asceta (se vogliamo chiamarlo così) si concentra sul gesto? Ecco: sono partita da qui.

Volevo dare un senso più specifico al ricorrere di Shaka alle mani. Certo, la sua fede; certo, le armi. Ma anche il solo modo che ha di parlare, di comunicare durante l’infanzia trascorsa nel silenzio del tempio (il silenzio di Buddha).

Il mio Shaka è curioso. Principalmente perché è un bambino; e come ogni bambino, davanti ad un divieto, cerca la scappatoia.

E io gliel’ho data nelle mani, la fuga. Adattandomi anche alla simbologia indiana che carica la voce di retaggi magici e sottintende al gesto un potere mistico ed evocativo. La danza stessa (e le mani di Shaka danzano) è formata di gesti che parlano. Non testo; solo gesti. Altrimenti sarebbe come avere due canzoni in sincrono.

Mani, silenzi e parole da una parte; e dall’altra la comprensione. Il mio Shaka comprende. Ma non intendo il sapere che lo porta ad essere il cavaliere più vicino agli dei, l’illuminato. Credo che piuttosto sia la comprensione di non essere vincolati, di poter aggirare un ostacolo in qualche modo. Ecco il motivo per cui ho scelto il titolo sopra specificato.

Fin da bambino, Shaka dimostra di comprendere che non c’è una sola faccia del reale. Puoi vedere senza gli occhi; puoi parlare senza usare la voce.

Ritengo proprio che una delle grandezze di questo personaggio sia la profondità ingenua e disarmante che lo caratterizza. Quasi un bambino troppo cresciuto, ma che resta un bambino. E si stupisce e spaventa di saper raffigurare nelle mani l’inizio della vita (ohm) e di poter dare realmente la morte, con le mani (khan).

Infine: acarya è uno dei due maestri che seguono la crescita di un novizio nel buddhismo, mentre il mantra è una litania religiosa, recitata con lo juzu (termine giapponese per indicare il rosario a 108 grani proprio del credo buddhista) nella stupa, il luogo sacro dove si conservano le reliquie del Buddha. Per ultimi: ohm e khan, rispettivamente, inizio e apertura o vuoto (riducendo all’essenziale i due termini, che possono corrispondere in una certa banalizzazione all’ alpha e all’omega, alla vita e alla morte) sono due formule proprie del mantra. In esse ho voluta rappresentare la capacità di Shaka di essere in sospeso fra i due mondi.

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[Remerciements]

 

 

NinfaDellaTerra: lieta che il mio Shura sia stato di tuo gradimento. Concordo con te: Shura è un personaggio estremamente complesso (non il solo, per fortuna. O sfortuna nera XD), e se ci si aggiunge quel suo carattere schivo, ben in opposizione all’idea caliente che si ha degli ispanici…Sì. Direi proprio che c’è abbastanza materiale per fare di Capricorn un interessante soggetto da lettino di psicoterapia.

Adoro certi aspetti della chiromanzia, e avendo deciso di avere le mani come trait d’union della raccolta, mi è parso che Shura e la cultura spagnola fosse la più indicata ad un simile riferimento.

Grazie infinite per i complimenti. Mi imbarazzano tanto^/////////////////////////^ (e non è falsa modestia!)

 

Miriel67: Merci, ma cherì! Sono contenta che Shura sia stato di tuo gradimento. Se non si va d’accordo fra affini (di segno). L’idea della linea della vita (ripensandoci) mi è venuta un po’ da Saiyuki (non il Reload), ma cambia di qua, metti un po’ di Spagna di là…Alla fine quella piccola idea s’è dispersa, e non ho nemmeno messo in nota il riferimento. Troppo diverso.

 

Kagura92: Grazie! Sono davvero contenta che ti sia piaciuta. Anch’io è da poco che sto rivalutando Shura (e non solo), ma temo che sia l’età che avanza XD. Crescere con i cavalieri ha vantaggi e svantaggi, eh già! L’idea di inserire lo spagnolo è stata un po’ un’incognita fino all’ultimo. In sostanza, tendo nelle drabble a far evocare lo sfondo mediante le parole (esotiche, temo di dover dire); ma per Shura avevo paura di essermi lasciata prendere un po’ troppo la mano. Anche se, alla fine, mi sembrava di sentire una specie di musicalità. Non perché fosse bella la storia, ma perché le parole mi mettevano davanti delle immagini: così.

 

Blackvirgo: Una corrida…Oddio! Sai che questo commento mi ha investita? Perché all’inizio avevo l’intenzione di inserircelo, un riferimento diretto alla corrida, ma poi complice la facilità di scadere nel retorico e la difficoltà di astrarre in allusione, avevo fatto cadere. E adesso: tu dici che tutto è una corrida. E sì, mi piace. Mi piace molto!

E adesso…Un tuo vecchio amico XD

Speriamo! Dopo la tua drabble, ho un po’ (tanta) paura che questo Shaka risulti una macchietta (non che mi aspetti di riuscire a renderlo bene, per carità. Ma con la tua davanti agli occhi…)

 

Ti con zero: Merci! Mi onori molto con le tue parole. Grazie davvero

 

 

 

 

 

 

 

Dialogando

 

Riprendo oggi, dopo la pausa natalizia (forzata).

Con la drabble promessa sul Cavaliere di Virgo. Una vera impresa, se mi è concesso. La parte più difficile è stato raccogliere tutto il materiale relativo alla simbologia della voce e della parola in India, e rispolverare la mia grammatica sanscrita.

Alla fine, questo è il risultato. Spero che sia accettabile.

Un’ultima piccola annotazione: so bene che Khan indica anche una delle maggiori tecniche difensive di Shaka di Virgo, ma qui intende la capacità del cavaliere di creare il vuoto (nel movimento delle mani e nella voce) e quindi di dare la morte con quelle stesse mani che chiedono e si interrogano sulla vita.

 

Prossimo personaggio: Aquarius no Camus

 

 

Alla vostra gentilezza.

 

  
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